Faile camminava per l’accampamento nella luce sempre più fioca della sera, dirigendosi verso la tenda del furiere. Perrin aveva mandato i loro gruppi di esploratori attraverso un passaggio a Cairhien; sarebbero tornati il mattino successivo.
Perrin stava ancora rimuginando sui Manti Bianchi. Nel corso degli ultimi giorni, i due eserciti si erano scambiati diverse lettere, con Perrin che cercava di indurli a un secondo incontro più formale mentre i Manti Bianchi insistevano per una battaglia. Faile aveva dato a Perrin degli ammonimenti espliciti sull’andare a incontrarsi furtivamente con i Manti Bianchi senza di lei.
Perrin rimaneva in stallo mentre lasciava che Elyas e gli Aiel effettuassero ricognizioni sui Manti Bianchi per provare a trovare un modo per far sgattaiolare fuori la loro gente, ma era improbabile che fosse stata una possibilità. Ci era riuscito nei Fiumi Gemelli, ma lì si era trattato solo di una manciata di prigionieri. Adesso erano centinaia.
Perrin non se la stava cavando bene col suo senso di colpa. Be’, Faile avrebbe parlato con lui a breve. Continuò attraverso l’accampamento, superando la zona dei Mayenesi alla sua sinistra, con gli stendardi che sventolavano alti.
Anch’io dovrò fare presto i conti con quello, pensò Faile, alzando lo sguardo sulla bandiera di Berelain. Le voci su lei e Perrin erano problematiche. Aveva sospettato che Berelain avrebbe potuto tentare qualcosa in sua assenza, ma portarlo nella sua tenda di notte sembrava particolarmente sfacciato.
Faile avrebbe dovuto scegliere i propri passi successivi con estrema attenzione. Suo marito, il suo popolo e i suoi alleati erano tutti in un equilibrio precario. Faile si ritrovò a desiderare di poter chiedere consiglio a sua madre.
Questo la sconcertò, e lei esitò, fermandosi sul tragitto consumato di erba gialla calpestata e fango. Luce, pensò Faile. Guarda cosa mi è successo.
Due anni prima, Faile — allora chiamata Zarine — era fuggita da casa sua in Saldea per diventare una Cacciatrice del Corno. Si era ribellata contro i suoi doveri di figlia maggiore e contro l’addestramento a cui sua madre aveva insistito che si sottoponesse.
Non era scappata perché aveva odiato i suoi compiti; in effetti, si era rivelata abile in tutte le cose che le venivano richieste. Allora perché se n’era andata? In parte in cerca di avventura. Ma in parte — ammise a sé stessa solo ora — per via di tutte le presupposizioni. Nessuno si domandava se tu avresti fatto il tuo dovere, in particolare se eri imparentato con la regina in persona.
E così... se n’era andata. Non perché avesse odiato quello che sarebbe diventata, ma perché aveva odiato il fatto che era sembrato così inevitabile. E ora eccola qui, ad avvalersi di tutte le cose che sua madre aveva insistito che imparasse.
Era quasi sufficiente a far ridere Faile. Poteva capire parecchie cose sul campo da una semplice occhiata. Presto avrebbero avuto bisogno di trovare del buon cuoio per i ciabattini. L’acqua non era un problema, dal momento che aveva piovuto spesso, leggeri spruzzi nel corso degli ultimi giorni, ma legna secca per i fuochi da campo lo era. Un gruppo di profughi — un insieme di ex gai’shain delle terre bagnate che osservavano gli Aiel di Perrin con aperta ostilità — avrebbe avuto bisogno di attenzioni. Mentre camminava, osservò per accertarsi che l’accampamento avesse le adeguate misure igieniche e che i soldati si stessero prendendo cura di sé. Alcuni uomini mostravano estrema preoccupazione per i loro cavalli, poi dimenticavano di mangiare in modo corretto, o perlomeno sano. Per non parlare della loro abitudine di trascorrere metà della notte a chiacchierare presso i fuochi da campo.
Faile scosse il capo e continuò a camminare, entrando nell’anello delle provviste, dove carri di cibo erano stati scaricati per l’orda di cuochi e servitrici. L’anello delle provviste era quasi un villaggio a sé, con centinaia di persone che tracciavano rapidamente sentieri nell’erba fangosa. Superò un gruppo di giovani dalle facce sporche che scavavano fosse nel terreno, poi un capannello di donne che chiacchieravano e canticchiavano mentre pelavano patate, bambini che raccoglievano le bucce e le gettavano nelle fosse. Non c’erano molti di quei bambini, ma l’armata di Perrin aveva attirato un certo numero di famiglie dalla campagna circostante che, morendo di fame, avevano implorato di aggregarsi.
