IX

Sweeney porse la mano e il poliziotto fece altrettanto, con scarso entusiasmo. Ma Sweeney finse di non notarlo. Disse anzi: — Volevo proprio incontrarmi con voi, capo, dato che ho sentito che vi occupate dello Squartatore. Volevo chiedervi qualcosa. Accomodatevi in camera mia.

Bline lo seguì per le scale, fino in camera, sedette nella sedia indicatagli da Sweeney, quella scricchiolante, che gemette sotto il suo peso.

Sweeney si accomodò sull’orlo del letto e, guardando il giradischi, disse: — Un po’ di musica, mentre parliamo, capo?

— Diavolo no, dobbiamo parlare, non cantare duetti. E spetta a me fare le domande, Sweeney.

— A che proposito?

— Potete già immaginarvelo. Per esempio, non credo che vi ricorderete dove vi trovavate nel pomeriggio dell’otto giugno, no?

— No, non lo ricordo. A meno che non fossi a lavorare. Ma anche in questo caso non saprei se mi trovavo a scrivere o se ero fuori per un servizio. Tranne che… forse, se ero a correggere le bozze delle ultime edizioni della sera e delle prime del mattino, potrei rintracciarle e ricordare quali mi sono passate sotto le mani.

— Non ve ne è passata nessuna: quel giorno non lavoravate. Ho già controllato al “Blade”.

— Allora tutto quel che posso dirvi è quel che ho probabilmente fatto, ma non sarà molto. Probabilmente ho dormito fino a mezzogiorno, ho passato la maggior parte del pomeriggio qui a leggere o ad ascoltare dischi, e probabilmente la sera sono uscito a bere qualcosa e a fare una partita. O forse sono andato al cinema o a un concerto. Quest’ultima parte potrei forse anche controllarla, ma non il pomeriggio, e credo che sia proprio il momento che vi interessa.

«Nessuna speranza nemmeno per la prossima domanda che state per farmi, capo. Il primo agosto. Sa Dio dove mi trovassi in quei due giorni, tranne la certezza che ero a Chicago. Che io sappia, nelle ultime due settimane non sono stato fuori città.»

Bline grugnì. Sweeney sorrise. — Soltanto, io non sono lo Squartatore. Vi garantisco che anche se non so dov’ero e che cosa facevo quando sono state uccise la Gaylord e la Lee, so di non aver ucciso la Brent, perché allora non ero ubriaco, per lo meno non tanto da non ricordare che cosa facessi. In nessun giorno di giugno. E so di non aver fatto il colpo contro Iolanda Lang, perché ricordo bene mercoledì sera: cominciavo a smaltire la sbornia ed era un vero inferno. Domandi a Dio.

— A chi?!

Sweeney aprì la bocca e la richiuse. Era inutile far portare il povero vecchio Diomede alla polizia, perché Diomede non era in grado di fornirgli un alibi per l’ora in cui Iolanda era stata colpita. Disse: — È un modo di dire, capo. Solo Dio potrebbe provare che cosa io facessi mercoledì notte. Ma fatevi coraggio, se lo Squartatore continua a squartare, forse per la prossima volta avrò un alibi sicuro.

— Sarà un grande aiuto.

— Nel frattempo, capo, e seriamente, perché siete venuto da me a chiedermi i miei alibi? È stato un uccellino a sussurrarvi una paroletta? O un certo Greene?

— Sweeney, sapete benissimo perché sono qua. Perché voi eravate davanti a quel maledetto portone nella notte di mercoledì. E probabilmente lo Squartatore era anche lui davanti a quel portone. Secondo le nostre supposizioni, aspettava alla porta del retro, poi è entrato e ha colpito la donna, mentre avanzava verso di lui. Ha sbagliato il colpo di pochi centimetri, e il cane gli è saltato addosso, così è dovuto scappare, chiudendo la porta senza la possibilità di un secondo tentativo. Che cosa può aver fatto dopo?

