CAPITOLO QUINTO

Quando lasciamo la Grande Via, otteniamo la benevolenza e la rettitudine.

Lao Tse: XVIII

Sorridendo, William Haber salì a passo spedito i gradini dell’Istituto Onirologico dell’Oregon, oltrepassò ancora l’alta porta di vetro polarizzato e venne finalmente accolto dalla secca frescura dell’aria condizionata. Era soltanto il 24 marzo, e le strade parevano già un bagno turco; ma all’interno ogni cosa era fresca, pulita, serena. Pavimenti di marmo, arredamento elegante ma discreto; all’Accettazione una lucida scrivania di acciaio cromato e un’impiegata dalle unghie ben laccate. — Buon giorno, dottor Haber!

Nel corridoio incontrò Atwood, il quale proveniva dal reparto ricerche e aveva gli occhi arrossati, gli abiti in disordine per avere trascorso la notte a sorvegliare i tracciati EEG dei pazienti; i computer, ormai, svolgevano la maggior parte del lavoro, ma qualche volta occorreva ancora una mente non programmata. — ’Giorno, Capo — borbottò Atwood.

E Miss Crouch, nel suo ufficio: - Buon giorno, dottore! — Si rallegrò di avere portato con sé Penny Crouch quando era passato alla direzione dell’Istituto, l’anno prima. Era fedele e intelligente, e chi comanda un vasto, complesso istituto di ricerche ha bisogno di avere tra sé e gli altri una donna fedele e intelligente.

Entrò nell’ufficio interno.

Posò sul divano cartella e dossier, e si stirò le braccia; poi si avvicinò alla finestra, come faceva sempre al suo arrivo. Era un’ampia finestra d’angolo, che spaziava a est e a nord su una vasta parte del panorama: vicino, sotto le pendici delle montagne, la curva del Willamette e i suoi numerosi ponti; sulle due rive del fiume, le innumerevoli torri della città, alte e lattiginose nella foschia primaverile; la periferia che si stendeva fino al limite del campo visivo, finché le sue ultime propaggini lasciavano il posto alle alture; e le montagne. Il Monte Hood, immenso, eppure ritirato, dalla vetta cinta di nubi; a settentrione il lontano Monte Adam, simile a un dente molare; e poi il puro cono del St. Helens, dalla cui china lunga e grigia, più a nord, come un bambino che fa capolino dalla gonna della madre, spuntava una piccola vetta spoglia: Monte Rainier.

Era una vista tonificante. E non mancava mai di tonificare il dottor Haber. Inoltre, dopo una settimana di pioggia costante, la pressione barometrica stava risalendo ed era riapparso il sole, al di sopra della foschia del fiume. Ben cosciente, dopo migliaia di letture EEG, dei rapporti tra pressione atmosferica e pesantezza mentale, Haber poteva quasi sentire la propria somatopsiche innalzarsi sulle ali di quel vento asciutto e luminoso. Bisogna che continui a innalzarsi, bisogna che il tempo migliori ancora, pensò, quasi clandestinamente. In quel momento, varie catene di pensieri si svolgevano o si formavano contemporaneamente nel suo cervello, ma il suo appunto mentale non faceva parte di nessuna di esse. Si era formulato improvvisamente, e si era subito archiviato nella sua memoria, mentre accendeva il dittafono e cominciava a dettare una delle molte lettere che erano l’inevitabile corollario della posizione di direttore di un istituto di ricerche finanziato dallo Stato. Era lavoro da passacarte, naturalmente, ma occorreva farlo, e occorreva che lo facesse lui. Non se ne lamentava, anche se le formalità burocratiche finivano col ridurre drasticamente il tempo che poteva dedicare alle ricerche. Ormai, in generale, poteva passare nel laboratorio soltanto cinque o sei ore alla settimana, e aveva in cura soltanto un paziente, anche se, ovviamente, aveva la supervisione della terapia di numerosi altri.

Un paziente, comunque, lo aveva. In fin dei conti era pur sempre uno psichiatra. Il motivo fondamentale che lo aveva portato alle ricerche sul sonno e all’onirologia era il desiderio di trovare applicazioni terapeutiche. La conoscenza in assoluto, la scienza di per se stessa, non gli interessavano: a che serve imparare qualcosa, se la cosa imparata non serve a qualcosa? L’utilità era la sua pietra di paragone. E aveva l’abitudine di tenere sempre un paziente in terapia, per ricordarsi questo impegno fondamentale, per tenersi in contatto con la realtà umana della propria ricerca: una realtà umana che consiste della personalità disturbata di singole persone. Le persone, infatti, sono l’unica cosa che conti. Una persona è definita soltanto dall’estensione della sua influenza su altre persone, dalla sfera delle sue relazioni interpersonali; la parola «moralità» è un termine assolutamente privo di senso, se non lo si definisce come il bene che una persona fa alle altre, l’adempimento della propria funzione nella totalità sociopolitica.

Il suo attuale paziente, Orr, doveva venire alle quattro del pomeriggio: avevano rinunciato alle sedute notturne; inoltre, come gli ricordò Miss Crouch all’ora di colazione, alla odierna seduta avrebbe presenziato anche un osservatore della Sanità, per assicurarsi che non ci fosse nulla di illegale, di immorale, di insicuro, di ingiusto, di ineccetera, nel funzionamento dell’Aumentore. Maledetti curiosoni governativi.

Erano i guai del successo, con il suo appannaggio di fama, curiosità del pubblico, gelosie professionali, rivalità dei colleghi. Se egli fosse stato ancora oggi un ricercatore privato, occupato soltanto nel laboratorio del sonno dell’Università e in un ufficetto alla buona della East Tower Willamette, nessuno avrebbe messo l’occhio sul suo Aumentore prima della sua decisione che fosse pronto per la produzione, ed egli avrebbe avuto piena libertà di mettere a punto nel modo più soddisfacente l’apparecchio e le sue applicazioni. Invece, ora, siccome egli stava svolgendo la parte più privata e delicata della sua attività — la psicoterapia di un paziente disturbato — il governo si sentiva in dovere di inviargli un avvocato impiccione, che probabilmente non avrebbe capito neppure la metà di ciò che vedeva e ne avrebbe capito in modo sbagliato l’altra metà.

L’avvocato arrivò alle 15 e 45, e Haber uscì a grandi passi dall’ufficio per accoglierlo — accoglierla, anzi, perché risultò essere una donna — e dare subito fin dall’inizio un’impressione calda e amichevole. In questo tipo di controlli era meglio mostrare di non avere paura, cooperare e trattarli in modo cordiale. Un mucchio di medici lasciano trasparire un certo risentimento, quando hanno in ufficio un ispettore della Sanità; questi medici ricevono poche assegnazioni di fondi dal governo.