Dei servitori portavano canestri di patate sbucciate alle pentole per cucinare, che venivano lentamente riempite d’acqua da giovani donne che effettuavano viaggi fino al torrente. Cuochi esperti preparavano le braci per arrostire, mentre cuochi più anziani mescolavano spezie in salse che potevano essere versate su altri cibi, cosa che era realmente l’unico modo per dare sapore a tali massicce quantità.
Donne anziane — le poche nel campo — si muovevano a passi strascicati, con la schiena curva e leggeri canestri di vimini contenenti erbe premuti contro braccia esili, i loro scialli che si increspavano mentre chiacchieravano con voci gracchianti. Dei soldati si affrettavano dentro e fuori, portando selvaggina. Ragazzi tra l’adolescenza e la maturità raccoglievano ramoscelli come esche per il fuoco; Faile superò un piccolo capannello di questi che si era lasciato distrarre dal catturare ragni.
Era un trambusto di confusione e ordine che coesistevano, come due facce di una medaglia. Strano quanto Faile si sentisse a suo agio qui. Ripensando a sé stessa solo pochi anni prima, rimase stupita nel rendersi conto che vedeva una bambina viziata ed egocentrica. Lasciare le Marche di Confine per diventare una Cacciatrice del Corno? Aveva abbandonato doveri, casa e famiglia. Cosa le era venuto in mente?
Superò alcune donne che macinavano grano, poi girò attorno a un fascio di scalogno selvatico su una coperta accanto a loro, in attesa di essere trasformato in zuppa. Era lieta di essersene andata e avere incontrato Perrin, ma quella non era una scusa per le sue azioni. Con una smorfia, si ricordò di aver costretto Perrin a percorrere le Vie al buio, da solo. Non si ricordava nemmeno cosa avesse fatto per farla arrabbiare, anche se non l’avrebbe mai ammesso con lui.
Sua madre una volta l’aveva chiamata viziata e aveva avuto ragione. Aveva anche insistito che Faile imparasse a gestire i possedimenti, e per tutto quel tempo Faile aveva sognato di sposare un Cacciatore del Corno e trascorrere la sua vita lontano dagli eserciti e dai noiosi compiti dei nobili.
Che la Luce ti benedica, madre, pensò Faile. Cosa avrebbero fatto lei o Perrin senza quell’addestramento? Senza gli insegnamenti di sua madre, Faile sarebbe stata inutile. L’amministrazione dell’intero campo avrebbe gravato sulle spalle di Aravine. Per capace che fosse la donna come intendente di Perrin per l’accampamento, non sarebbe riuscita a fare tutto questo da sola. Né avrebbero potuto aspettarselo da lei.
Faile raggiunse la postazione del furiere, un piccolo padiglione proprio nel cuore delle buche per cucinare. La brezza portò un amalgama di odori: grasso bruciato dalle fiamme, patate che bollivano, salse piccanti speziate con aglio, l’odore umido e appiccicoso di bucce di patata date al piccolo branco di suini che erano riusciti a portare via da Malden.
Il furiere, Bavin Rockshaw, era un Cairhienese dal volto pallido, con del biondo che punteggiava i suoi capelli che andavano ingrigendo, come la pelliccia di un cane di razza mista. Era affusolato di braccia, gambe e petto, eppure aveva una pancia quasi perfettamente tonda. A quanto pareva aveva lavorato come furiere fin dal tempo della Guerra Aiel ed era un esperto: un maestro pratico nel sovrintendere a operazioni di rifornimento quanto un maestro carpentiere lo era per la lavorazione del legno.
Questo, ovviamente, significava che era anche un esperto nell’accettare denaro per farsi corrompere. Quando vide Faile, sorrise e si inchinò in modo abbastanza rigido da essere formale, ma senza fronzoli. «Sono un semplice soldato che esegue il suo compito» diceva quell’inchino.
«Lady Faile!» esclamò, facendo cenno ad alcuni dei suoi servitori. «Sei qui per esaminare i registri, suppongo?»
«Sì, Bavin» disse lei, anche se sapeva che in essi non ci sarebbe stato nulla di sospetto. Lui era fin troppo cauto.
Tuttavia, diede l’impressione di controllarli rapidamente. Uno degli uomini le portò uno sgabello, un altro un tavolo su cui posare i registri e un altro ancora una tazza di tè. Faile rimase impressionata del modo ordinato in cui i conti delle colonne tornavano. Sua madre aveva spiegato che spesso un furiere prendeva molte note confusionarie, facendo riferimento ad altre pagine o altri registri, separando diversi tipi di provviste in libri differenti, tutto per rendere più difficile rintracciare cosa stava succedendo. Un governante che veniva confuso dalle annotazioni avrebbe presunto che il furiere doveva star facendo il suo lavoro.
