Per l’Uovo d’Oro di Faranth,

per la dama di Weyt, sapiente e onesta,

crea uno stormo di ali

bronzee e marroni, verdi e azzurre.

Crea cavalieri forti e coraggiosi,

che amino i draghi e volino in alto

a centinaia: e gli uomini e i draghi

siano in perfetta unione.


Lessa lasciò che F’lar si allontanasse, poi attraversò di corsa la grande caverna, sentendo il graffiare degli artigli e il rombo delle ali immense. Superò la corta galleria e si fermò in quella cavità che costituiva l’entrata. Il drago di bronzo stava scendendo in cerchio verso la parte più ampia di quella distesa ovale che costituiva il Weyr di Benden. Aveva sentito parlare dei Weyr, come tutti gli abitanti di Pern, ma era tutta un’altra cosa vederne uno di persona.

Si guardò intorno analizzando le lisce pareti di roccia. Senza un drago non era possibile uscirne: le caverne si aprivano a distanze impossibili da superare per un uomo. Era in prigione.

F’lar aveva parlato di dama del Weyr. La sua dama? Nel suo Weyr? Aveva inteso dire questo? No, il drago le aveva comunicato un’idea differente. Il fatto di essere in grado di comprendere quella bestia improvvisamente la stupì. Ci riucivano tutti? O era merito del suo Sangue? Comunque, Mnementh le aveva accennato a un ruolo molto particolare, più grandioso. Senz’altro avevano intenzione di fare di lei la dama del Weyr dell’uovo ancora chiuso. Come avrebbero fatto? Le tornò in mente che la Cerca selezionava un certo tipo di donna… ma allora non era l’unica aspirante. Eppure il cavaliere di bronzo le aveva parlato come se dipendesse solo da lei diventare dama del Weyr. Quell’uomo era presuntuoso e arrogante, anche se in un modo completamente diverso da Fax.

Vide il drago di bronzo scendere a precipizio sul branco in fuga, catturare la sua preda e dirigersi verso il costone roccioso per consumare il suo pasto. Istintivamente si ritrasse e rientrò nell’oscurità della galleria.

Quel pasto le faceva venire in mente tutta una serie di storie terribili. Finora ne aveva riso, ma… Allora era vero che i draghi mangiavano la carne umana? Era vero… Si distolse dai suoi pensieri. I draghi erano più buoni degli uomini e agivano solo dietro impulsi naturali, non spinti dall’avidità.

Sicura che il dragoniere sarebbe rimasto lontano per un certo tempo, ripercorse la grande caverna e ritornò nella camera da letto. Raccolse da terra i vestiti e la sabbia detergente ed entrò nel bagno. Era abbastanza piccolo. La vasca era contornata da un ampio cornicione e vicino c’erano una panca e alcuni ripiani su cui appoggiare i panni. Alla luce del lume notò che sul fondo della vasca era stata deposta una grande quantità di sabbia per permetterle di stare comodamente in piedi. Una specie di rampa conduceva alla parte più fonda, dove l’acqua lambiva dolcemente la roccia.

Potersi lavare! Potersi lavare per bene! Disgustata non meno del dragoniere, Lessa si tolse gli stracci e li gettò via con un calcio, non sapendo dove avrebbe potuto farli sparire. Prese una generosa manciata di sabbia dal sacchetto e la bagnò.

Si cosparse le mani e il volto pieno di lividi con quella morbida poltiglia, quindi inumidì dell’altra sabbia e si strofinò gli arti, infine il busto, e i piedi. Si lavò energicamente fino a che i tagli non del tutto guariti le si riaprirono e sanguinarono. Allora si buttò letteralmente nella vasca, gemendo quando l’acqua tiepida le fece schiumare la sabbia sui graffi. Si immerse totalmente, muovendo la testa per bagnarsi bene i capelli, quindi si deterse ancora con la sabbia, si sciacquò, si massaggiò finché i capelli furono perfettamente puliti. Quanto tempo era passato… Diverse ciocche galleggiavano sulla superficie dell’acqua aggrovigliate, parevano insetti dalle zampe esilissime. Si avvide con piacere che l’acqua era corrente e si ripuliva in continuazione. Si strofinò nuovamente la pelle finché non se la sentì pizzicare. Quel bagno la stava purificando da molto di più che la semplice sporcizia. La sensazione del pulito la mandava in estasi.