Non era molto facile mostrare calore e cordialità con questa avvocatessa. Era una donna che scattava e schioccava, Una massiccia chiusura a scatto, di rame, sulla borsa; pesanti gioielli di rame e ottone che sbattevano; zatteroni ortopedici ai piedi; un grosso anello d’argento con un disegno di maschera africana, inverosimilmente brutto; sopracciglia aggrottate, voce secca: schiocchi, scatti, strappi… Dieci secondi dopo, Haber cominciò a sospettare che tutta la faccenda fosse effettivamente una maschera, come denunciava l’anello: un mucchio di chiasso e di ferocia per nascondere la timidezza. La cosa, tuttavia, non era assolutamente affar suo. Non avrebbe mai conosciuto la donna dietro la maschera, né essa aveva importanza: l’importante era riuscire a fare la giusta impressione su Miss Lelache l’avvocatessa.

Il contatto iniziale, pur non svolgendosi cordialmente, andò abbastanza bene; la donna era competente, aveva già svolto in passato lo stesso tipo di indagini, e si era preparata per questo lavoro. Sapeva cosa chiedere e come ascoltare.

— Questo paziente, George Orr — disse lei, — non è un intossicato, vero? La diagnosi, dopo tre settimane di terapia, è che sia psicotico oppure che sia soltanto disturbato?

— Disturbato, secondo la definizione dell’Ufficio Sanitario. Profondamente disturbato, e con orientamento verso una realtà artificiale; ma sta migliorando, grazie alla terapia attualmente seguita.

La donna aveva un registratore tascabile, e stava mettendo tutto su nastro; ogni cinque secondi, come prescritto dalla legge, l’apparecchio faceva tip.

— Potrebbe descrivere la terapia da lei impiegata, tip, e spiegare l’importanza del suo nuovo strumento? Non stia a spiegarmi come tip funziona, perché la cosa compare già nel rapporto; mi dica soltanto cosa fa. Tip per esempio, in che modo il suo uso è diverso da quello dell’Elektroson o della cuffia?

— Be’, questi strumenti, come lei sa, generano vari tipi di impulsi a bassa frequenza che stimolano cellule nervose della corteccia cerebrale. Questi segnali hanno la caratteristica di essere, come diciamo noi, generalizzati: ottengono il loro effetto sul cervello in un modo fondamentalmente simile a quello di una luce stroboscopica di una data frequenza, o di uno stimolo uditivo, come un suono ritmico di tamburo. L’Aumentore, invece, trasmette un segnale specifico, che può essere raccolto da un’area specifica. Ad esempio, come lei sa, si può addestrare un soggetto a produrre a volontà ritmi alfa; ma l’Aumentore può indurli senza addestramento, anche quando il paziente è in una condizione che non contribuirebbe normalmente a fargli produrre ritmi alfa. L’Aumentore, per mezzo di elettrodi opportunamente sistemati, trasmette un ritmo alfa a nove cicli, ed entro pochi secondi il cervello accoglierà quel ritmo e comincerà a produrre onde alfa con la regolarità di un buddista Zen in trance. In modo simile, e molto più utile, si può indurre nel paziente ogni altro stadio del sonno, con i suoi cicli tipici e le sue attività locali.

— C’è la possibilità che stimoli i centri del piacere, o quelli della parola?

Oh, il luccichio moralistico negli occhi dei legali della Sanità, ogni volta che saltava fuori la storia dei centri del piacere! Haber nascose l’ironia e l’irritazione e rispose in tono amichevole e sincero: — No. Non è come l’SEC, vede. Non è come la stimolazione elettrica o chimica di particolari centri cerebrali: non richiede nessuna introduzione di mezzi meccanici in particolari aree del cervello. L’Aumentore si limita a indurre tutta l’attività cerebrale a cambiare, a spostarsi su un altro dei suoi stati naturali. È un po’ come quando ascoltiamo un motivo musicale e cominciamo a battere i piedi seguendo la musica. In questo modo, il cervello entra nella condizione desiderata a scopi di studio o di terapia, e si mantiene in essa. E io ho appunto chiamato Aumentare il mio apparecchio per indicare la sua funzione non creativa. Nulla viene imposto dall’esterno. Il sonno indotto con l’Aumentore è esattamente, letteralmente, il tipo di sonno caratteristico del singolo cervello al quale lo applichiamo. La differenza tra esso e le macchine che inducono elettricamente il sonno, come la cuffia, è come la differenza tra un vestito di sartoria e uno comprato ai grandi magazzini. La differenza tra di esso e l’impianto di elettrodi è… oh, al diavolo! … come la differenza tra il bisturi del chirurgo e il martello del fabbro!

— E come ha preparato gli stimoli da lei usati? Lei tip registra un ritmo alfa, per esempio, da un soggetto per usarlo su un altro soggetto tip?

Haber avrebbe preferito lasciar stare questo punto. Non aveva intenzione di mentire, naturalmente, ma era meglio non parlare di ricerche incomplete, aspettare che fossero terminate e provate sperimentalmente; rischiavano di non fare la giusta impressione su una persona non specializzata. Comunque, si lanciò in una risposta, felice di ascoltare la propria voce invece dei suoi tip, dei suoi schiocchi e dei suoi scatti; strano come notasse quel piccolo, fastidioso suono soltanto quando parlava la donna. — Dapprima usai un gruppo generale di stimoli, ottenuti facendo la media delle registrazioni di molti soggetti. La paziente depressa citata nel rapporto è stata sottoposta, con successo, a questo tipo di terapia. Ma mi accorsi che gli effetti erano più casuali e variabili del voluto. Cominciai a sperimentare. Su animali, naturalmente. Gatti. Noi ricercatori sul sonno amiamo molto i gatti: dormono moltissimo! Be’, lavorando su animali trovai che la più promettente linea di ricerca era quella di usare ritmi registrati precedentemente dal cervello del soggetto stesso. Una specie di autostimolazione a mezzo registrazione. Quello che io cerco, vede, è la specificità. Un cervello risponderà immediatamente ai propri ritmi alfa, e vi risponderà spontaneamente. Ora, certo, si possono scorgere prospettive terapeutiche anche lungo l’altra linea di ricerca. Potrebbe essere possibile imporre gradualmente sullo schema del paziente un altro schema di onde, più salutari e più complete. Uno schema registrato dal soggetto stesso, possibilmente, o da altri soggetti. Potrebbe risultare molto utile in casi di danni, lesioni, traumi cerebrali; potrebbe aiutare un cervello leso a ristabilire su nuovi canali le proprie vecchie abitudini: normalmente il cervello, per potervi riuscire da solo, deve compiere uno sforzo lungo e intenso. Potrebbe essere usato per «insegnare» nuove abitudini a un cervello che non funziona in modo normale, e così via. Comunque, si tratta soltanto di ipotesi, per il momento, e quando, e se, ritornerò a questo tipo di ricerche, naturalmente, rinnoverò la richiesta di autorizzazione al Controllo Sanitario. — Era la verità. Non c’era bisogno di raccontare che stava facendo delle ricerche di quel tipo, perché finora non avevano portato a nessuna conclusione; avrebbe soltanto rischiato dei malintesi. — Quanto alla forma di autostimolazione mediante registrazioni che uso nella presente terapia, si può affermare che il suo effetto sul paziente è limitato a quello esercitato durante il periodo di funzionamento della macchina: da cinque a dieci minuti. — Haber conosceva la professione degli avvocati del Controllo Sanitario meglio di quanto essi non conoscessero la sua; vide che la donna, a quest’ultima frase, faceva un leggero cenno d’assenso: la precisazione aveva prevenuto una sua domanda.

