RANGER 2,70 MEGASECONDI

(SPAZIO DI DISCUS)

Discus, una cornalina striata grossa come un pugno, spiccava sulla superficie argentea. Gli Anelli, quasi di profilo, erano una scia di luce diffusa attraversata da venature di giaietto che si precipitava verso di loro sullo schermo, allargandosi. Wadie galleggiava nel centro della sala comandi, concentrando i suoi pensieri sulla figura che spezzava quel primo piano di lucentezza: Nevi-della-Salvezza, orbitante a una distanza di trenta raggi discani, oltre l’abisso del pozzo di gravità. Nevi-della-Salvezza, che sulle mappe di navigazione prebelliche si chiamava Bangkok, la maggiore distilleria degli Anelli. Era solo una delle cinque distillerie, ma quanto a produzione superava le altre nel rapporto di oltre dieci a uno; in parte perché era alimentata da una batteria nucleare costruita nella Demarchia, in parte perché era in grado di inviare i carichi usando un acceleratore lineare; anche quest’ultimo era opera della Demarchia, ma risultava estremamente più utile lì dove le distanze di trasporto erano più brevi. Gli stessi primitivi razzi ossidrici degli Anellani fungevano da navi cisterna penosamente inefficienti.

Wadie ricordava com’era Nevi-della-Salvezza quando vi era giunto insieme agli ingegneri della Demarchia: grigiore infinito che crivellava il ghiaccio e la pietra, un gelo che penetrava fin dentro le ossa facendo dimenticare cosa fosse il calore, una popolazione anch’essa sparuta e grigia che aveva preso in affitto lo spazio in purgatorio. Una popolazione fanatica al punto da essere pazza, agli occhi della Demarchia. Lui era stato mandato per impedire che demarchi e anellani si saltassero alla gola… anche perché nessun altro più qualificato di lui aveva accettato quella missione. Aveva provveduto a far sì che due gruppi incompatibili e sospettosi non dimenticassero mai il loro obiettivo comune di accrescere la provvista di gas volatili. E nei cinquanta megasecondi che lui aveva trascorso nel suo tetro e solitario esilio, aveva avuto modo di conoscere un certo numero di uomini che poteva definire solamente amici, e aveva visto della Grande Armonia degli Anelli più di chiunque altro nella Demarchia. Era riuscito a capire la vita cronicamente marginale che dovunque gli Anellani erano costretti a vivere, e aveva anche compreso, non senza dolore, cosa li induceva a sopportare l’opprimente ideologia collettivista: la consapevolezza di dover sempre operare in armonia, altrimenti non sarebbero sopravvissuti…

La voce del capitano lo riportò alla realtà. I suoi occhi si fissarono su di lei, che se ne stava sospesa davanti allo schermo, con i capelli che galleggiavano morbidamente, liberi dalla gravità, e le maniche arrotolate fino ai gomiti. La fissò; il presente era soltanto una copertura del passato. Il nitido, colorato calore della sala comandi emanava un senso di triste povertà che all’improvviso faceva sembrare frivola la semplicità di Mattino.

Mattino… sarebbe mai riuscito a vedere la sua gente con la stessa chiarezza con cui aveva visto gli Anellani? Quanto tempo ci voleva per sentirsi a proprio agio con un popolo che offendeva in tutti i modi immaginabili il senso della proprietà? Il cui comportamento frustrava ogni tentativo di ridurlo in categorie, così come l’acqua scivola fra le dita… Quattro chilosecondi prima lui si era recato al livello superiore per procurarsi un po’ di cibo, e vi aveva trovato il capitano e Welkin già in sala da pranzo, e Bird Alyn che suonava la chitarra. Cantavano tutti, non preoccupandosi se entro i successivi quattromila secondi avrebbero dovuto commettere un atto di pirateria o affrontare un altro processo il cui esito poteva significare la libertà e la vita per tutti loro…

Insieme troviamo coraggio,

Il nostro canto non finirà…

O forse, si rese conto a un tratto, cantavano perché sapevano e temevano fin troppo quella verità. Non ciò che canti, o come lo canti, aveva detto Welkin, ma come ti fa sentire. Improvvisamente consapevole del suo ruolo in quel processo imminente, lui era stato attratto in quella stanza per unirsi a loro da qualcosa di più forte della curiosità… solo per avere vicino il volto di Betha Torgussen, per poi perderlo appena lei lo aveva visto; solo per farla alzare dal tavolo, interrompendo il canto e andandosene via bruscamente.

