PARTE I 2010 d. C.

CAPITOLO PRIMO

La Strada per Armageddon

La neve stava scendendo in piccoli fiocchi. La sua caduta, lenta e costante, aveva aggiunto quasi quattro pollici di nuovi cristalli alla superficie gelata. Due piedi più sotto, con il tronco arrotolato e il naso nascosto nella spessa pellicia, la grande orsa giaceva immobile. Pareti di ghiaccio traslucido formavano grotte intorno alla pelliccia bruno-chiara.

La voce arrivava attraverso la caverna come un filo di suono disincarnato. — Il livello del sodio sta scendendo ancora. Pare proprio brutta, Gesù Cristo. Prova ancora un ciclo.

Alla periferia della caverna un tremolio di luce colorata cominciò ad ammiccare. Le pareti brillarono rosse, azzurro chiaro, e infine sfavillarono di un verde abbagliante. Una punteggiatura di colori puri tracciò un disegno increspato sulle palpebre chiuse della bestia.

L’orsa dormiva sul ciglio della morte. La temperatura del suo corpo rimaneva costante, dieci gradi al di sopra del punto di congelamento. Quell’enorme cuore pompava a due pigri battiti al minuto, l’indice metabolico era sceso di un fattore di cinquanta. Il respiro si stava indebolendo in modo costante, tradito adesso soltanto dal sottile strato di cristalli di ghiaccio della frangia della barba bianca e intorno al muso arrotondato.

— Non va bene. — Nella voce echeggiò un’ulteriore nota d’urgenza. — Scende ancora, e stiamo perdendo la traccia delle pulsazioni. Dobbiamo rischiare. Dalle una scossa più forte.

Il disegno della luce si alterò. Vi fu una stilettata di magenta, un rapido ammiccare di zaffiro e turchino, poi una spruzzata di punti color zafferano e rubino sulle pareti ghiacciate. A mano a mano che l’arcobaleno veniva modulato, l’orsa cominciò a reagire al segnale. Gli occhi color ardesia tremolarono nella lunga testa liscia. L’enorme torace fremette.

— È il massimo che oso tentare. — La seconda voce era più profonda. — Cominciamo ad avere una maggior fibrillazione cardiaca.

— Mantieniti a questo livello. E tieni d’occhio la temperatura rettale. Perché mai sta succedendo proprio adesso? — La voce echeggiò angosciata attraverso la caverna dalle spesse pareti.

La cavità in cui l’orsa giaceva era larga quindici metri. Attraverso la parete esterna correva una ragnatela di fibre ottiche. Passava sotto il ghiaccio arrivando fino a una scatola tozza vicino al corpo della bestia. Deboli segnali elettronici giungevano da aghi piantati in profondità nella pelle coriacea dell’animale, dove i sensori controllavano le decrescenti correnti vitali del grande corpo. La conduttività della pelle, il battito del grande cuore, la pressione sanguigna, la temperatura, gli equilibri chimici, la concentrazione ionica, i movimenti degli occhi e le onde cerebrali venivano continuamente controllati. Codificati e amplificati nella scatola quadrata, i segnali passavano come impulsi di luce lungo le fibre ottiche fino a un pannello sistemato all’esterno della parete.

La donna china sopra il pannello fuori della cavità aveva all’incirca trent’anni. I suoi capelli scuri erano tagliati corti sopra una fronte alta e liscia che adesso si stava corrugando mentre studiava i monitor. Stava osservando un read-out digitale che vibrava rapido scandendo una sequenza ripetuta di valori. Era scalza e le dita dei piedi si agitavano nervosamente a mano a mano che i valori del read-out digitale si muovevano più in fretta.

— Non va. Sta ancora peggiorando. Non possiamo invertirlo?

L’uomo accanto a lei scosse la testa. — No, senza ucciderla più in fretta. La sua temperatura è scesa fin troppo, e la sua attività cerebrale è al di sotto del nostro controllo. Temo che la perderemo. — La sua voce era calma e lenta, rigidamente controllata. Si girò e fissò la donna, in attesa d’istruzioni.

Lei tirò un respiro lungo e fremente. — Non dobbiamo perderla. Dev’esserci qualcos’altro che possiamo fare. Oh, mio Dio. — Si alzò in piedi, rivelando una corporatura agile e flessuosa che accentuava la sottigliezza delle sue spalle curve. — Jinx potrebbe trovarsi nella stessa situazione. Hai controllato il suo recinto per vedere come se la sta cavando?

Wolfgang Gibbs sbuffò. — Dammi credito per qualcosa, Charlene. L’ho controllato pochi minuti fa. Là tutto è stabile. L’ho tenuto in ritardo di quattro ore rispetto alla nostra Dolly, qui, perché non sapevo se questa mossa fosse sicura. — Scrollò le spalle. — Adesso lo sappiamo, immagino. Guarda l’elettroencefalogramma di Dolly. Farai meglio ad accettarlo, donna-capo. Non c’è una sola cosa che possiamo fare per lei.

Sullo schermo davanti a loro lo schema dei segnali elettrici provenienti dal cervello dell’orsa cominciava ad appiattirsi. Ogni traccia di fusi era scomparsa e l’ampiezza delle sinusoidi residue stava calando.

La donna ebbe un brivido, poi sospirò. — Dannazione, dannazione, dannazione. — Si passò le mani attraverso i capelli scuri. — E adesso cosa si fa? Non posso restare ancora per molto, la riunione con Judith Niles comincia fra meno di mezz’ora. Cosa diavolo le dirò? Aveva riposto tante speranze in questa…

Si raddrizzò sotto lo sguardo diretto dell’altro. C’era sempre un elemento indagatore nella sua espressione che la faceva sentire a disagio.

Lui scrollò un’altra volta le spalle e se ne uscì in un’aspra risata. — Dille che non abbiamo mai promesso miracoli. — Nella sua voce le vocali avevano una risonanza asciutta, a indicare nel suo inglese una lingua appresa tardi. — Gli orsi non vanno in ibernazione alla maniera degli altri animali. Perfino JN lo ammetterebbe. Dormono molto e la temperatura del corpo scende, ma è un processo metabolico diverso. — Dalla consolle arrivò un bip. — Attenta, adesso. Se ne sta andando.

Sullo schermo davanti a loro la traccia dell’attività cerebrale era ridotta a un’unica linea orizzontale. Osservarono in silenzio per un intero minuto, fino a quando non ci fu un ultimo, debole fremito del sensore del cuore.

L’uomo si sporse in avanti e girò al massimo l’amplificatore. Grugnì. — Niente. Se n’è andata. Povera vecchia Dolly.

— E cosa dirò io a JN?

— La verità. Ne conosce già la maggior parte. Con Jinx e Dolly siamo andati più in là di quanto JN avesse qualche ragione, anche minima, di sperare. Te l’avevo detto che gli orsi erano un campo rischioso, ma abbiamo continuato a insistere.

— Speravo di riuscire a tener sotto Jinx per altri quattro giorni almeno. Adesso non possiamo rischiare. Dovrò dire a JN che lo sveglieremo subito.

— O così, o lo ammazzeremo. Hai visto i monitor. — Mentre parlava era già passato ai controlli delle iniezioni della seconda cavità sperimentale, e stava aumentando con cautela i livelli ormonali nella massa corporea pesante mezza tonnellata di Jinx. — Ma sei tu il capo. Se insisti, lo terrò sotto un po’ più a lungo.

— No. — Si stava masticando le labbra, dondolandosi avanti e indietro davanti allo schermo. — Non possiamo correre il rischio. Procedi, Wolfgang, fallo riavere del tutto. Piena consapevolezza. Quanto è rimasta sotto in totale, Dolly?

— Centonovantun ore e quattordici minuti.

Lei scoppiò in una risata nervosa e torse i piedi per tornare a infilarli nelle scarpe. — Be’, è pur sempre un record per questa specie. Se non altro questo ci servirà di conforto. Puoi finire senza di me?

— Dovrò farlo. Non preoccuparti, se oggi questa è la mia quarta ora di straordinario. — Sorrise amareggiato, ma più fra sé che a Charlene. — Sai cosa penso? Semmai JN dovesse trovare un sistema per far rimanere un essere umano sveglio e sano di mente per ventiquattr’ore al giorno, la sua prima iniziativa sarà quella di far fare tre turni a gente come noi.

Charlene Bloom gli sorrise e annuì, ma la sua mente stava già andando al temuto incontro. A capo chino si avviò attraverso l’edificio simile a un hangar, il rumore dei suoi passi echeggiò fino all’alto tetto ondulato. Dietro di lei Wolfgang la guardò partire. La sua espressione era un misto di rabbia e di dolore.

— Esatto, Charlene — grugnì fra i denti. — Sei tu il capo, perciò tocca a te perderti le sfuriate. Mi sembra giusto. Ce lo meritiamo tutti e due, dopo quello che abbiamo fatto alla povera vecchia Dolly. Ma dovresti smetterla di leccare il culo a JN, e dirle invece che si sta facendo troppa fretta. È probabile che ti affidi la gestione delle clips, ma te lo meriti, avresti dovuto picchiare ben bene i piedi per terra, prima che perdessimo un campione da esperimento.

A cento metri di distanza lungo il tratto sgombro del pavimento, Charlene Bloom si girò di scatto per fissarlo. Lui parve sorpreso, sollevò la mano, e le fece un mezzo segno impacciato di saluto.

— Mi stai leggendo il pensiero? — Sbuffò, riportò l’attenzione alla sua consolle. — No, é soltanto pusillanimità. Lei preferirebbe rimaner qui, piuttosto che riferire a JN quello che è successo nell’ultima mezz’ora.

Passò al display di Jinx. Il grande orso bruno doveva essere riportato alla piena coscienza a una frazione di grado per volta. Non potevano permettersi di perderne un altro.

Si sfregò il mento ispido, si grattò l’inguine con fare assente, e si concentrò sui segnali telemetrici. Qual era il modo migliore? Nessuno aveva una vera esperienza in materia, neppure la stessa JN.

— Suvvia, Jinx. Facciamolo nella maniera giusta. Noi non vogliamo che tu soffra quando il tuo sangue ricomincerà a circolare, no? Prima lo zucchero nel sangue, d’accordo, poi l’equilibrio della serotonina e del potassio? Mi sembra ottimo.

Wolfgang Gibbs non era realmente arrabbiato con Charlene, gli piaceva troppo. Era la preoccupazione per Dolly e Jinx a scombussolarlo. Lui aveva poca pazienza o rispetto per la maggior parte dei suoi superiori. Ma per gli orsi Kodiak e gli altri animali che gli erano stati affidati aveva una smisurata dose di affetto e sollecitudine.

CAPITOLO SECONDO

Charlene Bloom impiegò quasi un quarto d’ora a percorrere l’intera lunghezza del capannone principale. Era più di una semplice riluttanza a partecipare alla riunione, quella che faceva rallentare i suoi passi. C’erano cinquanta esperimenti in corso nell’edificio. E per la maggior parte sotto il suo controllo amministrativo.

Sotto una volta fiocamente illuminata si aggiravano una ventina di gatti domestici, insonni e squilibrati. Una delicata operazione aveva rimosso parte della formazione reticolare, la sezione del cervello posteriore che controlla il sonno. Scorse i dati. Adesso erano svegli in continuazione da più di millecentoottanta ore, un mese e mezzo. I monitor mostravano finalmente i segni di una disfunzione neurologica. Poteva ragionevolmente definirla pazzia felina nei suoi rapporti mensili.

Adesso la maggior parte degli animali non mostrava alcun interesse nel cibo o nel sesso. Un piccolo gruppo era diventato feroce, attaccando qualunque cosa si avvicinasse a loro. Ma erano ancora tutti vivi. Quello era un progresso. Il loro penultimo esperimento era fallito in meno della metà di quel tempo.

Ogni settore dell’edificio conteneva dei recinti a temperatura controllata. Nella sezione successiva arrivò a una stanza dov’erano ospitati i marsupiali e i roditori in ibernazione. Passò lentamente davanti a ciascuna gabbia chiusa, tra le alte pareti: la sua attenzione era divisa fra gli animali e le considerazioni sull’imminente riunione.

Le marmotte e gli scoiattoli comuni erano lì, accanto ai gerboa mutati. Chi gestiva quella sezione? Aston, se ricordava bene. Non altrettanto organizzato né gran lavoratore, se paragonato a Wolfgang Gibbs, ma per lo meno non le faceva correre i brividi lungo la spina dorsale. Lei era più alta di Wolfgang. E sua superiore di tre gradi. Ma c’era qualcosa in quei suoi occhi bronzei… qualcosa che ricordava gli animali. Wolfgang non aveva paura degli orsi, o dei grossi felini, e neppure dei suoi superiori. Un pensiero inquietante le balenò all’improvviso nella mente. Quello sguardo. Una sera Wolfgang le avrebbe chiesto di uscire con lui. E poi?

D’un tratto, consapevole che il tempo stava passando, cominciò a correre lungo il corridoio successivo. Le scarpe la paralizzavano, ma non poteva permettersi di arrivare in ritardo. Quelle maledette scarpe… perché non riusciva mai a trovarne un paio che le andasse bene, come facevano tutti? Non devo arrivare in ritardo. Nei laboratori, da quando JN era stata nominata direttrice, la mancanza di puntualità era un peccato mortale («Quando fai tardare l’inizio d’una riunione, rubi il tempo a tutti facendo loro pagare la tua mancanza di efficienza…»).

Il corridoio si prolungava fuori dell’edificio principale, diventando un lungo marciapiede coperto. Rivolse il suo primo sguardo al disegno delle nuvole di metà mattina. Stava ancora cercando di piovere. Cosa mai stava succedendo? Il tempo era proprio ammattito. Da quando il ciclo climatico aveva cominciato a dare i numeri, nessuna delle previsioni valeva più una cicca. Una nebbia bassa si arricciava sopra le colline vicino a Christchurch, e faceva più caldo di quanto avrebbe dovuto. Stando a tutti i rapporti, la situazione era altrettanto brutta nell’emisfero settentrionale, almeno quanto lo era in Nuova Zelanda. E gli americani, i sovietici e gli europei stavano soffrendo d’una insufficienza di raccolti molto maggiore.

La sua mente riandò al primo laboratorio. Ogni cosa era stata concepita per produrre meno umidità. Non c’era da meravigliarsi che i condizionatori d’aria facessero nevicare su Jinx, l’umidità esterna doveva essere prossima al cento per cento. Forse avrebbero dovuto aggiungere un deumidificatore al sistema, quello che avevano adesso stava funzionando come una maledetta macchina per produrre neve. Avrebbe dovuto chiedere quell’aggiunta all’equipaggiamento alla riunione di oggi?

La riunione.

Charlene strappò la propria attenzione dagli esperimenti di laboratorio. Avrebbe avuto tutto il tempo di preoccuparsene più tardi. Accelerò il passo: su per una breve rampa di scale, una svolta a sinistra, e si trovò nella C-53, la sala conferenze dove venivano tenuti i riesami settimanali. E, grazie a Dio, c’era arrivata prima di JN.

S’infilò al suo posto al lungo tavolo, salutando con un cenno della testa gli altri che erano già seduti: «Ammazzafelini» Cannon da fisiologia, de Vries da Soggetti Esterni; Beppo Cameron da Farmacologia (con un tromboncino all’occhiello, dove diavolo l’aveva trovato, con quel clima inclemente?). Gli altri la ignorarono e continuarono ad esaminare le loro cartelle aperte.

Cinque minuti alle undici. Aveva pochi minuti per rivedere le proprie dichiarazioni e fissare per la centesima volta il ricamo incorniciato appeso alla parete opposta. Si trovava lì da quando c’era lei. Avrebbe potuto chiudere gli occhi e recitarlo a memoria:

Considerate quanto il sonno sia una cosa eccellente; è un gioiello talmente inestimabile che, se un tiranno fosse disposto a cedere la propria corona per un’ora di sonno, non troverebbe nessuno disposto a fargliene omaggio: è d’una forma così bella che se anche un uomo dovesse giacere con l’imperatrice, il suo cuore non potrà acquietarsi fino a quando non lascerà i suoi abbracci per riposare con l’altro: sì, siamo talmente indebitati con questo parente della morte, che gli concediamo volentieri il tributo di metà della nostra vita: e c’è un buon motivo per cui lo facciamo, il sonno è la catena dorata che lega insieme la salute e il nostro corpo.

Thomas Dekker.

E sotto quella citazione splendidamente lavorata ad ago, una recente aggiunta nello sfacciato corsivo di Judith Niles:

Balle. In questo istituto il sonno è il nemico.

Charlene Bloom aprì la propria cartella, si appoggiò allo schienale, si sfilò le scarpe nere, tirando con la punta di un piede il calcagno dell’altro. Le undici, e niente direttore. Qualcosa non andava.

Quattro minuti dopo le undici l’altra porta della sala conferenze si aprì e Judith Niles entrò seguita dalla sua segretaria. In ritardo, e aveva un’aria arrabbiata. Sbirciando al di là di Judith, nell’ufficio adiacente, Charlene Bloom vide un uomo alto in piedi accanto alla scrivania. Era sulla prima trentina, aveva capelli riccioluti, un volto piacevole ma adesso aggrondato, intento a fissare qualcosa al di là di una delle pareti.

Un estraneo. Ma quei grandi occhi grigi le parvero vagamente familiari; forse li aveva visti su uno dei bollettini dell’istituto?

Judith Niles era rimasta in piedi per un momento invece di prendere il suo solito posto. Il suo sguardo fece il giro del tavolo per controllare che tutti i capireparto fossero già al loro posto, poi salutò annuendo.

— Buon giorno. Mi spiace avervi fatto aspettare. — Le sue labbra si sporsero imbronciate su quest’ultima parola, e mantennero quell’espressione. — Abbiamo un visitatore inatteso, e devo incontrarmi di nuovo con lui quando questa riunione sarà finita. — Infine si sedette. — Cominciamo. Dottor de Vries, vuole iniziare lei? Sono certa che tutti sono interessati quanto me al resoconto del suo viaggio. Quando è tornato?

Jan de Vries, basso e placido, scrollò le spalle e sorrise al direttore. Lui e Judith Niles vedevano il mondo dalla stessa posizione, mezza testa più in basso della maggior parte del personale. Forse era questo che gli permetteva d’essere rilassato con lei, in un modo che Charlene Bloom giudicava del tutto impossibile.

— La scorsa notte sul tardi. — La sua voce aveva qualità calmanti, lenta e tranquilla come uno sciroppo caldo. — Se mi volete consentire per un momento un commento tangenziale, la cura per la differenza di orario causata dai viaggi in jet che abbiamo messo a punto qui all’Istituto non è da considerarsi un successo completo.

Judith Niles non prendeva mai appunti. La sua segretaria avrebbe registrato ogni singola parola, e lei voleva che la propria mente fosse completamente concentrata sulle vibrazioni palesi e nascoste dell’incontro. Si sporse in avanti e guardò da vicino il volto di de Vries. — Suppongo che lei parli per esperienza diretta?

De Vries annuì. — L’ho utilizzata per il viaggio in Pakistan. Oggi mi sento malissimo, e gli esami del sangue confermano le mie condizioni. I miei ritmi circadici stanno ancora cercando di riemergere in qualche punto fra qui e Rawalpindi.

Il direttore guardò Beppo Cameron, sollevando le scure sopracciglia. — Sarà meglio che diamo un’altra occhiata alla cura, eh? Ma che ha da dirci sulla questione principale, Jan? Ahmed Ameer, è un fatto indubitabile o una finzione?

— Purtroppo si tratta di una finzione. — De Vries aprì il suo quaderno di appunti. — Stando al rapporto che abbiamo ricevuto, Ahmed Ameer non ha mai dormito più di un’ora per notte. Da quando aveva sedici anni (fanno nove anni, poiché adesso ne ha venticinque) giura non aver mai chiuso occhio.

— È la verità?

De Vries si sfregò i baffi sottili. — Ho qui i miei appunti completi, e verranno immessi nel film. Ma li posso assumere in una sola parola: esagerazione. Durante i sei giorni e le sei notti che siamo rimasti con lui, ha passato due notti senza dormire. Una notte ha dormito per quattro ore e un quarto. Per le altre tre notti, ha dormito poco più di due ore e mezzo ognuna.

— Salute normale?

— Pare di sì. Non dorme molto, ma abbiamo avuto altri soggetti che dormivano meno di lui, proprio qui nell’Istituto.

Judith Niles lo stava guardando con molta attenzione. — Ma lei non mi dà l’impressione di un uomo che ha sprecato una settimana per un’impresa inutile. Qual è il resto della storia?

— Mio percettivo superiore. — De Vries aveva assunto un’espressione angelica. — Lei ha proprio ragione. Durante il viaggio di ritorno ho fatto tappa ad Ankara per controllare qualcosa di estremamente impossibile: un’altra di quelle voci uscite dai laboratori del Cairo su un monaco che veglia sulle reliquie di Santo Stefano. Uno dei sacri paramenti è stato rubato un paio d’anni fa, mentre era in servizio, e dopo di ciò, si racconta, il monaco giurò che non avrebbe mai più dormito.

— E allora? — Judith Niles divenne tesa mentre aspettava la sua risposta.

— Non del tutto, ma molto più vicini di quanto ci fossimo arrivati prima. — De Vries traboccava di sorniona soddisfazione. — Lei crederebbe a una media giornaliera di sonno di ventinove minuti? E non rimane seduto su una sedia a ciondolare la testa per pochi minuti, quando nessuno guarda. L’abbiamo collegato a una unità telemetrica per undici giorni. Abbiamo i test biochimici il più possibile esaurienti. Vedrà il mio rapporto completo non appena qualcuno potrà trascriverlo per lei.

— Lo voglio oggi stesso. Dica a Joyce Savin che il suo rapporto ha la priorità assoluta. — Judith Niles rivolse a de Vries un lieve cenno di approvazione. — Qualcos’altro?

— Niente che valga la pena di raccontare. Entro domani le farò avere il mio rapporto completo.

De Vries strizzò l’occhio a Charlene seduta sul lato opposto del tavolo. E non lo leggerà mai, diceva la sua espressione. Il direttore faceva conto che fosse il suo staff a star dietro ai dettagli. Nessuno sapeva mai quanto tempo passasse ad esaminare un particolare rapporto del suo staff. Talvolta il più piccolo elemento di un dato impegnava la sua attenzione per giorni interi, altre volte progetti importanti non venivano studiati per molti mesi.

Judith Niles dette una rapida occhiata al suo orologio. — Dottor Bloom, lei è la prossima, vorrei potermi dedicare a fondo al nostro visitatore prima di pranzo, se è possibile.

Ma dietro di me sento sempre il carro alato del tempo che m’incalza da vicino… Charlene digrignò i denti. JN era ossessionata dal sonno e dal tempo. E la maggior parte di ciò che Charlene poteva offrire erano notizie brutte. Chinò la testa sopra il suo quaderno di appunti, riluttante a cominciare.

— Abbiamo appena perso uno dei kodiak — disse a un tratto. Vi fu un fruscio quando tutti quelli seduti intorno al lungo tavolo si raddrizzarono sulle loro sedie. Charlene continuò a tenere la testa bassa. — Gibbs ha portato giù Dolly, pochi gradi al di sopra del punto di congelamento, e ha cercato di mantenere un livello positivo di attività cerebrale.

Adesso nella stanza era sceso un silenzio sovraccarico di tensione. Charlene deglutì, sentì un nodo in gola, e si affrettò a proseguire: — La procedura è la stessa che ho descritto nel mio rapporto della settimana scorsa per il Comitato di Revisione. Ma questa volta non siamo riusciti a stabilizzare. Gli schemi delle onde cerebrali divagavano, cercando nuovi livelli di stabilità, e c’erano soglie alfa spurie. Quando abbiamo cominciato a far risalire la temperatura del corpo, le funzioni corporee sono saltate. Oscillazioni dappertutto. Ho portato con me la lista degli output, e se volete vederli li farò girare.

— Più tardi. — L’espressione di Judith Niles era un misto di concentrazione e di rabbia. Charlene conosceva quello sguardo. Il direttore si aspettava che tutti e tutto spartissero con lei la sua ansia fremente di arrivare al Sonno Zero. Dolly li aveva traditi. Il volto di JN era impallidito, ma la sua voce era calma e concreta.

— Gibbs, ha detto? Wolfgang Gibbs? È quel tipo con i capelli ricci? Si è occupato lui stesso delle operazioni di discesa e ascesa?

— Sì. Ma non ho nessun motivo di mettere in dubbio la sua competenza…

— Neanch’io. Non è questo che sto suggerendo. Ho letto i suoi rapporti. È in gamba. — Judith Niles rivolse un gesto alla segretaria al suo fianco. — C’erano altre anomalie che lei considera significative?

— Una. — Charlene Bloom tirò un profondo respiro e portò la propria attenzione su una nuova pagina del suo quaderno di appunti. — Quand’eravamo all’incirca una quindicina di gradi al di sopra del punto di congelamento, gli schemi dell’onda cerebrale hanno raggiunto una forma molto stabile. E Wolfgang Gibbs ha notato una cosa molto strana. Parevano avere lo stesso profilo dei ritmi del cervello alla temperatura normale, soltanto allungati nel tempo.

