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— Comincio a capire perché gli serve un pilota di linea su un sottomarino — disse Nils, azionando l’ingranaggio che sigillava il boccaporto inferiore della torretta di comando.

— Se non vi spiace, tenete voi il giornale di bordo — fece Henning, indicando il libro aperto che stava sul piccolo tavolo del navigatore, fissato alla paratia.

— Va bene — disse Nils, lanciando un’occhiata all’orologio e scrivendo subito qualcosa. — Se l’esperimento funziona, voi sarete l’unico comandante di un sottomarino che sia mai stato stipendiato dalle forze aeree.

— Allontaniamoci un poco, comandante Wilhelmsen, per favore — disse Arnie, intento ai suoi strumenti. — Almeno alla distanza dell’altra volta.

Ja el. — Henning armeggiò con un dispositivo, e le pompe pulsarono sotto i loro piedi. Poi sedette al posto del pilota, davanti alla torretta di comando. Lo scafo si sollevava, in una specie di protuberanza che conteneva tre oblò rotondi, molto spessi. Un volante, molto simile a quello di un aereo, serviva a dare la direzione: per voltare bastava variare la velocità relativa dei getti d’acqua gemelli che propellevano il sottomarino e che erano orientati dai deflettori di poppa.

— Siamo distanti duecento metri — annunciò infine Wilhelmsen, riducendo la velocità.

— Le pompe dei vostri getti sono meccaniche? — domandò Arnie.

— Sì, azionate elettricamente.

— Potete staccarle completamente e mantenere un’emissione costante del vostro generatore? Abbiamo regolatori di voltaggio, ma sarebbe bene se poteste produrre una quantità il più costante possibile.

Henning abbassò una serie di interruttori. — Tutti i motori sono staccati. Sono inseriti ancora la strumentazione e l’impianto dell’aria. Posso staccare anche quelli, per breve tempo, se desiderate.

— No, basta così. Ora metterò in funzione l’unità di propulsione e ci solleveremo con un minimo di energia all’altezza approssimativa di cento metri.

Nils scrisse qualcosa sul giornale di bordo e guardò le onde che si frangevano contro l’oblò più vicino. — Avete un altimetro a bordo, Henning?

— No.

— Peccato. Bisognerà farne installare uno. E ci vorrà il radar, invece di quel sonar. Ho l’impressione che stiate uscendo dalla vostra sfera di competenza…

Henning assunse un’espressione addolorata e crollò malinconicamente la testa. Poi lanciò un’occhiata all’oblò, mentre una strana vibrazione percorreva tutto il sommergibile. La superficie dell’acqua si allontanava a velocità costante.

— È sospeso nell’aria, ora — disse, sgomento, guardando gli strumenti ormai inutili. L’ascesa continuava, gli istanti passavano.

— Cento metri — dichiarò Nils tenendo come punto di riferimento la nave sottostante. Arnie compì una lieve correzione e si voltò.

— Sembra che ci sia una riserva di energia più che sufficiente, anche quando la propulsione tiene la massa del sommergibile a que sta quota. Gli apparecchi funzionano bene e non c’è pericolo di sovraccarico. Siete pronti, signori?

— Mai stato più pronto in vita mia.

— Premete il pulsante, professore. È spiacevole restare qui, sospesi a mezz’aria!

Il ronzio cessò, e gli occupanti si sentirono schiacciare contro i sedili. Nils e Henning, ammutoliti dall’emozione, guardavano fuori dagli oblò mentre il minuscolo sottomarino balzava verso il cielo. Un fischio leggero, appena più forte del gemito dell’impianto per l’aria condizionata, vibrò attraverso tutto lo scafo mentre l’aria fuggiva veloce all’esterno. Il motore pulsava regolarmente. Senza sforzo e in assoluto silenzio, lo strano veicolo proseguiva la sua corsa. L’oceano sottostante si era fatto liscio, e la nave-appoggio era diventata piccola come un giocattolo, prima che le nubi basse si chiudessero intorno a loro.

— Questo è peggio del volo cieco — disse Nils, stringendo a pugno le grosse mani. — Nessuno strumento, tranne la bussola. Impossibile!

Arnie era il più calmo dei tre, troppo occupato con i suoi strumenti anche solo per dare un’occhiata dall’oblò. — Nel prossimo volo avremo tutto l’occorrente — disse. — Questo è un esperimento. Su e giù, come con l’ascensore. Intanto l’unità Daleth mostra che siamo ancora verticali rispetto alla gravità della Terra, e che ci stiamo ancora allontanando da essa alla stessa velocità.