La donna tuttavia chiese: — E che cosa fa, precisamente, la sua macchina?

— Sì — rispose Haber. — Ci stavo proprio arrivando. — E subito ritoccò il proprio tono di voce, perché gli era parso di tradire una certa irritazione. — In questo caso, abbiamo un soggetto che ha paura di sognare: un onirofobo. Il mio trattamento consiste fondamentalmente in un semplice trattamento di condizionamento, il tipo classico di condizionamento della moderna psicologia. Il paziente viene indotto a sognare, qui, in condizioni controllate; il contenuto e gli affetti emotivi del sogno sono manipolati per mezzo di suggestione ipnotica. Si insegna al soggetto che egli può sognare in tutta sicurezza, piacevolmente eccetera: questo condizionamento positivo lo libera dalla sua fobia. L’Aumentore è lo strumento ideale per raggiungere questo scopo. Esso ci assicura che il paziente sognerà davvero, perché prima instaura, e poi rinforza, l’attività di stadio-d tipica del paziente. Potrebbero occorrere a un paziente da un’ora a un’ora e mezzo per attraversare i vari stadi del sonno-s e per raggiungere lo stadio-d da solo: una perdita di tempo assai poco pratica per le sedute terapeutiche diurne; e inoltre, durante il sonno, la forza delle suggestioni ipnotiche riguardanti il contenuto del sogno potrebbe andare perduta. E ciò sarebbe spiacevole; mentre è sotto condizionamento, è essenziale che non faccia dei brutti sogni, non abbia degli incubi. Quindi l’Aumentore ci fornisce sia uno strumento che fa risparmiare del tempo, sia un fattore di sicurezza. La terapia si potrebbe svolgere anche senza di esso, certo, ma probabilmente richiederebbe dei mesi; con esso, prevedo di impiegare poche settimane. Col tempo potrà dimostrarsi un risparmio di tempo, nei casi appropriati, altrettanto grande quanto l’ipnosi stessa ha dimostrato di essere in psicoanalisi e nella terapia mediante condizionamento.

Tip, disse il registratore dell’avvocatessa, e Bong disse con voce dolce, ricca e autorevole il comunicatore sul tavolo. Grazie a Dio. — Arriva il nostro paziente. Suggerirei, Miss Lelache, di fare le presentazioni, e poi di scambiare qualche parola col paziente, se lei lo desidera; a questo punto lei potrebbe ritirarsi in sordina e andarsi a sedere in quella poltrona scamosciata lì nell’angolo, è d’accordo? La sua presenza non dovrebbe fare nessuna differenza per il paziente, ma tutta la seduta potrebbe subire uno spiacevole rallentamento se egli venisse distratto continuamente. Si tratta di una persona in uno stato d’ansia piuttosto grave, vede, con una tendenza a ritenere che ogni avvenimento lo stia minacciando direttamente, e con una costellazione di deliri protettivi che si sono accumulati nel tempo… se ne accorgerà. Ah, sì, e spenga il registratore: una seduta terapeutica non è fatta per essere registrata. Vero? Bene, ottimamente. Sì, salve, George, entri! Le presento Miss Lelache, la nostra ospite del Controllo Sanitario. È qui per osservare l’Aumentore durante il suo funzionamento. — I due si strinsero la mano in maniera molto ridicola e impacciata. Crac, clang! facevano i braccialetti dell’avvocatessa. Il contrasto divertì Haber: la donna severa e orgogliosa, l’uomo mite e privo di carattere. Quei due non avevano assolutamente nulla in comune.

— Ora — disse, divertendosi a condurre lui lo spettacolo, — proporrei di passare a svolgere il nostro compito, a meno che lei non abbia qualcosa di particolare nella mente, George, e desideri parlarne. — Con i suoi movimenti apparentemente casuali, li stava spedendo ai loro posti: la Lelache nella poltrona nell’angolo, lontano, e Orr sul divano. — Benissimo, allora, d’accordo. Mettiamo in scena un sogno. Che, tra le altre cose, costituirà per il Controllo Sanitario una prova di come l’Aumentore non le farà perdere le unghie, non le indurirà le arterie, non le farà scoppiare il cervello, e che, anzi, non avrà nessun effetto secondario, salvo quello, forse, di portare una piccola diminuzione compensativa nel suo sonno-d di questa notte. — Mentre terminava la frase, tese la mano destra e la posò sulla gola di Orr, quasi come senza dare importanza alla cosa.

Orr si ritrasse dal contatto come se non fosse mai stato ipnotizzato.

Poi si scusò: — Mi spiace. Mi si è avvicinato così d’improvviso…

Fu necessario reipnotizzarlo a partire da zero, per mezzo del metodo vago-carotideo, che, pur essendo perfettamente legale, è chiaro, era un metodo radicale che Haber avrebbe preferito non far vedere a un osservatore del Controllo Sanitario; Haber era infuriato nei riguardi di Orr, in cui aveva avvertito, nelle ultime cinque o sei sedute, una resistenza sempre maggiore. Dopo avere messo l’uomo nella condizione voluta, infilò nel magnetofono una cassetta che aveva preparato lui stesso, contenente tutte le noiosissime ripetizioni sul fatto che la trance si approfondiva, nonché le suggestioni postipnotiche relative alle prossime ipnotizzazioni. — Adesso lei è comodo e rilassato. La sua trance si approfondisce — eccetera eccetera. Mentre la cassetta continuava a snodarsi regolarmente, Haber si recò alla scrivania e prese a leggere la corrispondenza con volto calmo, ignorando la Lelache. La donna non disse nulla: sapeva che non bisogna interrompere la routine dell’ipnosi; era alla finestra e osservava lo spettacolo: il panorama dei torrioni della città.