— Voi avete fatto la domanda — disse Sweeney. — Rispondete.

— Può essere uscito, naturalmente. Ma se ha seguito l’esempio di molti altri assassini pazzi, deve essere uscito sul marciapiede del retro ed essere venuto fin sul davanti della casa; quindi doveva trovarsi fra la gente raccolta all’ingresso, all’arrivo della polizia.

— E può darsi anche — aggiunse Sweeney — che abbia telefonato alla polizia dal bar all’angolo.

Bline scosse il capo. — No, abbiamo trovato chi ha fatto la chiamata. Un tale che era stato per ore al bar a chiacchierare con altri due. Uscì verso le due e mezzo e tornò indietro dopo pochi minuti, raccontando a quei due e al barista che in un atrio un po’ più giù stava succedendo qualcosa: c’era una donna per terra e un grosso cane che non permetteva a nessuno di aprire la porta ed entrare e che perciò gli sembrava bene telefonare alla polizia. Lo fece, poi lui e gli altri due andarono insieme sul posto e all’arrivo della pattuglia erano là. Ho parlato con tutti e tre, perché il barista ne conosceva uno e ci ha permesso di rintracciare gli altri. Secondo loro c’era una dozzina di persone davanti alla porta. Secondo voi è lo stesso?

— Quasi lo stesso. Certo non più di quindici.

— E i poliziotti, anche dopo aver riconosciuto la mano dello Squartatore, non hanno avuto abbastanza intelligenza da trattenere tutti. Dei dodici o quindici ne abbiamo individuato cinque. Se solo potessimo trovarli tutti…

— Chi era il quinto? — domandò Sweeney. — I tre che erano insieme, e io facciamo quattro. Chi altri?

— Uno che vive in quella casa. Dev’essere stato il primo a trovare la donna e il cane: tornava a casa e non è potuto entrare perché il cane gli saltava addosso ogni volta che cercava di aprire la porta. Altri passanti, vedendo quel che succedeva, si fermarono a guardare e quando arrivò il tizio del bar, quello che poi ci ha chiamato per telefono, si erano riunite sei o sette persone. Al suo ritorno insieme con i due amici, ce n’erano nove o dieci.

— Io probabilmente sono arrivato dopo — disse Sweeney — un minuto prima che giungesse la polizia. E, per rispondere alla vostra domanda, vi dirò che non ho notato nessuno tra la gente. Non sarei in grado di identificarne neppure uno. Tutto quel che ho notato è stato quanto c’era nell’atrio e l’arrivo dei poliziotti. Ma non identificherei nemmeno loro.

Bline rispose amaramente: — Non mi occorre che voi riconosciate i poliziotti, ma darei non so cosa per conoscere tutti quelli che erano là davanti. Invece di quei cinque, anzi quattro, che conosco.

— Non tenete conto di me?

— Non tengo conto di voi.

— Quali spiegazioni offre l’uomo che vive nella casa, quello che, secondo la sua versione, arrivò per primo sul posto?

— È piuttosto chiaro. Lavora di notte al “Giornale del Commercio” sulla Grand Avenue, è un tipografo. Ha segnato sull’orologio-controllo l’ora d’uscita, cioè l’una e tre quarti, e gli ci è voluto certamente tutto il tempo che ha detto per arrivare. Non avrebbe avuto il tempo di andare sul retro, aspettare e poi tornare davanti. Inoltre, ha solidi alibi per gli altri tre delitti, tutti alibi controllati da noi. — Aggrottò la fronte. — Così, dei cinque uomini che siamo riusciti a individuare nel gruppetto davanti alla porta, voi siete l’unico che non abbia un alibi. Comunque, qui c’è la vostra raccolta di lame.

Trasse di tasca una busta e la porse a Sweeney. Senza aprirla, Sweeney sentì con la mano che conteneva il temperino e il rasoio. Disse: — Potevate chiedermeli. Avevate un mandato di perquisizione?