Infine decise di essersi lavata il più possibile e si insaponò i capelli per la terza volta. Riluttante uscì dalla vasca, avvolgendosi la chioma intorno alla testa per asciugarsi meglio. Spiegò i vestiti e se ne mise uno davanti, per vedere. Il tessuto, verde e morbido, era liscio al tatto, ma si impigliava nelle sue dita ruvide. Se lo infilò dalla testa. Era una veste molto ampia con una sopravveste di un verde più intenso che si annodava in vita con una fascia. Fremette di piacere al contatto con quella stoffa morbida, mentre la gonna che le ondeggiava alle caviglie la fece esultare di una gioia tutta femminile. Afferrò un asciugamano pulito e iniziò a strofinarsi i capelli.

Le giunse alle orecchie un rumore attutito. Si fermò, con le mani sollevate e la testa piegata, ad ascoltare. Il rumore veniva dall’esterno. Probabilmente il cavaliere e il suo drago erano rientrati. Quel rientro anticipato la infastidì e prese a massaggiarsi con più forza i capelli. Cercò di districarsi i nodi con le dita e di pettinarsi spingendoli a forza dietro le orecchie. Irritata frugò sui ripiani finché trovò un pettine di metallo molto rudimentale. Lo infilò tra i capelli in disordine e dopo innumerevoli sforzi riuscì a sistemarseli.

Una volta asciutti, i capelli acquistarono una loro vita: crepitavano al contatto con le mani e aderivano al viso e all’abito. Era difficile farli stare a posto ed erano molto più lunghi di quanto pensasse, così puliti le arrivavano alla vita… quando non le si attaccavano alla mano.

Si mise in ascolto ma non sentì più nulla. Preoccupata, si avvicinò alla tenda e sbirciò nella camera. Era vuota. Si rimise in ascolto e captò i pensieri del drago immerso nel sonno. Avrebbe preferito rivedere l’uomo in presenza dell’animale piuttosto che in camera. Si incamminò e, passando davanti a una lastra di metallo appesa al muro, intravide una sconosciuta.

Di colpo si fermò, incredula, per guardare quel volto riflesso dal metallo. Solo quando involontariamente si portò le mani sul viso e la donna riflessa fece altrettanto Lessa capì di vedere se stessa.

Quella ragazza era più bella di dama Tela e della figlia del tessitore! Ma era tanto magra! Automaticamente le sue mani toccarono il collo, le clavicole sporgenti e i seni che non rivelavano la magrezza del resto. Quel vestito era troppo grande per lei, osservò soddisfatta dall’esame. E i capelli… non volevano saperne di stare in piega. Se li lisciò impaziente con le dita, portandoseli in avanti a coprire il viso. Poi si sovvenne: non doveva più nascondersi. I capelli si gonfiarono nuovamente.

Un leggero strisciare sulle pietre la fece sobbalzare. Restò ferma ad aspettare che F’lar arrivasse. Improvvisamente si sentì timida. Con il viso scoperto, i capelli all’indietro e il vestito aderente non poteva più proteggersi con l’usuale anonimato. Si sentì vulnerabile.

Riuscì a controllare l’impulso di fuggire dettato dalla paura. Guardandosi allo specchio si raddrizzò. I capelli ondeggiarono e crepitarono. Lei era Lessa di Ruatha, di nobile e antica stirpe. Non doveva più nascondersi, poteva affrontare apertamente tutto e tutti… anche quel dragoniere.

Risoluta attraversò la stanza e spostò di lato la tenda che separava l’ingresso.