«… non riesco a credere a questa lettura, Pappy. Dovrebbero friggere, laggiù, e invece non è così. Non c’è magnetosfera, né campo di radiazioni interne… Ne sa niente, Abdhiamal?» Il capitano lo guardò girando la testa al disopra della spalla, ma senza incontrare direttamente i suoi occhi.

Lui fissò a sua volta lo schermo. «Questo è Paradiso, in fondo, capitano. I campi di radiazione di Discus sono abbastanza forti, ma non si spingono molto aldilà degli Anelli. È uno dei motivi che ci ha portato a questo sistema… le rocce e le palle di neve intorno a Discus sono accessibili come non lo sono state mai intorno al Vecchio Giove.» I suoi occhi incontrarono quelli di Betha. «Non sembra che le interessi molto se per caso fossimo noi a friggere, eh?»

«Su Mattino abbiamo creato degli schermi efficienti, altrimenti saremmo già fritti da un bel po’ di tempo.» Betha lo ignorò, come ormai faceva sempre, per dedicare la sua attenzione a Bird Alyn, che era sospesa vicino al soffitto proprio sopra di lei. «Bird Alyn, trovami la locale frequenza di trasmissione.» La sua voce era calma.

Bird Alyn annuì, si spinse contro il soffitto e piombò verso il quadro comandi, dove inserì la cuffia nella presa.

«Dov’è Shadow Jack?» domandò Welkin.

Bird Alyn fissò il quadro comandi, mormorando qualcosa di incomprensibile.

«Cosa?»

«…non lo so… detto… no si sentiva di affrontare…» Si strinse nelle spalle. La sala si riempì di elettricità statica quando lei accese la ricevente. Le scariche elettriche si trasformarono improvvisamente in parole, e le parole divennero più chiare quando Bird Alyn regolò la qualità della ricezione. «Qui…»

«Cosa stanno trasmettendo?»

«Stanno parlando con una nave, credo; una cisterna. Ho sentito la parola “idrogeno”…»

«Bene… allora interrompiamoli senza scrupoli.» Il capitano allungò una mano verso il pulsante che li inseriva in trasmissione. «Lei è sicuro che capiranno chi siamo, Abdhiamal?»

«Sicurissimo. Perfino gli Anellani hanno avuto il tempo di spargere la notizia di ciò che è successo a quella nave, ormai. E se la loro propaganda è efficace come al solito, si saranno fatti l’opinione che voi siete dei distruttori. Crederanno alla vostra minaccia.»

«D’accordo.» Betha si umettò le labbra e premette il pulsante. «Nevi-della-Salvezza, Nevi-della-Salvezza, mettetevi in contatto, prego…»

Colui che parlava alzò il tono della voce, irritato; Bird Alyn si scostò la cuffia dall’orecchio.

«Chi è? Toglietevi da questa frequenza! È in arrivo una cisterna a carico misto! Volete…»

La mano del capitano premette il pulsante e interruppe la voce. «Dite loro di tenersi a distanza; abbiamo qualcosa di più importante da comunicare.»

«Chi è?»

«Qui è…» Betha esitò. «… la nave che è stata attaccata dalla vostra marina due megasecondi fa’… la nave che proviene dall’Esterno.» Lasciò il pulsante.

Non giunse risposta.

«Li ha impressionati.» Wadie sorrise senza allegria.

Un’altra voce entrò in trasmissione, una voce a lui stranamente familiare, che ordinò all’invisibile cisterna di immettersi in un’orbita di attesa. Welkin allungò una mano verso il pannello, oltre la spalla di Bird Alyn, e un nuovo segmento dello schermo si animò di una specie di bufera di neve, causata dalle scariche di elettricità statica. «Adesso riceviamo a larga banda.» Batté una sequenza sulla tastiera e all’improvviso lo schermo mostrò una tripla immagine schiacciata. Lui effettuò una correzione e si formò un’immagine singola in bianco e nero. Videro un volto sofferente che li sbirciava da dietro un paio di occhiali con montatura metallica: un uomo di mezza età con una pesante giacca trapuntata e un berretto a maglia fitta. «Adesso anche noi trasmettiamo in modo compatibile» disse Welkin. Il capitano annuì, come se desse per scontata l’abilità dell’altro.

