Era ormai un fatto scontato che gli stranieri giungevano a Iszm con un unico scopo: rubare una casa femmina. Cosmografi, studenti, poppanti, noti malviventi, tutti venivano costretti dagli Iszici, con imparziale cinismo, allo stesso microscopico esame fisico-mentale e sottoposti alla medesima stretta sorveglianza.
Il procedimento era giustificato dall’eccezionale affluenza di ladri di case.
Da lontano, pareva facile riuscire a rubare una casa. Si poteva cucire un seme — non più grande d’un granello d’orzo — in una cintura, o intrecciare una pianticella alla trama di una sciarpa, oppure legare un germoglio a un missile da lanciare nello spazio… c’erano migliaia di modi di rubare una casa di Iszm, ma tutti si erano rivelati fallaci alla prova dei fatti. I ladri, invariabilmente scoperti, erano stati portati in manicomio, sotto la scorta di Iszici estremamente gentili. Gli Iszici, appunto perché erano realisti, sapevano che sarebbe arrivato il giorno — l’indomani o nel giro di un mese, un anno, un secolo o un millennio — in cui avrebbero perso il monopolio delle case e, pur non illudendosi, da fanatici custodi di quel monopolio, facevano di tutto per rimandare quel giorno il più possibile.
Aile Farr era un uomo alto e magro, sulla trentina, con una strana faccia legnosa, grosse mani e grossi piedi. Carnagione, occhi e capelli erano tutti dell’identico color polvere. Ma quel che importava agli Iszici era la sua professione di botanico, la qual cosa lo rendeva, di conseguenza, oggetto del più profondo sospetto.
Giunto all’atollo di Jhespiano, a bordo della Eubert Honoré della Red Ball Packet, si vide fatto segno a precauzioni eccezionali anche per Iszm. Al suo arrivo due Szecr, agenti della polizia speciale, lo presero in consegna al portello di sbarco, lo scortarono giù per lo scalandrone come un prigioniero, e lo spinsero in un andito a direzione unica; dalle sue pareti uscivano infatti barre flessibili piegate in direzione del passaggio obbligato, di modo che si poteva andare avanti, ma era impossibile cambiare idea e tornare indietro. Al termine dell’andito vi era una parete di vetro trasparente e, quando vi giunse davanti, Farr constatò che non poteva più procedere né tornare sui suoi passi. Gli pareva di essere un insetto sotto il microscopio, mentre un Iszico, con mostrine rosse e grigie, si dava da fare per esaminarlo dall’altra parte del vetro. Al termine dell’esame, l’Iszico fece scorrere, con fare svogliato, il pannello e Farr, entrato nella stanzetta, mostrò all’Iszico il suo permesso di sbarco, i certificati di buona salute, l’attestato di buona condotta, e quindi si accinse a sottoporsi all’interrogatorio. L’occhio degli Iszici, diviso in due settori di differente grandezza, è capace di guardare contemporaneamente in due diverse direzioni. Il funzionario leggeva i documenti con la parte inferiore, e continuava a esaminare Farr con quella superiore.
— Occupazione… — a questo punto tutto l’occhio fissò Farr. Poi, riabbassando la parte inferiore sul documento, lesse con voce fredda e monotona: — … si occupa di ricerche. Dipende dall’università di Los Angeles, facoltà di Botanica. — Mise da parte il documento e chiese: — Posso sapere il motivo della vostra venuta su Iszm?
Farr stava per perdere la pazienza. — È scritto lì — si limitò a rispondere, accennando al foglio.
L’incaricato riprese a leggere, continuando a fissare Farr, che lo guardava come affascinato.
— “Sono in licenza di studio e sto visitando i pianeti in cui le piante contribuiscono in modo effettivo al benessere dell’uomo”. — L’incaricato posò su Farr ambedue le parti dell’occhio. — Perché vi siete preso la briga di venire fin qui? Potevate disporre di tutte le informazioni necessarie anche sulla Terra.