Charlene fece una pausa. All’estremità del tavolo Judith Niles si era rizzata all’improvviso, con un sobbalzo.

Quanto simili?

— Non l’abbiamo ancora dato in pasto al computer. A occhio nudo parevano identici, ma cinquanta volte più lenti del normale.

Per una frazione di secondo Charlene ebbe l’impressione d’una fugace occhiata rimbalzata fra Judith Niles e Jan de Vries, poi il direttore concentrò tutta la potenza del suo sguardo su di lei. — È qualcosa che voglio vedere con i miei occhi. Oggi sul tardi il dottor de Vries ed io verremo fuori nell’hangar e daremo un’occhiata a questo progetto. Ma adesso che siamo tutti qui, ripassiamolo un po’ più nei dettagli. Per quanto tempo ha mantenuto la fase stabile, e qual era la più bassa temperatura del corpo? E le regolazioni triptofaniche?

Sotto il ripiano del tavolo, Charlene si sfregò le mani sui lati della gonna. Stavano per sorbirsi una seduta di approfondimento, su questo ormai non c’era dubbio. Le mani cominciarono a tremarle, e percepì un nuovo velo di sudore sui palmi. Era ben preparata? L’avrebbe saputo fra pochi minuti. Con il direttore dell’umore giusto per i particolari, il visitatore giunto da fuori all’istituto avrebbe dovuto affrontare una lunga attesa.

CAPITOLO TERZO

Per Hans Gibbs la giornata stava diventando lunga e confusa.

Quando gli era stata suggerita la prima volta una visita all’Istituto di Neurologia dell’ONU a Christchurch, sul latogiù, gli era parso il cambiamento ideale della routine. Avrebbe trascorso una settimana sulla Terra in condizioni di gravità totale invece del quarto di G di PSS-One. Si sarebbe guadagnato un’infornata di crediti per gli esercizi fisici, e lui aveva bisogno di tutti quelli che riusciva a mettere insieme. Avrebbe potuto prendere alcune cose sul latogiù che raramente venivano portate su nel carico della navetta: quanto tempo era passato da quando su PSS-One aveva gustato un’ostrica? E anche se Christchurch era giù nella Nuova Zelanda, lontano dai centri d’azione della politica, sarebbe stato in grado di formarsi le proprie impressioni sulle più recenti tensioni mondiali. Stavano volando un sacco di accuse e controaccuse, ma c’erano buone possibilità che si trattasse delle solite vecchie sfuriate che i latogiù definivano ingenuamente diplomazia.

E, meglio di ogni altra cosa, avrebbe potuto trascorrere un paio di serate con il vecchio e libidinoso Wolfgang. L’ultima volta che erano usciti insieme in città suo cugino era ancora sposato. Questo aveva messo un freno alle cose (ma meno di quanto avrebbe dovuto: forse era questa una delle ragioni per cui Wolfgang, adesso, non era più sposato?).

Il viaggio fin giù era stato un disastro. Non il volo con la navetta, naturalmente; quelle erano state due ore di rilassamento, un liscio rientro seguito dall’attivazione delle turboeliche e una lunga discesa libera fino ad Aussieport nella Nuova Guinea settentrionale. L’atterraggio era avvenuto in perfetto orario. Ma quella era stata l’ultima cosa ad andare secondo i piani.

Lo spazioporto australiano, che serviva, insieme all’Australia, la Nuova Zelanda e la Micronesia, di solito vantava un atteggiamento informale e una grande offerta di eccitazioni. Secondo la leggenda, il visitatore poteva trovare a pochi chilometri dallo spazioporto un elenco completo dei vizi convenzionali del mondo, più qualcuno di quelli non convenzionali (il cannibalismo faceva parte della vita nativa della Nuova Guinea, mentre altrove era scomparso da molto tempo).

Ma, oggigiorno, ogni informalità era scomparsa. Il porto si era riempito di funzionari dalla faccia tetra, intenti a controllare ogni singolo articolo del suo bagaglio, i documenti, i piani di viaggio, e il motivo della sua venuta. Era stato sottoposto a quattro ore d’interrogatorio. Aveva parenti in Giappone o negli Stati Uniti? Simpatizzava con il Movimento per la Distribuzione del Cibo? Cosa pensava del Partito Isolazionalista Australiano? Ci parli nei dettagli di qualsiasi nuovo procedimento per la produzione del cibo sintetico messo a punto per le arcologie dirette verso l’esterno.

Sì, stavano accadendo un sacco di cose in quel campo, come aveva subito ammesso, ma era stato salvato dalla semplice ignoranza. Sicuro, c’erano nuovi metodi per i cibi sintetici, buoni metodi, ma lui non ne sapeva nulla, non gli sarebbe stato permesso di saperlo: comportavano un alto livello di segretezza commerciale.

Il suo primo regalo per Wolfgang, una gemma pura da due carati, prodotta nell’autoclave orbitante su PSS-One, era stata trattenuta per essere sottoposta a un esame. Era stato informato in modo secco e conciso che se la gemma avesse superato l’ispezione, gliel’avrebbero spedita al suo alloggio presso l’Istituto. L’altro suo regalo era stato confiscato senza nessuna promessa di restituzione. I semi sviluppati nello spazio avrebbero potuto contaminare qualche elemento-chiave della flora australasiana.

A quel punto aveva perso la pazienza. Aveva fatto notare che i semi erano sterili. Li aveva portati con sé soltanto come novità, per le loro strane forme e colori.

— Cosa diavolo vi è successo, gente? — si era lamentato. — Non è la prima volta che vengo qui. Sono un abituale, basta che diate un’occhiata a questi visti. Cosa pensate che io abbia intenzione di fare, irrompere nella Cornwall House e violentare la First Lady?

L’avevano fissato stolidamente, soppesando la sua dichiarazione, poi avevano proseguito con l’interrogatorio. Non aveva più provato a replicare. Due anni prima la frenetica vita sessuale della moglie del Premier era stato l’argomento preferito da tutti. Adesso non suscitava neppure un battito di palpebre. Se la maggior parte della Terra era così, i cambiamenti climatici dovevano produrre effetti peggiori di quanto chiunque delle nazioni benestanti fosse disposto ad ammettere. Quelle meno fortunate erano disposte a parlarne, implorando aiuto durante le interminabili e improduttive sedute delle Nazioni Unite.

Quando finalmente gli era stato consentito di chiudere le valigie e proseguire per la sua strada, il trasporto veloce per Christchurch era già partito. Si era trovato con un saltastagni a mach-uno che aveva trasformato un’ora di volo in una maratona di sei. Ad ogni fermata si era ripetuta l’ispezione ai documenti e al bagaglio.

Quando aveva raggiunto l’ultimo atterraggio, era arrabbiato, affamato ed esausto. Le formalità d’ingresso a Christchurch gli erano parse durare un’eternità, ma riconobbe che erano superficiali e frettolose al confronto di quelle di Aussieport: aveva l’impressione che gli fossero state fatte tutte le domande possibili al mondo, e le sue risposte erano state trasmesse alle banche dati centralizzate australiane.

Quando alla fine aveva raggiunto l’Istituto ed era stato introdotto nel grande ufficio di Judith Niles, era l’una di notte all’orologio interno del suo corpo, anche se l’ora locale indicava che non era ancora mezzogiorno. Aveva inghiottito uno stimolante, di un tipo in origine messo a punto proprio qui, nell’Istituto, e aveva esplorato intorno a sé gli affissi e gli infissi dell’ufficio.

Su una parete era appeso un grafico per il controllo delle ore di sonno personali, dello stesso tipo che utilizzava lui. Lei arrivava a una media di poco meno di sei ore per notte, oltre a un breve pisolino dopo il pranzo un giorno sì e uno no. Si era poi spostato verso gli scaffali dei libri. C’erano i titoli prevedibili: il libro di Dement e Oswald e Colquhoun sul sonno; il testo di Fisher-Koral sull’ibernazione dei mammiferi; le anamnesi di Williams sui sofferenti d’insonnia. Il corso accelerato che aveva ricevuto su PSS-One l’aveva obbligato a dare una scorsa a tutti, anche se la biblioteca che avevano lassù non era concepita per immagazzinare copie di carta come quelle.

La vecchia monografia di Brenner gli risultò nuova. Lavori mai pubblicati relativi ad esperimenti sul bulbo? Pareva improbabile: in quel campo Moruzzi aveva ripulito a fondo le ossa ancora negli anni Quaranta. Ma quel dorso rosso accanto ad esso, «Analisi Riveduta»?

Allungò una mano per toglierlo dallo scaffale, poi esitò. Non sarebbe stato bene partire con il piede sbagliato con Judith Niles: quell’incontro era importante. Meglio aspettare e chiederle il permesso.

Si sfregò gli occhi e girò le spalle alla libreria per guardare le immagini sulla parete opposta alla finestra. Era stato bene istruito, ma quanto più fosse riuscito ad apprendere grazie alle sue osservazioni personali, meno il suo lavoro sarebbe stato impossibile.

Su quella parete c’era un gran numero di fotografie incorniciate, fatte insieme a Presidenti, Primi Ministri e uomini d’affari. Al posto d’onore c’era l’immagine di un uomo dai capelli grigi con un grande mento e occhiali senz’orlo. Sul bordo, in basso, scritte a mano, c’erano le parole: Roger Morton Niles, 1921-1989. Il padre di Judith? Quasi certamente, ma quell’aggiunta di date all’immagine del padre aveva qualcosa di curiosamente impersonale. C’era una ben definita rassomiglianza di famiglia, soprattutto nello sguardo fermo e negli zigomi alti. Paragonò l’immagine di Roger Morton Niles con una fotografia, lì accanto, di Judith Niles, che stringeva la mano a un’anziana donna indiana.

Strano. Le descrizioni biografiche scritte non corrispondevano affatto alla persona che era passata come un turbine attraverso l’ufficio rivolgendogli il più breve e il più astratto dei saluti. E ancora meno corrispondeva all’immagine della donna che adesso era lì, davanti a lui. Basandosi sulla sua posizione e sui suoi successi, si era aspettato qualcuno sulla quarantina o sulla cinquantina. Ma Judith Niles non poteva avere più di trentacinque anni. Ed era anche carina. Il volto era appena d’una frazione troppo sottile, con occhi e fronte molto seri; ma questo era compensato da zigomi curvi nettamente modellati, una carnagione chiara, e una bellissima bocca. E c’era qualcosa nella sua espressione… oppure era soltanto la sua immaginazione? No, non aveva quell’espressione…

— Signor Gibbs? — La voce da dietro le spalle lo fece grugnire e girare di scatto. Sulla soglia della porta aperta era comparsa una segretaria, mentre lui stava sognando ad occhi aperti, aprendosi una via attraverso le fotografie alle pareti.

Grazie al cielo, non era ancora possibile leggere la mente. Come sarebbe parso ridicolo a un osservatore l’attuale filo dei suoi pensieri: si trovava là, arrivato in volo per un incontro confidenziale e altamente cruciale con il direttore dell’Istituto, e nel giro di due minuti la stava già valutando come un oggetto sessuale.

Si girò con un sorrisetto sul viso. La segretaria lo stava fissando con le sopracciglia sollevate. — Mi spiace averla fatta sussultare, signor Gibbs, ma l’incontro dello staff è finito e adesso il direttore può incontrarla. Ha suggerito che forse lei preferisce discutere durante il pranzo, piuttosto che incontrarsi qui. In questo modo lei avrà più tempo a disposizione.

Lui esitò. — La faccenda di cui devo parlare con il direttore…

— È privata? Sì, il direttore ha detto che capisce il bisogno di privacy. C’è una stanza tranquilla fuori della sala da pranzo principale. Sarete soltanto in due, lei e il direttore.

— Bene, mi faccia strada. — Cominciò a ripassare le sue argomentazioni mentre la segretaria lo precedeva lungo il corridoio cupo e sbiadito.

La stanza era tutto fuorché privata; poté vedere cento modi per piantarci dei microfoni-spia. Ma quanto meno offriva un isolamento superficiale dalle altre orecchie. Avrebbe dovuto correre il rischio. Se qualcuno avesse registrato il loro colloquio, l’avrebbe fatto certamente a beneficio della stessa Judith Niles, e la cosa non sarebbe arrivata oltre. Quando entrò sbatté le palpebre. Le luci del soffitto, come ogni altra luce che aveva visto all’interno dell’Istituto, era d’un chiarore sopraffacente. Se l’oscurità era l’alleata del sonno, Judith Niles di sicuro non tollerava la sua presenza.

Lo stava aspettando seduta a un lungo tavolo, aggiungendo con calma dati a un elenco di produzione. Non appena lui si sedette, lei ripiegò il foglio e parlò senza perdere neanche un istante per i convenevoli.

— Mi sono presa la libertà di ordinare per tutti e due. C’è una scelta limitata e ho pensato che avremmo potuto far fruttare meglio il tempo. — Si appoggiò allo schienale e sorrise. — Ho un mio ordine del giorno, ma dal momento che lei è venuto a trovarci, credo che abbia diritto al primo colpo.

— Colpo? — Tirò la propria sedia più vicina al tavolo. — Lei ha frainteso le nostre motivazioni, ma mi farà piacere parlare per primo. E mi permetta di sgomberare il terreno da qualcosa che potrebbe risparmiarci qualche imbarazzo più avanti. Mio cugino, Wolfgang, lavora per voi qui all’Istituto.

— Mi ero chiesta, appunto, se il cognome fosse una pura coincidenza…

Facendolo seguire da un controllo a fondo su noi due? pensò Hans Gibbs. Annuì e proseguì: — Wolfgang è completamente fedele, proprio come io lavoro per Salter Wherry e gli sono fedele. Presumo che lei non l’abbia mai incontrato?

Judith Niles sollevò lo sguardo su di lui da sotto le sopracciglia abbassate. — Non conosco nessuno che l’abbia incontrato, ma tutti hanno sentito parlare di lui, e della Stazione Salter.

— Allora lei saprà che dispone di consistenti risorse. Grazie ad esse, noi possiamo scoprire parecchio sull’Istituto, e sul lavoro che viene svolto quaggiù. Voglio che lei sappia che, anche se Wolfgang ed io abbiamo parlato in generale, di tanto in tanto, del lavoro che si svolge quaggiù, nessuna delle mie informazioni specifiche, o quelle di chiunque altro nella nostra organizzazione, sono venute da lui.

Lei scrollò le spalle senza pronunciarsi. — D’accordo. Ma adesso mi ha incuriosito. Cosa crede di sapere su di noi di così sorprendente? Siamo un’agenzia sovvenzionata dal denaro pubblico. Le informazioni contenute nei nostri archivi sono aperte a tutti.

— È vero. Ma questo significa che vi sono restrizioni nel budget che vi viene reso disponibile. Proprio oggi, ad esempio, ha appreso di un ulteriore taglio dei finanziamenti a causa della crisi finanziaria dell’ONU.

La sua espressione mostrò stupore. — In nome di Morfeo, com’è possibile che lei lo sappia? L’ho scoperto io stessa soltanto un paio di ore fa, e mi hanno detto che la decisione era appena stata presa.

— Mi permetterà di rinviare la risposta, se non le spiace, fino a quando non ci saremo occupati di un paio di altre cose. So che avete avuto dei problemi di soldi. Cosa ancora peggiore, ci sono altre restrizioni, che lei trova difficile accettare, sugli esperimenti che vi è concesso fare.

Il labbro inferiore si spinse un po’ in avanti, e l’espressione di lei si fece guardinga. — Adesso non credo di riuscire a seguirla. Non le spiacerebbe essere un po’ più specifico?

— Col suo permesso, preferisco differire anche la discussione di questo argomento. Spero che, prima, mi permetta qualche minuto su un altro soggetto. Potrebbe sembrare del tutto scollegato dai budget e dalle libertà di sperimentazione, ma le garantisco che è una cosa di tutto rilievo. Dia una rapida occhiata a questo, poi le spiegherò il preciso motivo per il quale mi trovo qui.

Le passò un cilindro nero e piatto, — È un videoregistratore. Non si preoccupi della messa a fuoco, le fasi olografiche sono regolate su un piano focale percepito a sei piedi dall’occhio. Basta lasciar rilassare i propri occhi.

Judith Niles corrugò la fronte mostrando perplessità, rimise sul piatto il panino ancora intatto, e sollevò il cilindro all’altezza dell’occhio destro. — Come faccio a farlo funzionare?

— Prema il pulsante sul lato sinistro. Ci vogliono un paio di secondi prima che si formi l’immagine.

Gibbs rimase seduto in silenzio, aspettando, mentre una cameriera in uniforme verde sistemava davanti a ciascuno di loro una scodella di minestra color marrone torbido.

— Non vedo proprio niente — disse Judith Niles, dopo qualche secondo. — Non mi riesce di mettere a fuoco niente… oh, un momento…

La cortina nera come l’ebano davanti a lei cominciò ad assumere dei vaghi particolari a mano a mano che i suoi occhi si adattavano alla bassa intensità luminosa. C’era uno sfondo stellato con una lunga struttura affusolata in primo piano illuminata dalla luce riflessa del sole. Dapprima non ebbe alcun senso delle proporzioni, ma a mano a mano che il campo visivo si spostava lungo quella ragnatela di travi, altri elementi di quella scena cominciarono a fornirle indizi. Un rimorchiatore spaziale era accostato a una di quelle lunghe travi, il suo corpo tozzo era mezzo nascosto dal metallo. Più in fondo poteva vedere una capsula-della-vita agganasciata come un minuscolo fungo in un angolo d’un enorme giunto. La costruzione era enorme, si stendeva per centinaia di chilometri fino al lontano boma finale.

La telecamera continuò a scendere in picchiata verso il basso, fino a quando il lembo di Terra illuminato dal Sole comparve nel campo visivo.

— Sta vedendo una panoramica ripresa da uno dei monitor standard — spiegò Hand Gibbs. — Ce ne sono venti alla stazione. Funzionano ventiquattro ore al giorno ed effettuano rilevamenti di routine di tutto ciò che avviene. Quella telecamera concentra la propria attenzione soprattutto sulla nuova costruzione sul lato più basso del boma. Lei sa che stiamo costruendo una trave a mensola sperimentale di settecento chilometri su PSS-One? A quanto pare quaggiù la maggior parte della gente la chiama la Stazione Salter, anche se a Salter Wherry piace far notare che è stata la prima di molte, per cui PSS-One è un nome migliore. Comunque, non ci serve quell’estensione della trave a mensola per le attuali arcologie, ma sono sicuro che uno di questi giorni la useremo.

— Uh, uh. — Judith non distolse gli occhi dalle cavità orbitali del visore. La telecamera stava zoomando, avvicinandosi sempre di più a un’area all’estremitià del boma, dove erano diventati visibili due puntolini. Si rese conto che stava vedendo un primo piano ad alto ingrandimento d’una piccola parte del campo visivo della telecamera. A mano a mano che i puntolini crescevano di dimensioni, l’immagine cominciava a mostrare una leggera grana, con l’avvicinarsi del limite utile di risoluzione. Poteva distinguere braccia e gambe di ogni sìngola tuta spaziale, e i cavi che assicuravano le tute alle travi sottili.

— Stanno installando una delle antenne sperimentali — disse ancora la voce di Hans Gibbs. Era ovvio che sapeva esattamente qual era il punto del display che lei aveva in quel momento davanti ai propri occhi. — Quei due si trovano molto lontano dal centro della massa della Stazione, quattrocento chilometri sotto di essa. La Stazione Salter si trova in un’orbita di sei ore a diecimila chilometri di quota. A quell’altitudine la velocità orbitale è di quattrocentomilaottocentoottanta metri al secondo, ma l’estremità del boma viaggia a soli quattromilasettecentosessanta metri al secondo. Vede la leggera tensione in quei cavi? Quei due non sono del tutto in caduta libera. Avvertono all’incirca un centesimo di G. Non molto, ma quanto basta a fare la differenza.

Judith Niles esalò un profondo sospiro, ma non replicò.

C’erano abbastanza particolari nell’immagine per vedere esattamente quello che stava accadendo. I cavi che assicuravano una delle due figure in tuta spaziale erano stati allentati, in modo che potesse essere raggiunta una nuova posizione sulla trave. Una sottile antenna era stata allungata e si estendeva molto oltre l’estremità del boma. La figura più a sinistra cominciò a spostarsi lentamente lungo l’antenna, nel guanto destro stringeva una staffa di sicurezza. Era ovvio che ci sarebbe stato un altro punto di aggancio a portata di mano lungo la trave, dove il cavo di sicurezza poteva venir attaccato. La tuta si spostava con molta lentezza ruotando un po’ a mano a mano che avanzava. La seconda figura era rannicchiata sopra un’altra parte di quella ragnatela metallica, intenta ad agganciare una seconda grappa per l’antenna.

— In trenta secondi ci si sposta di quasi cinquanta metri — disse Hans Gibbs con calma. La sua compagna sedeva immobile come una statua.

La comprensione crebbe per minuscoli incrementi, in modo che non vi fu mai un solo istante in cui i sensi potessero dire all’improvviso: — Guai in vista! — La figura era quasi arrivata al punto di aggancio. Si stava ancora muovendo, avanzando a poco a poco, certamente abbastanza vicina, ormai, perché allungando il braccio potesse attuare il collegamento. Altri cinque secondi… e quel contatto fu mancato. Adesso, sarebbe stato necessario usare i comandi della tuta per applicare la piccola spinta necessaria a tornare indietro a portata di contatto. D’un tratto Judith Niles si trovò a desiderare disperatamente che i propulsori della tuta si accendessero, a bramare che la seconda figura sollevasse lo sguardo per vedere quello che lei vedeva. La distanza crebbe, qualche piede, trenta metri, tutta la lunghezza della sottile antenna. La tuta aveva cominciato a ruotare con maggiore rapidità sul proprio asse. Stava per superare l’ultimo punto possibile di contatto con la struttura.

— Oh, no. — Le parole furono un mormorio di protesta. Judith Niles stava respirando affannosamente. Dopo qualche altro secondo di silenzio, diede in un altro breve mormorio e drizzò il corpo con un sussulto, irrigidendosi. — Oh, no. Perché non fa qualcosa? Perché non si aggrappa all’antenna?

Hans Gibbs allungò una mano e gentilmente scostò il piatto cilindro dai suoi occhi. — Credo che lei abbia visto abbastanza. Ha visto l’inizio della caduta?

— Sì. Era una simulazione?

— Temo proprio di no. Era reale. Cosa pensa di aver visto?

— La costruzione del boma della Stazione Salter, su PSS-One. E c’erano due operai che stavano montando la sezione di un’antenna.

— Giusto. E che altro?

— Quello più all’esterno del boma ha lasciato la presa, senza aspettare per accertarsi di essere assicurato a un cavo. Non ha neppure guardato, è andato alla deriva. Quando l’altro se n’è accorto, era ormai troppo lontano perché fosse possibile raggiungerlo.

— Troppo lontano perché qualsiasi cosa potesse raggiungerlo. Si rende conto di ciò che è successo dopo?

Nessuno dei due mostrava il minimo interesse per le pietanze che avevano davanti. Judith Niles annuì con lentezza. — Rientro? Se non siete riusciti a raggiungerlo, ha cominciato il rientro?

Hans Gibbs la fissò sorpreso, poi si mise a ridere. — Be’, potrebbe anche succedere, se aspettassimo qualche milione di anni. Ma la Stazione Salter è in un’orbita piuttosto alta, non è il rientro che ci preoccupa. Quelle tute hanno aria soltanto per sei ore. Se non avessimo pronta una nave, tutti quelli che perdono contatto con la stazione e non riescono a tornare indietro con la limitata reazione di massa dei propulsori morirebbero asfissiati. A proposito, c’era una donna in quella tuta, non un uomo. Ha avuto fortuna. La telecamera era puntata su di lei, così siamo stati in grado di calcolare la sua esatta traiettoria prelevandola con un’ora di margine. Ma è probabile che, adesso, quella donna non sia più in grado di lavorare all’esterno. E altri non sono stati così fortunati. Abbiamo perso trenta persone in tre mesi.

— Ma perché? Ma perché mai ha mollato la presa? Perché l’altro operario non l’ha avvertita?

— Ha tentato, tutti abbiamo tentato. — Hans Gibbs tornò a infilare il piccolo registratore nella sua custodia di plastica. — Non ci ha sentito per la stessa ragione per cui ha mollato la presa. È una ragione che dovrebbe interessarla, ed è la ragione per la quale mi trovo qui nel suo Istituto. In una sola parola: narcolessia. Si è addormentata. Non si è svegliata fino a dopo che l’abbiamo recuperata, a cinquanta chilometri dal boma. L’altro operaio aveva visto quello che stava succedendo già molto prima, ma non aveva la massa reattiva per andar fuori e rientrare. Tutto quello che poteva fare era guardare e urlarle attraverso la radio della tuta. Ma non è riuscito a svegliarla.

Hans Gibbs scostò da sé il piatto mezzo pieno.

— So che c’è una disperata carenza di cibo nella maggior parte del mondo, ed è un peccato non ripulire il piatto. Ma sembra che nessuno di noi due abbia molta fame. Possiamo continuare questa conversazione nel suo ufficio?

