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Il tavolo era ricoperto di riviste e opuscoli che non interessavano affatto a Horst Schmidt. Novy Mir, La Russia oggi, La Pravda, A dodici anni dall’aggressione imperialistica statunitense nel Laos. Schmidt si appoggiò allo schienale della sedia, puntando un gomito sui giornali, e aspirò profondamente dalla sigaretta. Un piccione si posò battendo le ali sul davanzale della finestra, e lo fissò con gli occhi vispi attraverso il vetro imperlato di gocce d’acqua. Schmidt sbatté la sigaretta sull’orlo del portacenere, e bastò un movimento improvviso a far fuggire il piccione. Nello stesso istante la porta si aprì ed entrò Lidia Efimovna Schirochenka. Era snella e bionda, e poteva sembrare scandinava, se non fosse stato per gli alti zigomi slavi. Portava un abito di tweed verde, di buon taglio e alla moda, indubbiamente acquistato in Danimarca. Schmidt vide che stava leggendo la sua relazione e che aggrottava la fronte.

— Qui dentro c’è ben poco di importante, considerato quello che vi paghiamo — disse seccamente la donna. Poi sedette dietro la scrivania, che portava una targhetta con la scritta Troisième Secrétaire de la Legation. Parlava in tedesco, da bravo membro del partito, approfittando dell’occasione di potersi esercitare con un autentico figlio della Germania.

— Ci sono molte informazioni lì dentro — rispose Schmidt. — Le notizie segrete, anche quando sono frutto di deduzioni, sono sempre notizie segrete. Ora sappiamo che gli americani sono all’oscuro quanto noi sulla faccenda di Langeliniekaj; che i loro amici dei tempi migliori, i danesi, non rivelano ai loro soci della NATO tutti i loro segreti interni; che tutti i settori delle forze armate erano interessati alla cosa. E, se osservate attentamente l’ultimo paragrafo, tovarich Shirochenka, vedrete anche che ho identificato uno dei civili che si trovavano a bordo della Isbjorn lo stesso giorno in cui vi fu tutto quel movimento. È il professor Rasmussen, Premio Nobel per la fisica. E ciò mi sembra molto interessante. Che relazione c’è tra questa faccenda e la fisica?

Lidia Shirochenka non sembrava impressionata da quelle rivelazioni. Prese da un cassetto una foto e la passò a Schmidt. — È questo, l’uomo di cui parlate?

Lui era abituato da troppi anni a controllarsi, per tradire ingenuamente le proprie reazioni, ma rimase sorpreso. Era una foto molto granulosa, evidentemente scattata con l’aiuto del teleobiettivo, in cattive condizioni di luce, ma vi si riconosceva immediatamente Ove Rasmussen, con una valigetta in mano, mentre scendeva dalla rampa di una nave.

— Sì, è la stessa persona. Dove l’avete trovata?

— Non è affar vostro. Non siete il solo a lavorare per questa sezione. Il vostro scienziato dimostra ora di avere in qualche modo a che fare con razzi e missili. Indagate a fondo su di lui. Cercate di sapere chi incontra, che cosa fa. E non riferite agli americani questo stralcio di notizia. Sarebbe poco saggio.

— Voi mi insultate! Sapete benissimo a chi sono fedele!

— Sì. A voi stesso. È impossibile insultare un «doppio agente». Sto soltanto tentando di farvi capire che sarebbe un grosso sbaglio tentare di ingannare noi come avete fatto con i vostri padroni della CIA. Per voi, la lealtà non esiste; esiste solo il denaro.

— E invece io sono estremamente leale. — Schmidt spense la sua sigaretta, poi ne tirò fuori un pacchetto nuovo e lo porse a Lidia Shirochenka. Lei alzò gli occhi e fissò l’etichetta. Erano sigarette americane, che costavano molto a Copenaghen. — Prendetene una. Io le ho con lo sconto, a circa un quinto del prezzo normale. — Aspettò che la ragazza accendesse, poi continuò: — Io sono fedele alla vostra organizzazione, perché è la cosa che più mi conviene. Parlando da professionista vi assicuro che è molto difficile ottenere informazioni segrete dall’URSS: voi avete una rigorosissima rete di servizi di sicurezza. Perciò accetto con entusiasmo le notizie, probabilmente false, che mi fornite per gli americani. Loro non scopriranno mai che sono false, perché la CIA è di un’inefficienza semplicemente schifosa e le informazioni segrete che procura al suo governo sono quasi sempre inesatte, e mi pagano benissimo per quello che faccio. Poi ci sono anche altri vantaggi minori. — Alzò la sua sigaretta e sorrise. — Tra i quali, non ultimo, è il compenso che ricevo da voi per i piccoli segreti americani che vi rivelo. La trovo una sistemazione molto vantaggiosa. E poi, da quando Beria…

— Sono cambiate molte cose dai tempi di Beria — interruppe la ragazza, brusca. — Un ex agente delle SS quale siete voi, non può certo invocare pretesti morali. — Lui non rispose e lei si voltò a guardare, fuori dalla finestra, il lungo edificio bianco appena visibile sotto la pioggia leggera. Indicò col dito.