F’lar era là, vicino alla testa del drago, intento a grattargli le sopracciglia con un’espressione stranamente dolce. Quella scena contrastava visibilmente con le voci che circolavano sui dragonieri.

Aveva sentito dire che esisteva una strana comunione tra cavalieri e draghi, ma solo adesso capiva che quello era anche un legame affettivo. E quell’uomo tanto freddo e riservato era capace di un sentimento così profondo. Era stato duro con lei davanti al wher da guardia, e non c’era da meravigliarsi se quella povera bestia aveva pensato a un nemico. I draghi erano stati più tolleranti con lei, rammentò con una volontaria smorfia.

F’lar iniziò a voltarsi lentamente, come se non volesse lasciare il drago. La vide e si girò di scatto, osservandola con un’intensa espressione nello sguardo. A passi veloci e leggeri la raggiunse e la riportò nella camera, stringendole con mano salda il braccio.

— Mnementh ha mangiato poco e ora ha bisogno di restare tranquillo per riposare — le disse a voce bassa come se fosse la cosa essenziale. Tirò accuratamente il pesante tendaggio dell’ingresso.

Allontanò Lessa facendola girare da una parte e dall’altra, guardandola con attenzione. Il suo volto rivelava curiosità e sorpresa.

— Ti sei pulita… carina, sì, quasi carina. — La sua voce era tanto divertita che la ragazza si divincolò e si scostò irritata. F’lar rise sommessamente. — Del resto, come si poteva immaginare cosa ci fosse sotto… dieci interi Giri di sporcizia? Sei senz’altro abbastanza bella da soddisfare F’nor.

Esasperata Lessa chiese: — È necessario soddisfare F’nor?

F’lar continuava a guardarla sogghignando, tanto che lei dovette farsi forza per resistere alla tentazione di picchiarlo.

Infine le disse: — Non ha importanza. Adesso mangeremo, e poi ho bisogno di te. — All’esclamazione di stupore di Lessa si volse. Le sorrise maliziosamente e le indicò la macchia di sangue sulla spalla sinistra. — Medicarmi le ferite che ho ricevuto per causa tua è il minimo che puoi fare.

Spostò uno degli arazzi che ricoprivano la parete interna e gridò: — Pranzo per due!

Lessa sentì l’eco della voce in lontananza, in quello che doveva essere un pozzo molto fondo.

— Nemorth è diventata quasi rigida — le disse F’lar mentre toglieva alcuni oggetti da un ripiano nascosto dagli arazzi. — La Schiusa inizierò presto.

Al solo sentire nominare la Schiusa Lessa avvertì una morsa allo stomaco. Aveva sentito raccontare delle cose terribili su quell’evento. Stordita afferrò gli oggetti che F’lar le porgeva.

— Hai forse paura? — la punzecchiò mentre si levava la camicia insanguinata.

Lessa scosse il capo e si concentrò sulla schiena muscolosa dell’uomo. Nel togliere la camicia, la crosta si era staccata e rivoli di sangue sgorgavano dalla spalla.

— Ho bisogno dell’acqua — disse. Notò un recipiente piatto tra gli oggetti che lui aveva portato e andò a prendere dell’acqua nella vasca, domandandosi cosa mai l’avesse condotta tanto lontano da Ruatha. Quando il dragoniere glielo aveva proposto, subito dopo la morte di Fax, lei nella sua esultanza si era sentita in grado di affrontare ogni cosa, ma adesso era diverso e riusciva a malapena a evitare che l’acqua debordasse dal recipiente stretto tra le due mani tremanti.

Si obbligò a pensare solo alla ferita. Era brutta e profonda dove era penetrata la punta della lama, più superficiale verso il basso. Mentre puliva, sentiva la pelle di F’lar liscia sotto le sue mani e non poté fare a meno di notare il suo odore tipicamente maschile, fatto di sudore, di cuoio e dell’inconsueto sentore di muschio derivante dal continuo contatto con gli animali. Nel suo insieme non era affatto sgradevole.