CAPITOLO QUARTO

Erano ormai le prime ore della sera quando Judith Niles prese su il telefono e chiese a Jan de Vries di raggiungerla nel suo ufficio. Mentre lo aspettava, si fermò accanto alla finestra fissando la distesa del giardino che fiancheggiava il lato sud dell’Istituto. I prati erano sempre più incolti, con le aiuole accanto al vecchio muro di mattoni che mostravano chiazze di erbacce.

— Sgobbi di nuovo fino alle ore piccole? Dov’è l’uomo che ti ha invitato a cena, Judith? — disse una voce dietro di lei.

Lei sussulto. De Vries era entrato dalla porta aperta nell’ufficio senza bussare, silenzioso come un gatto.

Judith si voltò. — Chiudi la porta, Jan. Non ci crederai, ma mi è stato fatto un invito a cena. Un’offerta strampalata, con tutti i fronzoli d’un tempo: lui ha suggerito Ostriche alla Rockefeller, vitello cordon bleu, vino, e il fiume Avon illuminato dalla luna. Ostriche e vino! Mio Dio, si capisce subito che viene dallo spazio profondo. Credeva davvero che saremmo stati in grado di comperare quel genere di cibo, senza un contratto o una licenza speciale. Non sa molto della situazione reale. Una delle cose che fanno più paura di tutta questa propaganda governativa è che funziona fin troppo bene. Lui non aveva nessuna idea di quanto male andassero le cose, perfino qui in Nuova Zelanda, e noi siamo i fortunati. Ostriche! Dannazione, darei la mia verginità per una dozzina di ostriche. Tanto varrebbe sperare che ci venga fornito del roast beef.

La sua voce era piena di nostalgia e non aveva nessuna traccia della solita autorità. Si sedette alla sua scrivania, si sfilò le scarpe, e oscillò all’indietro sulla sedia sollevando i piedi nudi e appoggiandoli su un cassetto aperto.

— Troppo tardi per cose del genere, mia cara — osservò Jan de Vries. — Il roast beef, il buon vino, le ostriche… o la verginità, se è per questo. Per la maggior parte di noi, sono perdute le nevi dell’anno scorso, ma sono ugualmente colpito dalle altre implicazioni della sua offerta. Soltanto qualcuno che non ha più avuto nessun contatto con i cambiamenti climatici e che vive, alla lettera, fuori da questo mondo, potrebbe voler guardare quell’orrendo fiume, no di certo con più di trenta gradi centigradi e il novanta per cento di umidità.

Si sedette con grazia, quasi sdraiandosi nella grande poltrona. — Ma hai respinto l’invito? Judith, mi deludi. Mi sembra un’offerta da non rifiutarsi, giusto per vedere la sua espressione al trovarsi della condizione di paragonare la realtà con le sue illusioni.

— Avrei potuto accettare se Hans Gibbs non mi avesse fatto l’altra offerta.

— Davvero? — Jan de Vries si toccò il labbro con un indice ben curato. — Judith, per qualcuno come te dagli intensi gusti eterosessuali, queste parole suonano false. Pensavo che tu bramassi offerte del genere, attraenti più di qualunque altra esca…

— Smettila, Jan. In questo momento non ho tempo per i giochetti. Voglio il vantaggio del tuo cervello. Tu hai incontrato Salter Wherry, giusto? Quanto sai di lui?

— Be’, si dà il caso che io sappia parecchio. Sono stato quasi sul punto di andare a lavorare sulla Stazione Salter. Se tu non mi avessi attirato qui, è probabile che adesso mi troverei lassù. C’è un certo non so che all’idea di lavorare per un anziano multimiliardario, specialmente con uno i cui gusti romantici, prima che si ritirasse a vita solitaria, si diceva coincidessero con i miei.

— Possiede davvero la Stazione Salter… per intero?

— Così si mormora, mia cara. Quella è la metà di qualunque altra cosa ti venga in mente di citare. Non sono mai riuscito a scoprire nessuna prova del contrario. Dal momento che l’incantevole signor Gibbs lavora per Wherry, e tu hai avuto un incontro di molte ore con lui questo pomeriggio (non credere che le lunghe ore durante le quali siete rimasti appartati non siano state notate, Judith), mi chiedo per quale motivo me lo domandi. Perché non hai posto direttamente ad Hans Gibbs le tue domande su Salter Wherry?

Judith Niles tornò alla finestra con passo felpato e, di cattivo umore, contemplò la luce del crepuscolo. — Ho bisogno di fare un controllo indipendente. È importante, Jan. Ho bisogno di sapere fino a che punto Salter Wherry è davvero ricco. È abbastanza ricco da consentirci di fare quello che abbiamo bisogno di fare?

— Stando alle mie indagini e alle mie impressioni, è talmente ricco che questa parola non ha un vero significato. Il nostro budget per l’anno prossimo supera di poco gli otto milioni, giusto? Controllerò gli ultimissimi dati su di lui, ma se anche adeso Salter Wherry non fosse più ricco di quanto lo era vent’anni fa, quest’intero Istituto potrebbe venir comodamente sostenuto dai soli interessi sul suo conto delle piccole spese.

— Forse è questo il suo piano. — Judith si girò di scatto, puntando gli occhi verso il centro della stanza. — Maledizione, non c’è dubbio che abbia scelto bene il momento.

— Di nuovo problemi di quattrini? Ricordati che io sono stato via.

— Brutti. Questa volta è il nostro scervellato Comitato del Bilancio. Vogliono stringere di un altro cinque per cento, e già il posto ci cade addosso. E non possiamo tener segreti all’infinito alcuni nostri esperimenti, e i risultati, per quanto io desideri farlo. Charlene e Wolfgang Gibbs stanno inciampando sulla stessa traccia che abbiamo trovato noi. Wherry non poteva scegliere un momento migliore per farci delle proposte. Potrebbe riuscire alla perfezione.

— Come ti ho detto un sacco di volte, Judith, tu sei un genio. Puoi manipolare come marionette dei semplici come me. Ma non sei, ancora, una manipolatrice in grado di far fronte a Salter Wherry. È il migliore del sistema e può fare appello a settant’anni di esperienza. Quando pensi ai tuoi obbiettivi, e al tuo programma segreto (del quale non ho la minima pretesa di essere al corrente) ricordati che, senza alcun dubbio, anche lui ha un programma segreto, con degli obbiettivi del tutto diversi. E se tu sei un genio, lui è in più un genio indiscusso anche in campo finanziario e organizzativo. E ha la reputazione di ottenere sempre ciò che vuole.

De Vries incrociò con attenzione le gambe e si lisciò la piega impeccabile dei calzoni. — Ma a giudicare dall’espressione della tua faccia, ho il sospetto di star divagando. Cos’è questa grande offerta che vuoi discutere? Perché non ti trovi lungo il grande e untuoso e grigioverde fiume Avon ad assaporare fragole alla crema al suono delle trombe, o qualunque altro delizioso svago il signor Gibbs, tanto tristemente disinformato, aveva in mente?

Judith Niles si sfregò con delicatezza l’occhio sinistro, come se le desse fastidio. — Hans Gibbs mi ha portato un’offerta. Hanno dei problemi alla Stazione Salter. Lo sapevi?

— Ho sentito delle voci. Le quote assicurative per il personale della stazione sono state aumentate d’un intero ordine di grandezza al di sopra di quello delle convenzionali operazioni spaziali. Ma non riesco a cogliere un qualunque collegamento con l’Istituto.

— Questo, perché non sai quali sono i problemi. Jan, l’offerta che mi è stata fatta oggi era semplice. Hans Gibbs è venuto qui autorizzato da Salter Wherry. Il bilancio dell’Istituto verrà quadruplicato, con il livello dei finanziamenti garantito per otto anni. Inoltre il programma degli esperimenti che conduciamo qui sarà esente da qualunque controllo o interferenza esterna. E lo stesso vale per il nostro approvvigionamento di hardware e software.

— Sembra il paradiso. — De Vries si alzò, arrestandosi accanto a Judith. — Dov’è il verme della mela? Dev’essercene uno.

Lei gli sorrise e gli batté la mano sulla spalla. — Jan, ma come facevo a cavarmela prima che tu venissi a lavorare qui nell’Istituto? Ecco il tuo verme: per ottenere tutte le buone cose che Salter Wherry promette, dobbiamo soddisfare una condizione: il personale-chiave dell’Istituto deve trasferirsi sulla Stazione Salter. E dobbiamo fare del nostro meglio per risolvere un problema che ha danneggiato il programma per la costruzione delle arcologie, lassù.

— Cosa? Lassù in orbita? Spero che tu non abbia acconsentito.

— No. Non ancora. Ma potrei farlo. Devo salire lassù e vedere con i miei occhi, Hans Gibbs predisporrà le cose per questo fine settimana. — A mano a mano che Jan de Vries si mostrava sempre più dubbioso, Judith appariva più rilassata.

— E dal momento che io sarò via, Jan — Judith proseguì, — qualcun altro dovrà dare un’occhiata alla lista iniziale dei membri-chiave dello staff, nel caso in cui decidiamo di accettare. So quali sono le mie scelte per la gente al vertice, ma non sono abbastanza a contatto con tutto il personale di appoggio, e avremo bisogno anche di qualcuno di loro. Chi sono i migliori, e chi è disposto ad andare sulla Stazione Salter?

— Dai l’impressione di aver già deciso.

— No. Voglio soltanto pensare in anticipo nel caso che succeda. — Si curvò sulla scrivania e raccolse un foglio scritto a mano. — Questa è la mia prima selezione. Su, rimettiti seduto e diamoci una ripassata insieme.

— Ma…

— Fatti aiutare da Charlene Bloom mentre sarò via.

— Charlene? Senti, so che è brava, ma sa essere obbiettiva? È un groviglio d’insicurezza.

— Lo so. È troppo modesta. È per questo che voglio che sappia che si trovava sulla mia lista preferenziale sin dall’inizio. Dal momento che anche tu ci sei, dai un’occhiata a questo. — Gli porse un paio di fogli di tabulato. — L’ho appena estratto dalle banche dati storiche. È la dichiarazione che Salter Wherry ha fatto davanti all’assemblea delle Nazioni Unite quando iniziò la sua attività di industriale dello spazio, trent’anni or sono. Abbiamo bisogno di capire la formazione psicologica di quell’uomo, e questo è un buon inizio per arrivarci.

— Judith, rallenta. Mi stai facendo fretta. Non sono affatto sicuro di voler…

— Neppure io lo sono. Jan, potremmo essere costretti a farlo, anche se a qualcuno di noi la decisione non piacerà. Qui le cose sono andate a pezzi in assoluto durante gli ultimi mesi, pezzettino per pezzettino.

— So che il momento è difficile, ma…

— Peggiorerà. Dal modo in cui l’Istituto viene strapazzato non possiamo permetterci di fare nulla. Se cercassero di stuprarci dovremmo combattere in qualunque modo possibile, anche se questo dovesse significare il rischio di venir fottuti anche da Salter Wherry.

Jan le prese i fogli di mano, sospirando: — D’accordo, d’accordo. Se insisti, andrò avanti alla cieca. Diventiamo pure tutti esperti di Salter Wherry e delle sue imprese. Ma, Judith, c’è proprio bisogno che tu sia così cruda? Preferisco evitare questi spiacevoli accenni ad uno stupro. Perché non possiamo considerare quest’apertura come il primo tocco della mano profumata di Salter Wherry che cerca di sedurci con la massima delicatezza? — Esibì un sorrisetto felice. — Questo rende il tutto positivamente attraente; nella seduzione, mia cara, ci sono molte più opportunità per i negoziati.


Dal discorso che Salter Wherry era stato invitato a tenere davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in seguito all’insediamento della Stazione Salter in un’orbita stabile di sei ore intorno alla Terra, e poco prima che Wherry si ritirasse da ogni contatto con il grande pubblico:


— La natura aborrisce il vuoto. Se c’è una nicchia ecologica aperta, qualche organismo l’occuperà per riempirla. È in questo che consiste l’evoluzione. Vent’anni or sono si manifestò con chiarezza una crisi nell’approvvigionamento delle risorse minerarie. Tutti sapevano che ci saremmo trovati davanti ad una scarsità di almeno dodici metalli-chiave. E quasi tutti sapevano che non li avremmo trovati in nessun luogo facilmente accessibile sulla Terra. Avremmo dovuto estrarli da una profondità di quindici miglia, oppure cercarli sul fondo degli oceani. Io decisi che era più facile estrarli cinquemila miglia più in alto. Alcuni fra gli asteroidi sono costituiti da metalli per più del novanta per cento; quello che dovevamo fare, era portarli dentro l’orbita della Terra.

«Mi misi in contatto con il governo degli Stati Uniti e presentai la mia proposta per catturare e sfruttare gli asteroidi. Disponevo d’una valutazione completa dei costi e dei probabili profitti che l’investimento avrebbe dato, ed io mi sarei accontentato di un compenso del cinque per cento.

«Mi dissero che la cosa era troppo controversa, che mi sarei scontrato con problemi internazionali relativi alla proprietà dei diritti minerari. Altri Paesi avrebbero voluto esser compresi nel progetto.

«Molto bene. Venni qui alle Nazioni Unite e spiegai nel modo più completo tutte le mie idee a questo spettabile consesso. Ma dopo quattro anni di continui dibattiti e molte migliaia di ore del mio tempo per preparare e presentare dati aggiuntivi, non una sola riga di risposta utile era stata abbozzata, riguardo la mia proposta. Formaste dei comitati di studio, e altri comitati per studiare quei comitati, e nient’altro. Parlavate, e basta.

«La vita è breve. Si dava il caso che io avessi un vantaggio negato alla maggior parte degli uomini. Negli anni Cinquanta mio padre aveva investito i suoi soldi in società di computer. Ero già molto ricco, ma anche frustrato al punto da esser pronto a rischiare tutto. Voi, ora, cominciate a vedere alcuni risultati di tutto questo nella forma del PSS-One, quello che la stampa, a quanto sembra, preferisce chiamare Salter Station. Potrei ospitare facilmente, lassù, almeno duecento persone.

«Ma questo è soltanto un inizio. Malgrado la Natura possa aborrire il vuoto, la moderna tecnologia lo ama. Lo ama, sì, e ama un ambiente a microgravità. Intendo usarli entrambi al massimo. Costruirò una successione di grandi stazioni spaziali, abitate in maniera permanente, utilizzando il materiale degli asteroidi. Se qui, oggi, una qualsivoglia nazione desidera prendere in affitto spazio o impianti da me, o acquistare i miei prodotti realizzati nello spazio, sarò lieto di prendere in concreto esame la cosa, a tariffe commerciali. Inoltre invito gli uomini di tutte le nazioni della Terra a unirsi a me. Siamo pronti a intraprendere tutti i passi necessari perché la razza umana cominci l’esplorazione del nostro universo.


Era ormai passata mezzanotte quando de Vries finì di leggere per la seconda volta l’intera dichiarazione, per poi saltare di nuovo al commento con il quale Salter Wherry aveva concluso il suo discorso. Erano parole che erano rimaste legate al suo nome in maniera permanente, e gli avevano assicurato l’impotente amicizia di ogni nazione sulla Terra:

La conquista dello spazio è un’impresa troppo importante per poterla affidare a dei governi.

De Vries scosse la testa. Salter Wherry era un uomo formidabile, pronto a sfidare i governi del mondo… è a vincere. Judith era attrezzata per giocare nella categoria di Wherry?

Chiuse la cartella. Il suo volto paffuto era del tutto serio. Trasferirsi sulla Stazione Salter: sarebbe stato affascinante. Ma l’indignazione del governo e l’ipocrisia riguardo le azioni di Wherry continuavano ancora, per niente diminuite (forse addirittura aumentate) a causa del suo successo. La popolarità delle arcologie e la marea dei candidati che volevano imbarcarsi su di esse non facevano altro che aggiungere combustibile alla collera ufficiale. Se l’Istituto si fosse trasferito, tutti quelli che ci lavoravano avrebbero dovuto capire che la decisione di unirsi all’impero di Wherry avrebbe fatto crescere le grida di scalpore. Sarebbero stati tutti tacciati di tradimento dalla stampa ufficiale dell’ONU.

E una volta che fossero andati fuori, cosa sarebbe successo? Per la maggior parte di loro non ci sarebbe stato mai più un ritorno a casa. Per loro, la Terra sarebbe stata perduta per sempre.

L’edificio ronzava quieto del mormorio di mille esperimenti che proseguivano durante la notte. Jan de Vries rimase seduto a lungo sulla sua poltrona, riflettendo, sbirciando fuori della finestra nella notte umida, ma coglieva soltanto la visione rannuvolata del proprio futuro. Dove l’avrebbe condotto? Si sarebbe trovato lui stesso nello spazio fra dieci anni? Come sarebbe stato, là fuori?

Gli riusciva difficile afferrare quelle idee che sgusciavano via alla deriva dalla periferia del suo cervello affaticato. Sbadigliò e si alzò lentamente in piedi. Dieci anni, troppo lontano per riuscire a veder bene. Meglio pensare a cose più vicine: l’elenco di Judith Niles, il bilancio, il rapporto del suo viaggio, ancora non completato. Dieci anni rappresentavano l’infinito, qualcosa al di là della sua portata.

Non era possibile che Jan de Vries lo sapesse, ma aveva messo a fuoco nella maniera sbagliata la sua sfera di cristallo. Avrebbe dovuto guardare molto più avanti.

CAPITOLO QUINTO

— O m’incontrerò con lui di persona, o non ci sarà accordo, Hans.

— Ti sto dicendo che non è possibile. Non tiene più colloqui faccia a faccia; non qui, né giù sulla Terra.

— Tu lo vedi abbastanza spesso.

— Insomma, maledizione, Judith, sono il suo assistente, perfino lui deve vedere qualcuno. Ma ho la completa autorità legale di firmare per lui. Controlla con Zurigo per qualunque problema finanziario. E se vuoi dare un’occhiata a qualunque altra cosa, qui sulla stazione, dimmelo e sistemerò le cose.

Hans Gibbs pareva quasi implorante. Erano seduti in un vano con un ottavo di gravità, a metà strada verso l’esterno partendo dal nucleo della Stazione Salter, intenti a osservare le operazioni estrattive su Elmo, un centinaio di chilometri sopra di loro. La luce delle lance termiche sfavillava e sfrigolava in sequenze casuali sulla superficie dell’asteroide in orbita intorno alla Terra, e i secchi da carico pieni scendevano pigri lungo il cordone ombelicale. Da quella distanza, era un luccicante filamento d’argento, che scendeva simile a una biscia giù fino al centro di raffinazione metallurgica della stazione.

Judith Niles strappò il proprio sguardo dall’immagine ipnotica di quell’interminabile catena di secchi. Scosse la testa e sorrise all’uomo davanti a lei.

— Hans, non sono soltanto io che cerco di complicare le cose. E sono sicura che tu ed io potremmo concludere l’affare. Non è qualcosa che voglio per me stessa, è per la mia compagine giù all’Istituto. Sto per chieder loro di rinunciare alla sicurezza di un lavoro con il Governo e di prendere il volo per andare a lavorare per un gruppo industriale privato in un impianto orbitale.

— Sicurezza? — Hans Gibbs la fissò furioso. — Judith, tu sai che è pura merda. Tu sai che è merda. Un lavoro con Salter Wherry è più sicuro di qualsiasi posto con il governo. Tutto il vostro gruppo potrebbe venir spazzato via domani se qualche somaro dell ONU decidesse di far sentire il proprio peso. E di somari, là, ne hanno in abbondanza. E non tirarmi fuori qualche insensatezza sul vostro bilancio: Salter Wherry ha informazioni migliori e più recenti delle tue sull’argomento.

— Ci credo. — Judith sospirò. — Te l’ho detto: non hai bisogno di convincermi, stai predicando al coro. Ho visto i nostri programmi distorti, tagliati e menomati anno dopo anno. Ma ho bisogno di portare quassù con me una ventina di scienziati-chiave e ti sto dicendo cosa provano alcuni di loro. Me ne torno all’Istituto, e loro mi dicono: «Salter Wherry è d’accordo?». E io rispondo: «Be’, no. Ho firmato un contratto a lungo termine, ma lui di persona non l’ho visto». Sai cosa diranno. Diranno che questo progetto sta molto in basso nella lista delle priorità di Salter Wherry, e forse faremmo meglio a ripensarci.

— Ha la massima priorità. Perfino sulla Terra la gente sa che non tiene incontri faccia a faccia.

— Lo so. — Esibi un dolce sorriso. — È per questo che farò un grande effetto sul mio staff quando sentiranno che mi sono incontrata con lui di persona. Pensaci un momento.

Judith Niles si lasciò andare contro lo schienale e ricordò l’ultima conversazione con Jan de Vries e Charlene Bloom prima della partenza. Negozia duro. Quello era stato il punto su cui tutti si erano trovati d’accordo. E se non avesse funzionato? Be’, sarebbero sopravvissuti. L’Istituto avrebbe continuato in qualche modo, perfino con i tagli ai finanziamenti decisi dal governo.

Davanti a lei Hans Gibbs gemette e si alzò in piedi. Durante i due giorni che avevano trascorso insieme si era formato le proprie impressioni sul direttore dell’istituto, andando ad arricchire la strana prospettiva che gli era stata fornita da suo cugino, nello stesso Istituto.

— È bizzarra, voglio dire, è come se non fosse stata ancora plasmata — aveva detto Wolfgang. — È piuttosto vecchia, giusto?

Hans l’aveva fissato furibondo. — Attento, figliolo, ha trentasette anni. Immagino che significhi vecchio, per te, se sei ancora bagnato dietro gli orecchi.

— Bene. Allora ha trentasette anni, e una reputazione a livello mondiale. Ma per certe cose è come una ragazzina. — Wolfgang aveva agitato in aria il suo bicchiere di birra formando un cerchio. — Voglio dire, tu mi dici che mi sto comportando come un ritardato mentale, ma è a lei che dovresti parlare. Io non riesco affatto a capirla. Forse, credo, quand’era più giovane può aver impiegato tutte le sue energie nella scienza e nel sesso. Sta giusto adesso imparando come funziona il resto del mondo.

— Sesso? — Hans aveva sollevato un sopracciglio. — Avevo ragione allora, Wolf, se dici che va matta per il sesso, dev’essere qualcosa di notevole. Hai cercato di farti strada fino al vertice dormendo, eh? E io che pensavo che fosse tutta presa da quell’ometto che ho incontrato ieri.

— Vuoi dire Jan de Vries? — Wolfgang era esploso in una risata con la bocca piena di birra. — Cugino, hai preso una cantonata colossale, con quello. Non c’è la minima possibilità d’una relazione fra lui e JN, neppure se li chiudessi a chiave nella stessa stanza e gli dessi da mangiare cantaride per un anno. Mi piace Jan, è un tipo molto in gamba, ma ha le sue idee sul sesso. Fa facilmente amicizia con le donne, ma per la sua vita amorosa guarda soltanto gli uomini.

— Ma sei sicuro su di lei?

— Ne sono sicuro. Non per esperienza personale, però. Non è come me. JN è discreta, non gioca mai alla camera da letto qui all’Istituto. Ma scompare per delle notti intere e durante i fine settimana.

— Potrebbe darsi che stia lavorando.

— Balle, ci vuole qualcuno per conoscere qualcun altro. È in fregola quanto me.

Hans scrollò le spalle. La sua impressione se l’era formata quando aveva visto per la prima volta la sua fotografia. — D’accordo. Allora è in fregola quanto te. Che Dio l’aiuti. Ma se non è plasmata del tutto e sta ancora cambiando, come sarà una volta plasmata?

Il volto di Wolfgang Gibbs assunse un’espressione diversa. Rimase silenzioso per qualche istante.

— Potrebbe essere qualsiasi cosa — rispose infine. — Proprio qualsiasi cosa. Lo ammettono perfino i più presuntuosi che lavorano all’Istituto. In campo tecnico li batte di gran lunga.

— Perfino te, cugino? E da quando? Pensavo che lo specchio delle tue brame dicesse che eri tu il più scaltro del reame.

Wolfgang aveva appoggiato il suo bicchiere di birra sul davanzale della finestra. Aveva un’espressione molto seria. — Perfino il sottoscritto, cugino. Ti ricordi cosa disse uno dei vecchi generali francesi quando uscì dopo il suo primo incontro con Napoleone? «Ho capito subito di aver incontrato il mio maestro». È una centrale elettrica. Quando vuole qualcosa è difficile fermarla.

— Ne ho incontrato più di uno del genere. Ma dove attinge le sue energie? Se raggiungeremo un accordo ho bisogno di capire le sue motivazioni.

Ma a quel punto Wolfgang Gibbs si era limitato a scuotere la testa e aveva preso di nuovo in mano il suo bicchiere di birra. E adesso, pensò Hans, guardando il volto imperscrutabile di Judith, siamo uno a uno, e io stesso mi sento sotto pressione. Un incontro con Salter, dice lei, o niente accordo. Cominciò ad avviarsi lentamente verso l’uscita.