Lì non c’era nulla di tutto ciò. Qualunque fossero i trucchi coi numeri che Bavin stava usando per nascondere i suoi furti, erano quasi magici. E lui stava rubando, o perlomeno era creativo nel modo in cui distribuiva le sue scorte di cibo. Quello era inevitabile. Parecchi furieri non lo consideravano davvero un furto; lui aveva il controllo delle sue provviste e tanto bastava.
«Com’è strano» disse Faile nello sfogliare il registro. «Gli strani capricci del fato.»
«Mia signora?» chiese Bavin.
«Mmm? Oh, non è nulla. Solo che il campo di Torven Rikshan ha ricevuto i pasti ogni sera almeno un’ora prima degli altri campi. Sono certa che si tratti solo di una coincidenza.»
Bavin esitò. «Senza dubbio, mia signora.»
Lei continuò a sfogliare i registri. Torven Rikshan era un lord cairhienese ed era stato messo al comando di uno dei venti campi all’interno della massa più vasta di profughi. Aveva un numero insolitamente grande di nobili nel suo campo in particolare. Aravine aveva portato questo all’attenzione di Faile; lei non era certa di cosa avesse dato Torven per ricevere provviste per i pasti più rapidamente, ma non andava bene. Gli altri campi potevano avere l’impressione che Perrin ne stesse favorendo alcuni rispetto ad altri.
«Sì» disse Faile con una risatina. «Una semplice coincidenza. Queste cose accadono in un accampamento così vasto. Insomma, solo l’altro giorno Varkel Tius si stava lamentando con me di aver inoltrato una richiesta di tela per riparare delle tende strappate, ma ormai è quasi una settimana che non ha ricevuto nulla. Eppure so per certo che Soffi Moraton si è ritrovata la tenda lacerata durante l’attraversamento del torrente, ma è stata riparata entro quella sera stessa.»
Bavin era in silenzio.
Faile non mosse nessuna accusa. Sua madre l’aveva avvisata che un bravo furiere era troppo prezioso per essere gettato in prigione, in particolare quando l’uomo successivo probabilmente sarebbe stato capace la metà e ugualmente corrotto. Il compito di Faile non era denunciare Bavin o metterlo in imbarazzo. Era farlo preoccupare abbastanza da darsi una controllata.
«Forse puoi fare qualcosa per queste irregolarità, Bavin» disse, chiudendo il registro. «Detesto gravarti di faccende sciocche, ma i problemi non devono raggiungere le orecchie di mio marito. Sai com’è quando è arrabbiato.»
In effetti, era tanto probabile che Perrin facesse del male a un uomo come Bavin quanto che Faile agitasse le braccia e volasse via. Ma all’accampamento non la vedevano a quel modo. Sentivano resoconti della furia di Perrin in battaglia, assieme alle occasionali discussioni di Faile con lui — provocato da lei stessa in modo che potessero avere una discussione adeguata — e supponevano che avesse un caratteraccio. Quello era un bene, sempre che lo ritenessero anche onorevole e gentile. Protettivo nei confronti della sua gente, eppure pieno di rabbia verso coloro che si mettevano sulla sua strada.
Faile si alzò dallo sgabello, porgendo i registri a uno degli uomini, dai capelli ricci e con macchie di inchiostro su dita e farsetto. Sorrise a Bavin, poi si diresse fuori dall’anello delle provviste.
Notò con disappunto che il fascio di scalogno selvatico accanto al sentiero si era guastato nei pochi momenti da quando l’aveva visto l’ultima volta, i gambi sciolti e squagliati, come se fossero stati a marcire al sole per settimane. Questi deperimenti erano iniziati solo di recente dentro il campo, ma stando ai rapporti accadevano molto più di frequente fuori nella campagna.
Era difficile stabilire che ora fosse con il cielo così pieno di nuvole, ma dall’orizzonte che si andava scurendo sembrava che fosse giunto il momento che lei si incontrasse con Perrin. Faile sorrise. Sua madre l’aveva avvisata di cosa le sarebbe successo, le aveva detto cosa ci si attendeva da lei, e Faile si era preoccupata che si sarebbe sentita intrappolata dalla vita.
Ma quello che Deira non aveva menzionato era quanto sarebbe stato appagante. Perrin faceva la differenza. Essere legata a lui non era affatto una trappola.