«Cosa volete qui?» La voce familiare si associava a un volto anch’esso familiare, indurito dalla rabbia o dalla paura. Dalla rabbia.… Djem Nakamore era troppo ostinato e dogmatico per riconoscere qualsiasi altro motivo. Wadie si tolse dalla visuale, mentre Nakamore fissava Betha Torgussen.

Anche Betha squadrò Nakamore, dura in volto. «Noi vogliamo mille tonnellate di idrogeno processato; dovrete trasportarlo fino alla nostra nave seguendo la rotta che vi indicherò. Se vi rifiuterete di farlo, io distruggerò la vostra distilleria, e tutti voi morirete.» Sembrava che non facesse la minima fatica a essere così dura; Wadie ne rimase sorpreso.

I due estranei sullo sfondo rivelarono una genuina paura. Nakamore si irrigidì appena, e scivolò fuori centro sullo schermo.

«Non ci distruggerete. Se lo faceste, anche la Demarchia vi inseguirebbe per eliminarvi.»

«Non proveniamo da questo sistema, e voi non rappresentate nulla, per noi. La Demarchia non rappresenta nulla. Io spero che andiate tutti quanti all’inferno per ciò che ci avete fatto; ma Nevi-della-Salvezza ci finirà per primo se non obbedirete ai miei ordini.»

«…dicevano sul serio…» esclamò una voce indistinta sullo sfondo. Nakamore si voltò bruscamente, togliendo l’audio. Parlò agli altri due, che avevano gli occhi ancora puntati sullo schermo, le facce rigide per la tensione, e i cui aliti si ghiacciavano nell’aria gelida ogni volta che dicevano qualcosa. Nakamore tornò a voltarsi verso il pannello, invisibile sotto di lui, e inserì nuovamente l’audio. «Non abbiamo mille tonnellate di idrogeno disponibili. Non ne abbiamo mai così tanto, e poi è appena partita una grossa provvista.»

Wadie scosse la testa. «Non farebbero mai scendere le riserve a livelli così bassi. Ne producono circa tremila tonnellate per megasecondo, e ne tengono da parte almeno quattro volte tante nel caso che la distilleria sospenda la produzione per riparazioni.»

Il capitano si girò a guardarlo, togliendo a sua volta l’audio. «Lei è così addentro ai loro sistemi?»

Wadie annuì. «Gleil’ho detto… sono stato laggiù quasi cinque milioni di secondi. Ero presente mentre mettevano insieme quella distilleria e l’ho vista entrare in funzione. So quanto può rendere. E conosco quell’uomo…» Ricordò il volto di Djem Nakamore, la testa calva arrossata dalla luce di una primitiva stufa a metano; rammentò il viso divertito del fratellastro di Djem, Raul, che si trovava là in visita. Udì il sibilo dell’acqua che, sgocciolando dal soffitto, cadeva sulla superficie oleosa della stufa e si trasformava in vapore, mentre Djem rifletteva sulla mossa successiva, penosamente prevedibile, che gli avrebbe fatto perdere la sua centesima (o forse millesima) partita a scacchi con Wadie Abdhiamal. Cocciuto, didattico e privo di immaginazione… onesto, schietto e attaccato al dovere. Niente a che fare — come gli aveva detto spesso e senza rancore lo stesso Djem — con la mente agile e tortuosa di Wadie… eppure troppo ostinato per non cercare con insistenza la vittoria. Wadie, aggiustandosi le falde copriorecchi del suo cappello pesante, aveva allungato una mano per effettuare la sua mossa: scacco matto… «Conosco quell’uomo. Lo incalzi; non è… abbastanza contorto da capire se lei sta bluffando. E farà qualsiasi cosa pur di salvare quella distilleria.» Si rese conto all’improvviso che avrebbe potuto essere Raul a fronteggiarli, invece del fratellastro, e fu ben lieto che non fosse così, per il bene di tutti loro. Mentre parlava distolse lo sguardo dall’immagine luminosa sullo schermo e dagli occhi di Betha Torgussen.