Alla fine Haber fermò il nastro e pose la cuffia sulla testa di Orr. — Ora, mentre metto a posto i collegamenti, parliamo del tipo di sogno che lei farà, George. Ha voglia che gliene parli, vero?

Lento cenno d’assenso del paziente.

— L’ultima volta che lei è venuto qui, abbiamo parlato di alcune cose che la preoccupavano. Lei diceva che il suo lavoro le piace, ma che detesta prendere il metrò per recarsi in ufficio. Lei si sente schiacciato dalla folla, ha detto… spremuto, compresso. Le pare di non potere muovere le braccia, come se fosse legato.

Fece una pausa, e il paziente, che era sempre taciturno durante l’ipnosi, alla fine si limitò a rispondere con un: — Sovrappopolazione.

— Mmm, è la parola che ha usato anche la scorsa volta. Questo è il suo termine, la sua metafora, per il senso di prigionia. Bene, allora, esaminiamo la parola. Lei sa che fin dal diciottesimo secolo, Malthus ha gettato l’allarme sul fenomeno dell’aumento della popolazione. E c’è stato un altro periodo di allarme trenta, quarant’anni fa. E in verità la popolazione è salita; ma tutti gli orrori predicati da questi profeti, semplicemente, non ci sono stati. In fondo poi la cosa non è così cattiva come la ipotizzavano. Noi, qui in America, ce la passiamo bene, e anche se in alcuni campi i nostri standard di vita si sono dovuti abbassare, in altri campi sono superiori a quelli della scorsa generazione. Ora, forse un eccessivo timore della sovrappopolazione… del sovraffollamento… non riflette una realtà esterna, ma uno stato interno della sua mente. Lei si sente schiacciato dalla folla quando invece non lo è: che cosa potrebbe significare? Forse potrebbe significare che lei teme il contatto umano, ha paura di stare troppo vicino ad altre persone, di venire toccato. E così lei trova una scusa per tenere la realtà a una certa distanza. — L’EEG cominciava già a venire registrato, e Haber, mentre parlava, terminò i collegamenti dell’Aumentore. — Ora, George, parleremo ancora per un poco, e poi, quando io dirò la parola «Anversa», lei comincerà a dormire; quando si sveglierà, si sentirà riposato e riprenderà immediatamente tutte le sue facoltà. Non ricorderà ciò che io le dico ora, ma ricorderà il sogno. Sarà un sogno vivido e piacevole; un sogno efficace. Lei sognerà questa cosa che tanto la preoccupa, la sovrappopolazione; farà un sogno in cui scoprirà che non è affatto questa, la cosa preoccupante. La gente non può vivere isolata, dopotutto; anzi, venire messi in isolamento è la forma peggiore di punizione! Noi abbiamo bisogno di avere persone vicino a noi. Per aiutarci, per aiutarle, per competere con esse, per acuire le nostre facoltà cimentandole con le loro. — Eccetera eccetera. La presenza dell’avvocato limitava severamente la sua prosa; doveva mettere tutto sotto forma di espressioni astratte, invece di ordinare direttamente a Orr cosa sognare. Naturalmente, non si trattava di falsare il suo metodo per ingannare l’osservatore del Controllo Sanitario; il suo metodo era ancora suscettibile di variazioni, tutto qui. Lo aveva cambiato da una seduta all’altra, cercando il modo più sicuro per suggerire esattamente il sogno da lui desiderato, e ogni volta si era scontrato con una resistenza che a volte gli pareva legata al pensiero per processo primario (che in fatto di interpretazioni alla lettera era più realista del re), ma a volte gli pareva legata anche a una ben definita opposizione della mente di Orr. Qualunque ne fosse la causa, i sogni non si svolgevano quasi mai nel modo voluto da Haber; e questo tipo di suggerimenti astratti, vaghi, poteva andare bene come un altro. Forse avrebbe destato una minore resistenza inconscia in Orr. Fece un gesto all’avvocatessa perché si avvicinasse allo schermo EEG (la donna stava già occhieggiando da tempo in quella direzione, dal suo angolo), e continuò: — Lei adesso farà un sogno in cui si sentirà liberato dalla folla, non più schiacciato. Sognerà tutto lo spazio libero che c’è nel mondo, tutta la libertà di movimento da lei posseduta. — E alla fine disse: — «Anversa!» — e indicò i tracciati EEG in modo che la Lelache potesse vedere il loro cambiamento quasi istantaneo. — Osservi come il rallentamento si estende su tutto il grafico — mormorò. — Là c’è un potenziale a punta, vede, e là un altro… Fusi del sonno. Sta già entrando nel secondo stadio del sonno ortodosso, sonno-s o come si chiamava negli articoli da lei letti, il tipo di sonno senza sogni vividi, che ogni notte intervalla gli stadi-d. Ma adesso non intendo lasciarlo entrare nel quarto stadio, quello del sonno profondo, perché deve sognare. Adesso accendo l’Aumentore. Tenga gli occhi sui grafici. Vede?

— Mi sembra che stia per svegliarsi — fece lei, con tono dubbioso.

— Giusto! Ma non si tratta di veglia. Lo osservi.

Orr giaceva supino, con la testa leggermente reclinata all’indietro, in modo che la barba corta e bionda puntava verso l’alto. Era profondamente addormentato, ma le sue labbra erano tese; trasse un lungo sospiro.

— Vede come si muovono gli occhi, dietro le palpebre? È proprio così che si sono accorti di tutta la faccenda del sonno onirico, negli anni ’30; l’hanno chiamato sonno REM, sonno con rapid-eye-movement, cioè con movimenti oculari rapidi, per anni. Però, ha anche un’infinità di altre caratteristiche. È davvero una terza condizione di vita. L’intero sistema autonomo del paziente è mobilizzato, come durante un periodo di eccitazione della veglia; ma il suo tono muscolare è nullo, i grossi fasci muscolari sono rilasciati: più ancora che nel sonno-s. Le aree corticali, sottocorticali, ippocampali e mesencefaliche sono attive come nella veglia, mentre nel sonno-s sono inattive. Respirazione e pressione sanguigna sono a livelli di veglia, o anche superiori. Ecco, misuri il polso. — Le guidò la mano verso il polso di Orr. — Ottanta, ottantacinque. Ne fa uno davvero intenso, qualunque sia l’argomento…

— Intende dire che sta sognando? — La donna pareva presa da un timore reverenziale.

— Esattamente.

— Queste reazioni… sono normali?