Nonostante il dolore che certamente provava, F’lar non dimostrò il minimo segno di sofferenza, come se non ci facesse caso. Quando si rese conto di non riuscire a ricambiare con la durezza la scarsa considerazione che il dragoniere le aveva dimostrato, Lessa si infuriò con se stessa.

Strinse i denti esasperata e si diede a spennellare abbondantemente l’unguento curativo. Tamponò con delle bende e fasciò la medicazione. Quando ebbe terminato si spostò indietro, F’lar tentò di piegare il braccio fasciato e così facendo gli si contrassero i muscoli del fianco e della schiena.

Si voltò verso Lessa con uno sguardo cupo e pensieroso.

— Hai fatto un buon lavoro, signora mia, grazie — disse con un sorriso ironico.

Si alzò e la ragazza si tirò indietro, ma lui si avviò solo verso il cassettone per prendere una camicia pulita.

Proprio in quel momento si udì un rombo sommesso, che divenne rapidamente più intenso.

Erano i draghi? si domandò Lessa cercando di controllare l’insensata paura che stava nascendo dentro di lei. Era iniziata la Schiusa? Lì non c’era nessun wher da guardia presso il quale rifugiarsi.

Come se avesse capito la sua agitazione il dragoniere rise divertito e fissandola negli occhi spostò la tappezzeria rivelando un rumoroso meccanismo che dall’interno del pozzo stava portando verso di loro il vassoio del pranzo.

Vergognosa di se stessa e adirata con F’lar per averla colta in fallo, Lessa si accomodò sulla panca ricoperta di pelli augurandogli in cuor suo innumerevoli ferite da poter curare con mani prive di riguardo. Non si sarebbe lasciato scappare la minima occasione d’ora in poi, si promise.

F’lar appoggiò il vassoio sul tavolo proprio davanti a lei, ammucchiando alcune pelli sul pavimento per sedervisi. C’erano carne, pane, una brocca di klah, del formaggio giallo molto invitante e persino della frutta. F’lar non prese nulla, e neanche Lessa, nonostante il solo pensiero di un frutto sano e maturo le facesse venire l’acquolina. L’uomo alzò gli occhi verso di lei corrugando la fronte.

— Anche qua nel Weyr deve essere la dama a spezzare il pane per prima — la invitò cortesemente con un cenno del capo.

Lessa arrossì. Non era solita a simili galanterie, e soprattutto non era abituata a servirsi per prima. Prese un pezzetto di pane. Non rammentava di aver assaggiato mai niente del genere. Era stato appena sfornato, e la farina era fine, setacciata, senza la minima traccia di crusca e di sabbia. Accettò il formaggio che F’lar le stava offrendo: come era deliziosamente saporito anche quello! Esaltata da quella sua nuova condizione protese la mano verso il frutto più carnoso.

— Senti — iniziò il dragoniere, sfiorandole la mano per richiamare la sua attenzione.

Lessa lasciò il frutto con aria colpevole e lo guardò domandandosi che tipo di sbaglio avesse commesso. F’lar le pose in mano il frutto continuando a parlare. Disarmata, la ragazza iniziò a gustarselo a occhi spalancati e attentissima alle sue parole.

— Ascoltami bene. Non avere timore neanche per un istante quando sarai sul Terreno della Schiusa e non lasciarla mangiare troppo. — Sul suo volto passò un’espressione di disgusto. — Uno dei nostri incarichi principali consiste proprio nell’evitare che i draghi mangino troppo.

Lessa perse ogni interesse per il frutto, lo ripose accuratamente nella ciotola e si sforzò di capire quello che F’lar aveva cercato di comunicarle veramente. Lo fissò in volto e per la prima volta vide in lui un uomo e non un simbolo.