Il capitano aggrottò appena la fronte, poi tornò a rivolgersi a Nakamore. «Non accetto. Lei ha venticinquemila secondi per procurarci l’idrogeno, altrimenti la distilleria verrà distrutta.»

«È impossibile! Ci vorrebbero almeno centomila secondi.»

«Mente» disse a bassa voce Wadie, scuotendo nuovamente la testa. «Sta cercando di prendere tempo; l’Armonia Centrale tiene un gran numero di unità navali in questa zona di spazio, e lui spera che qualcuna di esse faccia in tempo a capitare qui.»

Annuendo, lei ripeté con voce piatta: «Lei ha venticinque chilosecondi. So che c’è un acceleratore lineare ad alte prestazioni, laggiù. Se ne serva. Non voglio che ci vengano incontro veicoli maneggiati dall’uomo. Si segni le coordinate…» Lesse le cifre con accuratezza.

Appena lei ebbe finito di parlare, Nakamore guardò oltre le spalle di Betha, infuriato e sgomento, ma mostrando in volto ben poco del suo stato d’animo. «Sei lì per suggerirle le risposte, Wadie?»

Wadie rimase immobile… senza dire nulla. Alla fine si fece avanti, rivelandosi in pieno allo schermo di Nakamore. «Già, Djem, sono io.»

«Abbiamo intercettato il dibattito… quando ti hanno messo fuorilegge. Credevo che forse tu…» Il suo volto si contrasse, con la rabbia giustificata di un uomo per il quale la lealtà è tutto, con il dolore di chi è tradito da un amico. «Siamo stati degli sciocchi a non capire che tu e la tua… i tuoi alieni avevate in mente. Perché accontentarvi di mille tonnellate? Perché non prenderlo tutto?»

«Mille tonnellate sono quanto ci serve, Djem. E ci serve maledettamente, altrimenti non saremmo ricorsi a questo.» Senza carburante l’astronave era intrappolata, preda del primo gruppo abbastanza veloce da impadronirsene. E poi la preda sarebbe diventata la Grande Armonia, o la Demarchia, o chiunque altro. E le minacce non sarebbero più state un bluff. Questa almeno era motivata da buone ragioni, era l’unica scelta che lui poteva fare, l’unica scelta sana. Se solo avesse potuto… «Djem, io…» cominciò, ma non gli vennero altre parole.

Nakamore attese, con gli occhi neri che non rivelavano la minima pietà. Infine si chinò in avanti, protendendo la mano verso l’invisibile quadro comandi. «Traditore.» La sua faccia scomparve, e insieme ad essa l’ultima possibilità di asilo per un uomo bandito. Sullo schermo campeggiava il solo Discus.

Il capitano continuò a fissare lo schermo per lungo tempo con la bocca serrata, simile a una fragile statuetta dorata. Welkin rivolse a Wadie un’occhiata quasi di scusa, ma non disse nulla, risparmiandogli così l’imbarazzo di una risposta brillante che non sarebbe venuta.

«…che lo faranno?» Bird Alyn gli tirò l’estremità penzolante della cintura. «E in caso contrario?»

«Lo faranno.» Lui ritrovò la voce, e il contegno. «In cinquanta milioni di secondi, Djem Nakamore non ha mai vinto una partita a scacchi con me.»

«Sei stata perfetta, Betha.» Welkin si girò, con gli occhi pallidi che cercavano il volto del capitano, rivolto verso il basso. «Eric non sarebbe riuscito a essere più convincente.»

«Se Eric fosse vivo, non ci troveremmo in una situazione del genere.»

Wadie annuì, sollevato. «Io stesso per poco non ho creduto sul serio alla verità delle sue parole.»

Betha strofinò un fiammifero. «Cosa le fa credere che le mie parole non fossero vere, Abdhiamal?» Si accese la pipa, e lo guardò in faccia con la stessa durezza con cui aveva affrontato Nevi-della-Salvezza. «Cos’hanno fatto per noi gli Anellani, negli ultimi tempi?»

«È vero.» Lui si inchinò, serio in volto, e si girò a guardare Welkin. «Ho imparato la lezione… non insulterò mai più un ingegnere.» Si diresse verso la porta.