— Perfettamente normali. Ciascuno di noi ci passa ogni notte, quattro o cinque volte, per la durata di almeno dieci minuti la volta. L’EEG sullo schermo è un normalissimo tracciato dello stadio-d. L’unica anomalia o peculiarità che si può rilevare in esso è un occasionale picco di potenziale che interessa tutti i tracciati, una specie di «reclutamento cerebrale» che non avevo mai osservato negli EEG dello stadio-d. La forma ricorda un effetto osservato negli elettroencefalogrammi di persone profondamente assorte in lavori di un tipo assai speciale: lavori artistici o creativi, come dipingere, scrivere versi, a volte anche la lettura di Shakespeare. Non ho ancora potuto determinare cosa faccia il cervello del paziente in questi momenti. Ma l’Aumentore mi offre la possibilità di esaminarli sistematicamente, e forse col tempo riuscirò ad analizzarli.

— E non è possibile che questo effetto sia causato dalla macchina stessa?

— No. — In effetti aveva cercato di stimolare il cervello di Orr con la registrazione di uno di questi tracciati, ma il sogno indotto dall’esperimento era risultato molto incoerente: una mescolanza di elementi tratti da sogni precedenti (quelli, appunto, in cui l’Aumentore aveva registrato il tracciato a picchi di potenziale) e dal sogno presente. Ma era bene non parlare all’avvocato di esperimenti falliti. — Ora che il paziente è pienamente entrato nel sogno, anzi, spegnerò l’Aumentore. Osservi con attenzione, e veda se riesce a individuare l’istante dello spegnimento. — La donna non riuscì a individuarlo. — Comunque, forse potremo ancora vedere un esempio di «reclutamento» ; tenga d’occhio i tracciati. Ogni volta comincia dal ritmo theta, qui, dall’ippocampo. E sono convinto che si verifichi anche in altri cervelli. Niente di nuovo sotto il sole. E se potrò scoprire in quali cervelli, in quale stadio, forse potrò determinare con maggiore esattezza la natura del disturbo del nostro paziente; forse appartiene a un ben determinato tipo psicologico o neurofisiologico. Vede quali possibilità di ricerca ci offre l’Aumentore? Non esercita effetti secondari sul paziente: il suo unico effetto è quello di mettere il suo cervello in uno qualsiasi degli stadi che gli sono normali: appunto lo stadio che il medico intende osservare. Guardi lì! — La donna non si accorse del picco, naturalmente; la lettura di un EEG mobile sullo schermo richiede esperienza. — Un picco molto elevato. Adesso è di nuovo nel sogno… E tra un istante ce lo racconterà. — Non poteva più parlare. Si sentiva la gola secca. L’aveva avvertito in pieno: il salto, l’arrivo, il cambiamento.

E anche la donna l’aveva avvertito. Aveva uno sguardo impaurito. Stringendo la massiccia collana di ottone, quasi sulla gola, come se si trattasse di un talismano, fissava con sgomento, stupore, terrore, lo spettacolo fuori dalla finestra.

Haber non l’aveva previsto. Aveva creduto che sarebbe stato il solo ad accorgersi del cambiamento.

Ma la donna aveva ascoltato ciò che egli aveva ordinato a Orr di sognare; era stata vicino al sognatore; si era trovata proprio al centro, come lui. E, come lui, si era voltata verso la finestra e aveva visto i torrioni svanire come un sogno, senza lasciare neppure una rovina dietro di sé, i chilometri di periferia dissolversi come nebbia nel vento, la città di Portland, che aveva avuto una popolazione di un milione di persone prima degli Anni della Peste, ma che ora, negli anni del Ristabilimento, aveva soltanto centomila abitanti, un guazzabuglio di rottami come tutte le città americane, chiuso dalle montagne, dal fiume e dai suoi sette ponti, il vecchio edificio di quaranta piani della First National Bank che dominava il profilo del centro cittadino, e molto lontano, al di sopra di tutto, le montagne pallide e serene…

La donna l’aveva visto succedere. E Haber comprese di non avere mai sospettato, neppure una volta, che l’osservatore del Controllo Sanità rischiava di vederlo. Non l’aveva mai creduto possibile, non l’aveva mai pensato. E ciò voleva anche dire che lui stesso non aveva mai creduto nei cambiamenti, in ciò che i sogni di Orr compivano. Anche se lo aveva provato, l’aveva visto, con stupore, paura, esaltazione, una decina di volte; anche se aveva visto il cavallo diventare una montagna (se è possibile vedere la sovrapposizione di una realtà a un’altra), anche se metteva alla prova, e usava, ormai da un mese il potere dei sogni di Orr, egli non aveva creduto in ciò che succedeva.

Per tutta la giornata, a partire dal suo arrivo in ufficio, non aveva dedicato un solo pensiero al fatto che, una settimana fa, egli non era affatto il direttore dell’Istituto Onirologico dell’Oregon, perché l’Istituto non esisteva. A partire da venerdì scorso, l’Istituto esisteva da un anno e mezzo. Ed egli ne era il fondatore e direttore. E, dato che le cose stavano così — per lui, per il personale, per i colleghi della Clinica Universitaria, per il governo che lo finanziava — egli aveva accettato totalmente la cosa, esattamente come gli altri, come se si trattasse dell’unica realtà. Aveva rimosso il ricordo del fatto che, fino a venerdì scorso, le cose non stavano così.

Senza dubbio, questo sogno rappresentava il massimo successo raggiunto finora da Orr. Era cominciato nel vecchio ufficio dall’altra parte del fiume, sotto quella maledetta fotografia del Monte Hood, ed era terminato nell’ufficio nuovo… e lui si era trovato laggiù, aveva visto le pareti cambiare intorno a loro, si era accorto che il mondo veniva rifatto… e poi si era dimenticato il tutto. Se ne era dimenticato in un modo talmente completo che non gli era mai passato per la mente che un estraneo, una terza persona, potesse vivere la stessa esperienza.

Che effetto avrebbe fatto sulla donna? Avrebbe capito, sarebbe impazzita, cosa le sarebbe successo? Avrebbe conservato le due memorie, la vera e la nuova, la vecchia e la vera?

No. Doveva evitarlo: la donna si sarebbe intromessa, avrebbe portato altri osservatori, avrebbe rovinato tutto l’esperimento, mandato a monte i suoi piani.

Doveva fermarla ad ogni costo. Si volse verso di lei a pugni stretti, pronto a usare la violenza.

Ma la donna era rimasta immobile. La sua pelle bruna era livida, la sua bocca era spalancata. Era sbalordita. Non poteva credere a ciò che aveva visto alla finestra. Non poteva credere, e non credeva.