Gli strati di nubi erano spessi, ma presto si allontanarono dalla chiglia. Poi il ritmo regolare dei motori diesel cambiò. — La corrente… cade! Che cosa non va? — gridò Arnie.

Henning era nel minuscolo compartimento delle macchine.

— Qualcosa, il combustibile, non so… I motori perdono potenza… — gridò.

— La pressione atmosferica! — disse Nils. — Abbiamo raggiunto il limite estremo dell’atmosfera. L’ossigeno è molto più in basso!

Il motore tossì, balbettò, quasi si fermò, e il sottomarino fu percorso da un brivido. Un istante dopo cominciò a precipitare.

— Non si può far niente? — gridò Arnie, azionando disperatamente i comandi. — Il flusso… così irregolare… l’effetto Daleth sta diventando inservibile! Non potete stabilizzare la corrente?

— Le batterie! — Henning cercò di tornare al suo posto, galleggiando quasi nell’aria tanto la caduta andava accelerando rapidamente.

Cercò di aggrapparsi allo schienale del sedile, ma non ci riuscì e fluttuò su e giù, battendo contro il periscopio e rimbalzando all’indietro. Finalmente riuscì ad aggrapparsi alla poltroncina e ci sì piantò sopra, legandosi con la cinghia. Poi si sedette verso i comandi.

— Corrente… al massimo!

La caduta continuò. Arnie lanciò una rapida occhiata ai compagni.

— Preparatevi. Ho staccato completamente la mia propulsione. Quando la reinserirò, temo che la reazione non sarà molto delicata, perché…

Il metallo cigolò, le attrezzature si schiantarono, gli uomini rantolarono per la decelerazione improvvisa che strappava l’aria ai polmoni. Si sentirono comprimere duramente sui sedili, e per un istante furono sul punto di svenire, mentre il sangue abbandonava il cervello.

Poi tutto finì, e si ritrovarono a bocca aperta, con le vertigini. La faccia di Henning era una maschera bianca, striata del sangue che usciva dalla ferita che si era prodotto battendo la testa contro il periscopio. Fuori c’erano solo nubi. Il motore pulsava normalmente, facendo da sottofondo al respiro affannoso degli uomini.

— Non… non ripetiamo questa esperienza! — balbettò Nils, inspirando profondamente.

— Ora manteniamo la quota senza spostamento laterale — disse Arnie, con voce calma, nonostante le difficoltà di respiro. — Preferite tornare… o terminare ia prova?

— Se non capiterà più niente di simile, io continuerei — rispose Nils.

— D’accordo. Ma propongo di agire con le batterie.

— Com’è la carica?

— Eccellente. La diminuzione è inferiore del cinque per cento.

— Ci alzeremo di nuovo. Avvisatemi quando si sarà ridotta del settanta per cento, e torneremo. Dovremmo avere un discreto margine di sicurezza. E poi si potranno rimettere in funzione i motori quando saremo più in basso. Fu tutto facile, divertente. Le nubi si allontanarono di nuovo, mentre il motore pulsava. Henning lo fermò e sigillò!a presa d’aria. Si alzarono.

— Cinquemila metri almeno — disse Nils, sbirciando la coltre di nubi sottostante, con l’occhio esperto del pilota. — La maggior parte dell’atmosfera ce la siamo lasciata dietro.

— Dunque posso aumentare l’accelerazione. Per favore, segnate l’ora.

— È tutto nel giornale di bordo. E qualcosa è annotato con una calligrafia molto irregolare, ve lo posso assicurare.

Era ormai visibile la curvatura della Terra e, sopra di essa, la striscia azzurra dell’atmosfera che si stemperava nel nero dello spazio. Si scorgevano le stelle più lucenti; il sole brillava come un faro e, entrando attraverso l’oblò, formava una macchia di luce accecante sul ponte. La pressione verso l’alto cessò.

— Eccoci — disse Arnie. — L’attrezzatura funziona bene, manteniamo la nostra posizione. Sapete calcolare la quota?

— Centocinquanta chilometri — disse Nils. — Novanta o cento miglia. Il panorama ha tutta l’aria delle foto prese dai satelliti a quell’altezza.

— La riserva della batteria è calata ancora e diminuisce lentamente.

— Sì, ci vuole molta energia per restare sospesi: poco meno che per l’accelerazione.