— Preferisco rendermi conto di persona.
— A che scopo?
— Curiosità professionale — rispose Farr alzando le spalle.
— Immagino che conosciate le nostre leggi.
— E come no? — replicò Farr irritato. — Me ne hanno parlato fin da quando la nave è partita da Starholme.
— Tenete presente che non vi si possono concedere privilegi di alcun genere… non potrete condurre studi approfonditi o analitici. Capito?
— Ma certo!
— Le nostre norme sono rigide… non dimenticatelo. Molti visitatori se lo dimenticano e poi si trovano a dover subire gravi punizioni.
— Ormai conosco le vostre leggi meglio delle nostre — dichiarò Farr.
— È considerato illegale asportare, staccare, tagliare, accettare, separare o rimuovere qualsiasi vegetale, frammento di vegetale, semi, germogli, arbusti o alberi, in qualunque luogo si trovino.
— Non ho intenzione di commettere illegalità.
— Molti visitatori dicono la stessa cosa — borbottò l’incaricato. — Per favore, accomodatevi nella stanza qui vicino, e spogliatevi, liberandovi degli effetti personali. Vi saranno restituiti, non temete, quando ripartirete.
Farr lo fissava attonito: — Il denaro… la macchina fotografica, il…
— Vi verranno forniti gli equivalenti iszici.
Ammutolito, Farr entrò in una stanzetta dalle pareti smaltate, e si svestì. Un inserviente raccolse gli indumenti e li ripose in una cassetta di vetro, poi indicò a Farr che s’era dimenticato di togliere un anello.
— Immagino che, se avessi la dentiera, dovrei togliermi anche quella — ringhiò Farr.
L’Iszico non se lo fece dire due volte, e gli esaminò attentamente la bocca. — Nei vostri documenti — disse poi — è scritto che avete denti sani e tutti vostri, senza modifiche di alcun genere. — La parte superiore del suo occhio fissava Farr con sguardo indagatore: — È dunque falso?
— Ma no! — protestò Farr. — I miei denti sono tutti veri. Ho detto così, tanto per fare un’ipotesi… per scherzo.
L’Iszico borbottò qualcosa e condusse Farr in un altro locale dove lo sottoposero a un approfondito esame odontoiatrico. “Imparerò a non scherzare più” disse tra sé Farr. “Questa gente non ha il minimo senso dell’umorismo.”
Finalmente i medici, dopo aver scosso con aria delusa la testa, lo riconsegnarono all’incaricato che lo riportò in un locale vicino; qui v’era un Iszico in divisa bianca e grigia che si fece avanti brandendo una siringa ipodermica.
— Ehi, che roba è questa? — protestò Farr tirandosi indietro.
— Un irradiante innocuo.
— Non ne ho bisogno.
— È necessario — dichiarò il medico. — Servirà a proteggervi. Molti visitatori affittano battelli per far vela verso Pheadh. Vi sono frequenti tempeste e a volte i battelli perdono la rotta. Grazie a questo irradiante sarà possibile stabilire la vostra posizione sul pannello centrale.
— Non ho bisogno di essere protetto — obiettò Farr.
— Non voglio diventare un punto luminoso su un pannello.
— E allora dovete lasciare Iszm.
Farr cedette, imprecando contro il medico mentre quello gli faceva l’iniezione.
— Adesso passate nell’altra stanza per la foto a tre dimensioni, per piacere.
Farr alzò le spalle avviandosi nel locale vicino.
Rimase fermo e rigido mentre piani sensibili lo sfioravano per tutto il corpo, e in una specie di cupola di vetro andava prendendo forma un’immagine tridimensionale di lui stesso, a grandezza naturale.
— Grazie — disse alla fine l’incaricato. — Nella stanza vicina vi verranno forniti gli indumenti e tutto ciò di cui potete aver bisogno.