La sua freddezza non era altro che prudenza, concluse, non mancanza di sensibilità e quel rigore doveva essere un modo per mascherare la giovane età: non doveva avere molti Giri più di lei. L’atmosfera tenebrosa di cui si circondava non era malvagità ma piuttosto una sorta di cupa pazienza. I capelli neri e mossi, pettinati all’indietro, scendevano a sfiorare il collo della camicia. Le folte sopracciglia nere acquisivano un duro cipiglio e si inarcavano altezzosamente quando lui squadrava la sua vittima dall’alto e sotto di esse gli occhi ambrati, così chiari da sembrare dorati, rivelavano anche troppo chiaramente il cinismo e la superiorità. Le labbra, sottili ma ben profilate, assumevano a volte un’espressione quasi di dolcezza. Perché le atteggiava sempre a una smorfia di disapprovazione o di sarcasmo? Insomma, si poteva definirlo un bell’uomo, concluse candidamente Lessa. Cera in lui qualcosa che la attraeva come un calamita e per di più in quel momento aveva lasciato da parte ogni affettazione.

Stava dicendo sul serio: non voleva che lei si impaurisse, non aveva nulla da temere.

Voleva davvero che lei riuscisse… a chi doveva impedire di mangiare troppo… che cosa? Le bestie dei branchi? Certo, un drago appena nato dall’uovo non era capace di divorare una bestia intera, non era poi un compito tanto complicato il suo. Il wher da guardia a Ruatha obbediva esclusivamente a lei. Lei aveva compreso il grande drago di bronzo ed era addirittura riuscita a metterlo a tacere quando era passata di corsa sotto la torre in cerca della levatrice. L’incarico principale? Il nostro incarico principale?

F’lar la guardava, aspettando.

— Il nostro incarico principale? — ripeté Lessa con un tono che domandava precisazioni.

— Ne riparleremo dopo. Adesso le cose più importanti — le rispose impaziente.

— Ma cosa sta succedendo? — insistette lei.

— Ti sto dicendo quello che so, nient’altro. Tieni bene in mente questi due consigli: non avere paura e non lasciarla mangiare troppo.

— Ma…

Tu, invece, devi mangiare. Ecco. — F’lar le porse un pezzo di carne infilzato sulla punta del coltello e la fissò con la fronte corrugata fino a quando non lo ebbe inghiottito. Stava per obbligarla a servirsene ancora quando Lessa riprese il frutto che stava per mangiare prima e lo addentò. Aveva già ingoiato molto più di quello che a Ruatha era solita mangiare in un intero giorno.

— Al Weyr saremo trattati meglio — commentò F’lar guardando con aria critica il vassoio.

Lessa si stupì: per lei quello era stato un vero e proprio banchetto.

— Non eri abituata a queste cose, vero? Mi ero dimenticato che a Ruatha hai lasciato solo le ossa.

La ragazza si irrigidì.

— Ti sei comportata benissimo alla fortezza, non volevo criticarti — si spiegò F’lar sorridendo della sua reazione. — Ma guardati — le fece un cenno con la mano fissandola in maniera divertita e contemplativa. — Non avrei mai creduto che una volta pulita tu potessi essere tanto graziosa, né che avessi dei capelli simili. — Adesso era sinceramente ammirato.

Involontariamente Lessa si portò una mano alla testa e i capelli le si attorcigliarono alle dita. Qualunque risposta intendeva dargli le morì sulle labbra, interrotta da un sibilo acuto che invase la camera.

Le vibrazioni prodotte da quel suono le penetrarono nelle ossa, fino alla spina dorsale. Si tappò le orecchie con le mani ma il rumore continuò a riecheggiarle nella testa. Poi, improvvisamente, cessò.

Prima ancora che potesse capire qualcosa, il dragoniere l’aveva afferrata e trascinata verso il cassettone.

— Levati quella roba — le ordinò accennando alla veste e alla tunica. Quindi prese un ampio vestito bianco, privo di maniche e di cintura, due semplici teli di lino cuciti ai lati e sulle spalle. Lessa lo guardava senza capire. — Spogliati, o preferisci che lo faccia io? — domandò spazientito.