— D’accordo, Judith, ci proverò. Salter Wherry è qui alla Stazione, e devo comunque vederlo a proposito di qualche altra faccenda. Dammi mezz’ora, se non riuscirò a fare qualcosa adesso, non riuscirò a farlo mai più. Aspetta qui, e telefona ai Servizi Centrali se ti dovesse servire qualcosa mentre sono via. Ma non crearti false speranze. La sola cosa che posso dirti è che lui vuole talmente l’Istituto quassù da poterne sentire il sapore, dice che il problema della narcolessia ha la priorità assoluta. Forse questo lo indurrà a infrangere le sue stesse regole.


Judith Niles si ritrovò sola con i propri pensieri. Le parole di Jan de Vries continuavano a ritornarle alla mente. — Salter Wherry è un manipolatore, il migliore del sistema. — E adesso lei sperava di manipolare il sistema che lui stesso aveva creato. Wherry non lo sapeva, ma lei aveva poca scelta. Aveva le proprie urgenze. Gli esperimenti che voleva fare non potevano venir condotti sulla Terra. Se Salter Wherry avesse sospettato questo…

Guardò di nuovo fuori dall’oblò concavo panoramico. La Stazione Salter era la prova possente di quell’energia manipolante. Dal punto in cui sedeva, Elmo era visibile in permanenza. Era il primo degli asteroidi che incrociavano l’orbita della Terra ad essere stato guidato in un’orbita stabile di sei ore intorno alla Terra stessa: ma, come Salter Wherry aveva promesso alle Nazioni Unite, la storia non era finita lì.

Guardando il panorama che si andava sviluppando sopra di lei, Judith Niles fu costretta a meravigliarsi. L’estrazione dei minerali dall’asteroide aveva fornito i metalli di base per creare ed espandere la Stazione Salter. Ma allo stesso tempo, soltanto come prodotti secondari, erano stati estratti abbastanza platino, oro, iridio, cromo e nichel da costituire quasi metà dell’intera disponibilità della Terra. I divieti d’importazione di prodotti della Stazione Salter emanati dalla maggior parte dei Paesi erano stati del tutto inutili. L’invio dei metalli veniva reso pulito operando attraverso spazioporti neutrali nelle Zone di Libero Mercato, e alla fine arrivavano dov’erano necessari, più cari del cinquanta per cento rispetto a quanto sarebbero stati se acquistati direttamente.

Le operazioni di Wherry erano robuste a sufficienza da reggere a una sfida da parte di qualsiasi governo, correva voce che i suoi sistemi difensivi fossero in grado di resistere a un attacco congiunto di tutta la Terra. L’Istituto avrebbe potuto venir trasferito quassù al sicuro da tagli azzoppanti e da cambiamenti di direttive. Ma ne sarebbe valsa la pena? Soltanto se lei e il resto dello staff avessero avuto davvero la libertà di portare avanti il loro lavoro. Era quella la promessa che doveva estorcere a Salter Wherry. E questa doveva essere accompagnata da un contratto legale a prova di bomba. Quando si aveva a che fare con un maestro manipolatore, non ci si poteva permettere di lasciare aperti degli spiragli.

Si abbandonò sullo schienale della poltrona, fissando lo sguardo in alto. Un debole bagliore, che stava passando attraverso il suo campo visivo, attirò la sua attenzione. Si rese conto di essere testimone di uno degli infrequenti passaggi di Eleonora, la sesta e più ambiziosa delle gigantesche arcologie. Si trovava su un’orbita quasi mille chilometri più in alto, e doppiava la stazione soltanto una volta ogni tre giorni. Soprannominata all’inizio la «Follia di Salter» dai media più scettici, la costruzione della prima arcologia aveva avuto inizio quattordici anni prima e si era sviluppata costantemente. Fino a quando la grande stazione spaziale non era stata completata, Salter Wherry era parso soddisfatto che questo appellativo derisorio fungesse da nome ufficiale. Poi l’aveva ribattezzata Amanda, aveva aiutato la sua popolazione di quattromila individui a insediarvisi, e in apparenza aveva perso ogni interesse alla cosa. La sua mente era concentrata sulla costruzione della seconda arcologia, poi della terza…

Incuriosita, Judith formò il numero del computer centrale della Stazione e chiese un’immagine ad alta risoluzione di Eleonora. L’arcologia semicompletata comparve con tutti i suoi colori sullo schermo. Adesso lo scheletro era terminato, un’intelaiatura sferica di travi metalliche, di settecento metri di diametro. I pannelli delle pareti erano stati montati su metà della struttura, cosicché Judith fu in grado di valutare le dimensioni delle stanze e dei corridoi interni che sarebbero esistiti nella nave una volta terminata. Tenendo conto delle aree adibite a dispensa, manutenzione, ricreazione e di quelle che avrebbero ospitato le centrali, l’Arca finale avrebbe ospitato comodamente dodicimila persone, la più grande e popolosa che fosse stata costruita finora. E c’erano più servizi e spazio abitabile per persona di quanti una famiglia media avrebbe potuto avere sulla Terra. La costruzione di altre due arcologie era cominciata in orbite più alte, ancora più grandi, si diceva, di questa.

Judith guardò fuori dell’oblò, immaginandosi il proprio ufficio laggiù nell’Istituto, sulla Terra. Il trasferimento del gruppo lassù (se fosse davvero avvenuto: Hans Gibbs se n’era andato ormai da parecchio tempo) le era parso una cosa talmente enorme quando le era stato proposto la prima volta… Ma a paragone di ciò che Salter Wherry stava progettando per le arcologie, non era nulla. Le arcologie erano progettate per essere autosufficienti per un periodo di molti secoli, e anche più. in grado di vagare liberamente attraverso il Sistema Solare e oltre se avessero scelto di farlo, indipendenti perfino dalla luce del sole. Da un chilogrammo o due d’acqua, gli impianti a fusione autoconfinata avrebbero fornito energia sufficiente per anni. Come ausiliario ai sistemi di riciclaggio, ogni arcologia avrebbe rimorchiato un asteroide di parecchie centinaia di metri di diametro, da cui estrarre i minerali se fosse stato necessario.

Judith scosse la testa pensierosa. Sollevò la poltrona in bilico per guardar fuori dagli oblò rivolti verso la Terra. Là sotto era giorno e poteva vedere la grande chiazza che avvolgeva la maggior parte dello Zaire e dell’Africa Centrale. Parte delle disseccate foreste pluviali equatoriali era ancora in fiamme, proiettando un’ombra scura sulla metà del continente. L’area tormentata della siccità si stendeva dal Mediterraneo fin oltre l’equatore e nessuno poteva prevedere quando sarebbe finita. Era difficile immaginare come fosse la vita là sotto, a mano a mano che i mutamenti climatici rendevano impossibili gli antichi stili di vita africani. E sull’altro lato dell’Atlantico il vasto bacino delle Amazzoni si stava anch’esso inaridendo in modo costante, diventando lo stoppaccio che si sarebbe incendiato nell’arco di pochi mesi a meno che il clima non avesse subito immediati e drastici mutamenti.

Girò la testa ed Eleonora ricomparve alla sua vista, molto in alto. Giù sulla Terra le arcologie parevano remote, il sogno ad occhi aperti di un uomo. Ma una volta lassù, guardando le navi-traghetto che sciamavano fra la Stazione e la lontana, ammiccante sfera di Eleonora…

— Interessata a fare questo viaggio? — disse la voce di Hans Gibbs alle sue spalle. — C’è spazio disponibile in abbondanza per le persone qualificate, e tu saresti un candidato di prima scelta come colono.

L’incanto era rotto. Judith si rese conto di essere rimasta lì a guardar fuori dimentica di ogni altra cosa, più affascinata di quanto si fosse mai aspettata. Lo fissò con una domanda inespressa.

— La risposta è sì — si affrettò lui ad aggiungere. Scosse la testa perplesso. — Ci avrei scommesso il fegato che non avrebbe neppure preso in considerazione la possibilità d’incontrarti, come ti ho detto, oggi Salter Wherry non riceve mai nessuno, salvo pochi assistenti. E cosa fa, invece? Acconsente ad incontrarti.

— Grazie.

Hans Gibbs scoppiò a ridere. — Per l’amor di Cristo, non ringraziare me. lo gliel’ho soltanto chiesto, e non mi aspettavo altro che un pronto rifiuto. Ha acconsentito così in fretta che mi ha colto impreparato. Avevo incominciato ad esporgli delle argomentazioni sul perché avrebbe dovuto fare un’eccezione in questo caso, poi il mio cervello ha raggiunto la mia mente. Suppongo che questo dimostri quanto poco io lo conosca, anche dopo tutti questi anni. Se sei pronta, possiamo andare subito da lui. Il suo appartamento si trova sull’altra estremità di Spindletop, proprio dalla parte opposta a quella in cui ci troviamo adesso. Vieni, prima che cambi idea.

CAPITOLO SESTO

La Stazione Salter era stata costruita secondo il progetto generale della doppia ruota messo a punto trent’anni prima per una stazione spaziale permanente.

La Ruota superiore, la cosiddetta Spindletop, era riservata alle comunicazioni, alle abitazioni e alle aree ricreative. Ruotava intorno all’asse fisso che sporgeva in su fino ad essa dalla ruota inferiore. Con un diametro di quattrocento metri, Spindletop aveva una gravità effettiva che andava da quasi zero al mozzo fino a quasi un quarto di G alla circonferenza esterna. La sezione inferiore, più spessa, ruotava con lentezza assai maggiore. Ci volevano quasi due ore per una completa rivoluzione, a confronto della rotazione col periodo di un minuto di Spindletop. Tutti gli impianti per la manutenzione, la costruzione, le centrali d’energia e i sistemi agricoli si trovavano nella ruota inferiore.

— E anche un certo numero di persone — aggiunse Hans Gibbs, mentre cavalcavano il cavo mobile diretti verso il mozzo di Spindletop. — Una volta che si sono abituati alla gravità zero, è un lavoro d’inferno riuscire a farli risalire quassù. Esiste un programma obbligatorio di esercizi, ma stenteresti a credere quanti sono i modi che riescono a escogitare per aggirarlo. Qui abbiamo dei tecnici che non potrebbero mai tornare sulla Terra senza un anno di condizionamento, passano tutto il loro tempo a oziare intorno a Workwheel. Consumano perfino i loro pasti là sotto. — Indicò un corridoio metallico, d’una ventina di metri di larghezza, che si allontanava ad angolo retto da quello che loro stavano percorrendo diretti verso l’interno. — Quella è la strada principale tra Workwheel e Spindletop. Ecco, adesso siamo arrivati al mozzo. Se volessimo, potremmo starcene sospesi qui e andarcene alla deriva.

Si soffermarono per alcuni secondi, in modo che Judith potesse dare una buona occhiata intorno a sé. La sezione centrale era un labirinto di cavi, corridoi e camere di equilibrio.

— È tutto pressurizzato — disse Hans Gibbs in risposta alla domanda di Judith sulla necessità delle camere di equilibrio interne. — Ma le diverse sezioni hanno diversi livelli di pressione. E, naturalmente, le camere di equilibrio sono state messe anche per motivi di sicurezza. Non abbiamo mai avuto esplosioni o una grave perdita d’aria, ma potrebbe succedere in qualsiasi momento, non possiamo tener d’occhio tutte le meteore.

Le prese il braccio quando passarono al cavo che si protendeva fuori lungo un altro corridoio radiale di Spindletop. I muscoli di Judith si tesero leggermente sotto le sue dita, ma lei non fece nessun commento.

— Hai passato molto tempo in caduta libera? — le chiese Hans Gibbs dopo qualche istante. Si girò, così adesso si trovarono rivolti l’uno verso l’altra, cadendo costantemente verso l’esterno lungo la galleria circolare spiraleggiante che conduceva all’orlo di Spindletop.

Lei scosse la testa. — Quel tanto che basta a non darmi più fastidio allo stomaco, ma niente di più. Talvolta ho pensato che sarebbe stato bello fare una vacanza su Waterway per vedere come si fa a nuotare in caduta libera, ma mi hanno detto che costa caro, ed io sono sempre stata molto occupata.

— Se verrai a lavorare quassù potrai farlo gratis. I grandi serbatoi del pesce giù su Workwheel sono sempre aperti ai nuotatori.

Girò il viso, così da non guardarla più direttamente quando riprese a parlare. La sua voce era completamente neutra. — Ci sono altre esperienze in caduta libera che dovresti provare, alcune davvero interessanti. Forse potresti saggiarle prima di ridiscendere all’Istituto, così da poter dire agli altri come si sta quassù.

Sentì i muscoli del braccio di lei tendersi di nuovo sotto la sua stretta. — Prima vediamo cosa succede con Salter Wherry, d’accordo? — Judith rispose. La sua voce non era impegnata, ma suonava leggermente divertita. — Forse dovrò dir loro che non ha funzionato. O forse avremo qualcosa da festeggiare.

L’area nella quale stavano entrando aveva un aspetto sostanzialmente diverso dalle parti della Stazione Salter che Judith Niles aveva già visto. Invece di pareti metalliche e paratie, adesso stavano costeggiando pavimenti coperti da morbidi tappeti fiancheggiati da elaborate pitture murali. Alla porta di un’anticamera venne loro incontro un giovane abbigliato con un’uniforme attillatissima color azzurro-elettrico. A Judith parve un grazioso ragazzino di non più di tredici anni. La sua carnagione era morbida, senza la minima traccia di peli sul viso.

— Ha deciso di riceverla da sola. — la informò con una voce che non era del tutto matura.

Hans Gibbs scrollò le spalle, fissò il giovane, poi Judith. — Ti aspetterò qui. Buona fortuna, e ricordati: hai in mano una carta che lui vuole a tutti i costi.

Judith riuscì ad esibire un sorriso forzato. — E quello che vuole, lo ottiene, giusto? Grazie, comunque. Ci vediamo più tardi.

Seguì il ragazzino attraverso l’ingresso coperto da una tenda. In quella gravità ridotta la sua andatura aggiungeva un’elegante fluttuazione ai suoi fianchi.

L’accentuava forse in modo intenzionale? Era probabile che Jan de Vries avesse ragione sui gusti personali di Salter Wherry, era proprio il genere di particolare che lui avrebbe saputo. Judith cercò di rendere i propri movimenti quanto più economici e funzionali mentre lo seguiva lungo il pavimento curvo della camera fino a un’altra grande stanza, questa senza nessun oblò. Il ragazzo davanti a lei si fermò. A quanto pareva, erano arrivati. Judith si guardò intorno sorpresa.

L’opulenza sarebbe stata comprensibile. Questi erano gli alloggi privati di un uomo la cui fortuna eccedeva quella della maggior parte delle nazioni della Terra, forse di tutte. Ma questo?

La stanza nella quale erano entrati era spoglia e brutta. Invece degli arazzi e delle pitture murali delle stanze esterne, stava guardando delle pareti scure e un pavimento e un soffitto rivestiti di semplice plastica. La mobilia era costituita da sedie dallo schienale dritto e duro, un unico, angusto divano, e una vecchia scrivania di legno. E c’era qualcos’altro, ancora più strano…

Judith dovette riflettere alcuni secondi per riuscire a identificarlo. Mancava qualcosa. Nella stanza non c’era la minima traccia di terminali di banche-dati o di schermi visualizzatori. E neppure riusciva a vedere un telefono o l’uscita di un televisore.

Ma Salter Wherry aveva influenza e interessi che abbracciavano tutto il Sistema Solare. Una parola pronunciata da lui poteva mandare in fallimento intere nazioni. Per lui i sistemi di comunicazione più moderni ed elaborati dovevano essere assolutamente essenziali… Judith si avvicinò alla scrivania, ignorando il giovane che l’aveva accompagnata fin là. Non c’era niente. Nessun terminale, nessun collegamento dati, nessun modem; neppure contenitori di cubodati. Stava guardando una scrivania piatta con sopra due classificatori rivestiti di cuoio, e un libro nero posto in primo piano, fra i due. Una bibbia.

— Dove tiene tutto… — cominciò a dire Judith.

— I video? I libri? Le attrezzature elettroniche? — Era una voce diversa, alle sue spalle. — Ho tutto quello che reputo necessario.

Salter Wherry era entrato in silenzio da una porta scorrevole alla sua sinistra. Le fotografie che aveva visto di lui mostravano un uomo vigoroso, di mezza età, concreto e dalla corporatura robusta, con un volto carnoso e sensuale e un naso sporgente. Ma erano state prese trent’anni prima, quando ancora Salter Wherry non era diventato un solitario. Adesso l’uomo in piedi davanti a Judith Niles era d’una fragilità spaventosa, con un volto sottile e rugoso. Judith lo fissò con attenzione mentre tendeva le mani per stringere entrambe le sue. Del giovane Salter Wherry non sopravviveva altro che il naso aquilino. Judith trovava la nuova versione assai più solenne. Tutta la morbidezza era stata bruciata via dall’uomo in piedi davanti a lei, e quello che rimaneva era stato temprato nella stessa fornace interiore. Gli occhi dominavano la sua espressione ardendo d’un vivido azzurro nelle occhiaie profonde.

— Va bene, Edouard. Adesso puoi lasciarci soli — disse Wherry dopo qualche istante. La sua voce era burbera e sorprendentemente profonda, per nulla il timbro esile della voce di un vecchio.

Il ragazzo annuì deferente, ma quando si voltò per andarsene, rivolse a Judith un’occhiata condiscendente, sporgendo le labbra, e le sue spalle ebbero un ondeggiamento arrogante. Salter Wherry le indicò con un gesto l’angusto divano.

— Se la cosa non la farà sentire a disagio, rimarrò in piedi. Molto tempo fa ho imparato che in questo modo riesco a pensare meglio.

Judith sentì i muscoli del suo stomaco che involontariamente si contraevano mentre si sedeva sul divano. La percezione intuitiva che Wherry aveva delle motivazioni degli altri era leggendaria. Poteva essere arduo nascondere un qualsivoglia segreto al penetrante intelletto dietro quegli occhi fermi.

Judith si schiarì la gola. — Apprezzo la sua disponibilità ad incontrarmi.

Salter Wherry annuì con misurata lentezza. — Suppongo che il suo desiderio non fosse meramente mondano. E voglio assicurarle che il problema che il suo istituto affronterà è di primaria importanza per me. Siamo stati costretti a introdurre tante nuove precauzioni nelle costruzioni spaziali che la velocità con cui i lavori procedono alle nuove arcologie è diventata patetica.

Rimase immobile davanti a lei, aspettando in silenzio.

— Non è certamente mondano. — Judith si schiarì di nuovo la gola. — Il mio staff mi fa certe domande. Voglio conoscere le risposte tanto quanto loro. Per esempio, avete un problema con la narcolessia. Noi siamo ben qualificati per affrontarlo.

E se ho ragione, pensò, potrei averlo già risolto. Vacci cauta, adesso, non è questo il punto principale della questione.

— Ma perché non impiegarci semplicemente come consulenti? — disse lei. — Perché darsi la pena e affrontare la spesa di arruolare un intero Istituto, e di grande costo…

— Un costo trascurabile, a confronto con le centinaia di altre imprese che ho in cantiere quassù. Mi troverà generoso con il denaro e le altre risorse. «Non mettere la museruola al bove, quando calpesta il grano».

— D’accordo, anche senza considerare il costo. Perché creare un Istituto, dal momento che lei vuole risolvere un singolo problema?

Lui stava annuendo con gentilezza. — Dottoressa Niles, lei è una persona logica. Ma mi permetta di suggerirle che lei vede le cose da una prospettiva sbagliata. Il problema è troppo importante per me perché io possa utilizzare voi come consulenti. Ho bisogno d’una attenzione interamente consacrata al problema. Se voi doveste rimanere sulla Terra, con le vostre attuali responsabilità verso le Nazioni Unite, quanto del vostro tempo verrebbe dedicato al mio problema? Quanto del tempo della dottoressa Bloom, o del dottor de Vries? Il dieci per cento? O il venti per cento? Ma non il cento e venti.

— Allora perché non assumere una squadra per affrontare il problema specifico? I salari che lei offre attirerebbero molti membri del mio staff.

— E lei? — Salter Wherry se ne uscì in uno strano sorrisetto mentre Judith appariva pensosa. — Me l’immaginavo. Eppure mi dicono che, se c’è qualcuno in grado di risolverlo, questo qualcuno sarà Judith Niles.

Judith sentì i peli delle sue braccia e delle sue spalle che la pizzicavano come pelle d’oca. Salter Wherry era disposto a trasferire nello spazio un’operazione di molti milioni di dollari e a impegnarsi a lungo termine soltanto per garantirsi la disponibilità della sua persona. Attenta! disse la sua voce interiore. La lusinga è uno strumento che non fallisce mai.

Salter Wherry sospettava forse che lei sarebbe stata obbligata a trasferire alcuni degli esperimenti nello spazio, se le sue idee sui processi della consapevolezza erano corrette? E se lei sapeva già cosa causava il problema della narcolessia fra le squadre di addetti alle costruzioni spaziali di Salter Wherry, allora dal suo punto di vista il trasferimento dell’Istituto sarebbe stato inutile. Sarebbe stata lei a manipolare il maestro manipolatore.

— Lei appare dubiosa — proseguì lui. — Mi permetta di offrirle un ulteriore argomento. Sono già al corrente della sua personale indifferenza per il denaro, e io non gliene offrirò. Ma cosa mi dice della libertà di sperimentazióne?

Si avvicinò alla scrivania e prese su una delle due cartelle rilegate in pelle. La sua mano era sottile, con lunghe dita ossute.

Judith l’osservò guardinga mentre apriva la cartella e gliela porgeva.

— Durante lo scorso anno vi sono state sette richieste rivolte alle Nazioni Unite da parte di Judith Niles per condurre esperimenti sulla ricerca relativa al sonno, usando dodici nuove droghe che influenzano il ritmo metabolico. Gli esperimenti sarebbero stati attuati utilizzando soggetti umani…

— … tutti volontari, come le domande specificavano con chiarezza.

— Lo so, ma sono state tutte respinte. Forse perché tre anni or sono lei ha condotto un esperimento che è terminato disastrosamente. Le dichiarazioni registrate sono molto chiare in proposito. Utilizzando una combinazione di tryptofil e una tecnica di rinforzo dell’elettroencefalogramma tramite feedback, lei è riuscita a tenere svegli, vigili e all’apparenza in buona salute tre volontari per più di trenta giorni. Ma poi ci sono state delle complicazioni. Dapprima c’è stata un’atrofia delle risposte emotive, poi un’atrofia dell’intelletto. Per citare un’analisi critica dello studio: «Il dottor Niles è riuscito non ad abolire il bisogno del sonno, ma soltanto a indurre il morbo di Alzheimer. Non ci serve nessun’altra demenza senile».

— Maledizione, se davvero ne sa così tanto, è probabile che sappia anche chi ha scritto quell’analisi. È stato Dickson, la cui domanda per una ricerca identica, in condizioni peggiori di controllo, era stata respinta a favore della mia.

— Sì, in verità lo so — annuì Salter Wherry, con un nuovo sorriso. — Il mio scopo non è quello di pungolarla. È quello di chiederle quanto ci vorrà, per un qualunque motivo, prima che le consentano di riprendere gli esperimenti con i soggetti umani, anche con, come dice lei, volontari bramosi di offrirsi.

Judith serrò le mani l’una sull’altra, con forza. Il suo volto era impassibile. Quanto sapeva, lui? Era proprio sull’orlo della nuova ricerca.

— Potrebbero volerci anni prima che questi esperimenti vengano autorizzati — rispose infine.

— O forse un’eternità. Si ricordi che la procrastinazione è la più micidiale forma di diniego. — Stava pigiando con forza, dominando quell’incontro, e lo sapevano entrambi. — E ricordi, come nell’Ecclesiaste, che per ogni cosa c’è una stagione, e un dato tempo per ogni scopo sotto il cielo. Il suo tempo è adesso, il suo scopo è qui su questa stazione. Lei dovrebbe cogliere questa occasione. Su PSS-One lei non sarà legata alle regole che hanno paralizzato il suo Istituto di ricerca sulla Terra. Qui, sarà lei a creare le regole.

Judith sollevò lo sguardo su di lui. Aveva ripreso il proprio autocontrollo. — Qui è lei a stabilire tutte le regole.

Salter Wherry sorrise, e per un attimo riaffiorò la bocca sensuale dell’uomo più giovane. — Lei è male informata. Ammettiamo pure che ci sono certe regole sulle quali insisto. Tutto il resto è negoziabile. Mi dica quali esperimenti desidera condurre. Mi stupirebbe se non li approvassi tutti. Per iscritto. Se sarà questo il caso, verrà quassù?

Finalmente Salter Wherry prese posto sulla sedia davanti a lei.

— Forse — fu la risposta di Judith. — La sua offerta è più che generosa.

— E se vogliamo essere realistici, siamo d’accordo che le cose non vanno bene giù sulla Terra? Molto bene. Non le farò nessuna pressione. Ma ho ancora una domanda. Lei ha detto a Hans Gibbs che questo incontro era una cosa assolutamente essenziale: se non ci fosse stato un colloquio faccia a faccia non ci sarebbe stato nessun accordo. Molto insolito. Me ne ha spiegato la ragione… la credibilità di cui gode presso la gente che lavora per lei ne sarebbe uscita diminuita se non mi avesse incontrato. Ma lei ed io sappiamo che questo è un nonsenso. Il suo prestigio e la sua reputazione hanno abbastanza peso presso il suo staff da rendere un incontro sia inutile che irrilevante. Allora, perché voleva incontrarmi?