Farr indossò l’uniforme dei visitatori: morbidi pantaloni bianchi, camiciotto a righe verdi e grigie e un berretto floscio di velluto verde scuro che gli ricadeva su un orecchio. — E adesso me ne posso andare?
L’incaricato guardò attraverso una fessura vicino a lui, e Farr riuscì a scorgere un bagliore di lettere scintillanti. — Voi siete Farr Sainh, botanico e ricercatore — e fu come se avesse detto: “Voi siete Farr, il noto criminale”.
— Sono Farr.
— Dovrete espletare alcune formalità.
Le formalità gli presero tre ore. Farr fu affidato di nuovo agli Szecr, che lo esaminarono a fondo; infine lo lasciarono libero. Un giovane che portava le mostrine gialle e verdi degli Szecr lo scortò sino a una gondola che si dondolava sulla laguna, un’imbarcazione lunga e snella manovrata con un solo remo. Farr vi prese posto e vogando arrivò fino alla città di Jhespiano.
Era la prima volta che vedeva coi propri occhi una città iszica, e l’impressione fu notevolmente diversa dell’immagine che se ne era fatta. Le case crescevano a intervalli irregolari fra i viali e i canali ed erano massicci tronchi contorti, dai quali prima emergeva una specie di enormi baccelli inferiori, e poi spuntavano ammassi di grandi foglie che ricoprivano quasi totalmente i baccelli superiori. Qualcosa si mosse nella mente di Farr, un’associazione d’idee… lieviti o mixomiceti al microscopio. Lamproderma violaceum? Dictydium cancellatum? La proliferazione dei rami era la stessa. I baccelli avrebbero potuto anche essere enormi sporangi. La perfetta, geometrica simmetria degli archi era uguale, identici gli strani e complessi colori: blu cupo con la parte inferiore di un vivido grigio; arancione scuro con sfumature rossastre, rosso con una patina di splendente porpora, verde tenero, bianco ravvivato di rosa, marrone chiaro e via via più cupo, quasi nero. Nei viali si affollavano gli Iszici, gente pallida e tranquilla, sicura al riparo delle sue corporazioni e delle sue caste.
La gondola scivolò verso l’approdo, dove stava ad aspettare un Iszico in berretto giallo gallonato di verde, certo un uomo qualunque, perché gli Szecr tenevano segreti i dubbi e le informazioni relativi a Farr.
Non avendo alcun motivo d’indugiare, il botanico si avviò lungo un viale, verso uno dei nuovi alberghi cosmopoliti. Nessuno Szecr cercò di fermarlo. Ormai era libero, anche se sotto continua sorveglianza.
Farr si riposò bighellonando, durante una settimana, nei viali della città. Incontrò pochi visitatori provenienti da altri mondi, in quanto le autorità di Iszm scoraggiavano il più possibile il turismo, pur senza violare il Trattato di ammissione. Farr cercò di ottenere un colloquio col Presidente del Consiglio d’esportazione, ma un funzionario lo dissuase con modi tanto cortesi quanto decisi, facendogli capire benissimo che era al corrente del fatto che Farr voleva prendere accordi per l’eventuale esportazione di case di qualità scadente. Farr non se la prese, perché se l’era aspettato. Esplorò in gondola canali e lagune, passeggiò per i viali, seguito a turno da almeno tre Szecr che lo tenevano d’occhio nei viali, o dai baccelli più vicini alle terrazze pubbliche.
Una volta, Farr si spinse lungo il bordo della laguna fino all’estremo lembo dell’isola, una zona tutta sabbia e rocce esposta ai venti e al sole. Qui vivevano le caste più basse, in modeste case a tre baccelli che crescevano in lunghe file su viali di sabbia infuocata. Queste abitazioni erano di un colore neutro, grigioverde sfumato di marrone con un ciuffo centrale di grosse foglie che ombreggiavano i baccelli stessi. Non era permesso esportare case di quel tipo, e Farr, uomo dotato di profonda coscienza sociale, si sentì avvampare d’indignazione. Era una vergogna che simili case non potessero essere offerte ai miliardi di terrestri bisognosi! Un intero quartiere di abitazioni come quelle sarebbe costato pochissimo: il solo costo della semente! Farr si avvicinò a una casa e sbirciò dentro un baccello che pendeva basso. In quel momento cadde un ramo e se Farr non fosse stato pronto a scostarsi, sarebbe rimasto schiacciato, invece fu sfiorato solo dalle foglie. Uno Szecr, che sostava a una ventina di metri, si avvicinò dicendo: — Vi consiglio di non molestare le piante.