L’estrema tensione fisica di Haber si rilassò leggermente. Era certo, dopo avere guardato la donna, che la scossa e la confusione la rendevano innocua. Ma occorreva ugualmente agire in fretta.

— Adesso dormirà per qualche minuto — disse Haber. La sua voce suonava quasi normale: era soltanto leggermente roca per un nodo alla gola. Non aveva idea di cosa stesse per dire, ma prese ugualmente a parlare; una cosa qualsiasi, per rompere quella specie di incantamento. — Ora intendo concedergli un breve periodo di sonno-s. Non troppo lungo, però, per non rischiare che dimentichi il sogno. Bella vista, no? Il vento da levante degli ultimi giorni: una vera manna dal cielo. Ci sono delle volte, in autunno e in inverno, in cui non vedo le montagne per mesi di fila. Ma quando le nubi svaniscono, escono fuori tutte. Gran bel posto, l’Oregon. Lo Stato meno rovinato di tutta l’Unione. Non l’avevano sfruttato molto, prima del Crollo. Alla fine degli anni ’70, Portland cominciava appena a diventare una metropoli. Lei è nata nell’Oregon?

Dopo alcuni secondi, la donna annui, lentamente. Il tono pratico della voce di Haber, se non altro, aveva un po’ contribuito a farle superare lo sbalordimento.

— Io invece sono nato nel New Jersey. Quand’ero ragazzo, laggiù, era terribile, il deterioramento ambientale. La quantità di demolizioni e di sgomberi che quelli della Costa Orientale hanno dovuto fare dopo il Crollo, e continuano ancora a fare oggi, è incredibile. Ma qui i veri danni della sovrappopolazione e dello sfruttamento ambientale non si erano ancora verificati, salvo che in California. L’ecosistema dell’Oregon era ancora intatto. — Era pericoloso andare così vicino all’argomento critico, ma Haber non riusciva a pensare a nient’altro: una sorta di coazione. Aveva la testa troppo piena, doveva tenere due intere memorie, due sistemi completi di informazione: uno del mondo (ex) reale, con una popolazione umana di quasi sette miliardi, che aumentava in progressione geometrica, e uno del mondo (adesso) reale, con una popolazione di meno di un miliardo, non ancora stabilizzata.

Mio Dio, pensò, che cosa ha fatto Orr?

Sei miliardi di persone.

Dove sono finite?

Ma l’avvocatessa non doveva pensarci. Non doveva assolutamente. — Mai stata nella Costa Orientale, Miss Lelache?

Lei lo guardò con espressione assente e disse: — No.

— Be’, ha perso poco. New York è condannata in ogni caso, e così Boston; e poi il futuro del Paese è qui da noi. Questa è la zona di espansione. Questa è la zona dove succedono le cose, come si usava dire quando ero ragazzo. Tra parentesi, mi chiedevo se lei conosce Dewey Furth, al locale ufficio del Controllo Sanitario.

— Sì — rispose la donna, ancora intontita dal colpo. Però cominciava a rispondere, a reagire, come se non fosse accaduto nulla. Haber provò una grande ondata di sollievo. Sentiva il bisogno di sedersi, di respirare profondamente. Il pericolo era passato. La donna cominciava a rifiutare l’esperienza incredibile. Ormai si stava chiedendo: Che cosa ho? Perché diavolo ho guardato fuori dalla finestra credendo di vedere una città di tre milioni di abitanti? Cosa mi è venuto, un attacco di follia?

Certo, si disse Haber. Una persona che abbia visto un miracolo finirà col rifiutare di credere ai propri occhi, se coloro che le erano accanto non hanno visto nulla.

— Qui dentro comincia a fare caldo — disse con un tono di sollecitudine nella voce, e si avvicinò al termostato sulla parete. — Preferisco sempre riscaldare un poco l’ambiente; un’abitudine di coloro che fanno ricerche sul sonno; la temperatura dell’organismo scende di qualche grado durante il sonno, e non vogliamo che i pazienti si sveglino col raffreddore. Ma questo riscaldamento elettrico è troppo efficiente, scalda troppo, rischia di fare addormentare anche me… Tra poco si dovrebbe svegliare. — Ma non voleva che Orr ricordasse chiaramente il proprio sogno, lo raccontasse, confermasse il miracolo. — Credo che lo lascerò dormire ancora per un poco; non mi interessa molto la narrazione del suo sogno, e in questo momento è nel terzo stadio del sonno. Lasciamolo dormire ancora un poco, mentre noi finiamo di parlare. Voleva farmi qualche altra domanda?

— No. No, non mi pare… — I suoi braccialetti sbatacchiavano perplessi. Batté le palpebre, cercando di riprendere il controllo di sé. — Se manderà un’esauriente descrizione della sua macchina, del funzionamento, degli usi che ne fa attualmente, dei risultati eccetera, lei sa, all’ufficio di Mr. Furth, be’, credo non occorrerà altro… Ha già fatto brevettare l’apparecchio?

— Ho fatto richiesta.

La donna annuì. — Credo convenga brevettarlo. — Sbattendo e tintinnando debolmente, era giunta nei pressi dell’uomo addormentato, ed ora si era fermata a fissarlo con una strana espressione sul volto bruno e affilato.

— Lei fa un lavoro molto bizzarro — disse improvvisamente. — I sogni. Sorvegliare il funzionamento del cervello di una persona. Dirle cosa sognare… Penso che svolga buona parte del suo lavoro di notte.

— Una volta. L’Aumentore può risparmiarci parte della fatica: riusciremo a ottenere il sonno in qualsiasi momento della giornata, un sonno del tipo che intendiamo studiare, per mezzo della macchina. Ma c’è stato un periodo, non molti anni fa, in cui non sono mai andato a dormire prima delle sei del mattino, per tredici mesi. — Rise. — Adesso è un motivo d’orgoglio. Il mio record. Ma ormai lascio ai miei assistenti la maggior parte del lavoro più massacrante. Privilegi dell’età!

— La gente che dorme è così lontana dal mondo — disse ancora la donna, che non aveva distolto lo sguardo da Orr. — Chissà dove sono? …

— Sono esattamente qui — fece Haber, e toccò lo schermo EEG. — Sono qui, ma fuori comunicazione. È appunto questa, la caratteristica del sonno che ci pare sovrannaturale. Il completo isolamento in un mondo privato. Colui che dorme, volta la schiena al resto del mondo. «Il mistero dell’individuo tocca la massima intensità nel sonno» scrisse un autore appartenente al mio campo di ricerche. Ma, chiaramente, un mistero non è altro che un problema che non abbiamo ancora risolto! … Adesso sta per svegliarsi. George… George… Si svegli, George.