Judith fece una lunga pausa prima di rispondere. La sua successiva osservazione avrebbe potuto far infuriare Salter Wherry al punto che tutto il suo interesse per reinsediare lassù l’Istituto avrebbe potuto svanire. Ma lei aveva necessità di conquistarsi un certo vantaggio psicologico.

— Mi è stato detto che lei ha certi gusti e preferenze personali. Che lei non avrebbe mai, in nessuna circostanza, trattato direttamente con una donna. E che lei si era inoltre autorecluso senza più alcuna speranza. Le sue abitudini sessuali non mi riguardano, ma io non potrei lavorare con qualcuno con cui mi vengano negati i contatti personali. Potrei lavorare con lei soltanto se sarà possibile incontrarci per discutere i problemi che si presenteranno.

— Perché ha bisogno dei miei input? — chiese lui alla fine. — Cerchiamo di essere realistici. Nel suo lavoro il mio contributo non sarebbe nulla di più che rumore e distrazione.

— Non è questo il punto. I miei rapporti richiedono una certa logica, indipendenti dal genere e dalla personalità. Altrimenti diventerebbero impraticabili.

Lui tornò a sorridere. — E lei finge che ci sia logica nei suoi attuali rapporti con l’impenetrabile burocrazia delle Nazioni Unite? È meglio per lei se non insisto.

Salter Wherry si alzò in piedi. — Ha la mia parola. Se verrà quassù avrà accesso alla mia persona. Ma a mano a mano che lei invecchierà, imparerà che la logica è un lusso al quale dobbiamo talvolta rinunciare. La maggior parte della razza umana tira avanti senza di essa. Lei è, innegabilmente, una donna: mi permetta di distruggere un’altra voce, dicendole che la trovo una donna attraente. Non c’è dubbio che mi sia incontrato con lei faccia a faccia. Questo per le illazioni oziose. Quando tornerà sulla Terra forse vorrà diffondere la voce che molti dei «fatti noti» su di me sono semplici invenzioni. Anche se so che questo non modificherà la percezione che il pubblico ha di me.

Salter Wherry si era fermato davanti a lei, il suo atteggiamento indicava chiaramente che l’incontro era finito. Judith rimase seduta.

— Lei mi ha fatto un’ultima domanda — disse. — Perché ho insistito per avere questo colloquio? Le ho dato una risposta. Adesso credo di avere anch’io il diritto di farle un’altra domanda.

Lui annuì. — Mi pare giusto.

— Perché ha acconsentito a incontrarmi? Stando ad Hans Gibbs lei avrebbe certamente rifiutato. Credo che il problema della narcolessia sia importante per lei, ma così importante? Non lo credo.

Salter Wherry si chinò un po’, portando il suo volto rugoso proprio davanti a quello di Judith. Appariva molto vecchio e molto stanco. Poté percepire la stanchezza nei suoi occhi, molto in fondo, sotto il fuoco e il ferro. Quando finalmente sorrise, quegli occhi avevano un’espressione sognante.

— Lei è una persona straordinaria. Poca gente vede un secondo livello di finalità, salvo che per se stessi e i propri obbiettivi. Mi rifiuto di mentirle, e sono sicuro che le sue motivazioni si collocano più in profondità di quanto abbiamo raggiunto durante questo incontro. Perciò lei mi dovrebbe credere quando dico questo. Oggi, lei e il suo staff, trovereste le mie altre motivazioni difficili da accettare, perciò non gliele offrirò. Ma un giorno lei conoscerà le mie ragioni.

Fece una lunga pausa, poi aggiunse a bassa voce: — E adesso che l’ho incontrata, credo che lei le approverà.

Si girò e si stava già dirigendo verso la porta prima che Judith potesse formulare una risposta. Il colloquio con Salter Wherry era finito.

CAPITOLO SETTIMO

La Terra è stata considerata per secoli come una gigantesca macchina in grado di autoregolarsi, di assorbire tutti i cambiamenti, grandi e piccoli, diluendo i loro effetti fino a quando non diventavano invisibili su scala globale. L’umanità ha dato per scontata quella stabilità. Incuranti delle conseguenze, abbiamo guardato le foreste che venivano spazzate via, i laghi avvelenati, i fiumi dannati e deviati, le montagne livellate, intere pianure scavate per estrarne il contenuto di minerali e combustibile. E non è successo nulla di disastroso, la Terra ha tollerato gli insulti e ha ripristinato lo status quo.

«Sempre, fino ad ora. Fino a quando, alla fine, è stato superato un certo punto critico. L’allontanamento da uno stato costante si segnala in molti modi: l’aumento delle temperature degli oceani, le siccità e le inondazioni. Una perdita diffusa dello strato superficiale del suolo, un fallimento massiccio dei raccolti, e il crollo delle industrie ittiche a livello mondiale.

«Sono state proposte molte soluzioni, ma adesso nessuna di esse può anche soltanto venir tentata. Tutte richiedono una certa pratica nel campo della conservazione, l’inversione di certi cambiamenti. Questo è impossibile. Con una popolazione mondiale che si avvicina agli otto miliardi, tutti i margini per tentare degli esperimenti sono scomparsi da tempo. A mano a mano che le risorse diventano più scarse, la pressione perché venga aumentata la produzione cresce sempre più. Le nazioni più ricche praticano un crescente livello d’isolazionismo e di cautela, quelle povere hanno raggiunto il punto della più assoluta disperazione. I materiali prodotti nello spazio non sono altro che un rigagnolo, là dove sarebbe necessaria una inondazione.

«Non vi offro niente per il vostro conforto. Il mondo è pronto a esplodere e io non vedo nessuna maniera per evitare quell’esplosione. Quella che io vi offro è soltanto una possibilità per alcuni dei vostri figli…


— Lo stai leggendo ancora? — chiese Jan de Vries. Aveva attivato il collegamento videofonico tra gli uffici. Al suono della sua voce, Judith Niles mise giù quella smilza trascrizione.

— Sono pronta ad andarmene. Non credo di voler leggere di più. Hai dato un’occhiata a questo?

De Vries annuì. — Non è difficile capire perché Salter Wherry non goda di molta popolarità nelle stimate sale delle Nazioni Unite. La sua campagna di reclutamento per le colonie spaziali è certamente efficace, ma non dipinge un quadro incoraggiante del futuro del mondo. Speriamo che si sbagli. — Spostò l’indice lungo la linea dei suoi baffi ben tagliati. — La tuta è pronta. Non appena anche tu sarai pronta, lo saranno anche loro.

— Chi lo farà? Ho affidato il controllo finale a Charlene.

— Wolfgang Gibbs. È giovane ed è in forma. E siamo d’accordo che non è pericoloso.

Judith Niles parve pensierosa. — Non ne sono sicura. Il vuoto è il vuoto, non ci si gioca. Di’ loro che lo preparino. Arriverò tra poco.

Quando arrivò, i preparativi finali nel laboratorio erano stati completati. L’attrezzatura per la resurrezione d’emergenza era disposta sui banchi lungo le pareti. Nel mezzo, seduto a un lungo tavolo in una camera a chiusura ermetica, Wolfgang Gibbs si stava sistemando i guanti della tuta spaziale. Charlene Bloom era al suo fianco, intenta a controllare il casco in maniera ossessiva. Si raddrizzò quando Judith Niles entrò nella stanza.

— Sei sicura che questo sia un modello di quelli che adesso usano sulla Stazione Salter? — chiese Charlene. — Mi sembra di notare delle piccole differenze nelle chiusure.

Judith annuì. — Gli schemi che ci hanno dato non erano del tutto giusti. Abbiamo controllato. Stando ad Hans Gibbs, questo è il modello che usano adesso. Tutto collegato?

Wolfgang si voltò e la fissò. Il suo volto era pallido attraverso la visiera. — Almeno quanto lo siete voi — dichiarò attraverso la radio della tuta.

Charlene accostò la testa al casco. — Spaventato? — chiese a bassa voce.

— Ti lascio indovinare. — Le sorrise attraverso la stretta visiera. — Ho le budella di gelatina. Adesso so cosa devono provare le cavie. Procediamo. Uscite di qua e proviamo la pressione.

Mentre parlava, le luci del soffitto tremolarono, divennero fioche, poi lentamente ritornarono alla massima intensità.

— Gesù! — esclamò Charlene. — Fanno tre oscuramenti parziali in due ore. — Guardò l’altra donna. — Dobbiamo andare avanti, JN? Pare ci sia qualcosa di orribilmente sbagliato con la rete.

— Cortocircuiti nel collegamento con la Cina — dichiarò Judith Niles. — Cameron ha controllato questo pomeriggio, e dice che le cose peggioreranno ancora. Si aspettano che la Cina molli completamente fra una settimana o giù di lì, sono al di sopra delle loro capacità e il loro equipaggiamento è vecchio. Perciò qui non vale la pena rimandare. Abbiamo il nostro apparato di riserva, e funziona bene.

— Allora andiamo avanti — disse Gibbs. Con vivo orrore di Charlene Bloom, allungò una mano e le diede una strofinata furtiva lungo la coscia col guanto, sul lato nascosto allo sguardo di Judith Niles.

Charlene si ritrasse da lui con uno scatto e scosse la testa inferocita. Aveva detto a Wolfgang più e più volte che la vita privata non doveva mai immischiarsi con il loro lavoro.

— Così, mi stai dicendo che vuoi smettere? — lui le aveva detto.

Lei era stata momentaneamente in silenzio, girando la testa per guardargli la spalla nuda e abbronzata. — Sai che non voglio. Ma non devi neanche essere orribile. So che hai una reputazione nell’Istituto, e non ti sto chiedendo di parlarmene. Ma ricordati che questa è la prima volta per me, la prima volta che… sì, che faccio qualcosa del genere.

Lui si era girato a sua volta per abbassare gli occhi sul suo viso, con un’espressione che le aveva fatto provare un brivido in tutto il corpo. — Anche per me.

Bugiardo, era stata sul punto di dire. Poi l’aveva guardato di nuovo. Pareva del tutto serio. Lei aveva voluto credergli a tutti i costi, voleva ancora credergli; ma non adesso, non quando JN li stava osservando, anche se lui la stava fissando con tanta intensità attraverso la visiera della tuta…

Charlene si voltò con rapidi movimenti e uscì dalla camera a pressione. — Chiusa e in riduzione — annunciò. Cercò di tenere gli occhi sugli indicatori, lontano da Wolfgang. La pressione era misurata in chilogrammi per centimetro quadrato, e anche come altitudine barometrica. Le due donne fissarono in silenzio i read-out che tremolavano diventando più fiochi durante la prima riduzione.

— Altezza equivalente a tre chilometri — disse Charlene. — Ti senti bene, Wolfgang?

Lui grugnì. — Nessun problema. — La sua voce appariva assai più rilassata di quanto si sentisse in realtà. — Stando alle mie indicazioni abbiamo un equilibrio fra la pressione interna e quella esterna. Giusto?

— Esatto. Adesso sei in ossigeno puro. Ti senti stringere alle giunture della tuta, o provi qualche sensazione di stordimento? Muovi le braccia, le gambe e il collo, e controlla cosa senti.

Lui sollevò il braccio sinistro e dimenò le dita dentro la tuta. — Morituri te salutamus. Mi sento benissimo.

— Molto bene. Chi ti ha insegnato il latino? — Non appena l’ebbe detto, Charlene sentì un rossore partirle dal collo. Cosa avrebbe pensato JN? Charlene era l’unica persona all’Istituto alla quale piaceva condire i propri rapporti con conclusioni in latino. — Cinque chilometri — si affrettò ad annunciare. — Stiamo per cambiare scala.

I read-out si adattarono automaticamente ad una gradazione più fine, passando dai chilogrammi ai grammi per centimetro quadrato. Adesso la pressione si andava riducendo a un ritmo assai lento, a una velocità ridotta controllata da Charlene. Ci vollero altri venti minuti prima che il valore della camera scendesse tremolando fino a zero. Adesso l’altitudine barometrica, dopo essere salita in modo costante fino a cento chilometri, si rifiutava di andare più oltre.

— Qualcosa di nuovo? — Judith Niles si era spostata, avvicinando il volto alla finestra della camera.

— Niente di brutto. — Wolfgang Gibbs mosse lentamente la testa da lato a lato. — Avevi ragione a proposito delle chiusure del collo: adesso sento un po’ di pressione, come se in quel punto la tuta sì sia gonfiata un pochino.

— È il nuovo modello. L’hanno introdotto all’incirca un anno fa. È una chiusura ermetica migliore, ma non così comoda. Il rigonfiamento è causato dalla caduta della pressione esterna, creando una piega nella parte interna del bloccaggio. Ti ci abituerai. Nessuna sensazione di sonnolenza?

— Neanche un po’.

— Bene. Comincia a muovere i blocchi, e parla mentre lo fai. Stabilisci tu il ritmo.

Wolfgang, in maniera goffa a causa dei guanti che non gli erano familiari, cominciò a spostare un mucchio di blocchi di plastica colorata da un banco che gli arrivava all’altezza del petto a un altro. — Non ho fatto niente del genere da quando avevo diciotto mesi. Allora mi pareva più difficile. Se li sposterò tutti in maniera giusta, riceverò in premio un grappolo d’uva, non è vero?

Nessuna delle due donne replicò, mentre Wolfgang spostava con attenzione i blocchi di plastica. Terminò in meno di un minuto.

— Ti senti ancora bene? — chiese Judith Niles, una volta che ebbe terminato il compito.

— Perfettamente a posto. Nessun dolore né sofferenza, nessun desiderio di dormire. Sento sempre un po’ di pressione sul collo, ma tutte le altre giunture non mi danno nessun fastidio. Devo passare alle telecamere?

— Quando sei pronto.

Wolfgang Gibbs annuì. La visiera della tuta lentamente si oscurò. Il suo volto divenne grigio-scuro e scomparve un po’ per volta alla vista quando la visiera raggiunse l’opacità totale. Gli osservatori udirono un brontolio attraverso la radio della tuta. — Colori schifosi qua dentro. Se il mio televisore non funzionasse meglio di così lo manderei a riparare.

La figura in tuta ruotò lentamente puntando la propria telecamera anteriore così da guardare attraverso la finestra della camera a pressione. — Charlene, sei diventata verde.

— Proprio così. Ci occuperemo più tardi del bilanciamento dei colori della telecamera. Sei in grado di muovere di nuovo i blocchi? Continua a parlare, mentre lo fai, proprio come hai fatto prima.

— Un giochetto da bambini. — La figura voluminosa cominciò a riportare con movimenti misurati i blocchi di plastica sul loro banco originario. — Mi ricorda il lavoro che ti davano da fare nell’esercito quando ci davano l’addestramento di base. Avrebbe dovuto stancarci e tenerci fuori dai guai. Prima sposti un mucchio di terra da qui a lì, e poi, una volta che hai finito, qualcun altro lo rimetterà dov’era. Poi…

Accadde fulmineamente. Non vi fu nessun sonnolento strascicarsi del discorso. Un istante prima la figura in tuta stava lavorando con completa efficienza, il timbro deciso della sua voce arrivava limpido attraverso la radio della tuta. Poi si trovarono a guardare una statua immobile e silenziosa, pietrificata, con un blocco di plastica rossa appoggiata sul palmo del guanto all’estermità del braccio proteso.

Charlene Bloom proruppe in un grido d’allarme, mentre Judith esalava un lungo, fremente respiro. — Ci siamo. Non c’è motivo di lasciarsi prendere dal panico, Charlene, è quello che ci aspettavamo. Comincia a far risalire la pressione, lentamente. Non vogliamo problemi. Mi assicurerò che il letto sia pronto. Calcolo che resterà privo di sensi per almeno mezz’ora.

Si avvicinò al telefono. Dietro di lei Charlene fissava con gli occhi sgranati la figura svenuta di Wolfgang Gibbs. Dovette combattere la tentazione di riportare all’istante la pressione a quella del livello del mare, precipitandosi lei stessa dentro la camera.


Jan de Vries la stava aspettando nel suo ufficio, intento a leggere con calma una cartella contrassegnata Confidenziale — Riservato al Direttore. Sollevò lo guardo quando lei entrò.

— Come sta?

— Si è ripreso. È rimasto privo di sensi per quasi un’ora, e non ricorda niente dell’intero episodio. Per quello che lo riguarda, non ha neppure cominciato la prova con il video della tuta. — Judith Niles non si sedette, ma invece si mise a camminare avanti e indietro davanti alla poltrona dove aveva preso posto Jan de Vries. — Adesso non ci sono effetti postumi, e c’è la massima prontezza di riflessi.

— Così la tua ipotesi è corretta. Avevi previsto quello che sarebbe successo, e il soggetto si è comportato esattamente come richiesto. — De Vries chiuse la cartella, sbattendola. — Adesso ogni cosa può procedere esattamente come hai progettato di fare. Trasferiremo l’Istituto in orbita, passeremo un mese o due a compiere una presunta analisi del problema, e poi consegneremo a Salter Wherry la soluzione del suo maggiore problema: dopo di che, saremo in grado di mandare avanti le nostre ricerche, come è consentito in maniera esplicita dal nuovo contratto dell’Istituto. Magnifico. La manipolazione è completa, proprio come è stata concepita. — La sua bocca si storse in una smorfia. — Allora, mia cara, dov’è il giubilo? Non hai l’aria di una persona i cui piani stanno per avere il più completo successo.

— Non sono soddisfatta per niente. — Judith Niles fece una pausa, abbassando interrogativamente lo sguardo sulla figura minuscola di de Vries affondato nelle profondità della grande poltrona. — Ascolta questa sequenza, poi dimmi cosa ne pensi. Elemento uno: un anno fa c’è stato un leggero cambiamento nel tipo di tuta spaziale indossato nella Stazione Salter per i lavori di costruzione esterni. Quella nuova utilizza una serie di anelli e blocchi leggermente diversi nella sezione del collo.

«Elemento due. — Lo spuntò sulle dita della sua mano destra. — Per certe posizioni della testa, la nuova tuta causa un aumento di pressione sulla carotide di colui che l’indossa.

— Una leggera pressione?

— Non così leggera. Abbastanza forte perché chi indossa la tuta se ne accorga. Elemento tre: l’aumento della pressione all’interno della carotide può causare momentanei svenimenti.

«Elemento quattro: quando una tuta è regolata sulla normale funzione visiva, la perdita dei sensi è momentanea, troppo breve per essere avvertita. Ma quando la tuta è regolata sul remoto e usa le telecamere invece della visione attraverso la visiera, la velocità di scansione sul televisore dà un feedback al cervello che rinforza la perdita dei sensi. Risultato: narcolessia. Colui che l’indossa non sarà in grado di uscire dal ciclo a meno che non ci sia qualche interruzione esterna. Che te ne pare?

De Vries rimase seduto in silenzio per alcuni istanti, poi annuì. — Plausibile, più che plausibile, quasi certamente corretto.

— Va bene. Sono d’accordo. Così, abbiamo l’elemento cinque. — Judith chiuse il pugno. — Tutto questo è noto da quarant’anni. L’aumento della pressione sulle carotidi è un classico caso di narcolessia. Il rinforzo dell’onda cerebrale è un meccanismo positivo standard di rinforzo. Cosa ti dice tutto questo?

De Vries si abbandonò ancora di più sullo schienale, sollevando lo sguardo al soffitto. Scosse la testa. — Judith, detto in questi termini, vedo a cosa stai mirando, ma devo ammettere che non mi sarebbe mai venuto in mente se tu non me l’avessi sventolato sotto il naso.

Judith Niles lo fissò severamente. — Sii più specifico, Jan. Cosa c’è di sbagliato?

— È troppo semplice. Quando mi servi la spiegazione su un piatto d’argento, come hai appena fatto, è chiaro che non ci sarebbe bisogno di noi per risolvere il problema. Ricordati che mi hai detto che pensavi di conoscere la risposta già quando hai dato un’occhiata alle tute e alle anamnesi la prima volta. Tutto quello che i medici della Stazione Salter dovevano fare era di andarsi a rileggere un minimo di precedenti, ed eseguire pochi esperimenti ben congegnati. Come minimo avrebbero notato la correlazione fra le nuove tute e il momento in cui il problema ha cominciato a manifestarsi.

— Proprio così. Allora, perché non l’hanno fatto? — Judith Niles smise di andare su e giù e si fermò davanti a de Vries. — Anche se non ci fossero arrivati con la stessa velocità con cui l’avremmo fatto noi qui, all’Istituto, dopo un po’ avrebbero comunque dovuto dedurlo. Jan, sono preoccupata. Dobbiamo andare sulla Stazione Salter. I nostri esperimenti lo richiedono, e comunque ho bruciato troppi ponti qui, durante gli ultimi giorni, per fermarmi adesso. Ma sento che le cose sono sfuggite al controllo.

D’un tratto Judith sollevò la mano sinistra e cominciò a sfregarsi delicatamente l’occhio; la sua fronte si corrugò.

Jan de Vries parve preoccupato. — Cosa c’è che non va, Judith? Mal di testa?

Judith scrollò il capo. — Niente del tipo che ho mai avuto prima. Ma vedo offuscato con quest’occhio… è molto sconcertante. Non è che veda proprio doppio, ma non ci manca molto. È una strana sensazione.

De Vries si accigliò. — Non correre rischi. Anche se è soltanto la tensione per il troppo lavoro, lascia che uno specialista ci dia un’occhiata. — De Vries non lo disse, ma era stupefatto. Mai, da quando l’aveva conosciuta, Judith Niles aveva mostrato un qualsivoglia segno di tensione o di fatica, non importava sotto quali pressioni aveva dovuto lavorare, non importava come avesse imposto a se stessa di lavorare.

— Mi rimetterò — disse Judith. — Scusa, Jan, cosa stavi dicendo?

— Sono d’accordo con te che le cose potrebbero essere sfuggite al controllo. — L’ometto si agitò sulla poltrona, spostandosi in avanti così da potersi rizzare. — E lascia che, come Salter ha detto nel suo discorso sulle colonie spaziali, non ti dia «niente per il tuo conforto». Ho fatto le altre indagini che avevi chiesto su Salter Wherry. Sapevi che la maggior parte delle sue spese non riguardano affatto lo sviluppo delle arcologie? Riguardano altri due campi: motori a fusione efficienti, costruiti nello spazio, e i robot. Corre voce che in questi campi sia avanti di anni rispetto a chiunque altro. E ci credo. Ma cos’hanno a che fare i nostri progetti con queste ricerche? Se riesci a vedere il rapporto, ti prego d’illuminarmi. E poi c’è la questione dell’ampiezza dell’influenza di Wherry e delle fonti della sua ricchezza. Ricordi che ti avevo detto che il costo delle assicurazioni per il personale della stazione era enormemente cresciuto durante lo scorso anno?

— Sì. A causa dell’aumentato tasso d’incidenti.

— Così avevamo pensato. Ma questo pomeriggio ho ottenuto ed esaminato i rendiconti finanziari della Global Insurance, l’organizzazione che emette le polizze per il personale della Stazione Salter. Risulta che un singolo individuo possiede più dell’ottanta per cento dello stock della Global, ed esercita il più completo controllo sulla gestione della società. — De Vries esibì un tetro sorriso. — Ti è permesso tentar d’indovinare soltanto una volta l’identità di quell’individuo. Allora, mia cara Judith, dovremmo forse decidere chi davvero manipola… e cosa.

CAPITOLO OTTAVO

I pesci erano nervosi. Muovendosi in gruppi regolari, sfrecciavano avanti e indietro in mezzo alle fronde delle alghe che si arricciavano attraverso i grandi serbatoi di Workwheel. Quando i banchi di pesci si rigiravano nelle acque torbide, le loro scaglie argentee intercettavano la luce del Sole virata al verde, riempiendo l’interno dei serbatoi con vividi lampi di luce.

Le due figure umane, nude salvo per le leggere maschere respiratorie, nuotavamo lentamente intorno al perimetro del serbatoio, spingendo i pesci davanti a sé. L’orlo esterno della ruota era un traliccio riempito di plastica trasparente che lasciava passare la luce perpetua del giorno dentro a quel cilindro di quattrocento metri. Molto in alto, vicino al cavo dell’asse centrale, le pompe dell’ossigenazione trasmettevano una debole pulsazione attraverso il liquido in pigro movimento.

La figura femminile sfrecciò senza nessun preavviso giù verso la nitida struttura a nido d’ape della plastica sulla parete esterna, scalciò con forza contro di essa e si lanciò in alto in direzione del centro di Workwheel. L’altro, colto di sorpresa, la seguì un attimo più tardi. La raggiunse a metà strada dall’asse e allungò una mano per afferrarle il polpaccio, ma lei fuggi dimenandosi e puntò in un nuova direzione, sempre procedendo obliqua verso la superficie. Ancora una volta lui la inseguì, e questa volta, mentre si avvicinava a lei, allungò le mani per afferrarle entrambe le caviglie. Le sue dita si chiusero e in quell’istante il quadro si pietrificò. Due sculture nude, con i muscoli tesi, erano sospese in acqua fra i pesci immobili.