— Eccoli là, Schmidt. Oltre il cimitero. C’è qualcosa di molto simbolico in questo. Ci avete mai pensato?

— Mai — disse lui freddamente. — Avete più intuito di me, in queste cose, tovarich Shirochenka.

— Be’, non dimenticatelo. Siete un individuo che sorvegliamo con molta attenzione. Cercate di arrivare più vicino a quel professor Rasmussen.

Si interruppe perché la porta si apriva. Un giovanotto in maniche di camicia entrò in fretta e le porse una striscia di carta staccata da una telescrivente. Lei lesse rapidamente e i suoi occhi si dilatarono.

Boshemoi! — mormorò, scossa. — No, non può essere vero…

Il giovane annuì in silenzio, con la stessa espressione di incredulità stupefatta.


— Quante ore sono, ormai? — chiese Arnie.

Ove lanciò un’occhiata al foglio appeso sopra il tavolo del laboratorio. — Più di duecentocinquanta, e di attività ininterrotta. Sembra che tutti i difetti siano stati corretti.

— Lo spero davvero. — Arnie ammirò lo splendido apparecchio cilindrico che riempiva quasi completamente la gabbia. Era tutto ornato di fili e di saldature elettroniche, e a fianco aveva un grande pannello di comando. Funzionava silenziosamnete, eccezion fatta per un basso e quasi impercettibile ronzio. — È un bel passo avanti — soggiunse.

— Furono gli inglesi a compiere la maggior parte del lavoro di fondo, negli ultimi anni del sessanta. Io mi interessai perché riguardava parte delle mie ricerche. Ero riuscito ad ottenere plasmi di duemila gradi, ma solo per periodi di tempo limitati, poche migliaia di microsecondi. Poi quei tipi di Newcastle sul Tyne cominciarono a usare plasma di elio-cesio a millequattrocentosessanta gradi centigradi, con un campo elettrico interno. Aumentavano la conduttività del plasma fino a duecento volte. Utilizzai la loro tecnica per costruire il Piccolo Hans, che vedete qui. Non sono ancora riuscito a graduare l’effetto, ma credo di vedere una via d’uscita. Comunque il Piccolo Hans lavora bene e produce costantemente alcune migliaia di volt; dunque non posso lamentarmi.

— Hai fatto miracoli! — Arnie ringraziò con un cenno del capo una delle assistenti di laboratorio che gli porgeva una tazza di caffè. Poi cambiò posizione, con aria pensierosa. — Graduata, questa potrebbe essere la fonte di potenza che ci serve per una vera nave spaziale. Un generatore atomico pressurizzato, del tipo ora impiegato nei sottomarini e nelle navi di superficie, risponderebbe alle nostre esigenze. Niente combustibile, niente ossidante. Ma avrebbe un aspetto negativo.

— Il raffreddamento — disse Ove, soffiando sul suo caffè bollente.

— Esattamente. Si può ottenerlo con l’acqua del mare, in una nave, ma è difficile trovare qualcosa del genere nello spazio. Suppongo che si potrebbe costruire un’unità irradiante esterna…

— Sarebbe molto più grande della nave stessa!

— Sì, ci credo. Il che ci porta al tuo generatore a fusione. Molta forza, non troppo spreco di calore da neutralizzare. Mi permetti di aiutarti?

— Magnifico. Fra tutti e due sono certo che… — Si interruppe, distratto da un mormorio proveniente dall’estremità del laboratorio. — Che c’è, laggiù?

— Scusate, professore. È solo una notizia. — La ragazza gli porse l’edizione di un quotidiano.

— Che cosa è successo?

— I russi. Si tratta del loro volo intorno alla Luna. Salta fuori che è qualcosa di più di una ricognizione intorno al satellite. Una capsula di atterraggio si è posata sul Mare della Tranquillità.

— Gli americani non ne saranno troppo soddisfatti — disse Ove. — Finora hanno considerato la Luna come un lembo d’America.

— Il guaio è — continuò la ragazza porgendogli il giornale — che dopo l’allunaggio qualcosa si è guastato nel modulo lunare. Non possono ripartire.