Bline sogghignò. — Non volevamo avervi tra i piedi, mentre cercavamo e, quanto al mandato, ormai che cosa importa?

Di nuovo Sweeney aprì e richiuse la bocca. Sarebbe stato anche abbastanza matto da protestare, perché quella storia gli aveva fatto passare brutti momenti; d’altra parte, gli sarebbe stato utile, se non indispensabile, ottenere un aiuto amichevole da Bline, perché la polizia poteva fare ciò che a lui non era possibile.

Perciò, mitemente disse: — Potevate almeno lasciarmi un biglietto. Quando ho visto che mi mancavano quei due oggetti, ho pensato che lo Squartatore credesse che io fossi lo Squartatore. Ditemi, capo, che cosa sapete di quel Greene?

— Perché?

— Mi piace pensare che sia lui lo Squartatore, ecco tutto. Mi ha raccontato di avere alibi che voialtri avete controllato. È vero?

— Più o meno. Nessun alibi per la Brent, e quello per la Lee piuttosto insufficiente.

— Insufficiente? Credevo che si trovasse in tribunale con il giudice Goerring.

— I tempi non corrispondono al millesimo. Il suo alibi arriva sino alle quattro e dieci; la Lee è stata trovata morta verso le cinque, piuttosto dopo che prima. Il medico che l’ha vista alle cinque e mezzo ha dichiarato che doveva essere morta da un’ora circa, il che significa che è stata colpita verso le quattro e mezzo, venti minuti dopo che è finito l’alibi di Greene. In taxi, dal tribunale a casa di lei, potrebbe benissimo esserci andato lui.

— Quindi non ha alibi.

Bline ripeté: — Non a prova di bomba. Ma ci sono altri punti: lei lasciava il lavoro di solito alle cinque, mentre quel giorno è uscita alle due e tre quarti per andare a casa, perché stava male. Ammesso che Greene la conoscesse, e non c’è alcuna prova che fosse così, non poteva immaginare di trovarla a casa, precipitandovisi dal tribunale. Solo qualcuno che lavorava con lei poteva saperlo.

— O qualcuno che è andato all’ufficio o le ha telefonato.

— Vero. Ma Greene non ci è andato. E non avrebbe avuto il tempo di telefonarle, prima di correre da lei. — Bline corrugò la fronte. — Le probabilità diminuiscono.

— Credete? Supponiamo che Greene la conoscesse intimamente. Poteva avere un appuntamento a casa di lei dopo le cinque. La causa in tribunale finisce poco dopo le quattro e lui va ad aspettarla. Forse aveva anche la chiave ed è entrato ad attendere, pur non sapendo che sarebbe arrivata a casa prima perché stava male e che l’avrebbe trovata già là.

— Oh, è possibile, Sweeney. Vi ho detto che non era un alibi perfetto. Ma dovete ammettere che tutto questo non è molto probabile. Invece, è più che probabile che lo Squartatore l’abbia seguita fino a casa, vedendola per la prima volta in strada, quando è uscita dal lavoro. Nello stesso modo con cui probabilmente ha seguito Lola Brent dal negozio a casa. Non può essere stato ad aspettare la Brent fuori del negozio, per due motivi: primo, perché non poteva sapere che sarebbe stata licenziata in tronco e sarebbe andata a casa presto; secondo, perché lei viveva con un uomo, Sammy Cole, e non poteva essere sicuro di non incontrare proprio Sammy.

— Però — disse Sweeney — Lola non è stata ammazzata in casa, ma nel passaggio fra due palazzi. Certamente era stata seguita. E altrettanto è stato per Stella Gaylord, seguita fino all’imbocco del vicolo. Però lo Squartatore non ha usato sempre la stessa tecnica del pedinamento. La Lang non l’ha seguita a casa: l’aspettava fuori della porta.