Salter Wherry guardò da vicino per alcuni secondi lo schermo, poi con attenzione lo fece avanzare di parecchie inquadrature. Nella registrazione era difficile cogliere con chiarezza le espressioni, e zoomò sulla faccia di Judith Niles per un primo piano ad alto ingrandimento. Perfino con la maschera infilata, la sua faccia era in contrasto con i suoi muscoli tesi. Appariva del tutto rilassata, anche se Hans Gibbs la stringeva con fermezza alle caviglie. Dopo aver studiato l’immagine per qualche altro momento, Wherry saltò avanti, a poche inquadrature per volta, osservando le espressioni che cambiavano mentre i corpi nudi si avvicinavano, si abbracciavano, per poi salire lentamente verso l’alto. Avvinghiati, si spostarono fin dentro l’ampio menisco concavo sulla superficie dell’acqua, vicino all’asse della ruota.

Salter Wherry osservò con calma le loro azioni nell’oscurità della sala di controllo. La sua attenzione, tralasciando gli abbracci della coppia, era sempre concentrata sulla faccia di Judith Niles. Infine si sporse in avanti e premette sulla consolle davanti a lui. La scena cambiò, passando a un interno vivamente illuminato. Qui c’era Judith Niles in piedi, da sola, nell’ufficio di Wherry su Spindletop, proprio accanto allo studio nascosto, in attesa del suo primo incontro con lui. Ancora una volta la sua attenzione era rivolta alla faccia della donna. Un altro minuto, un altro tasto pigiato, e Wherry la vide com’era dopo il loro primo incontro. Grugnì insoddisfatto. Le telecamere nascoste erano state disposte con attenzione, ma non potevano offrire una visuale da ogni angolazione, e questa volta una visuale piena della faccia gli era negata.

Proseguì oltre. Le successive inquadrature erano arrivate dall’interno dello stesso Istituto, giù sulla Terra. Erano in corso i primi preparativi per il trasferimento sulla Stazione Salter. Le telecamere mostravano degli animali per esperimenti che venivano messi con molta attenzione in casse ben ventilate per essere spediti su. Questa volta Salter Wherry parve contento. C’era una punta di soddisfazione nei suoi occhi azzurri quando s’inserì nella rete ricevente per il suo rapporto quotidiano sulla situazione globale.

La rete informativa della Stazione Salter attingeva da tutti i canali aperti sulla superficie del globo, più un certo numero di fonti che venivano regolarmente violate in barba ai governi locali che, se l’avessero saputo, sarebbero stati colti dal più vivo sgomento. I rapporti che giungevano dalla Terra venivano arricchiti e confermati dalla rete dei satelliti-spia della stazione, le molte centinaia di veicoli spaziali in orbita polare che permettevano una costante e dettagliata osservazione degli avvenimenti su qualunque punto del globo.

Adesso Salter Wherry cominciava la sua routine giornaliera, passando, grazie alla lunga pratica, da una fonte di dati all’altra. A seconda dell’umore, riandava agli avvenimenti dell’inizio dello scorso anno, per poi tornare di nuovo al presente. Con pazienza procedeva a zig zag lungo la superficie del globo, talvolta mille miglia sopra la superficie del globo, talvolta attraverso una telecamera manuale per strada, di tanto in tanto tramite riprese video effettuate all’interno di edifici governativi o di case private. Le immagini continuavano ad affluire.

Africa Orientale. Il corso di quattromila miglia del Nilo verso nord, fino al Mediterraneo, mostrava un fiume rattrappito e sminuito dalle incessanti siccità. Il Sudan era un arido deserto, i grandi complessi agrìcoli lungo il fiume erano tutti scomparsi. Khartum, alla confluenza del Nilo Azzurro col Nilo Bianco, non era altro che un ammasso di edifici ridotti in cenere. La telecamera si spostò a nord, alta sopra il fiume di fango. Vicino al Mediterraneo, il Cairo era una città fantasma dove branchi di cani affamati pattugliavano le strade polverose. Il nilometro sull’isola di Roda spuntava altissimo sopra il rigagnolo a cui si era ridotto il fiume. Il rifornimento idrico e i sistemi fognari avevano smesso di funzionare da molto tempo. Adesso soltanto le mosche avevano conservato tutta la loro energia sotto il mostruoso calore di mezzogiorno.

Alaska. La lunga linea della costa meridionale era avvolta nelle nebbie perpetue che indicavano il punto d’incontro delle correnti calde con quelle fredde. Nell’entroterra la penisola che si andava scaldando esplodeva all’improvviso di nuova vita. Il permafrost si era fuso. La vegetazione dilagante cresceva fino ad ostruire gli acquitrini, e nuvole di zanzare e di mosche nere ronzavano e turbinavano sopra quella morbida superficie. La popolazione, dapprima deliziata da quella tendenza del clima a diventare temperato, stava adesso lottando per difendere i propri spazi contro la marea montante della vita animale e vegetale. Durante tutto il giorno aerei carichi di pesticidi irroravano decine di migliaia di chilometri quadrati. Avevano ben poco successo.

Londra. Le calotte polari in continua fusione avevano fatto innalzare il livello del mare, lentamente, inesorabilmente, di qualche pollice all’anno. Adesso le maree lambivano la sommità delle dighe, premendo verso l’interno per tutto il tratto da Gravesend fino al Ponte di Waterloo. Le telecamere installate nelle strade inquadravano file di lavoratori volontari che continuavano la loro lunga fatica con i sacchetti di sabbia e i contrafforti di cemento. Guadando l’acqua che arrivava loro alle caviglie, combattevano la quotidiana battaglia contro la marea. Il lavoro procedeva con calma, perfino con allegria. Il morale era alto.

Giava. La catena di vulcani lungo l’isola come per solidarietà con il clima estremo del globo si era risvegliata una settimana prima a una vita malefica. Molte delle centinaia di milioni di persone ammassate sull’isola avevano cercato la fuga in direzione nord attraverso le acque basse del mare di Giava. Le telecamere in orbita nello spazio avevano colto ogni dettaglio di quelle fragili imbarcazioni sovraccariche, mentre puntavano verso il Borneo e Sumatra.

Ma non soltanto la terra era sismicamente attiva. Quando il tsunami aveva colpito, non una sola imbarcazione era rimasta a galla. L’onda di marea alta sessanta piedi aveva colpito Giakarta e tutta la sponda settentrionale di Giava assicurandosi che quelli che erano rimasti sulla terraferma se la cavassero non molto meglio dei loro parenti che avevano affrontato il viaggio per mare. Oggi le telecamere inquadravano grappoli isolati di sopravvissuti che venivano raccolti dalle squadre di soccorso e spediti in campi profughi in montagna, fra gli altipiani centrali.

Mosca. I rapporti dal principale oblasts agrìcolo stavano arrivando all’ufficio centrale della pianificazione. Là veniva mantenuta una calma glaciale a mano a mano che arrivavano le notizie che i raccolti del grano e dell’orzo erano inariditi e riarsi, quelli della segale e del riso completamente falliti, e dei venti in costante aumento che strappavano via il terreno superficiale secco, riducendolo in polvere e sollevandolo fino agli alti strati dell’atmosfera.

Salter Wherry se ne stava rannicchiato immobile sopra la sua consolle, assorbendo costantemente nuove informazioni, collegandole a quelle vecchie. Soltanto la sua bocca e i suoi occhi parevano vivi. Dopo le scene di Mosca, passò infine all’interno del palazzo delle Nazioni Unite. L’ufficialità rituale nella sala affollata non poteva nascondere le sotterranee correnti di rabbia e di tensione che arrivavano dal mondo esterno stressato. L’ambasciatore dell’Unione Sovietica, la faccia fervida e severa, stava concludendo il discorso preparato in precedenza.

— Quello che vediamo nel mondo, oggi, non è un incidente della natura, né è attribuibile puramente alle vicissitudini del clima planetario. Assistiamo a una deliberata modifica del clima, a dei cambiamenti diretti contro l’Unione Sovietica e contro i nostri amici di altre nazioni. Il tempo della reticenza a nominare queste nazioni è passato. Il mio Paese è vittima di una guerra economica. Non possiamo permettere…

Wherry pigiò con impazienza la tastiera. Aveva corrugato la fronte. Gli occhi luminosi erano posti in ombra dalle folte sopracciglia. Dopo qualche istante, Eleonora comparve sullo schermo davanti a lui, un ovoide d’argento incorniciato dallo sfondo delle stelle e una Terra illuminata dal Sole. Mantenne l’immagine mentre chiedeva un tabulato relativo ai programmi ed ai rapporti situazionali sulle opere in costruzione. Le linee ricurve delle travi geodesiche di sostegno sullo scafo esterno erano scomparse, coperte dai luminosi pannelli esterni. Stavano installando gli impianti elettrici definitivi insieme alle fonti di energia ed ai bacini idroponici; il grande cilindro dell’acqua era già pieno.

Wherry passò alle immagini delle altre arcologie. La più distante, Amanda, comparve come un’immagine granulosa e indistinta. Adesso si trovava a quasi tre milioni e mezzo di miglia di distanza dalla Terra, spiraleggiando lentamente verso l’esterno lungo il piano dell’ellittica. Fra otto anni, a meno che non venisse adottata qualche nuova traiettoria, la nave-colonia avrebbe percorso tutto il tratto fino all’orbita di Marte. Già gli scienziati a bordo stavano parlando della possibilità di una piccola stazione spaziale abitata su Phobos, e si consultavano con la Stazione Salter sulle risorse disponibili per attuare il progetto.

Salter Wherry spense lo schermo e rimase seduto immobile per parecchi minuti. Alla fine batté i tasti per richiamare un’altra sequenza. Il volto di Hans Gibbs, con i capelli arruffati, comparve sullo schermo.

— Hans, hai con te il programma per il trasferimento dello staff dell’Istituto Neurologico?

— Non davanti a me. Aspetti un momento che lo prendo.

— Non ce n’è bisogno. Ti dirò io quello che voglio che tu faccia. Il programma richiede che tutto sia quassù entro settantasette giorni da adesso.

— Esatto. Judith Niles ha brontolato per questo, ma finora siamo in orario.

— Hans, non andrà bene. Non credo che disponiamo di tutto quel tempo. Sta andando tutto all’inferno, e si sta scivolando sempre più in fretta. Credo di capire la politica internazionale piuttosto bene, ma oggi non riuscirei neppure a indovinare quale paese impazzirà per primo. Sono tutti candidati. Voglio che tu elabori un programma riveduto che permetta ad ogni cosa dell’Istituto, gente, animali, equipaggiamento, di trovarsi quassù entro trenta giorni. Di’ a Muncie che voglio che faccia lo stesso per qualunque altra cosa ci serva per terminare Eleonora, con lo stesso orario.

D’un tratto Hans Gibbs parve molto più sveglio di prima. — Trenta giorni! Niente da fare, ci vorranno trenta giorni soltanto per ottenere i permessi.

— Non preoccuparti dei permessi. Lascia che mi occupi io di quelli. Tu comincia a lavorare alle disposizioni per il trasferimento. E in fretta. Il costo non ha importanza. Mi hai capito? — Salter Wherry sorrise. — Non ha importanza. Ora, Hans, quanto spesso mi senti dir questo a proposito del costo di qualcosa? Trenta giorni. Hai trenta giorni.

Hans Gibbs scrollò le spalle. — Ci proverò. Ma a parte i permessi, dovremo preoccuparci della disponibilità ai lanci. Se quella dovesse andare storta…

Fece una pausa ed imprecò. Il collegamento era stato interrotto. Stava parlando a uno schermo vuoto.

CAPITOLO NONO

Wolfgang Gibbs chiuse gli occhi e sporse la testa in avanti per toccare il freddo metallo della consolle. Il suo volto era bianco e luccicava di sudore. Dopo qualche istante deglutì a fatica, si rialzò a sedere, esalò un profondo sospiro, e fece un altro tentativo. Schiacciò la sequenza-chiave per trasmettere un messaggio in codice, aspettando fino a quando l’unità davanti a lui non segnalò l’accettazione.

— Bene, Charlene… — dovette schiarirsi di nuovo la gola, — …ti avevo promesso un rapporto non appena ci fossi riuscito. Ho appena incasinato la sequenza di trasmissione tre volte di seguito, perciò se anche questa non dovesse funzionare ci rinuncerò. In origine avevo pensato che ti avrei trasmesso subito dopo essere arrivato qui… quanto sono ottimista, no? Comunque, eccoci qua, un’altra volta. Se sentirai dei rumori di vomito nel mezzo della registrazione, non preoccuparti. Sono soltanto io che sto perdendo di nuovo fegato e polmoni.

Produsse un aspro colpo di tosse. — Hans dice che soltanto una persona su cinquanta reagisce male alla caduta libera, come capita a me, perciò con un pizzico di fortuna tu sarai a posto. E dicono che perfino io dovrei sentirmi meglio fra un paio di giorni. Non vedo l’ora. Comunque, mi sono già lamentato abbastanza, lascia che mi metta al lavoro.

«La maggior parte del viaggio fin quassù è stata una passeggiata. Abbiamo legato tutto saldamente in modo che niente potesse mollarsi, e Cameron ha imbottito gli animali di sedativi fino alle sopracciglia. Peccato che non abbia potuto fare lo stesso per me. Quando siamo entrati in caduta libera tutto è andato benissimo, all’inizio, anche se ho avuto l’impressione che il mio stomaco si fosse spostato d’un piede più in alto. Ma, malgrado tutto, mi stavo destreggiando niente affatto male. Poi abbiamo cominciato a trasferire gli animali nei loro alloggi permanenti quassù. A loro non piaceva e hanno mostrato il loro fastidio nella sola maniera possibile. Ti dico che un’altra volta faremo in modo a non muoverci così in fretta. Non mi pagano abbastanza per sguazzare in mezzo a una nuvola galleggiante di vomito e merda d’animali ogni giorno della settimana. È stato press’a poco allora che ho cominciato ad avere l’impressione di essere sul punto di perdere la colazione. E poi l’ho persa, e anche il pranzo e la cena del giorno prima, e anche adesso mi sento come se avessi chiuso col mangiare per l’intera vita.

«D’accordo. Immagino che non sia questo che vuoi sentire, vero? Lasciami tornare alla faccenda vera e propria. L’agghinderò come si deve per i rapporti di laboratorio, ma ecco qual’è la situazione.

Wolfgang ristette un attimo, e un’altra ondata di nausea lo colse. Si era spinto fino al corridoio più esterno di Spindletop, dove la gravità effettiva era la più alta, e un quarto di gravità era quasi sufficiente a rimettere in sesto il suo stomaco; ma se permetteva al suo sguardo di volgere verso il basso, si trovava a fissare l’infinito là fuori, fermo su un mare di stelle che turbinava senza sosta sotto i suoi piedi. E quello era sufficiente a farlo vomitare di nuovo.

Guardò dritto davanti a sé, rifiutandosi con decisione di lasciare che i suoi occhi vagassero verso questo o quell’oblò. Gradualmente, il nodo vorticante nel suo stomaco si sciolse.

— Immagino che i gatti siano arrivati conciati ancora peggio — disse alla fine. — Sono tutti vivi, ma sarà un casino distinguere quanto dei loro guai è causato dal loro viaggio fin quassù, e quanto sia dovuto al deterioramento progressivo delle loro condizioni sperimentali. Abbiamo perso un paio di bradipi, non so ancora perché, ma pare possa trattarsi di un arresto cardiaco indotto da qualche farmaco. Cannon ci aveva avvertiti di questo prima della partenza, ma nessuno aveva qualche idea brillante sul modo d’impedirlo. Gli altri piccoli mammiferi mi sembrano tutti in ottima forma, e non abbiamo avuto nessun vero problema a trasferirli nei loro alloggi. Questo non vale per i kodiak, però. — Riuscì a sorridere alla telecamera. — È davvero una grande impresa. Grazie a Dio non abbiamo nessun esperimento con gli elefanti. Avresti dovuto esser qui per vedere che razza di lavoro abbiamo dovuto fare con il vecchio Jinx, quel mostro grande e grasso. Lo abbiamo trainato e sollevato per un po’, e abbiamo sentito che non si muoveva. Poi, quando alla fine siamo riusciti a farlo andare nella direzione giusta, abbiamo scoperto che non potevamo più fermarlo. Sono quasi finito appiattito contro una delle paratie. È un bene che, qui, la gente della stazione sia abituata a maneggiare grandi masse nello spazio, altrimenti non ce l’avrei mai fatta.

«Sarà meglio che dia un taglio alle tristi storie. Alla fine siamo riusciti a farlo arrivare a destinazione, vicino al mozzo di Workwheel. È un posto orribile, non c’è gravità degna di questo nome. Non so quanto sia bassa, ma certo è meno di un centesimo di G. Hans dice che fra un mese o due mi piacerà starci, ma adesso anche il solo pensarci mi fa star male. Ma devo dire una cosa della gente di quassù, sanno come costruire. Tutti i serbatoi e l’equipaggiamento di supporto che abbiamo chiesto erano pronti e già al posto stabilito, e tutto funzionava alla perfezione. Un paio di ore fa ho sottoposto Jinx al trattamento, e adesso lo sto facendo stabilizzare nel Modo Due dello schema d’ibernazione. Riceverai tutti i particolari registrati insieme alla trasmissione ufficiale, e anche le riprese video. Ma ho pensato che ti avrebbe interessato vedere qualcosa subito, perciò insieme a questo ti farò scorrere un videoclip. Ecco, vediamo cosa pensi di Jinx.

Wolfgang tirò un lungo, profondo respiro, e batté la sequenza di chiamata. Lo fece con lentezza e sofferenza, con la cautela fragile ed esagerata di un uomo molto vecchio. Le sue dita incespicarono parecchie volte, ma alla fine riuscì a battere lo schema giusto. Si lasciò andare sullo schienale e si massaggiò la pancia mentre una copia della videoregistrazione scorreva davanti a lui e nello stesso tempo veniva trasmessa alla Terra sotto forma di segnali.

Jinx veniva mostrato al centro dello schermo. L’orso sedeva ritto su un letto di morbidi trucioli, intento ad annusare incuriosito un enorme grumo di proteine di pesce sorretto davanti a sé dalle sue zampe. La sua lunga lingua nera uscì fuori e leccò sperimentalmente quella superficie scagliosa. I movimenti dell’orso erano un po’ sussultanti ma controllati e precisi. Wolfgang guardò con approvazione quando Jinx morse via, deciso, un grosso boccone dal grumo, lo masticò pensieroso, poi mise giù il resto del blocco di proteine fra i trucioli. Una volta che ebbe inghiottito il boccone, Jinx sbadigliò e si grattò con calma una chiazza glabra sul fianco sinistro. I sensori che erano stati impiantati in quel punto si trovavano vicini alla superficie della pelle, che era ancora un po’ irritata. Passò qualche istante, poi Jinx prelevò un’altra porzione di proteine di pesce e le sue mostruose fauci si misero a mordicchiarla con soddifazione.

— Sembra che vada bene, eh? — disse Wolfgang. — Vedrai dell’altro più tardi quando riceverai la registrazione completa, ma lascia che ti dica adesso la conclusione. Avevamo già visto i primi segni durante quegli ultimi esperimenti a Christchurch, e quello che JN aveva previsto da sempre si è verificato con esattezza. Questa volta abbiamo centrato subito i giusti procedimenti con la droga. In quel segmento di video la temperatura corporea di Jinx era sette gradi di sopra dello zero. La frequenza del suo cuore era di un battito al minuto, e lo è ancora. Calcolo che il suo ritmo metabolico sia sceso di un fattore di circa ottanta. È lento, me è sicuro come l’inferno che non sta andando in ibernazione, guardalo come mastica quel bottone. Quello che vedi è accelerato d’un fattore sessantotto sul tempo reale. La parte più difficile, finora, è stata trovar qualcosa che Jinx fosse disposto a mangiare. Sai com’è esigente. Pare che adesso le cose abbiano un sapore diverso per lui, e questo non gli garba. Siamo riusciti a ottenere la concordanza dopo una trentita di tentativi, e adesso pare che si nutra normalmente.

Wolfgang si sfregò mestamente la pancia. — Vecchio, fortunato Jinx. È più di quanto possa dire di me stesso. Cosa ancora migliore, sembra che la sua condizione sia del tutto stabile. Ho controllato tutti gli indicatori pochi minuti fa. Credo che potremmo tenerlo là per un mese, se fosse necessario, forse anche di più.

Tornò dall’immagine dell’orso alla trasmissione in un tempo reale. — Questo è il rapporto da quassù, Charlene. Adesso posso rilassarmi. Ma non vedo l’ora che tu e gli altri arriviate quassù. Non so quanto siano distorti i notiziari che arrivano qui alla Stazione Salter, ma sentiamo che ci sono guai dappertutto sulla Terra. Guerre fredde, guerre calde, e declamazioni in tutte le direzioni. Sai che ieri nel Belucistan sono stati toccati i sessantadue gradi centigradi? Sono quasi centoquaranta quattro Fahrenheit. Devono morire a branchi. E hai ricevuto i rapporti dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite? Parlano di chiudere tutti gli spazi aerei nazionali, e Hans sta avendo dei grossi problemi a programmare i voli con le navette fino alla Stazione, e non si tratta neppure della solita burocrazia. È come se stesse battendo la testa contro il muro. Gli hanno detto che ci sarà una sospensione indefinita di tutti i voli, da tutti gli spazioporti, fino a quando la situazione sulla Terra non si sarà di nuovo normalizzata. E chissà mai quando ciò accadrà? Gli esperti di Wherry dicono che i cambiamenti permarranno: li abbiamo provocati noi stessi con i programmi per l’utilizzazione dei combustibili fossili.

La sua mano si spostò verso la chiave che avrebbe posto fine alla trasmissione, poi ristette. Guardò incerto lo schermo. — Ehi, Hans mi ha detto un’altra cosa che non volevo davvero sentire. Dannazione, vorrei davvero sapere quant’è realmente sicura questa linea, ma la dirò lo stesso. Giù all’Istituto non lo sa quasi nessuno, Charlene, perciò per favore tienlo per te. Riguarda JN. Sapevi che si è sottoposta a un’intera batteria di test neurologici al Christchurch Central? TAC, tracciatori radioisotopici, tracciatori a bolle d’aria, tutto. Hanno sondato il suo cervello in sedici maniere diverse. Spero che non abbia fatto qualcosa di folle là sotto, magari usando se stessa come soggetto sperimentale per l’Istituto. Forse… non potresti controllare? Vorrei esser sicuro che JN è a posto. Non chiedermi come Hans faccia a sapere tutto questo: le informazioni che hanno quassù su quanto accade sulla Terra mi lasciano sbalordito. Immagino sia tutto, per ora.

Wolfgang schiacciò il tasto con cautela, poi si abbandonò sullo schienale. La trasmissione era terminata, e il circuito interrotto.

Chiuse gli occhi. Non era stata brutta quanto si era aspettato. Era decisamente di aiuto aver qualcosa di buono su cui concentrarsi, distogliendo i propri pensieri dal sentirsi nauseati. Pensare a qualcosa di bello. Un ricordo improvviso e sorprendente di Charlene gli rinvenne alla mente, le sue lunghe membra e il suo corpo flessuoso curvi su di lui, e i suoi capelli scuri che le ricadevano sciolti dalla fronte. Grugnì. Cristo! Se riusciva ad avere pensieri del genere, doveva essere certamente sulla via di guarigione. La prossima volta sarebbe stato in grado di affrontare di nuovo il cibo.

Forse era giunto il momento per un altro test.

Wolfgang si temprò lentamente, poi girò la testa e guardò fuori dell’oblò. Adesso Spindletop era rivolto verso il basso, verso la Terra, e lui si trovava davanti ad un’interminabile caduta sull’emisfero sottostante illuminato dal Sole. La Stazione Salter, l’orlo marrone del subcontinente indiano, con l’ovale più verde dello Sri Lanka appena visibile ai suoi piedi.

Dette in un rantolo. Mentre guardava, la scena parve ruotare e deformarsi sotto di lui, contorcendosi attraverso una mappa strana e surrealistica. Strinse i denti e si tenne stretto con forza all’orlo della consolle. Dopo trenta spiacevoli secondi riuscì a costringersi a vedere la scena da una prospettiva diversa. Era la superficie azzurra e bianca della Terra chiazzata da segni verdi e marrone, ad essere eterea e senza sostanza; mentre invece era la Stazione Salter ad essere vera, tangibile, concreta. Ecco. Aggrappati a questo pensiero… Un po’ per volta, lentamente, fu in grado di rilassare la propria stretta sul banco davanti a sé.

Tutto sarebbe andato a posto. Ogni cosa era relativa. Se Jinx poteva adattarsi alla sua nuova vita, a proprio agio con una temperatura corporea quasi prossima al punto di congelamento, di sicuro Wolfgang poteva trovarsi a proprio agio con i cambiamenti assai minori prodotti dal trasferimento sulla Stazione Salter. Meglio dimenticarsi dell’autocompassione e rimettersi al lavoro.