Perrin stava con un piede sul ceppo di un albero abbattuto, lo sguardo rivolto a nord. La cima della collina gli permetteva di osservare le pianure verso i dirupi delle Mura di Garen che si elevavano come le nocche di un gigante che sonnecchiava.
Aprì la sua mente, cercando dei lupi. Ce n’erano alcuni in lontananza, quasi troppo deboli da percepire. I lupi si tenevano alla larga da grossi assembramenti di uomini.
L’accampamento si estendeva dietro di lui, con dei fuochi di guardia che tremolavano ai suoi confini. Queste pendici erano abbastanza distanti da essere isolate, ma non così tanto da essere solitarie. Non era certo del perché Faile gli avesse chiesto di incontrarsi qui con lei al crepuscolo, ma aveva avuto un odore eccitato, perciò lui non aveva ficcato il naso. Alle donne piacevano i loro segreti.
Udì Faile arrivare su per il fianco della collina, i suoi passi lievi sull’erba umida. Era brava a essere silenziosa; non quanto Elyas o uno degli Aiel, ma migliore di quanto si sarebbe potuto pensare. Lui invece poteva fiutare il suo odore, sapone con lavanda. Usava quel sapone particolare nei giorni che riteneva speciali.
Giunse in cima alle pendici della collina, bellissima, imponente. Indossava un farsetto viola sopra una lunga blusa di seta di una tonalità più chiara. Dove si era procurata quegli abiti? Lui non l’aveva mai vista prima con questi vestiti eleganti.
«Marito mio» disse lei, avvicinandosi. Perrin poteva sentire debolmente altri vicino ai piedi della collina... probabilmente Cha Faile. Lei li aveva lasciati indietro. «Sembri preoccupato.»
«È colpa mia se Gill e gli altri sono stati catturati, Faile» disse lui. «I miei fallimenti sono sempre più numerosi. È un miracolo che qualcuno mi segua.»
«Perrin» disse lei, posandogli una mano sul braccio. «Abbiamo parlato di questo. Non devi dire certe cose.»
«Perché?»
«Perché non ho mai saputo che fossi un bugiardo» disse lei con un tono lievemente di rimprovero.
Lui la guardò. Si stava facendo buio, anche se Perrin poteva ancora distinguere i dettagli. Per lei sarebbe stato più difficile vederli.
«Perché continui a opporti a questo?» domandò Faile. «Tu sei un buon capo, Perrin.»
«Non mi sarei consegnato per loro» disse.
Lei si accigliò. «Questo cos’ha a che...»
«Nei Fiumi Gemelli,» disse Perrin, voltando lo sguardo da lei e rivolgendolo di nuovo a nord «ero pronto a farlo. Quando i Manti Bianchi avevano preso la famiglia di Mat e i Luhhan, mi sarei consegnato. Stavolta non l’avrei fatto. Perfino quando parlavo con il loro capo, chiedendo il suo prezzo, sapevo che non mi sarei consegnato.»
«Stai diventando un capo migliore.»
«Come puoi dirlo? Sto diventando insensibile, Faile. Se tu sapessi le cose che ho fatto per riprenderti, le cose che avrei fatto...» Tastò il martello al suo fianco.
Il dente o l’artiglio, Giovane Toro, non ha importanza. Aveva gettato via l’ascia, ma poteva incolpare quella per la sua brutalità? Era solo uno strumento. Poteva usare il martello per fare le stesse cose terribili.
«Non è insensibilità» disse Faile «o egoismo. Tu sei un lord ora e non puoi permettere che la cattura dei tuoi sudditi indebolisca il tuo comando. Pensi che la regina Morgase abdicherebbe a dei tiranni che rapissero i suoi sudditi? Nessun capo può governare a quel modo. La tua incapacità di fermare degli uomini malvagi non ti rende malvagio a tua volta.»
«Non voglio questo fardello, Faile. Non l’ho mai voluto.»
«Lo so.»
«A volte vorrei non aver mai lasciato i Fiumi Gemelli. Vorrei aver fatto andare Rand incontro al suo destino, lasciandosi indietro le persone normali a vivere le loro vite.»
Colse un odore di irritazione da lei.
«Ma se fossi rimasto,» si affrettò ad aggiungere «non avrei mai incontrato te. Perciò sono lieto di essere partito. Sto solo dicendo che sarò lieto quando tutto questo sarà finito e potrò tornare in qualche posto semplice.»
«Pensi che i Fiumi Gemelli torneranno mai a essere come li ricordavi?»