Betha lo osservò scomparire nel pozzo delle scale, scossa dalla sua stessa freddezza, che in pratica confutava in partenza ogni sua parola di scusa.

«Betha… lei vuole… ha davvero intenzione di… distruggere la distilleria?» bisbigliò Bird Alyn con aria infelice.

Betha fissò quel volto spaventato. «No, certo che no, Bird Alyn, non lo farei mai. Io non sono un… un macellaio.»

Bird Alyn fece un cenno affermativo con la testa, poi indietreggiò e si diresse verso la porta.

Clewell si strofinò la barba. «E allora perché comportarsi come tale, Betha? È stato tutto un po’ troppo convincente, per me. O forse c’è qualcosa di vero?»

La vergogna le imporporò la faccia, sciogliendo la sua freddezza. «Tu sai che non è vero, Pappy! Ma quel maledetto Abdhiamal…»

Clewell sollevò leggermente la testa, slacciandosi la cintura. «Non è poi così cattivo… per essere un “dannato damerino”. Ha resistito piuttosto bene a gravità uno… e a tutto quello che ha dovuto sopportare.» (Intendendo dire che lei non gli aveva certo facilitato le cose).

«È un’ipocrita; e può ritenersi fortunato di non essersi azzoppato.» Betha distolse lo sguardo, irritata.

«È un uomo orgoglioso, Betha. Forse lui non si definirebbe così… ma chiunque sia capace di stare dritto e sorridere mentre la gravità lo schiaccia al suolo come un verme ha tutta la mia ammirazione. In un certo senso mi fa venire in mente…»

«Non assomiglia per nulla a Eric.»

Lui sollevò le palpebre. «Non era questo che intendevo dire. Mi fa venire in mente te.» Alzò una mano, tacitando l’indignazione di lei. «Ma adesso che me lo dici, c’è qualcosa in lui… un modo di fare, forse, e anche una rassomiglianza fisica. Magari è per questo che mi piace, malgrado tutto; e per la stessa ragione infastidisce te. Qualcosa del genere.»

«Oh, Pappy…» Lei alzò la mano, accostando gli anelli alla bocca. «È vero. Ogni volta che lo guardo, qualunque cosa lui faccia, mi ricorda… Ma non è Eric. Non è uno di noi, è uno di loro. Come posso sentirmi così? Come posso smettere di avere bisogno…» Protese la mano, e quella salda e resistente di lui le strinse il polso.

Clewell le accarezzò i capelli fluttuanti. «Non so. Non conosco la risposta, Betha.» Sospirò. «Non so perché dicono che la vecchiaia è saggezza. La vecchiaia è semplicemente diventare vecchi.»


Shadow Jack si agitava incessantemente, intrappolato nel cubicolo troppo vuoto della stanza dove dormiva, perseguitato dal fantasma di uno straniero: manuali di economia, una musica con parole senza senso, un maglione lavorato a mano sospeso a mezz’aria… la presenza di un uomo morto sparpagliata per cassetti e credenze nel disordine dei detriti di una vita. Rusty gli si era aggrappato alle spalle, e la sua muta accettazione facilitava la vergogna dell’esilio. Lo accarezzava distrattamente, udendo solo il ticchettio del proprio orologio, mentre divisioni senza significato marcavano il trascorrere degli interminabili secondi. Si domandava se avrebbero ottenuto dagli Anellani ciò che volevano, e come avrebbe affrontato di nuovo Betha Torgussen… e il resto della sua vita.

Il musetto non umano di Rusty si alzò dalla sua spalla, drizzando gli orecchi. «Bird Alyn?» Shadow Jack si lanciò verso la porta, e vide Wadie Abdhiamal scomparire in un’altra stanza. Poi udì la voce di lui, soffocata. «Dannata donna! Sputerebbe nell’occhio di Dio!»

Shadow Jack si mosse lungo la parete e si fermò davanti alla porta di Abdhiamal, guardando all’interno della stanza. «Che succede, le ha sputato in un occhio?»

Abdhiamal si voltò con un’espressione esasperata sul volto; ma gli durò solo per un secondo. Si lisciò la camicia da lavoro con gesto distratto. «Già… qualcosa del genere.»

«Cos’è successo lassù? Abbiamo avuto l’idrogeno?»