Ignorando le fitte di dolore provenienti dal suo stomaco sofferente da tempo, Wolfgang si constrinse a guardare di nuovo fuori, mentre la stazione sfrecciava verso l’Atlantico e la maestosa curva del terminatore fra il giorno e la notte.

Altri tre giorni e poi lo staff dell’Istituto sarebbe arrivato quassù. E se i notiziari dicevano il vero, sarebbero riusciti a farcela appena in tempo. Nel loro furore e invischiati nelle loro faide interminabili, i governi della Terra parevano tutti decisi a bloccare la via allo stesso spazio.

CAPITOLO DECIMO

La fine del Mondo

Hans Gibbs aveva spedito a suo cugino il messaggio più breve e il più possibile privo d’informazioni dalla sala principale di controllo. — Muovi il culo e vieni qui al galoppo altrimenti ti perderai qualcosa che non vedrai mai più.

Wolfgang e Charlene erano nel bel mezzo del primo inventario, quando quel messaggio arrivò attraverso l’intercom. Wolfgang la guardò e spense subito il proprio terminale. — Vieni.

— Cosa? Proprio adesso? — Charlene scosse la testa per protestare. — Abbiamo appena incominciato. Ho promesso a Cameron che avremmo organizzato questo posto così da poterci lavorare immediatamente, non appena fossimo arrivati qui. Ci rimangono ancora soltanto poche ore.

— Lo so. Ma conosco anche Hans. Lui sminuisce sempre le cose… Deve trattarsi di qualcosa di speciale. Su, andiamo. Finiremo più tardi.

La prese per mano e cominciò a trascinarla con sé, esibendo la sua esperienza con la bassa gravità, conquistata a duro prezzo.

Charlene si trovava sulla Stazione Salter da meno di ventiquattr’ore. La seconda persona ad eseguire il trasferimento completo dall’Istituto. A Wolfgang sembrava una grossolana ingiustizia il fatto che Charlene non avesse sofferto di un solo istante di nausea a causa della caduta libera. Ma per lo meno non aveva ancora acquisito la sua abilità a muoversi in maniera efficiente. La tirò e le fece ruotare, aggiustando la velocità lineare ed angolare. Qualche istante dopo Charlene si rese conto che avrebbe dovuto muoversi quanto meno possibile e lasciò che fosse lui a trascinarla come un peso morto della geometria fissa. Planarono in fretta lungo il corridoio elicoidale che conduceva all’area centrale di controllo.

Quando arrivarono, Hans li stava aspettando, la sua attenzione era rivolta ad uno schermo panoramico che mostrava la Terra al suo centro. L’immagine veniva fornita da un satellite da osservazione posto in orbita geostazionaria a 22.000 miglia di quota, così che l’intero globo appariva come una palla che riempiva quasi del tutto lo schermo.

— Non vedrete niente di grande come una nave da questa distanza — disse Hans. — Perciò dovremo simularlo. Se vogliamo vedere le navi spaziali, il computer genera la grafica che le riproduce e fonde il tutto con la proiezione. Adesso osservate: sto per passare a quel modo. L’azione avrà inizio fra un paio di minuti.

Charlene e Wolfgang erano in piedi dietro di lui, quando Hans batté con indifferenza la breve sequenza d’un comando, poi Hans si lasciò andare sullo schienale della sua seggiola. Lo schermo rimase calmo, mostrando l’Europa, l’Asia e l’Africa come un disco semiilluminato sotto una coltre di nubi di medio spessore. I secondi si allungarono in quella che sembrò un’eternità.

— Allora? — chiese Wolfgang alla fine. — Noi siamo qui. Dov’è l’azione?

Si sporse in avanti. Mentre lo faceva, la proiezione cambiò. D’un tratto, da sei differenti punti dell’emisfero comparvero minuscole faville di luce rossa. Dapprima furono soltanto una mezza dozzina, facili da seguire. Ma nel giro di pochi minuti ce ne furono di più. Uscivano dal globo nebbioso sottostante come tante lucciole. Ognuna di esse cominciò lentamente a piegare verso oriente, il che dimostrava che erano dirette in orbita. Ben presto, furono quasi troppo numerose anche soltanto per contarle.

— Vedete quella sulla sinistra? — chiese Hans. — Viene da Aussieport. La maggior parte del vostro staff deve trovarsi là dentro: Judith, de Vries e Cannon: saranno qui fra un’ora e mezza.

— Santo Inferno! — Charlene aveva corrugato la fronte e scuoteva la testa. — Quelle non possono essere navi. Non ce ne sono tante in tutto il mondo.

Era troppo assorta nella scena davanti ai suoi occhi per cogliere il modo familiare con cui Hans Gibbs aveva accennato al direttore dell’Istituto, ma Wolfgang aveva scoccato a suo cugino una rapida occhiata complice.

— Charlene ha ragione — annuì Hans. Pareva soddisfatto dalla sua reazione di sorpresa. — Se considerate soltanto le navette e gli altri vettori riutilizzabili, non ci sono tante navi. Ma non rimaneva più tempo. Salter Wherry mi ha detto di portare tutto quassù, la gente e i rifornimenti, e al diavolo i costi. Lui è il capo e i soldi erano suoi. Dal modo in cu stavano andando le cose, se avessi aspettato ancora non ci avrebbero mai permesso di portar su quanto ci serviva. Quello che state vedendo è il più grande deflusso di persone e di equipaggiamento che vi capiterà mai più di contemplare. Mi sono assicurato un’opzione di lancio su ogni singolo veicolo sacrificabile che sono riuscito a trovare in tutto il mondo. Guardate, adesso: stanno per arrivarne ancora.

Una seconda ondata aveva avuto inizio, questa volta con un fiammeggiante arancione. Allo stesso tempo altri punti rossi fiammeggianti stavano strisciando fuori da dietro l’orlo scuro della Terra. I lanci effettuati dall’emisfero invisibile cominciavano a entrare nella visuale dello schermo.

Hans toccò un altro comando, e una serie di lampeggianti punti verdi comparve sulla proiezione, questi in un’orbita più alta.

— Quelle sono le nostre stazioni, tutto ciò che appartiene all’impero di Wherry, salvo le arcologie… sono troppo lontane per essere visibili su questa scala. Entro un’altra mezz’ora vedrete come la maggior parte dei lanci cominceranno a convergere sulle stazioni. Quassù dovremo far fronte in continuazione per le prossime trentasei ore ai rendez-vous e agli attracchi multipli.

— Ma come fate a sapere dove si trovano le navi? — Charlene aveva gli occhi spalancati per la meraviglia, ipnotizzata da quel turbinio di scintille luminose. — È tutto calcolato sulla base dei dati del decollo?

— Assai meglio. — Hans indicò con un gesto del pollice un altro degli schermi, sul lato. — I nostri satelliti da ricognizione seguono tutto quello che viene lanciato, in continuazione. I segnali termici generati nell’infrarosso dalla fase di lancio, e poi continuano con i radar ad apertura selettiva. Il software converte portata e velocità in posizione, e traccia le posizioni successive sulla proiezione. Wherry ha fatto installare il sistema di osservazione e di rilevamento alcuni anni fa, quando temeva che qualche pazzo sulla Terra potesse tentare un attacco di sorpresa contro una delle sue stazioni. Ma è ideale per questo uso.

Una terza ondata era iniziata. Tutt’intorno all’equatore, una nuova collana di abbaglianti punti azzurri si stava espandendo, allontanandosi dalla superficie della Terra. Il pianeta era cinto adesso da una confusione multicolore di spiraleggianti puntini luminosi.

— Per l’amor di Dio. — Wolfgang lasciò cadere ogni pretesa d’indifferenza. — Ma quanti ce ne sono? Ne ho contati più di quaranta e non ho cercato neppure di seguire quelli lanciati dall’emisfero americano.

— Duecentosei veicoli spaziali, di tutte le forme e dimensioni, e la maggior parte di essi non concepiti per il genere di attracco disponibile quassù. Il conto dei lanci appare in quel read-out laggiù. — Hans agitò la mano verso la proiezione, ma la sua attenzione era tutta sullo schermo.

— Sarà un incubo — riprese in tono allegro. — Dovremo farli combaciare tutti quando arriveranno qui. In realtà, non cercheremo neppure di far fare a tutti il percorso per intero. Molti di essi rimarranno in orbita bassa, e manderemo giù i rimorchiatori per trasferire il carico. Non ho avuto il tempo di preoccuparmi di trovare dei propulsori extra per farli arrivare fin quassù. Abbiamo già avuto abbastanza problemi anche soltanto a far arrivare in orbita alcuni di quei rottami.

Una quarta ondata era appena cominciata. Ma adesso lo schermo era davvero troppo confuso per riuscire a seguirla. I punti luminosi stavano convergendo, e la limitata risoluzione degli schermi ne faceva apparire molti in rotta di collisione, anche se erano separati da molte miglia di spazio. I due uomini parevano ipnotizzati, gli occhi fissi su quel luminoso carosello di navi orbitanti. Charlene andò all’oblò e guardò direttamente giù verso la Terra. Non c’era niente da vedere. Le navi erano troppo piccole perché potessero esser visibili contro la gigantesca mezzaluna del pianeta. Scosse la testa e si voltò per guardare il read-out che indicava il numero dei lanci. Il totale stava salendo ancora, balzando avanti a piccoli scatti a mano a mano che la velocità orbitale delle navi appartenenti al nuovo gruppo veniva confermata.

Hans aveva lasciato la consolle dei controlli, e tutti e tre adesso se ne stavano lì, immobili, fianco a fianco. La stanza rimase totalmente silenziosa per parecchi minuti, salvo per il morbido bip dei contatori.

— Quasi ci siamo — osservò Charlene, alla fine. Stava ancora seguendo la numerazione delle navi lanciate. — Duecentotré, quattro, cinque. Ancora una… ecco. Duecentosei. Dobbiamo applaudire?

Sorrise a Wolfgang, che senza accorgersene le stava stringendo la mano. Poi, quasi distrattamente, riportò lo sguardo sul contatore. Lo fissò per un attimo, d’un tratto insicura di ciò che stava vedendo.

— Ehi, Hans, mi pareva che tu avessi detto che il totale complessivo era di duecentosei! Adesso il read-out ne indica duecentoquattordici, e continua a salire.

— Cosa? — Hans girò di scatto la testa per guardare, il resto del suo corpo ruotò in senso inverso per compensare il movimento in condizioni di bassa gravità. — Non può essere. Ho raccattato ogni nave in grado di volare. Non c’è modo…

La voce gli morì in gola. Sullo schermo una nuova fontana di punti luminosi stava sgorgando verso l’alto. Si accentravano in un’area del sud-est asiatico. Mentre guardavano, un altoparlante accanto alla consolle tartagliò, accendendosi di colpo.

— Hans! Massimo allarme. — La voce era aspra e tesa, ma Wolfgang riconobbe il timbro autoritario. Era Salter Wherry. — Inserisci il nostro sistema difensivo. I monitor mostrano lanci di missili dalla Cina occidentale. Non abbiamo ancora informazioni sulla traiettoria. Potrebbero essere diretti sull’America o sull’Unione Sovietica, qualcuno potrebbe venire dalla nostra parte. È troppo presto per dirlo. Qui ho attivato l’interruttore. Tu conferma i posti di combattimento. Fra un minuto sarò nella centrale di controllo.

Malgrado il tono teso e angosciato della sua voce, aveva fatto quelle dichiarazioni con uno staccato così veloce che le frasi erano diventate un unico flusso continuo di ordini. Hans Gibbs non tentò neppure di rispondere. In un istante aveva lasciato la sua seggiola ed era corso ad un’altra consolle. Rimosse un sigillo di plastica e tirò fuori la leva dietro di esso ancora prima che Wolfgang e Charlene potessero fare il minimo movimento.

— Cosa sta succedendo? — gridò Charlene.

— Non lo so. — Hans dava l’impressione di essere sul punto di soffocare. — Ma guarda gli schermi e il conteggio. Quelli devono essere lanci di missili. Non possiamo permetterci il rischio d’indovinare dove sono diretti.

Il read-out stava impazzendo. Le cifre guizzavano via troppo veloci per riuscire a leggerle. La numerazione dei lanci aveva superato i quattrocento. Mentre saliva ancora, Salter Wherry fece il suo ingresso nella sala di controllo, incespicando.

Fu il suo arrivo in carne e ossa che rese Charlene consapevole della reale gravità della situazione. Qui c’era un uomo che ben di rado incontrava qualcuno, che valutava la propria privacy al di sopra di qualsivoglia ricchezza, che odiava farsi vedere dagli estranei. E in quel momento si trovava nella sala di controllo dimentico della presenza di Charlene e di Wolfgang.

Lei lo fissò incuriosita. Era quella la leggenda vivente, il maestro architetto dello sviluppo del Sistema Solare? Lei sapeva che era molto vecchio. Ma in quel momento appariva più che vecchio. La sua faccia era bianca e scheletrica, come una maschera della morte tirata al massimo, e le sue mani sottili tremavano.

— Quegli stolti — disse con voce sommessa. La sua voce era un sussurro gracchiante. — Quegli stolti, quei dannati stolti, dannati stolti. Temevo questo, ma non avevo mai davvero creduto che sarebbe successo mentre ero ancora in vita. Hai innalzato le nostre difese?

— Sono in posizione — rispose Hans con voce aspra. — Siamo protetti. Ma cosa ne sarà delle navi dirette quassù da noi? Verranno fatte esplodere se si trovano su una traiettoria di rendez-vous con noi.

Charlene lo fissò per qualche istante senza capire. Poi afferrò il significato delle sue parole. — Le navi? Mio Dio, l’intero staff dell’Istituto è in viaggio per quassù. Non potete usare i vostri missili difensivi contro di loro. Non potete farlo!

Wherry lo fissò con furore, dando l’impressione di accorgersi per la prima volta della presenza degli estranei nella sala di controllo. — Perfino le nostre navi più veloci non arriveranno qui prima di un’ora — disse.

Affondò in una poltrona. Il respiro gli sibilò in gola. Tossì e si lasciò andare contro lo schienale. La sua pelle appariva arida e bianca, come un impasto che si stesse sbriciolando. — A quel punto tutto sarà finito, in un modo o nell’altro. I missili d’attacco hanno un’alta accelerazione. Se sono puntati contro di noi, saranno qui fra una ventina di minuti. Se non lo saranno, sarà finita lo stesso. Hans, indica la nostra posizione nella proiezione.

Sotto il controllo della tastiera di Hans Gibbs, la posizione della Stazione Salter comparve sullo schermo con un brillante cerchio bianco. Hans studiò tutta la proiezione per qualche istante, con la testa piegata su un lato. — Non credo che stiano venendo da questa parte — disse. — A occhio direi che stanno puntando verso l’Unione Sovietica orientale e gli Stati Uniti. Cosa sta succedendo?

Wherry sedeva a testa bassa. — Vedi quello che riesci a capire dalle comunicazioni radio. — Si schiarì la gola, il respiro gli sibilava nella laringe. — Siamo sempre stati preoccupati che qualcuno potesse tentare un primo attacco di nascosto per spazzar via le capacità di rappresaglia dell’altro. È quello che stiamo vedendo. Qualche pazzoide ha approfittato dell’alto livello di attività dei nostri lanci… stanno accadendo così tante cose che ci vorrà un po’ di tempo perché qualcuno si renda conto che è in corso un attacco.

Hans si era inserito nelle frequenze radio e le stava passando in rassegna una dopo l’altra. — Silenzio radio dalla Cina. Guardate lo schermo. Quelli devono essere i missili degli Stati Uniti. Il contrattacco. Sapevamo che un primo attacco preventivo non avrebbe funzionato… e non ha funzionato.

Un fitto grappolo di punti di luce stava sfrecciando fuori sorvolando il polo Nord. Allo stesso tempo un nuovo sole si stava levando dalla Siberia orientale. Il read-out dei lanci era impazzito, adesso stava emettendo una serie di squittii a mano a mano che i singoli lanci diventavano troppo frequenti per poter venir indicati con un bip separato dal contatore. Più di duemila lanci di missili erano stati registrati in meno di tre minuti.

— Non poteva funzionare… non poteva funzionare — disse Salter Wherry con voce a stento udibile. — Il primo attacco non può mai funzionare. Lascia sempre qualcosa in grado di rispondere.

La testa gli ricadde sul petto. Per la prima volta Charlene pensò che forse stava vedendo qualcosa di più della vecchiaia e della preoccupazione. — Wolfgang, dammi una mano.

Andò al fianco di Wherry e gli mise una mano sotto il mento, sollevandogli la testa. I suoi occhi erano annebbiati, come se fossero coperti da una pellicola traslucida. Al suo tocco, sollevò debolmente la mano destra per stringere la sua. Era fredda come il ghiaccio, e l’altra mano gli si era serrata sul petto.

— Non poteva funzionare. Non poteva. — La voce era un ruvido bisbiglio. — È la fine, la fine del mondo. La fine di tutto.

— Ha un attacco cardiaco. — Charlene si sporse in avanti per sollevarlo, ma Wolfgang era là prima di lei.

— Hans, potresti farlo meglio di noi, ma devi rimanere qui. Noi dobbiamo sapere quello che sta succedendo. Avverti i servizi medici, di’ loro che pensiamo che sia un attacco cardiaco. Chiedi loro se dobbiamo spostarlo, o se vogliono curarlo qui, e se invece vogliono averlo da loro, chiedi come dobbiamo fare per spostarlo fin là.

Charlene l’aiutò a sollevare Wherry dalla poltrona. Lo fece con quanta più delicatezza possibile, mentre una parte del suo cervello si ritraeva stupita ad osservare Wolfgang e Hans. Durante gli ultimi minuti c’era stato uno strano e improvviso cambiamento nel loro rapporto. Hans era ancora, fra i due, quello più anziano e dotato di maggior esperienza. Ma a mano a mano che gli avvenimenti diventavano più confusi e deprimenti, pareva rimpicciolire, mentre Wolfgang diventava più energico e deciso. Al momento, non c’era alcun dubbio su chi avesse il controllo della situazione. Hans stava eseguendo gli ordini di Wolfgang senza esitazione. Era alla consolle con l’auricolare in posizione, e le sue dita volavano sulla distesa dei tasti.

— Lasciate lì Wherry — disse, qualche istante dopo. — Il Centro medico ha detto che Olivia Ferranti arriverà subito. Mettetelo lungo disteso di piatto, poi non spostatelo più, non provate nessuna cura, a meno che non smetta di respirare, porteranno con loro l’apparecchiatura portatile per la rianimazione.

— Bene. — Wolfgang fece un segno a Charlene e fra loro due, con cautela, calarono Salter Wherry sul pavimento, sorreggendogli la testa sulla giacca di Wolfgang. Wherry giacque immobile per un momento, poi fece uno sforzo per sollevarsi.

— Non si muova — disse Charlene.

Vi fu un leggero movimento laterale della testa. — Le proiezioni. — La voce di Wherry era un bisbiglio frusciante. — Devo vedere le proiezioni, le ricognizioni, le città.

Hans si era voltato a guardarli. Annuì. — L’ho già chiesto, le città principali. Che altro?

— Puoi metterti in contatto con la nave che ha il personale più alto in grado dell’Istituto a bordo? — chiese Wolfgang. — Dobbiamo parlare a JN. Sono bene al di fuori dell’atmosfera ma non so se da qui siamo in linea visiva con loro.

— Non ha importanza. — Hans tornò a voltarsi verso la consolle. — Possiamo usare i relé. Cercherò di raggiungerli. Dovremo usare un altro canale per farlo. Li immetterò nello schermo alle tue spalle.

Si mise al lavoro sulla tastiera. Era il solo che avesse abbastanza lavoro da impegnarlo per intero. Charlene e Wolfgang se ne stavano là con una sensazione d’impotenza. Wherry, dopo lo sforzo che aveva fatto per alzare la testa, giaceva immobile. Pareva prosciugato di tutto il sangue, con il volto livido e le mani piegate a formare degli artigli rattrappiti. Il respiro gli gorgogliava nelle profondità della gola, l’unico suono che interrompeva il bip urgente dei nuovi lanci. Le scintille non erano più concentrate in una fascia intorno all’equatore della Terra. Adesso coprivano tutto il globo come un reticolato luminoso, più serrato sull’emisfero settentrionale e il polo. Olivia Ferranti arrivò proprio mentre le immagini del satellite da ricognizione comparivano sullo schermo. La dottoressa lanciò un’occhiata sorpresa all’esplosione biancoazzurra che sbocciava là dove si trovava Mosca, poi l’ignorò e s’inginocchiò accanto al suo paziente. Il suo assistente si affrettò a collegare gli elettrodi che uscivano dall’unità portatile al petto nudo di Salter Wherry, e tirò fuori una sega e un bisturi dall’aspetto sinistro da una valigetta sterilizzata usata per trasportarli. — La trasmissione dalla nave che hai chiesto sta arrivando — annunciò Hans. — Cosa vuoi?

— Judith — disse Wolfgang. — Charlene, farai meglio a parlarle tu. Di’ loro di allontanarsi dalla traiettoria del rendez-vous fino a quando il nostro sistema missilistico difensivo non sarà stato disattivato. Saranno al sicuro da qualsiasi parte…

Le sue parole andarono smarrite in una gigantesca esplosione di rumore uscita dalle unità di comunicazione.

— Dannazione! — In fretta Hans Gibbs ridusse il volume a un livello tollerabile. — Lo temevo. Alcune delle esplosioni termonucleari avvengono ai margini dell’atmosfera. Stiamo ricevendo gli effetti della pulsazione elettromagnetica, e questa cancella i segnali. Siamo al sicuro quanto basta. Tutto il sistema di Wherry è stato collaudato in condizioni estreme tanto tempo fa. Non sono sicuro di come sia la situazione con quella nave. Proverò un canale laser, spero che siano abbastanza schermati contro la pulsazione elettromagnetica, e che in questo momento siamo in linea visuale.

Gli schermi del sistema di ricognizione stavano raccontando una storia agghiacciante. Ogni pochi secondi la proiezione dettagliata cambiava per mostrare una nuova esplosione. Non c’era il tempo per identificare ciascuna città prima che svanisse per sempre nel bagliore della fusione dell’idrogeno. Soltanto la condizione di luce diurna o notturna dell’immagine diceva agli osservatori in quale emisfero i missili stavano arrivando. Era impossibile stimare i danni o le perdite di vite umane prima che una nuova scena affollasse gli schermi. Salter Wherry aveva ragione: la speranza di un primo attacco preventivo si era rivelata vuota.

Wolfgang e Charlene erano immobili, fianco a fianco, davanti allo schermo più grande. Questo mostrava ancora la scena dall’orbita geostazionaria. Ancora una volta la scena sfavillava di balenanti tremolii di luce, ma questi, adesso, non erano il risultato della simulazione del computer. Erano esplosioni, testate multiple, megatoni multipli. L’intero emisfero era butterato da pustole scure di nuvole, a mano a mano che gli edifici, i ponti, le strade, le case, le piante, gli animali e gli esseri umani venivano vaporizzati e trasportati in alto nella stratosfera.

— Amburgo. — Wolfgang bisbigliò la parola quasi fra sé. — Hai visto, quella era Amburgo. Là c’era mia sorella. Suo marito, e anche i bambini.

Charlene non parlò. Gli strinse la mano con molta più forza di quanto si rendesse conto. Le esplosioni continuarono nell’orrendo silenzio della proiezione che pareva peggio di qualunque rumore. Charlene avrebbe desiderato che lo schermo le mostrasse qualche immagine dell’America del Nord? Oppure avrebbe preferito non sapere quello che era successo laggiù? Con tutti i suoi parenti a Chicago e a Washington… pareva non ci fosse speranza per nessuno di loro.

Si girò. Una maschera era stata posta sulla parte inferiore del volto di Salter Wherry. Olivia Ferranti aveva aperto la camicia scura di Wherry e stava facendo qualcosa al suo petto che Charlene preferiva non guardare troppo da vicino. L’assistente stava preparando un carrello leggero per il trasporto di un essere umano.

Morto o vivo? Charlene rimase scossa nel vedere che Wherry era del tutto cosciente e i suoi occhi ruotavano per seguire l’una o l’altra delle proiezioni sugli schermi. La sua espressione aveva un’intensità tale da poter essere attribuita agli stimolanti cardiaci, ma per lo meno quell’espressione velata e vitrea era scomparsa.

Charlene seguì lo sguardo di Wherry fino allo schermo in fondo alla stanza. Lì si stava formando un’immagine nebulosa: un disegno distorcente verde a spina di pesce, con una sorta di rumore di fondo visivo. Quando l’immagine si stabilizzò e si schiarì, Charlene si rese conto che stava guardando Jan de Vries. Sedeva su uno sgabello della navetta e aveva una pila di carte sui ginocchi. Appariva in preda alla nausea più completa e stava piangendo.

— Dottor de Vries… Jan. — Charlene non sapeva se poteva sentirla o vederla, ma non poté fare a meno di gridare: — Non cercate di effettuare il rendez-vous. Qui abbiamo messo in funzione il sistema missilistico di difesa!