— Non stavo molestando nessuno!
— L’albero la pensava diversamente — replicò lo Szecr con sicurezza. — Hanno imparato a sospettare degli stranieri. Fra le caste inferiori — e lo Szecr sputò con disprezzo — ci sono faide e liti in continuazione, e gli alberi si trovano a disagio in presenza di stranieri.
Farr si volse a esaminare la pianta con rinnovato interesse: — Intendete dire che l’albero possiede una mente cosciente?
Lo Szecr rispose con un’indifferente alzata di spalle.
— Ma perché non esportate queste piante? — continuò Farr. — Sarebbe un commercio fiorentissimo. Ci sono fin troppe persone che si accontenterebbero di abitazioni come queste, non potendosene permettere di migliori.
— Vi siete risposto da solo — replicò lo Szecr. — Chi ha il monopolio sulla Terra?
— K. Penche.
— È ricco?
— Ricchissimo.
— Sarebbe altrettanto ricco se vendesse tuguri come questi?
— Credo.
Lo Szecr fece per allontanarsi. — Comunque — concluse — noi non vogliamo trarne profitto. Non è meno difficile sradicare, imballare e spedire queste case che non quelle di classe AA che abbiamo deciso di esportare… E mi raccomando di non cercar più di esaminare così da vicino una casa. Potreste farvi male sul serio. Le case non sono così indulgenti verso gli intrusi come lo sono i loro abitanti.
Farr continuò a vagabondare per l’isola, giungendo in una zona dove si estendevano frutteti in cui crescevano rozzi arbusti al cui centro spuntavano ciuffi di baccelli color ebano lunghi una decina di centimetri e del diametro di due e mezzo lisci, lustri, rigidi. Farr cercò di esaminarli da vicino, ma lo Szecr intervenne immediatamente.
— Non sono alberi-casa — protestò Farr — e comunque non ho intenzione di fare danni. Sono un botanico e le piante insolite m’interessano.
— Non importa — disse lo Szecr, un tenente. — Né le piante né i ceppi che le producono sono di vostra proprietà e quindi non vi devono interessare.
— A quanto pare gli Iszici non danno alcun credito alla curiosità intellettuale — osservò Farr.
— In compenso ce ne intendiamo moltissimo di rapine, furti, sfruttamento, imbrogli.
Farr non seppe cosa rispondere e, con un sorrisetto acido, continuò la sua passeggiata lungo il litorale per poi tornare verso i baccelli e le foglie multicolori della città.
C’era un aspetto della sorveglianza a cui era sottoposto che gli dava da pensare. Additando un agente poco lontano, domandò al tenente Szecr: — Perché mi imita? Se mi siedo, si mette lui pure a sedere. Se bevo, beve anche lui. Se mi gratto il naso, si gratta il naso.
— Si tratta di una tecnica speciale — spiegò l’altro. — Così impariamo a indovinare i vostri pensieri.
— Non è possibile.
— Forse Farr Sainh ha ragione — ammise il tenente con un inchino.
— Siete davvero convinti di riuscire a prevedere le mie mosse? — domandò con tono ironico Farr.
— Possiamo limitarci a fare del nostro meglio.
— Oggi pomeriggio ho intenzione di affittare un battello da mare. Lo avevate indovinato?
Il tenente gli mostrò un foglio. — Ho già pronto il permesso. La barca si chiama Lhaiz e ho già ingaggiato l’equipaggio.