«Probabilmente lo avremo… Come mai non eri in sala comandi?»

Lui fece una smorfia. «Non ce l’ho fatta. Io… io ho chiamato pervertito il capitano.»

«Cosa hai fatto?» Abdhiamal aggrottò la fronte, incredulo.

Shadow Jack si diresse verso la soglia per andarsene, ma la disperazione lo fece tornare indietro. «Posso… posso parlarle da uomo a uomo?»

Abdhiamal gli fece cenno di entrare nella stanza, serio in volto. «Probabilmente. Di cosa?»

Shadow Jack si schiarì la gola; Rusty gli balzò dalla spalla, decollò come una nave in partenza e annaspò in direzione di Abdhiamal. «Come mai non si è sposato?»

Sbalordito, Abdhiamal scoppiò a ridere. «Non lo so.» Guardò il gatto e allungò la mano per tirarlo giù; se lo portò al petto e aggiunse: «Forse perché non ho mai incontrato una donna che sputerebbe nell’occhio di Dio.»

Shadow Jack spalancò gli occhi e, fissando Abdhiamal, si domandò chi dei due fosse più sorpreso.

Abdhiamal rise di nuovo, alzando le spalle. «Ma chissà perché, ne dubito.»

«Voglio dire… lei ha affermato che ormai non si sarebbe più sposato. Pensavo che ci fosse… qualche altra ragione.» Si appoggiò con la mano allo stipite della porta.

«C’era.»

S’interruppe, poi riprese: «Ho viaggiato molto. Ciò significa che sono stato esposto ad alti livelli di radiazione e a un potenziale danno genetico. Noi siamo in grado di conservare lo sperma, in modo che gli uomini possano almeno viaggiare e mettere al mondo figli sani. Ma con il decreto di confisca, sono ormai legalmente morto. Distruggeranno il mio conto.» Abdhiamal respirò a fondo. «E sono stato sterilizzato.»

Shadow Jack si voltò verso di lui, lasciando via libera alle parole. «Magari fossi sterile io!» Scosse la testa. «Non intendevo dire che… non volevo dire questo. Ma non potremo mai sposarci, Bird Alyn e io, perché io non sono sterile e lei nemmeno. Noi siamo tarati. Non potremo mai permetterci di avere bambini, ma…»

Abdhiamal grattò Rusty sotto il mento. «È un’operazione semplice. Non sono in grado di effettuarla, su Lansing?»

«Sono in grado… ma non vogliono.» La disperazione sembrava opprimerlo come un fardello. «Se uno è un Materialista, si presume che debba prendersi la responsabilità delle sue azioni, e sopportarne le conseguenze, senza aspettarsi che qualcun altro lo faccia per lui. Come mia madre, quando nacque mia sorella e dissero che era troppo malformata… mia madre dovette portarla fuori… E non permise mai più a mio padre di toccarla.» Si guardò le mani. «Ma la tecnologia medica è cattiva in ogni caso. A volte penso che non vogliano semplicemente sprecare quello che è rimasto.»

La voce di Abdhiamal era gentilmente professionale. «Come mai ti hanno giudicato difettoso? A me sembri sano.»

Le mani di Shadow Jack si strinsero sul metallo. «Forse allora non lo ero, ma mia sorella sì. E loro avevano bisogno di altri lavoratori all’esterno, così mi dissero che dovevo lavorare in superficie. Ciò succede quando la tua imperfezione è superficiale, come nel caso di Bird Alyn. È là che l’ho incontrata…» Là dove lui aveva scoperto cosa doveva essere stata una volta la vita, dove aveva vissuto nella bellezza dei giardini e non nello squallore della pietra. E dove aveva imparato che la sua vita non finiva lì solo perché aveva lasciato la protezione delle pareti rocciose; e insieme a essa non finiva il sentimento, o la fede, o la speranza. Ma aveva trascorso troppi megasecondi a rabberciare lo schermo malandato del pianeta, troppi megasecondi all’interno di una nave contaminata… E non c’erano miracoli che potessero guarire una mano deforme o risanare un cuore infranto.