E George si svegliò come sempre: rapidamente, scivolando da uno stato all’altro senza lamenti, senza stupori, senza ricadute. Si rizzò a sedere e fissò prima Miss Lelache, poi Haber, che gli aveva appena staccato dalla testa la cuffia. Si alzò in piedi, stiracchiandosi un poco, e si avvicinò alla finestra. Guardò fuori.

C’era un portamento singolare, quasi monumentale, nella sua figura minuta: era completamente immobile, come il centro di qualche cosa. Colpiti, né Haber né la donna parlarono.

Orr si voltò e fissò Haber.

— Dove sono finiti? — chiese. — Dove sono finiti tutti?

Haber vide gli occhi della donna spalancarsi, vide sorgere in lei la tensione, e comprese il pericolo. Parlare, doveva parlare! — Dall’elettroencefalogramma, George — disse, e udì la propria voce uscire calda e profonda, esattamente come voleva, — direi che ha fatto un sogno molto «carico» emotivamente. E non doveva essere piacevole; anzi, doveva essere quasi un incubo. Il primo «brutto» sogno da lei fatto con me, vero?

— Ho sognato la Peste — disse Orr, e rabbrividì da capo a piedi, come se stesse per svenire.

Haber annuì. Si sedette alla scrivania. Con la sua caratteristica docilità, il suo modo di compiere la cosa abituale e accettabile, Orr si sedette davanti a lui, nell’ampia poltrona di cuoio riservata ai pazienti.

— Ha dovuto mandare giù un boccone molto amaro, e ha fatto fatica a inghiottirlo. Vero? Questa è la prima volta, George, in cui le ho fatto affrontare una vera angoscia in un sogno. Questa volta, sotto la direzione dei miei suggerimenti ipnotici, lei ha affrontato uno degli elementi più profondi del suo malessere mentale. E affrontarlo non è stato né facile né piacevole. Anzi, il suo sogno è stato un vero inferno, no?

— Ricorda gli Anni della Peste? — chiese Orr, senza aggressività, ma con una punta di qualcosa che non gli era abituale nella voce: che fosse sarcasmo? E spostò lo sguardo sulla Lelache, che era ritornata alla sua poltrona nell’angolo.

— Sì, li ricordo. Ero già adulto quando è cominciata l’epidemia. Avevo ventidue anni quando giunse il primo annuncio dalla Russia: la notizia che le sostanze chimiche inquinanti dell’atmosfera si combinavano per formare agenti cancerogeni virulenti. La sera successiva comunicarono le statistiche ospedaliere di Città del Messico. Poi calcolarono il periodo d’incubazione, e ciascuno di noi cominciò a contare. E ad attendere. Poi cominciarono le sommosse, l’ondata di libertinaggio, il Culto della Morte e i vigilantes. I miei genitori morirono quell’anno. Mia moglie l’anno successivo. Le mie due sorelle e i loro figli il terzo anno. Tutti i miei conoscenti. — Haber allargò le braccia. — Sì, ricordo quegli anni — disse, come gravato da un grande peso. — Ma solo quando sono costretto a farlo.

— Però, quegli anni hanno risolto il problema della sovrappopolazione, no? — disse Orr; questa volta il sarcasmo era pienamente avvertibile. — Ce l’abbiamo davvero fatta.

— Sì. Quegli anni hanno cancellato il problema. Oggi non c’è sovrappopolazione. E c’era forse qualche altra soluzione, oltre a una guerra nucleare? Oggi non c’è più una perpetua carestia in Sudamerica, Africa e Asia. E quando le vie di trasporto saranno pienamente ristabilite, scompariranno anche le poche sacche di denutrizione che rimangono. Si dice che un terzo dell’umanità vada ancora a letto affamata al giorno d’oggi; ma nel 1980 era il 92 per cento. Oggi non ci sono più le inondazioni del Gange causate dall’ammassarsi dei corpi di gente morta d’inedia. Non ci sono più carenza proteica e rachitismo tra i bambini del sottoproletariato di Portland. Ma c’erano… prima del Crollo.

— Prima della Peste — corresse Orr.

Haber si sporse verso di lui. — George. Mi dica una cosa. Il mondo è sovrappopolato?

— No — rispose Orr. Haber pensò che ridesse, e si trasse indietro con apprensione; poi comprese che lo strano sguardo di Orr era causato dalle lacrime. Era giunto quasi al punto di rottura. Tanto meglio. Se avesse perso il controllo di sé, si sarebbe ridotto il pericolo che l’avvocatessa unisse le parole di Orr ai suoi eventuali ricordi.

— Ma mezz’ora fa, George, lei era profondamente preoccupato, ansioso, perché credeva che la sovrappopolazione costituisse una minaccia per la civiltà, per l’intero ecosistema terrestre. Ora, io non pretendo che questa ansia sia svanita, tutt’altro. Ma credo che siano cambiate le sue caratteristiche, da quando lei l’ha vissuta nel sogno. Lei sa, adesso, che quest’ansia non aveva alcun fondamento reale. L’ansia esiste ancora, ma con una differenza: lei adesso sa che era irrazionale… che obbediva a un desiderio interiore, piuttosto che a una realtà esteriore. E questo è un inizio. Un buon inizio. Non se ne accorge anche lei? Lei ha un’impugnatura, adesso, per afferrare tutta la cosa. Lei è giunto a dominare qualcosa che finora aveva dominato lei, schiacciandola, facendola sentire compresso, spremuto. D’ora in poi il suo volo sarà più libero, perché lei è un uomo più libero. Non si sente così? Non si sente già, fin d’ora, un po’ meno schiacciato dalla folla?

Orr lo fissò, poi tornò a fissare l’avvocatessa. Non disse nulla.

Ci fu una lunga pausa.

— Lei mi pare abbattuto — disse Haber, per dargli come una pacca verbale sulle spalle. Desiderava calmare Orr, riportarlo nella sua normale condizione di timidezza, in cui gli sarebbe mancato il coraggio di parlare dei poteri dei suoi sogni davanti a una terza persona; oppure indurlo subito a perdere il controllo, a comportarsi in modo chiaramente anormale. Ma Orr non pareva disposto a farlo. — Se non ci fosse un osservatore del Controllo Sanitario in agguato nell’angolo, le offrirei un bicchiere di whisky. Ma è meglio non trasformare in una bisboccia una seduta terapeutica…

— Non ha voglia di ascoltare il sogno?

— Se ne ha voglia lei.

— Li seppellivo. In una delle grandi fosse comuni… ho lavorato nelle Squadre di Interramento, quando avevo sedici anni, dopo che i miei genitori si presero la Peste… Solo che nel sogno la gente era nuda e pareva morta di fame. Ce n’erano delle montagne. E io dovevo seppellirli tutti. Continuavo a cercare lei, dottore, ma non riuscivo a trovarla.