L’articolo diceva soltanto questo, aggiungendo la foto di tre sorridenti cosmonauti, scattata poco prima del lancio. Nartov, Shavkun e Zlotnikov. Un colonnello, un maggiore e un capitano in successione gerarchica perfetta. Tutto era stato organizzato a perfezione: riprese televisive, servizio giornalistico, decollo, primo stadio, secondo stadio, trasmissioni radio e ringraziamenti al compagno Lenin per aver reso possibile il viaggio, l’accostamento, l’allunaggio… Erano scesi sulla superficie della Luna, ed erano vivi, ma qualcosa non aveva funzionato. Dai rapporti non si capiva bene che cosa fosse accaduto, ma il risultato appariva evidente. Gli uomini erano là, intrappolati. Per sempre. Sarebbero vissuti soltanto finché fossero durate le bombole dell’ossigeno.

— Che morte orribile, così lontani da casa… — disse l’assistente, interpretando il pensiero di tutti.

Arnie rifletté, con calma, considerando l’accaduto. I suoi occhi andarono al generatore a fusione, e quando li staccò, vide che anche Ove l’aveva guardato, come se tutti e due avessero avuto la stessa idea.

— Andiamo — disse Rasmussen — torniamocene a casa. Qui, adesso, non c’è più niente da fare, e se partiamo subito riusciremo forse a evitare il traffico dell’ora di punta.

Mentre Ove si destreggiava nel fiume di biciclette, svoltando poi a nord, sulla Lyngbyvej, nessuno dei due parlò. La radio era accesa, e ascoltarono le ultime notizie fino a che non furono arrivati a Charlottenlund.

— Siete in anticipo — disse Ulla, quando li vide entrare. Ulla era la moglie di Ove, una rossa ancora piacente malgrado i suoi quarantacinque anni. Quando Arnie stava con loro, lei aveva una notevole tendenza a trattarlo troppo maternamente, perché la sua magrezza la commuoveva. Così approfittò subito di quell’occasione inaspettata. — Stavo appunto facendo il tè, e ve ne porto una tazza. Con qualche panino, per farvi resistere fino all’ora di cena. — Non si curò delle proteste e corse via.

I due uomini entrarono nel soggiorno e accesero la televisione. Il canale danese non era ancora collegato, ma quello della Svezia stava trasmettendo un programma speciale sui cosmonauti. Ascoltarono attentamente. I particolari venivano rilasciati a malincuore da Mosca, ma si cominciava a ricostruire l’intera tragedia.

L’allunaggio si era svolto regolarmente fino all’ultimo momento. La capsula era scesa nella zona scelta e, fino all’attimo in cui si era posata sulla crosta lunare, tutto era andato alla perfezione. Ma mentre venivano spenti i motori uno dei sostegni aveva ceduto. Non si sapeva con esattezza se il supporto si fosse spezzato o se fosse affondato in una buca, ma il risultato era chiaro: il modulo lunare si era inclinato su un fianco. Uno dei motori si era staccato, e una grande quantità di combustibile era andata perduta. Il veicolo non era più in grado di decollare e gli astronauti si trovavano bloccati là per sempre.

— Chissà se i sovietici hanno qualche razzo appoggio che possa arrivare in tempo? — disse Arnie.

— Ne dubito. L’avrebbero detto, se ci fosse stata la minima speranza. Hai sentito anche tu che toni da tragedia aveva l’intervista. Ormai li considerano spacciati e stanno preparando i loro busti per le onoranze.

— E gli americani?

— Se solo potessero farci qualcosa, salterebbero dalla gioia, ma non si sono ancora permessi commenti. Anche se un’astronave fosse pronta alla partenza, questo non sarebbe il mese adatto per tentare un viaggio sulla Luna partendo dall’America. E quando verrà il momento buono, per i tre cosmonauti sarà troppo tardi.

— Allora… non si può fare proprio niente?

— Ecco il vostro tè — disse Ulla, arrivando col vassoio carico.

— Lo sai anche tu, vero? — replicò Ove. — Stai pensando quello che penso io. Perché non prendere il generatore a fusione, caricarlo sul Blaeksprutten e andare fin lassù, sulla Luna, a salvarli?

— Sembra un’idea pazzesca, quando la si esprime a parole.

— Anche il mondo in cui viviamo è pazzesco. Dobbiamo tentare di parlarne al ministro?

— Perché no? — Arnie alzò la sua tazza. — Alla Luna, allora.

— Alla Luna!

Ulla, con gli occhi dilatati dallo stupore, guardava ora l’uno ora l’altro come se li credesse impazziti tutt’e due.

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