Diede un colpo allo stipite. «Tutto va male! Io non volevo chiamare Betha… come l’ho chiamata. Ma ha così tanti mariti! E ha anche dei bambini! Mentre invece Bird Alyn e io non possiamo neppure avere noi stessi… la cosa mi ha fatto uscire di senno. Betha ha perso molto e io… e io gliel’ho ricordato. Lei ci ha aiutato dopo che abbiamo tentato di impadronirci della sua nave, come hanno fatto tutti gli altri…»

«Davvero? E ve l’ha fatta passare liscia?»

Lui annuì, sentendosi ridicolo. «Tutto ciò che avevamo con noi era un apriscatole… credo che ci abbia preso per degli idioti.»

«E… hai detto che ha dei bambini?» Abdhiamal abbassò lo sguardo sulla larga striscia di cuoio che portava al polso.

«Già. Per loro andare nello spazio… è come fare qualsiasi altra cosa. Non è la fine di tutto.» Si morse la lingua, ricordandosi che così non era stato per l’equipaggio del Ranger.

«Se vi ha perdonato per aver tentato di rubare la sua nave, immagino che ti perdonerà per averla chiamata pervertita. Più presto di quanto perdonerà me per le mie osservazioni a proposito degli ingegneri.»

Shadow Jack aggrottò la fronte, senza capire.

Il sorriso di Abdhiamal si spense. «Pare che tu e io abbiamo più di un problema in comune. Così come ogni gruppo della Cintura di Paradiso deve dividere i problemi di tutti gli altri. E non sono più tanto sicuro che esista una risposta facile per ognuno di noi.»

Shadow Jack distolse lo sguardo e vide Bird Alyn che lo guardava dal fondo del corridoio. I loro occhi s’incontrarono, mentre lo sconforto lo trascinava a fondo come il peso della gravità. «Non c’è nessuna risposta. Avrei dovuto saperlo. Mi dispiace di averle fatto perdere tempo, Abdhiamal.»


Wadie richiuse la porta, continuando a coccolare il gatto contro il suo corpo con aria assente. Con gli occhi della mente vide il futuro di Lansing, dolore e morte tra i giardini… e vide in Lansing il futuro di tutta Paradiso… Il futuro? Il silenzio gli comprimeva gli orecchi, assordandolo. La fine. La Demarchia non era che una delle tante chiazze di neve in via di scioglimento. Non c’era risposta. Lui non poteva fare nulla — non aveva mai fatto nulla — per fermare la Morte. Si era voluto convincere che il suo lavoro avesse un minimo di dignità e di importanza, che nelle sue trattative esistesse qualcosa di creativo, una forza cieca in grado di contrapporsi alla disintegrazione e al decadimento. Ma si era sbagliato. Era sempre stato troppo tardi. Lui era soltanto un dannato bellimbusto che aveva vissuto a spese di tutti gli altri… e che aveva sprecato la sua vita nell’autoillusione che in qualche modo li stesse salvando tutti. Aveva sprecato la sua vita: aveva gettato al vento la sua ultima possibilità di avere una moglie, una casa, una famiglia, qualsiasi vero rapporto. E tutto ciò che aveva sempre fatto, o creduto, tutto ciò che era sempre stato non aveva nessun significato. Tutto per niente, nel passato e anche nel futuro. Niente.

Rusty si dimenò nel suo abbraccio come un bambino impaziente. Nel lasciarlo il suo braccio strusciò sulla griglia del ventilatore, e la sua mano si richiuse su un oggetto quadrato, piatto, grosso come il palmo di una mano, bloccato contro la griglia stessa dalla leggera corrente d’aria che usciva. Lo afferrò e lo guardò. Una fotografia — un ologramma — di un uomo e una donna, ognuno con un bambino in braccio, avvolti da una luce abbagliante di fronte a un’abitazione brutta e mezza affondata. La donna era Betha Torgussen, i lunghi capelli raccolti in trecce sulla testa. L’uomo, alto, occhi neri, un viso magro, bruciato dal sole… Eric? All’improvviso ricordò la voce di lei dietro una visiera schermata, sopra una vettura del vagoncino di Mecca. Mi… mi sembrava che lei fosse qualcuno che conoscevo. Wadie sfiorò le immagini col dito, attraversandole. Spettri…

Da un altoparlante sulla parete gli giunse la voce di Betha Torgussen: avvisava l’equipaggio che Nakamore aveva accettato le condizioni.

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