— No — disse Haber, in tono rassicurante. — Io non sono ancora mai comparso nei suoi sogni, George.

— Oh, sì, invece. Con Kennedy. E sotto forma di un cavallo.

— Sì; agli inizi della terapia — concesse Haber, lasciando cadere l’argomento. — Questo sogno, dunque, ha usato del materiale preso dai ricordi delle sue esperienze reali…

— No. Io non ho mai seppellito nessuno. Nessuno è morto per la Peste. Non c’è mai stata nessuna Peste. È tutto nella mia immaginazione. Sono stato io a sognarlo.

Brutto deficiente! Gli era sfuggito di mano. Haber piegò la testa di lato e conservò un silenzio tollerante, di tipo «non voglio metterci dito» ; era il massimo che poteva fare, perché una mossa più forte rischiava di destare i sospetti dell’avvocatessa.

— Lei, Dottore, dice che ricorda la Peste; non ricorda anche che non c’è stata nessuna Peste, che nessuno moriva di cancro da inquinamento, che la popolazione si limitava a diventare sempre più grande? No? Lei non lo ricorda? E lei, Miss Lelache… lei non ricorda la cosa nei due modi?

A questo punto, Haber si alzò: — Mi spiace, George, ma non posso permettere che Miss Lelache venga coinvolta in questa conversazione. Miss Lelache non è qualificata per intervenire. Sarebbe estremamente scorretto da parte sua darle una risposta. Questa è una seduta psichiatrica. Miss Lelache è qui per osservare il funzionamento dell’Aumentore, e nient’altro. Su questo punto devo insistere.

Orr era molto pallido; aveva la pelle tirata sugli zigomi. Fissò Haber e non disse nulla.

— Qui è sorto un problema, e c’è un solo modo per risolverlo, temo. Tagliare il nodo gordiano. Senza offesa, Miss Lelache, ma, come lei ha visto, è proprio lei il problema. Si tratta semplicemente di questo: siamo ancora a uno stadio in cui il nostro colloquio psichiatrico non può sopportare l’ingresso di un terzo membro, anche se questi non vi partecipa. La miglior cosa da fare è smettere. Smettere ora. E riprendere domani alle quattro. E d’accordo, George?

Orr si alzò in piedi, ma non si avviò alla porta. — Non le è mai venuto in mente, Dottor Haber — disse, con tanta tranquillità da balbettare un poco, — che da qualche parte possano esserci altre persone che sognano come me? Che la realtà ci venga cambiata sotto gli occhi, venga sostituita, rinnovata, di continuo… ma che noi non ce ne accorgiamo? Soltanto il sognatore lo sa, e coloro che conoscono il suo sogno. Se ciò è vero, allora crede che siamo fortunati di non saperlo. Le cose sono già abbastanza confuse.

Cordiale, senza compromettersi, rassicurante, Haber lo accompagnò alla porta e oltre la porta, continuando a parlargli.

— Le è toccata proprio una delle sedute cruciali — disse poi alla Lelache, chiudendosi la porta alle spalle. Si passò una mano sulla fronte e lasciò trasparire un po’ di stanchezza e di preoccupazione nel tono di voce e nell’espressione del volto. — Accidenti! Proprio la giornata adatta per avere in ufficio un osservatore!

— È stato estremamente interessante — disse lei, e i suoi braccialetti sbatterono un poco.

— Eppure ci sono delle speranze — disse Haber. — Una seduta come questa, dà perfino a me un’impressione scoraggiante. Ma il paziente ha una possibilità, una buona possibilità, di uscire da questo schema di illusioni in cui si dibatte, da questa terribile paura di sognare. Il guaio è che si tratta di uno schema molto complesso, e che la mente che vi è invischiata è piuttosto intelligente; è fin troppo rapida nel tessere sempre nuove tele in cui cadere… Se soltanto l’avessero fatto sottoporre alla terapia dieci anni fa, quando aveva vent’anni; ma, naturalmente, dieci anni fa, il Ristabilimento era appena cominciato. O anche soltanto un anno fa, prima che cominciasse a deteriorare con i farmaci tutto il suo orientamento rispetto alla realtà. Comunque, il paziente si sforza, e non ha intenzione di smettere i tentativi; e forse potrà ancora raggiungere un sano quadro di parametri della realtà.

— Eppure non è uno psicotico, mi diceva lei stesso — fece la Lelache, con un filo di dubbio nella voce.

— Giusto. Le dicevo che è soltanto disturbato. Ma se si spezzasse, certo, si spezzerebbe completamente; probabilmente nella direzione di una schizofrenia catatonica. Una personalità disturbata non corre meno rischi di cadere nella psicosi di una persona normale. — Non riusciva più a parlare, le parole gli si asciugavano sulla lingua, diventavano briciole secche di discorsi privi di senso. Gli pareva di avere continuato a rovesciare dalla bocca, per ore, un diluvio di frasi senza significato, e che ormai quelle frasi gli avessero preso la mano. Per fortuna pareva che anche Miss Lelache ne avesse abbastanza; la donna sbatté, scattò, gli diede la mano e uscì.

Per prima cosa, Haber si recò a un pannello incassato nel muro, a lato del divano, dov’era nascosto il magnetofono su cui registrava le sedute: i registratori privi di segnalazione acustica di funzionamento erano un privilegio particolare degli psicoterapeuti e del Servizio Informazioni della Polizia. Cancellò la registrazione dell’ora precedente.

Poi si accomodò nella sua poltroncina, dietro la grande scrivania di quercia, aprì l’ultimo cassetto, prese bicchiere e bottiglia e si versò una robusta dose di bourbon. Santo Cielo, il bourbon non esisteva più, mezz’ora prima… era scomparso da vent’anni! Il grano era troppo prezioso, con sette miliardi di bocche da sfamare, per usarlo per fare del liquore. Le uniche bevande erano la birra sintetica, e (per i medici) l’alcool puro; e nella bottiglia del cassetto c’era stato alcool puro, mezz’ora prima.

Mandò giù, con una sorsata, metà del bicchiere; poi lo posò. Si voltò a fissare la finestra. Dopo qualche minuto si alzò e andò a guardare al di là dei vetri, osservando i tetti e gli alberi. Centomila anime. La sera cominciava a scurire le acque del fiume tranquillo, ma le montagne s’innalzavano ancora chiare e immense, lontano, avvolte dalla luce delle altitudini.

— A un mondo migliore! — brindò il dottor Haber, levando il bicchiere verso la sua creatura, e terminò il bourbon lentamente, assaporandone l’aroma.

Загрузка...