— Allora ce l’abbiamo fatta! — disse Nils. Poi, più forte, come se solo allora comprendesse l’importanza dell’avvenimento, soggiunse: — Ce l’abbiamo fatta! Possiamo andare dovunque! Fare qualsiasi cosa…

— Riserva della batteria calata del settanta per cento.

— Allora scendiamo.

— Un po’ più lentamente dell’altra volta?

— Potete esserne certo.

E il sottomarino cominciò a perdere quota con la delicatezza di una foglia che si stacca dall’albero. Poi attraversò uno strato di alti cirri argentei.

— Ma non atterreremo troppo a ovest? — domandò Nils. — La Terra avrà ruotato sotto di noi. e non potremo scendere nel medesimo punto.

— No, ne ho tenuto conto. Non dovremmo fermarci a più di tre chilometri dal punto di partenza.

— Meglio che mi attacchi alla radio, allora. — Henning mise in funzione l’apparecchio. — Presto saremo alla portata giusta…

Fra le scariche arrivò chiaramente una voce che parlava il danese di Copenaghen, tanto ricco di frasi in gergo che solo chi è nato in quella città è in grado di capirlo.

tuffati, figlia, tuffati, e non risalire a prendere aria. Nuota nel profondo, sorellina, nuota nel profondo….

— Ma che diavolo stanno dicendo? — Arnie alzò gli occhi, sorpreso.

— Là! — disse Nils, guardando dall’oblò, e spostando la testa rapidamente per seguire le argentee forme alate che sfrecciavano sotto di loro. — MIG russi. Siamo appena usciti dalle nubi e non credo che ci abbiano visti. Possiamo scendere un po’ più in fretta?

— Tenetevi.

Arnie mosse un dito e tutti si sentirono lo stomaco in gola.

— Avvisatemi quando saremo a circa duecento metri dall’acqua — raccomandò il professore, calmo. — Così potrò rallentare la caduta prima dell’ammaraggio.

Nils si aggrappò ai braccioli della sua poltroncina per impedire al proprio corpo di fluttuare verso l’alto, nonostante la cintura. La superficie plumbea del Baltico si avvicinava vertiginosamente: ormai erano visibili le onde, con la loro cresta bianca, e la Vitus Bering, lontana, da un lato.

— Più vicino… più vicino… Ecco!

Il sommergibile venne come schiacciato verso il basso, e le attrezzature non assicurate rollarono scivolando sul ponte che si inclinò all’improvviso. Poi una forma ancora più possente investì il sottomarino, comprimendone tutto lo scafo: affondavano.

— Ora tocca a voi, comandante Wilhelmsen — disse Arnie. E per la prima volta la sua voce risuonò un po’ tesa. — Sto disinserendo l’unità Daleth.

Le pompe si risvegliarono pulsando, e Henning accarezzò il quadro dei comandi. Era duro viaggiare come passeggero nel proprio sottomarino… Mentre virava lentamente e risaliva tanto da poter usare il periscopio, fischiettò un’arietta allegra.

— Date un’occhiata attraverso il periscopio, Hansen, vi spiace? È facile, proprio come nei film.

— Ma certo! — esclamò Nils. Abbassò le maniglie del dispositivo e spinse indietro il berretto. Poi premette il viso contro l’imbottitura di gomma. — Non vedo un bel niente.

— Girate la manopola per mettere a fuoco le lenti!

— Sì, così va meglio. Vedo la nave. — Spostò il periscopio con un movimento circolare. — Nessun’altra unità in vista. Ma questo aggeggio non ha un campo abbastanza vasto, così non si sa niente del cielo.

— Dobbiamo correre il rischio. Ora saliremo un po’, per liberare l’antenna.

La radio sibilò per il rumore di fondo, poi si inserì una voce, che subito si spense per risvegliarsi un istante dopo.

— Hello! Blaeksprutten, mi sentite? Passo. Hello…

— Qui Blaeksprutten. Che succede? Passo.

— Sembra che siate comparsi sugli schermi radar dei russi. I MIG sorvolano la zona da quando siete partiti. Ora nessuno è in vista. Crediamo che non vi abbiano visto rientrare. Per favore, avvicinatevi e riferite sull’esperimento. Passo.

Arnie afferrò il microfono.

— L’attrezzatura funziona perfettamente. Nessun problema. Quota approssimativa di centocinquanta chilometri, raggiunta con le batterie. Passo.

Alzò un interruttore e il suono degli applausi lontani giunse attraverso l’altoparlante.

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