Quel suono si ripeté, a una tonalità tanto fastidiosa che Lessa accelerò i movimenti. Non aveva ancora tolto gli indumenti che aveva indosso che già F’lar le stava infilando dalla testa quel vestito bianco. Riuscì a liberarsi le braccia appena in tempo per essere trascinata fuori della camera con i capelli resi svolazzanti dall’elettricità.

Arrivarono nella grande caverna: nel mezzo si ergeva il drago intento a sorvegliare l’ingresso della camera da letto. Pareva impaziente e i grandi occhi tanto affascinanti erano iridescenti. Era particolarmente eccitato e cantilenava una nenia a una tonalità molto più bassa di quella del grido che li aveva scossi.

Sebbene agitati e impazienti drago e dragonieri si fermarono all’improvviso e Lessa comprese che stavano parlando di lei. L’enorme testa dell’animale le stava proprio davanti, nascondendole ogni visuale, e le giungeva il suo respiro carico di fosfina. Si accorse che stava comunicando a F’lar la sua soddisfazione per la donna di Ruatha.

Tirandola violentemente il dragoniere la trascinò nella galleria, seguito dal drago che procedeva a tale velocità che Lessa temeva di vederlo catapultarsi giù dal cornicione da un momento all’altro. Senza neanche rendersene conto si ritrovò accucciata sul collo bronzeo dell’animale, saldamente tenuta da F’lar. Con un movimento fluido furono alti sopra l’immensa conca del Weyr. Tutto intorno si distinguevano ali e code di draghi in volo e i loro suoni riecheggiavano nella valle pietrosa.

Mnementh si lanciò, parve a Lessa, in gara con gli altri animali, verso un varco nero in alto nel precipizio. Come per magia, i draghi vi entrarono, sfiorando l’apertura d’ingresso con le ali.

La galleria vibrava dei loro movimenti. Quindi raggiunsero un’immensa caverna.

Stupefatta Lessa pensò che la montagna doveva esser completamente vuota all’interno. In file compatte, innumerevoli draghi se ne stavano appollaiati sui cornicioni di quella immensa cavità. Ce n’erano di verdi, azzurri, marroni, soltanto due erano bronzei come Mnementh. La caverna era tanto grande da contenerne altrettanti. Istintivamente consapevole dell’importanza del momento, la ragazza si aggrappò alle scaglie del suo animale.

Mnementh, ignorando gli altri draghi di bronzo, scese verso il basso. A quel punto Lessa vide sul fondo sabbioso della grotta delle uova di drago. Erano una decina, mostruose e chiazzate, con dei gusci che si muovevano spasmodicamente sotto le pressioni dei piccoli impegnati ad aprirsi un varco. In disparte, su un rialzo, era stato collocato un uovo dorato, molto più grande degli altri e lì vicino era immobile la vecchia regina.

Non appena Mnementh fu a poca distanza dall’uovo dorato, F’lar sollevò la ragazza e la depose al suolo insensibile alla sua stretta preoccupata. La fissò negli occhi d’ambra.

— Ricordati, Lessa!

Mnementh le lanciò uno sguardo d’incoraggiamento, quindi si alzò in volo. Lessa protese una mano supplichevole. Si sentiva completamente abbandonata a se stessa, priva anche di quella forza interiore che l’aveva sorretta nella lunga lotta con Fax. Il drago si sistemò sul costone più vicino e abbassò il collo per far scendere F’lar, che tese una mano distrattamente per accarezzarlo.

