III

Le ultime foglie ottobrine volavano nel vento d’autunno e un sole pallido, non completamente oscurato dalle nubi fluttuanti, brillava su Washington.

John Roberts lo stava aspettando sulla panchina del parco. Si scambiarono un cenno di saluto, senza parlare, e Boyd sedette accanto all’amico.

— Hai corso un bel rischio — disse Roberts. — Cosa sarebbe successo se quelli della dogana…

— Non era una grossa preoccupazione — disse Boyd. — Conoscevo quel tale a Parigi. Sono anni che contrabbanda roba in America. È molto abile, e mi doveva un favore. Che cos’hai scoperto?

— Forse più di quanto vorresti sentire.

— Mettimi alla prova.

— Le impronte digitali corrispondono — disse Roberts.

— Sei riuscito ad avere una lettura delle impressioni sul colore?

— Chiarissima.

— L’FBI?

— Sì, l’FBI. Non è stato facile, ma ho un paio di amici.

— E la datazione?

— Non è stato un problema. Il difficile è stato convincere il mio uomo che fosse top secret. Non ne è ancora sicuro.

— Terrà la bocca chiusa?

— Credo di sì. Senza prove, nessuno gli crederebbe. Sembrerebbe una favola.

— Dimmi.

— Ventiduemila. Più o meno trecento anni.

— E le impronte corrispondono. Quelle sulla bottiglia e…

— Te l’ho detto, corrispondono. E adesso spiegami tu come diavolo un uomo vissuto ventiduemila anni fa ha potuto lasciare le impronte digitali su una bottiglia di vino che è stata fabbricata l’anno scorso.

— È una storia lunga — disse Boyd. — Non so se dovrei spiegartela. Prima, dove hai messo la scapola?

— È nascosta — disse Roberts. — Molto ben nascosta. Puoi riaverla quando vuoi, e anche la bottiglia.

Boyd alzò le spalle. — Non ancora. Fra qualche tempo. O forse mai.

— Mai?

— Senti, John, devo pensarci bene.

— Che razza di pasticcio — disse Roberts. — Nessuno vuole quella roba. Nessuno si azzarderebbe a volerla. Alla Smithsonian non la toccherebbero neppure con un forcone. Non l’ho chiesto. Non sanno neppure che esista. Ma so che non la vorrebbero. C’è una legge, mi pare, che vieta l’esportazione clandestina da un paese…

— Sì — disse Boyd.

— E adesso quella roba non la vuoi neppure tu.

— Non ho detto questo. Ho detto semplicemente di lasciarla dov’è, per il momento. È al sicuro, no?

— È al sicuro. E adesso…

— Te l’ho detto, è una storia lunga. Cercherò di riassumerla. C’è un uomo… un basco. Venne da me dieci anni fa, quando facevo gli scavi nel riparo tra le rocce…

Roberts annuì. — Sì, lo ricordo.

— Voleva un lavoro e io glielo diedi. Imparò in fretta, assimilò immediatamente le tecniche. Diventò un collaboratore prezioso. Capita spesso, con i manovali reclutati sul posto. Sembra che abbiano il senso delle loro antichità. E poi, quando abbiamo incominciato i lavori nella grotta, è ricomparso. Sono stato contento di rivederlo. Per la precisione, siamo buoni amici. L’ultima sera che sono stato alla caverna ha cucinato un’omelet meravigliosa… uova, pomodori, peperoni verdi, cipolle, salsicce e prosciutto casalingo. Io ho portato una bottiglia di vino.

Quella bottiglia.

— Sì, quella bottiglia.

— Continua.

— Suonava un flauto. Un flauto d’osso che squittiva. Non troppo musicale…

— C’era un flauto…

— No, non quello. Un altro. Lo stesso tipo di flauto, ma non quello che ha il nostro uomo. Due flauti eguali. Uno nella tasca del vivo, l’altro accanto alla scapola di cervo. Ci sono certe cose, in quell’individuo… Niente che ti salti agli occhi. Piccolezze. Noti qualcosa e poi, qualche tempo dopo, magari parecchio tempo dopo, noti qualcosa d’altro, ma nel frattempo hai dimenticato il primo particolare e non li colleghi. Soprattutto c’era il fatto che sapeva troppo. Certi dettagli che un uomo come lui non avrebbe potuto sapere. Persino cose che non sapeva nessuno. Frammenti di conoscenza che gli sfuggivano, forse senza che se ne rendesse conto. E i suoi occhi. Non me ne sono accorto se non più tardi, quando ho trovato il secondo flauto e ho incominciato a pensare alle altre cose. Ma stavo parlando degli occhi. Ha l’aspetto di un giovane, di un uomo che non invecchia mai: ma gli occhi sono vecchi…

— Tom, mi hai detto che è basco.

— Infatti.

— Non c’è chi afferma che i baschi potrebbero essere discendenti dei Cro-Magnon?

— Sì, la teoria esiste. Ci ho pensato.

— È possibile che quest’uomo sia un Cro-Magnon?

— Sto incominciando a crederlo.

— Ma pensaci… ventimila anni!

— Sì, lo so — disse Boyd.

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