— Lo avete proprio studiato questo caso, Sweeney?

— Perché no? È il mio lavoro.

— Per quel che so io, non vi è stato ancora affidato. O sbaglio?

Sweeney esaminò la possibilità di dare a bere a Bline la storiella del racconto giallo per una rivista e decise di non farlo, perché Bline avrebbe potuto chiedergli quale rivista e poi controllare.

— Non proprio, capo — rispose — ma mi è stato affidato l’ultimo scorcio del caso quando Wally Krieg mi ha incaricato di fare la cronaca della Lang. E per questo io mi ci sono immedesimato, pensando che quando tornerò al lavoro, lunedì, mi darà tutta la faccenda. Ho letto i resoconti dei giornali e mi sono posto alcuni problemi.

— Per vostro divertimento?

— Perché no? Mi interessava. Voi vi occupereste ancora della faccenda, anche se non ne foste più incaricato, no?

— Credo di sì — ammise Bline.

— E l’altro alibi di Greene, quello di New York? Come fila?

Bline sogghignò. — Siete proprio deciso a tirare Greene in mezzo al pasticcio?

— Voi lo avete conosciuto, capo?

— Certo.

— Questa è la ragione. Io lo conosco da un giorno e mezzo e ritengo che il fatto che viva ancora un uomo simile è un’ottima prova che io non sono lo Squartatore. Se lo fossi, sarebbe già morto.

Bline scoppiò in una risata. — Questo è un discorso a doppio taglio, Sweeney. Anche a Greene, a quanto pare, voi piacete come lui a voi. E anche voi siete ancora vivo. Ma, per tornare all’alibi di New York, noi lo abbiamo domandato alla polizia di laggiù, che lo ha controllato: Greene è stato effettivamente segnato all’albergo dal venticinque al trenta luglio, all’“Algonquin”.

Sweeney si chinò verso di lui. — È tutto qui il controllo? L’assassinio della Gaylord è stato il ventisette, e tra Chicago e New York ci sono in tutto quattro ore di aereo. Potrebbe essere partito di là la sera e aver fatto ritorno la mattina seguente.

Bline scosse le spalle. — Avremmo cercato ancora, se ve ne fosse stato motivo. Siate onesto, Sweeney: che cosa avete contro di lui, tranne che vi ispira antipatia? Anche a me, lo ammetto. Ma, a parte questo, conosce una sola delle donne aggredite: è già un alibi, per conto mio.

— Perché credete questo?

— Quando prenderemo lo Squartatore, scommetto che scopriremo che conosceva tutte le donne oppure che non ne conosceva nessuna. Gli assassini, anche quelli che sono pazzi, hanno questo sistema, Sweeney: non colpiscono tre ignote e una conosciuta, vi do la mia parola.

— E avete controllato…?

— Diavolo, certo che abbiamo controllato. Abbiamo fatto gli elenchi più completi possibile di tutti quelli che conoscevano tutte e quattro le vittime e abbiamo confrontato gli elenchi. Un solo nome è apparso su due liste e ciò è dovuto molto probabilmente a una coincidenza.

— Chi è?

— Raoul Reynarde, il padrone del negozio che ha scacciato la Brent il giorno dell’assassinio. È risultato che conosceva vagamente anche la Gaylord.

— Buon Dio, e come?

— Vedo che lo avete conosciuto — sogghignò Bline. — Ma perché non avrebbe dovuto aver contatti con la Gaylord? C’è un mucchio di gente che ha delle donne per amiche. Voi avete degli uomini per amici, no? Comunque, era una amicizia superficiale, a quanto è risultato sia dalle parole di Reynarde sia da quelle degli altri amici della Gaylord che sono stati interrogati.