A quel punto la sua attenzione venne richiamata da urli e lamenti. Gli altri draghi si abbassarono, arrivando quasi a toccare il fondo della caverna, e da ognuno di essi scese a terra una giovane donna, dodici in tutto, compresa Lessa che si mantenne in disparte dal gruppo. Le guardava incuriosita, biasimandone le lacrime, anche se forse non era meno impaurita di loro. Non le venne in mente che piangere potesse costituire uno sfogo. Perché quelle lacrime? Nessuna era ferita. Il disprezzo per quel pianto le fece comprendere la loro avventatezza. Respirò a fondo, cercando di dominare il vuoto che sentiva dentro di sé. Quelle si potevano permettere di avere paura, non lei. Lei era Lessa di Ruatha e non aveva nulla da temere.

Proprio in quel momento l’uovo dorato si agitò terribilmente, facendo arretrare le ragazze terrorizzate. Una bella ragazza bionda, con i capelli intrecciati che sfioravano terra, tentò di farsi avanti, ma si fermò e urlando tornò atterrita verso le altre.

Lessa si volse di scatto, per vedere cosa avesse provocato quella reazione nella ragazza e anche lei involontariamente arretrò.

Dove la caverna era più ampia, diverse uova si erano schiuse e i piccoli avanzavano gracchiando con voce fievole. Sbigottita Lessa si rese conto che si stavano dirigendo verso i ragazzi immobili disposti a semicerchio. Alcuni di quelli non erano certo più vecchi di quanto fosse lei al tempo della conquista di Ruatha da parte di Fax.

Le grida delle donne si ridussero a singhiozzi quando uno dei piccoli nati cercò di afferrare un ragazzo con il becco e gli artigli.

Lessa si costrinse a guardare il giovane drago che gettava da parte la sua preda, insoddisfatto. Il ragazzo non si mosse, nonostante il sangue delle sue ferite arrossasse tutta la sabbia.

Un altro drago si avventò contro un altro ragazzo e poi si fermò agitando impotente le ali bagnate. Sollevò il magro collo e intonò maldestramente la incoraggiante cantilena che Mnementh cantava spesso. Il ragazzo, esitante, sollevò una mano per grattargli le sopracciglia. Lessa era incantata da quella incredibile scena: il piccolo drago iniziò a colpire delicatamente con la testa il corpo del ragazzo, che si abbandonò a un estatico sorriso di sollievo.

Staccati gli occhi da quell’immagine, vide che un’altra delle bestie appena nate stava attuando lo stesso comportamento con un altro giovane. Intanto, altre due uova si erano aperte e uno dei draghi che ne erano usciti aveva travolto un ragazzo e lo stava calpestando senza rendersi conto delle ferite infertegli con i suoi artigli. Il drago che gli stava dietro si fermò accanto al giovane, gli si avvicinò e iniziò la cantilena. Il ragazzo si alzò faticosamente in piedi e, con le guance bagnate di lacrime, rassicurò l’animale dicendogli che erano solo dei graffi.

In breve tempo quella scena terminò e i giovani si appartarono con i loro nuovi draghi. I cavalieri verdi portarono via i ragazzi che non erano stati scelti e quelli azzurri condussero fuori della caverna le nuove coppie. I giovani draghi squittivano, cantilenavano, agitavano le ali ancora umide, si allontanavano barcollanti accompagnati dai compagni del Weyr appena trovati.

Lessa si volse risoluta verso l’uovo dorato che si muoveva: ormai sapeva cosa sarebbe successo e si domandò come avessero fatto i ragazzi per farsi scegliere.

Nel guscio dorato si formò una crepa. Le ragazze gridarono per la paura, alcune svennero, le altre si tennero strette. Dalla fenditura fuoruscì una testa aguzza, seguita da un collo d’oro luccicante. Incredibilmente distaccata, Lessa si domandò quanto tempo ci sarebbe voluto perché quella bestia, tutt’altro che piccola, arrivasse alla maturità. La sua testa superava già le dimensioni di quelle dei draghi maschi che avevano appena travolto quei massici ragazzi di dieci Giri.