Alla sua voce de Vries sì rizzò con un sussulto. — Charlene? Posso sentirti, ma il nostro sistema video non funziona. Riesci a vedermi?

— Sì. — Non appena ebbe risposto, Charlene se ne rincrebbe. Jan de Vries era scarmigliato, c’era una macchia di vomito sulla sua giacca, e aveva gli occhi rossi per il pianto. Per un uomo che faceva sempre tanta attenzione a presentarsi in forma inappuntabile, il suo stato attuale doveva essere umiliante. — Jan, hai sentito cosa ho detto? — prosegui in fretta. — Non lasciare che tentino il rendez-vous.

— Lo sappiamo. — De Vries si sfregò gli occhi con le dita. — Quel messaggio è arrivato prima di qualunque altra cosa. Siamo in orbita di attesa e ci resteremo fino a quando non saremo sicuri che potremo avvicinarci alla Stazione Salter senza più nessun pericolo.

— Jan, hai visto qualcosa? È terribile, il mondo sta esplodendo.

— Lo so. — De Vries parlò con chiarezza in tono quasi assente. Per qualche ragione, Charlene ebbe l’impressione che la sua mente fosse altrove.

— Devo parlare con un dottore della Stazione Salter — proseguì Jan. — L’avrei fatto prima del lancio, ma c’era troppa confusione. Me ne puoi trovare uno?

— Ce n’è uno qui con noi, Salter Wherry ha avuto un attacco cardiaco e lei se ne sta occupando.

— Bene, puoi farla venire al comunicatore? È indispensabile che le chieda quali sono i servizi ospedalieri sulla Stazione Salter. C’è bisogno urgente di certi farmaci e di attrezzature chirurgiche… — Jan de Vries s’interruppe all’improvviso, parve perplesso e scosse la testa. — Mi spiace, Charlene. Ti sento, ma in questo momento ho difficoltà a concentrarmi su più di una cosa per volta. Hai detto che Wherry ha subìto un attacco cardiaco. Quando?

— Quando è cominciata la guerra.

— Un brutto attacco?

— Credo di si. Non lo so. — Charlene non poteva rispondere a questa domanda, non con Salter Wherry che la fissava muto. — Dottoressa, ha il tempo di parlare per qualche istante con il dottor de Vries?

L’altra donna sollevò il suo sguardo freddo dalla posizione accovacciata accanto a Wherry. — No. Qui ho le mani più che occupate. Ma mi faccia la domanda, e vedrò se posso darle una risposta veloce.

— Grazie — disse de Vries in tono umile. — Sarò breve. Sulla Terra ci sono, o c’erano, quattro ospedali attrezzati per eseguire una totale resezione parietale, con rimozione parziale e sutura interna della commessura anteriore. Sono necessari strumenti speciali e una procedura complicata per la somministrazione di farmaci pre e post-operatoria. Vorrei sapere se un’operazione del genere può essere eseguita con le attrezzature mediche disponibili al Centro Medico della Stazione Salter.

— Di cosa diavolo sta parlando? — chiese Hans con un burbero sussurro sopra la spalla di Wolfgang. — Il mondo sta andando a fuoco e lui si mette a parlare di ospedali.

Wolfgang fece segno ad Hans di star zitto. Jan de Vries aveva dichiarato molte volte di non avere nessuno al mondo, un orfano senza parenti in vita né amici intimi. Le sue angosce non dovevano esser collegate alla famiglia o a persone amate perdute. Ma Wolfgang poteva vedere l’espressione sulla faccia di de Vries, e là c’era qualcoa che parlava di una tragedia personale che trascendeva qualunque Armageddon. Uno strano sospetto cominciò a sussurrare nella mente di Wolfgang.

Infine la dottoressa Ferranti girò la testa e fissò l’immagine di de Vries. — Non abbiamo l’attrezzatura, e vedendo questo… — Indicò con uno scatto della testa lo schermo principale, — … immagino che non l’avremo mai.

L’orbita aveva continuato a muovere la Stazione Salter sempre più a occidente, sul lato della Terra illuminato dal Sole. Adesso guardavano giù direttamente sull’oceano Atlantico. Le minuscole ulcere scure sulla faccia della Terra si erano allargate e fuse tra loro. La maggior parte dell’Europa era oscurata da un pennacchio di fumo, illuminato dall’interno da lampi avvampanti e tempeste di fuoco che avvampavano in superficie. La costa orientale degli Stati Uniti avrebbe dovuto comparire alla loro vista, ma era nascosta da una torbida massa ininterrotta di nuvole e di polvere.

E i missili venivano ancora lanciati contro i loro bersagli. A mano a mano che i missili nemici colpivano i loro bersagli e svanivano dalle proiezioni, nuovi punti di luce abbagliante si levavano, come la Fenice, dal ribollente sconvolgimento dove un tempo si erano trovati gli Stati Uniti, intraprendendo il loro percorso sopra il polo in direzione dell’Asia. Le mani che li guidavano e li controllavano potevano anche essere morte, ma le loro istruzioni erano state fissate da tempo nel computer di controllo. Se non c’era più nessuno in vita per fermarli, la pioggia nucleare avrebbe continuato a cadere fino a quando tutti gli arsenali non fossero stati svuotati.

— Potete mettere insieme l’attrezzatura per l’operazione? — chiese de Vries alla fine. Incapace di vedere lui stesso le proiezioni, non si rendeva conto che tutti nella sala centrale di controllo erano paralizzati dallo spettacolo della Terra morente. La sua domanda era urgente, ma nessuno gli rispose. Sin dall’inizio di quel giorno ogni cosa nel mondo di de Vries si era svolta come un sogno al rallentatore, come se ogni cosa fosse già terminata ancora prima della conclusione finale.

— Potete fabbricarne una? — ripeté.

La dottoressa Ferranti rabbrividì e alla fine rispose: — Se volessimo, potremmo montare un complesso improvvisato per fare il lavoro, ma sarebbero necessari almeno cinque anni. Dovremmo cavarcela completamente da soli, fabbricando apparecchiature per fabbricare altre apparecchiature.

Abbassò di nuovo lo sguardo su Salter Wherry, e perse subito ogni interesse a parlare ancora con de Vries. Adesso il respiro di Wherry era più debole e irregolare. Pareva privo di sensi.

— Vieni — disse la dottoressa al suo assistente. — Non volevo muoverlo, ancora, ma non abbiamo altra scelta. Dobbiamo portarlo al Centro. Subito, altrimenti morirà.

Con l’aiuto di Wolfgang, Wherry venne sollevato con cautela e sistemato sul carrello. Aveva ancora la maschera da ossigeno sulla parte inferiore del viso. Quando venne deposto sul carrello i suoi occhi si aprirono. Le pupille erano dilatate, le iridi cerchiate d’un bianco giallastro. I bulbi oculari erano incassati e cerchiati di scuro. Wolfgang guardò dentro di essi e vi vide la morte.

Cominciò a raddrizzarsi, ma in qualche modo la mano fragile di Wherry trovò la forza di stringergli la manica.

— Sei dell’Istituto? — Le parole erano fioche, smorzate.

— Sì. — Era una sorpresa scoprire che Wherry era ancora in grado di parlare.

— Vieni con me.

Quella debole voce era ancora in grado di comandare. Wolfgang annuì, poi esitò quando la dottoressa Ferranti si preparò a portar via lentamente Wherry sul carrello. Charlene stava parlando di nuovo con de Vries, facendogli le domande che lui stesso avrebbe voluto fargli.

— Jan — stava dicendo Charlene, — abbiamo cercato di raggiungere Judith. Dov’è?

— È qui. Su questa nave. — De Vries si coprì gli occhi con le mani. — È priva di sensi. Non volevo che venisse. Volevo che aspettasse, che riprendesse le forze, che si facesse operare per poi seguirci. Ha insistito per venire. E ha avuto ragione. Ma sulla Terra sarebbe stato possibile aiutarla. Adesso…

Wolfgang si sforzò di dare un senso alle parole di de Vries. Ma quella mano fragile era di nuovo sul suo braccio, e quel filo di voce aveva ripreso a parlare. — Vieni. Adesso. Dobbiamo parlare. Adesso.

Wolfgang esitò per un secondo, poi seguì, riluttante, la barella fuori della sala di controllo.

Salter Wherry girò la testa verso Wolfgang, e una lingua arida si mosse sopra le labbra pallide. — Rimani vicino.

— Non cerchi di parlare — disse la dottoressa.

Wherry l’ignorò. — Devi trasmettere un messaggio. Devi dire a Judith Niles quello che bisogna fare. Mi ascolti?

— Sto ascoltando. — Wolfgang annuì. — Vada avanti. Mi accerterò che riceva il messaggio.

— Dille che io so che ha capito il perché della narcolessia. Ha pensato… troppo semplice per lei. Voglio che sappia la ragione, la vera ragione per la quale la volevo qui.

Vi fu una lunga pausa. Gli occhi di Wherry si chiusero. Wolfgang pensò che avesse perso i sensi, ma quando quella voce antica parlò di nuovo, parve più forte e più coerente.

— Avevo le mie ragioni per aver bisogno di lei quassù, e lei aveva le sue per venire. Non so quali fossero; ma voglio che lei conosca le mie. E voglio che lei porti a compimento il piano qua fuori. Speravo che non ci saremmo fatti saltare in aria da soli là sotto, ma dovevo prepararmi al peggio. Appena in tempo, eh? — Vi fu un gemito sibilante. Wolfgang si rese conto che era una risata. — La storia della mia vita. Appena in tempo. Un altro giorno e saremmo arrivati troppo tardi.

Fece un debole movimento col braccio quando la dottoressa Ferranti lo prese per fargli un’iniezione. — Niente sedativi. Mi fa male… il petto, ma posso sopportarlo. Tu, ragazzo. — Gli occhi del vecchio parvero ardere dentro quelli di Wolfgang. — Chinati. Non posso parlare ancora per molto. Ti racconterò il mio sogno. Voglio che tu dica a Judith Niles di farlo suo.

Wolfgang si chinò sopra quel fragile corpo. Vi fu una lunga pausa.

— La Genesi. Ti ricordi la Genesi? — La voce di Salter Wherry si stava spegnendo, diventando sempre più indistinta. — Noi dobbiamo fare quello che dice la Genesi… Siate fecondi e moltiplicatevi.

Wolfgang lanciò una rapida occhiata alla dottoressa. — Sta farneticando.

— Non sto farneticando. — C’era ancora una debole punta d’irritabilità in quella voce fioca. — Ascolta. Ho costruito le arcologie perché facessero molta strada, inseminando l’universo. Siate fecondi e moltiplicatevi. Capito? Autosufficienti… possono andare avanti per migliaia di anni, diecimila anni. Ma noi… non possiamo farlo. Noi siamo l’anello debole. Combattiamo, cambiamo idea, cambiamo società, uccidiamo i capi, distruggiamo i sistemi. Maledetti stolti. Non dureremo mai mille anni… neppure cento.

Avevano raggiunto il Centro Medico, e Wherry venne sollevato su un tavolo dove tutto era stato predisposto per le operazioni di emergenza. Un ago gli stava già scivolando dentro il braccio sinistro, mentre una batteria di vivide luci si stava accendendo tutt’intorno a loro.

Wherry ruotò la testa facendo un ultimo sforzo per guardare Wolfgang. — Di’ a Judith Niles… voglio che sviluppi l’animazione sospesa. È per questo che avevo bisogno dell’Istituto quassù nella Stazione. — La maschera a ossigeno era stata tolta, e su quel volto torturato c’era la parodia d’un sorriso. — Un tempo pensavo di poter essere io il primo esperimento. Ho visto le stelle io stesso… ma non toccherà a me giungere così lontano. Dille: sono freddo, la fine di ogni cosa… sonno…

La dottoressa Ferranti era al fianco di Wolfgang. — È sotto anestesia — gli disse. — Vogliamo che lei esca di qui. Opereremo subito.

— Potete salvarlo?

— Non credo. Questo è il terzo attacco. — Si morse il labbro. Per la prima volta Wolfgang notò i suoi grandi occhi luminosi e la bocca dalla piega triste. — L’ultima volta è stato un lavoro di rattoppo, ma speravamo che durasse più a lungo di così. Una probabilità su dieci, non di più. Meno, se non cominciamo subito.

Wolfgang annuì. — Buona fortuna.

Ripercorse a lenti passi i corridoi. Erano deserti. Tutti quelli presenti nella stazione si erano ritirati con i propri pensieri. Wolfgang, di solito insensibile alla fatica, si sentiva svuotato, sconfitto. Le esplosioni sulla Terra riemersero nella sua mente senza che lui le avesse evocate, un collage di distruzione con il volto triste di Jan de Vries sovrapposto ad essa. L’ottimismo di quella mattina, e le battute scherzose durante l’inventario delle scorte con Charlene gli parevano lontani molte settimane.

Finalmente arrivò nella sala di controllo. C’era soltanto Hans, intento a guardare le proiezioni. Pareva in trance da shock, ma si animò alla voce di Wolfgang.

— Il sistema di difesa missilistico è stato disattivato. Laggiù erano troppo occupati a farsi fuori tra loro per sprecare il loro tempo per noi. Le tue navi cominceranno ad attraccare da un momento all’altro.

— Qual è la situazione… — Wolfgang indicò con un cenno del capo lo schermo dove la grande proiezione mostrava la faccia a chiazze color ocra della Terra.

— Orrenda. Non arrivano segnali, né radio né televisivi, o, se ci stanno provando, si smarriscono nella statica. Appena qualche minuto fa abbiamo tentato di valutare la quantità di energia liberata. Trentamila megatoni. — Hans sospirò. — Quattro tonnellate di TNT per ogni singolo individuo sul pianeta. Adesso c’è la notte su tutta la superficie della Terra. La luce del sole non può penetrare le nubi di polvere.

— Quante perdite?

— Due miliardi? Tre miliardi? — Hans scosse la testa. — Non è ancora finita. I mutamenti del clima elimineranno quelli rimasti.

Tutti? Tutti gli abitanti della Terra?

Hans non rispose. Rimase seduto rannicchiato alla consolle, con lo sguardo fisso sullo schermo. Tutta la superficie del pianeta era una singola macchia scura. Dopo qualche minuto Wolfgang proseguì, tornando al proprio alloggio. Hans e gli altri avevano ragione. Ben presto le navi avrebbero attraccato, ma prima di questo c’era bisogno di solitudine e silenzioso dolore.

Charlene lo stava aspettando nella stanza al buio. Entrò e la prese tra le braccia. Per parecchi minuti rimasero seduti in silenzio, stringendosi l’un l’altro. La velocità degli eventi era stata tale per molte ore che erano rimasti storditi e soltanto adesso il loro orrendo significato aveva cominciato a diventare comprensibile. Per Charlene, in particolare, che aveva lasciato la Terra e l’Istituto Neurologico da appena ventiquattr’ore, ogni cosa dava una sensazione d’irrealtà. Sentiva che ben presto l’incanto sarebbe stato rotto e sarebbe tornata al familiare e confortevole mondo degli esperimenti, dei rapporti di aggiornamento, e degli incontri settimanali dello staff.

Wolfgang si mosse fra le sue braccia. Lei gli sollevò la mano e gliela sfregò contro la guancia.

— Quali sono le notizie su JN? — chiese lui alla fine. — Non mi è piaciuta l’espressione di de Vries.

Charlene rabbrividì nel buio. — Peggio non potrebbe essere. Jan si è incontrato con lei questa mattina, quando ha ricevuto dal laboratorio gli ultimi risultati dei test. Ha un tumore al cervello, maligno e in rapido sviluppo. Ancora peggio di quanto temessimo.

— Non si può operare?

— Questa è la parte peggiore… è quanto chiedeva Jan de Vries. Esistono un’operazione e un programma associato di chemioterapia, che hanno avuto successo in quattro casi su cinque. Ma i posti e le persone in grado di eseguirla si contano sulle dita di una mano. Non c’è nessun modo di farlo sulla Stazione Salter, hai sentito cos’ha detto la dottoressa Ferranti, ci vorrebbero cinque anni per mettere a punto le attrezzature necessarie.

— Quanto tempo le rimane?

— Due o tre mesi, non di più. — Charlene aveva trattenuto i propri sentimenti per tutta la giornata, ma adesso piangeva in silenzio. — Forse meno, l’accelerazione al momento del lancio le ha fatto perdere i sensi, e questo è un brutto segno. Erano soltanto tre G. E tutti i servizi medici sulla Terra che avrebbero potuto effettuare l’operazione, sono polvere. Wolfgang, è condannata. Qui non possiamo operarla e lei non può tornare laggiù.

Lui rimase nuovamente in silenzio per un po’, facendo dondolare gentilmente Charlene avanti e indietro fra le sue braccia. — Questa mattina sembravamo all’inizio di ogni cosa — disse. — Dodici ore più tardi… è la fine. Wherry l’ha detto: la fine di ogni cosa. Non te l’ho detto, ma sta morendo anche lui. Ne sono sicuro. Mi ha dato un messaggio per JN, perché si mettesse a lavorare sul sonno freddo per le arcologie. Gli ho promesso che l’avrei comunicato a Judith, e lo farò. Ma adesso non ha più nessuna importanza.

— Se ne sono andati tutti — disse Charlene con voce sommessa. — La Terra, Judith Niles, Salter Wherry. Cosa rimane?

Wolfgang rimase silenzioso per parecchi istanti. Nel buio, sentendo il corpo di lui caldo contro il proprio, Charlene si chiese se lui l’avesse davvero sentita. Cominciavano entrambi ad assopirsi, a mano a mano che l’esaurimento nervoso li drenava d’ogni energia residua. Si sentì troppo debole per muoversi.

Alla fine Wolfgang grugnì e si mosse. Esalò un lungo, fremente, sospiro.

— Rimaniamo noi — disse. — Siamo ancora qui. E ci sono gli animali. Qualcuno deve occuparsi di loro. Non possiamo lasciare che muoiano di fame.

Appoggiò di nuovu la testa sulla spalla di Charlene. — Rimaniamo qui, cerchiamo di dormire un po’. Poi potremo andare a dar da mangiare al vecchio Jinx.

Le sue parole suonarono rotte e indistinte, mentre sprofondavano nel sonno. — Qualcosa deve andare avanti… perfino dopo la fine del mondo.

CAPITOLO UNDICESIMO

Per quasi quattro ore non c’era stato nessuno scambio di parole. Ognuna delle tre figure abbigliate di bianco era assorta nei suoi particolari doveri, e le maschere di garza imponevano per giunta isolamento e anonimità. L’aria nella camera era fredda da gelare. Gli operatori si sfregavano le mani ghiacciate, ma erano riluttanti a indossare guanti termici rischiando una diminuzione dell’abilità nell’uso delle dita.

La donna sul tavolo era rimasta inconscia per tutto il tempo, li suo respiro era talmente debole che era necessario la rassicurante indicazione del monitor a indicare la sua sopravvivenza e la sua condizione stabile. Elettrodi e cateteri le entravano nell’addome, nella cavità del torace, ne! naso, negli occhi, nella colonna vertebrale e nel cranio. Uno spesso tubo era stato collegato a un’importante arteria nell’inguine, pronto a pompare sangue al congegno di scambio chimico sistemato sui tavolo.

Tutto era pronto. Ma aleggiava l’esitazione. I tre controllarono un’ultima volta i segni vitali, poi per tacito accordo uscirono dalla stanza e si tolsero le maschere. Per qualche istante si guardarono in silenzio.

— Dobbiamo davvero farlo? — chiese Charlene a un tratto. — Voglio dire, con tutte le incertezze e i rischi… noi non abbiamo nessuna esperienza con un essere umano. Zero. E non sono sicura di come dovrebbero venir modificate le diverse dosi di droga per adattarle ad una massa ed a una chimica corporea diverse…

— Quale altra azione suggeriresti, mia cara? — Jan de Vries era stato quello che si era opposto in maniera più veemente all’idea, quando gli era stata proposta la prima volta, ma adesso pareva molto calmo e rassegnato. — Riportare la sua temperatura corporea alla normalità? Cercare di svegliarla? Se questo è il tuo suggerimento, proponicelo. Ma devi essere tu quella, non io, che l’affronterà e le spiegherà perché non abbiamo acconsentito ad esaudire i suoi espliciti desideri.

— Ma se non dovesse funzionare? — La voce di Charlene tremava. — Guarda la nostra documentazione. È talmente rischioso… Abbiamo tenuto Jinx in quella condizione per tre settimane soltanto. Ed è tutto.

— E tu vuoi dirci, così, che la tua esperienza con l’orso non è utilizzabile?

— Chi lo sa? Potrebbero esserci cento differenze significative: la massa corporea, antigeni preesistenti, reazioni alle droghe. E anche altre cose assai più improbabili di queste. Per tutto quello che ne sappiamo, potrebbe funzionare con Jinx a causa di alcuni farmaci che abbiamo usato in precedenza durante gli esperimenti che abbiamo fatto su di lui. Ricordi quando abbiamo usato la stessa procedura con Dolly? L’ha uccisa. Dobbiamo tentare altri test, con altri animali… abbiamo bisogno di più tempo.

— Questo lo sappiamo tutti. — Wolfgang Gibbs non condivideva la calma fatalistica di de Vries, o il nervoso tentennare di Charlene. Pareva avere un interesse oggettivo nel nuovo esperimento. — Considera la cosa in questo modo, Charlene. Se potremo portare JN nel Modo Due durante le prossime ore, vi sono due possibilità. Se rimarrà stabile e riprenderà conoscenza, tutto è a posto. Cercheremo di comunicare con lei per scoprire come si sente. Se la porteremo nel Modo Due e non sarà stabile, potremo cercare di riportarla alle condizioni normali. Se ci riusciremo, avremo la possibilità di tentare di nuovo. Se falliremo, morirà. È questo che ti preoccupa. Ma se non tentiamo di stabilizzarla nel Modo Due, morirà comunque, ricordati della diagnosi. Se ne andrà in meno di tre mesi, e questo non possiamo cambiarlo. Poniti la domanda in questi termini: se ci fossi tu su quel tavolo, cosa vorresti che facessimo?

Charlene si morse il labbro. C’era la terribile tentazione di non fare niente, di lasciare JN con una temperatura corporea vicina al punto di congelamento, mentre loro deliberavano. Ma la temperatura della camera stava ancora scendendo. Nel giro della prossima mezz’ora dovevano far riprendere i sensi a Judith Niles, oppure tentare il Modo Due.

— Qual è l’ultimo rapporto sul Jinx? — chiese d’un tratto Charlene.

— Sta bene.

— D’accordo. Allora dico, procediamo pure. Aspettare non servirà a nulla.

Se gli altri due erano rimasti sorpresi da quell’improvviso cambiamento di atteggiamento, nessuno dei due ne parlò. Si aggiustarono le maschere sul viso e tornarono subito dentro la camera. La temperatura all’interno era già scesa di un altro grado. I monitor registravano un ritmo del polso di quattro battiti al minuto per Judith Niles, e il sangue raffreddato veniva spinto pigramente attraverso le vene contratte.

Cominciò lo stadio finale. Sarebbe stato compiuto sotto il controllo del computer, con gli umani presenti soltanto per fornire un intervento svincolato dalla macchina se le cose fossero andate storte. De Vries iniziò la sequenza di controllo, poi si avvicinò alla figura immobile sopra il tavolo e appoggiò delicatamente il palmo della mano sulla fronte fredda.

— Buona fortuna, Judith. Faremo del nostro meglio. E comunicheremo con te, Dio volendo, quando arriverai là.

Rimase a fissare il suo viso per molto tempo. Le iniezioni di farmaci esattamente calibrate e la massiccia trasfusione di sangue chimicamente modificato era già iniziata. Adesso i monitor mostravano schemi strani, periodi stabili che si alternavano con cambiamenti improvvisi della velocità delle pulsazioni, delle conduttività epidermica, dell’equilibrio ionico, e dell’attività del sistema nervoso. Le proiezioni dell’oscilloscopio mostravano picchi e valli imprevedibili nei ritmi del cervello, a mano a mano che i cicli delle onde s’innalzavano, scendevano, si fondevano.

Perfino agli occhi esperti degli osservatori ogni cosa sui monitor appariva strana e poco familiare. Però non era una sorpresa. Come aveva richiesto, Judith Niles si stava imbarcando per uno strano viaggio. Avrebbe esplorato una regione dove il sangue era prossimo al punto di congelamento, dove le reazioni chimiche del corpo procedevano ad una frazione del loro ritmo usuale, dove soltanto pochi animali ibernati e nessun essere umano si erano mai avventurati per ritornare poi alla vita.

Il cuore raggelato rallentò ancora, e il sangue si mosse pigramente lungo le arterie e le vene raffreddate. D’un tratto il corpo sul tavolo fremette e si contrasse, poi fu di nuovo calmo. I monitor tremolarono a mo’ di avvertimento.

Ma adesso non ci sarebbe stato nessun ritorno. La ricerca era iniziata. Durante le prossime ore, Judith Niles sarebbe stata impegnata in un’impresa disperata. Doveva trovare un nuovo plateau di stabilità fisiologica, laggiù, dove nessun essere umano si era mai spinto prima; e la sua unica guida era una pista indistinta lasciata da un orso kodiak.

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