— Ma allora poteva conoscere anche le altre due. Non è facile provare che non abbia incontrato…

— In uno dei casi, no, ma non possiamo interrogare Dorothy Lee. Abbiamo potuto solo fare domande ai suoi amici, e nessuno di loro aveva sentito nominare Reynarde. Potevamo, e lo abbiamo fatto, interrogare la ballerina: ma Iolanda Lang non ha riconosciuto né il nome, né la fotografia.

— Avete controllato anche gli alibi?

— Ottimi in due casi, specialmente quello della Brent. Non avrebbe potuto seguirla a casa, dopo averla licenziata, senza essere costretto a chiudere il negozio ed è invece evidente e provato che non lo chiuse.

Sweeney sospirò. — Allora cancelliamolo. Io propendo ancora per Doc Greene.

— Sweeney, siete un maniaco. Tutte le vostre ragioni sono che quell’uomo non vi piace. Ma non esiste altro punto a suo sfavore: abbiamo molti altri ben più sospetti di Greene.

— Volete alludere a me?

— Infatti, intendevo proprio voi. Vedete, non avete l’ombra di un alibi per nessuno degli omicidii. C’è il vostro estremo interessamento per tutta la faccenda e il fatto che voi siete psichicamente piuttosto sbilanciato, altrimenti non sareste un alcolizzato. E che, in uno dei quattro casi, vi abbiamo trovato sulla scena del delitto nell’ora del delitto stesso. Non sostengo che sia sufficiente per incriminarvi, però è più di quanto abbiamo raccolto su chiunque altro. Se voi non foste…

— Se non fossi?…

— Lasciamo andare.

— Capisco — rispose Sweeney — se non fossi un giornalista, volevate dire, probabilmente mi mettereste dentro e mi strappereste quel che so. Ma pensate che scriverò ancora sul caso e che non potreste trattenermi per molto tempo e, una volta fuori, le colonne del “Blade” farebbero un bel chiasso sull’ispettore di polizia incaricato del caso dello Squartatore.

Il sorriso di Bline fu piuttosto imbarazzato. — Immagino che sia quasi così Sweeney, ma dannazione, non potreste indicarmi qualche elemento per cancellarvi dalla lista dei sospetti e non farmi perdere tempo con voi? Ci deve pur essere modo di verificare dove eravate durante almeno uno degli assassinii.

Sweeney fece un gesto di diniego. — Vorrei che ci fosse, capo — disse, guardando l’orologio — ma ditemi voi quale. Io farò qualcosa di meglio: vi offrirò qualcosa da bere, all’“El Madhouse”. Il primo spettacolo comincia fra pochi minuti, alle dieci. Sapete che la ragazza stasera riprende a ballare?

— So tutto. Tranne il nome dello Squartatore. Stasera avevo già intenzione di andar là a dare un’occhiata. Andiamo pure.

Sulla soglia, voltandosi a spegnere la luce, Sweeney guardò la statuetta nera sulla radio, la sottile fanciulla nuda, dalle braccia tese a proteggersi contro un invisibile persecutore, mentre un silenzioso grido era raggelato per l’eternità sulle sue labbra. Le ammiccò e le inviò un bacio sulla punta delle dita, prima di girare l’interruttore e seguire Bline giù per le scale.

In Rush Street presero un taxi. Sweeney ordinò all’autista: — All’“El Madhouse” — poi si abbandonò sullo schienale per accendersi una sigaretta. Guardò Bline che, con gli occhi chiusi, si era sdraiato sul sedile, e gli disse: — Voi non pensate seriamente che io sia lo Squartatore, capo. Perché non vi abbandonereste così.

— Così come? — La voce di Bline suonava bassa e morbida. — Sorvegliavo le vostre mani e vi lasciavo credere di essere a occhi chiusi. Nella mia tasca destra c’è una rivoltella, puntata contro di voi, con la mano già pronta che la impugna. Potrei adoperarla più in fretta di quanto voi usereste il coltello, se accennaste a farlo.

Sweeney scoppiò a ridere.

E poi si domandò che cosa ci fosse di divertente.

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