Un sonoro mormorio si diffuse nella caverna. Erano i draghi di bronzo a emetterlo: quella che stava nascendo sarebbe stata la loro compagna e la loro regina. Quando il guscio si infranse in numerosi frammenti e il corpo dorato e luccicante della femmina ne uscì, il mormorio crebbe. La futura regina barcollava e andò a conficcarsi con il becco nella sabbia morbida, restandone intrappolata. Riuscì a raddrizzarsi agitando le ali umide, ridicola in quella goffa debolezza, quindi, con uno scatto inaspettato, si diresse verso le ragazze terrorizzate. La prima giovane venne messa a terra con la velocità del fulmine.

Si udì lo schiocco secco delle vertebre e il corpo piombò privo di vita sulla sabbia. Senza uno sguardo, il drago si diresse verso la ragazza successiva, ma sbagliò nel calcolare la distanza e cadde. Allungò una zampa per mantenere l’equilibrio e così facendo lacerò il corpo della giovane dalla spalla alla coscia. Il suo urlo mortale distrusse il drago per un istante e permise alle altre di scuotersi dalla paralisi del panico. Si diedero alla fuga, inorridite. Corsero, inciamparono, caddero sulla sabbia, dirette verso l’apertura dalla quale se ne erano andati i ragazzi. Mentre l’animale dorato urlando penosamente inseguiva le giovani. Lessa si mosse. Ma per quale motivo quella stupida non si era fatta da parte, pensò intenta ad afferrare la testa aguzza, non molto più grande di lei. Quel drago era tanto goffo e debole…

Voltò la testa dell’animale, per poterlo guardare negli occhi… e si erse in quello sguardo d’arcobaleno.

Fu invasa da una sensazione di felicità: calore, tenerezza, affetto puro, rispetto e ammirazione la colmarono, mente, cuore e anima. Non le sarebbe più mancato un sostegno, un amico intimo, capace di capire all’istante i suoi desideri e i suoi umori. Quanto era eccezionale Lessa! Quell’idea le penetrò nella mente: quant’era brava, premurosa, piena di coraggio, intelligente!

Meccanicamente Lessa protese la mano per grattare il punto giusto, sopra l’arcata sopraccigliare.

Il drago la guardò sbattendo le palpebre, malinconica e infinitamente triste per averle provocato tanti problemi. Lessa accarezzò rassicurante il collo morbido e ancora leggermente bagnato che si curvava fiducioso verso di lei. L’animale perse l’equilibrio, dondolando da un lato e un*ala si incastrò nella zampa posteriore, dolorosamente. Lessa alzò attentamente la zampa e liberò l’ala, quindi la ripiegò con una carezza sulla cresta dorsale.

Il drago iniziò la sua cantilena, seguendo ogni sua mossa. La scontrò dolcemente con la testa e obbediente Lessa le grattò l’altro sopracciglio.

L’animale le comunicò di aver fame.

— Troveremo subito qualcosa da darti — le promise, voltandosi a guardarla stupita. Come aveva fatto a dimostrarsi tanto insensibile? Quel piccolo mostro aveva ferito e forse ucciso ben due donne.

Non riusciva a credere di nutrire tanta simpatia verso quella bestia. Eppure le pareva la cosa più naturale del mondo cercare di proteggerla.

Ramoth, il drago, inarcò il collo per guardarla negli occhi e le ripeté di avere una terribile fame, dopo essere rimasta rinchiusa per tanto tempo nell’uovo senza mangiare.

Lessa si domandò come facesse a conoscere il nome del drago. Le rispose Ramoth stessa: perché non avrebbe dovuto saperlo dal momento che le apparteneva? Allora Lessa si perse nel prodigio di quegli occhi incredibilmente espressivi.

Inconsapevole della presenza dei draghi di bronzo e dei loro cavalieri, Lessa continuò ad accarezzare la testa della creatura più straordinaria dell’intera Pern, prevedendo dolori e trionfi, ma soprattutto conscia che Lessa di Pern era la Dama di Weyr, la compagna eterna di Ramoth l’Aurea.

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