Lui esitò. Faile aveva ragione: quando se n’erano andati, erano già iniziati a comparire segni di cambiamento. Profughi dalle montagne che vi si erano trasferiti, i villaggi ingrossati. Ora, con così tanti uomini che si erano uniti a lui in guerra, mettendosi in testa delle idee sull’avere un lord...
«Potrei trovare qualche altro posto» disse lui, sentendosi ostinato. «Ci sono altri villaggi. Non cambieranno tutti.»
«E tu mi trascineresti in uno di questi villaggi, Perrin Aybara?» chiese lei.
«Io...» Cosa sarebbe successo se Faile, la sua bellissima Faile, fosse stata confinata in un villaggio sonnolento? Lui insisteva sempre di essere soltanto un fabbro. Ma Faile era la moglie di un fabbro? «Io non ti costringerei mai a fare nulla, Faile» disse, prendendole il viso in una mano. Si sentiva sempre impacciato quando toccava le sue guance seriche con le sue tozze dita callose.
«Verrei, se tu volessi davvero che lo facessi» replicò lei. Quello era strano. Di norma Perrin si sarebbe aspettato un rimbrotto da lei per la sua lingua inopportuna. «Ma è quello che vuoi? Lo è davvero?»
«Io non so cosa voglio» disse lui con franchezza. No, non voleva trascinare Faile in un villaggio. «Forse... una vita come fabbro in una città, da qualche parte?»
«Se lo desideri» ripeté lei. «Naturalmente, questo lascerebbe i Fiumi Gemelli senza un lord. Dovrebbero trovare qualcun altro.»
«No. Non hanno bisogno di un lord. Ecco perché devo fare in modo che smettano di trattarmi come tale.»
«E tu pensi che abbandonerebbero quell’idea così rapidamente?» chiese Faile, odorando di divertimento. «Dopo che hanno visto il modo in cui chiunque altro lo fa? Dopo aver adulato quello sciocco di Luc? Dopo aver accolto tutte quelle persone dalla Piana di Almoth, che sono abituate ai lord?»
Cosa avrebbe fatto la gente dei Fiumi Gemelli se lui avesse scelto di non essere più il loro lord? In un angosciante momento di consapevolezza, Perrin seppe che Faile aveva ragione. Di certo sceglierebbero qualcuno che potrebbe farlo meglio di me, pensò. Forse mastro al’Vere.
Ma Perrin poteva confidare in questo? Uomini come mastro al’Vere oppure Tam potevano rifiutare quella posizione. Potevano finire per scegliere qualcuno come il vecchio Cenn Buie? Avrebbero avuto una scelta? Se Perrin si fosse fatto da parte, poteva forse prendere il potere qualcuno che immaginava di avere nobili natali?
Non essere uno sciocco, Perrin Aybara, pensò. Quasi chiunque sarebbe meglio di te.
Tuttavia, il pensiero di qualcun altro che prendesse il controllo — qualcun altro che fosse lord — lo riempì di una grande ansia. E una sorprendente quantità di tristezza.
«Ora,» disse Faile «smettila di rimuginare. Ho grandi progetti per questa serata.» Batté forte le mani tre volte e sotto iniziarono dei movimenti. Presto dei servitori sormontarono la cresta dalla collina. Perrin li riconobbe come persone di cui Faile si era appropriata dai profughi, un gruppo leale a lei quanto i Cha Faile.
Portavano della tela, che spiegarono per terra. Poi vi misero sopra una coperta. E cos’era quell’odore che sentiva provenire da sotto? Prosciutto?
«Cos’è questo, Faile?» chiese lui.
«Sulle prime,» rispose lei «pensavo che avessi programmato qualcosa di speciale per il nostro shanna’har. Quando non lo hai menzionato, però, mi sono innervosita, così ho chiesto. Pare che voi nei Fiumi Gemelli non lo celebriate, per quanto strano.»
«Shanna’har?» chiese Perrin, grattandosi la testa.
«Nelle prossime settimane,» disse Faile «sarà un anno che siamo sposati. Questo è il nostro primo shanna’har, la celebrazione del nostro matrimonio.» Incrociò le braccia, osservando mentre i suoi servitori disponevano un pasto sulla coperta. «Nella Saldea, noi celebriamo lo shanna’har ogni anno all’inizio dell’estate. È una festività per la ricorrenza di un altro anno assieme, un altro anno in cui né il marito né la moglie hanno perso la vita per i Trolloc. Alle giovani coppie viene detto di assaporare il loro primo shanna’har in maniera molto simile a come una persona assapora il primo boccone di un pasto succulento. Il nostro matrimonio sarà nuovo per noi solo una volta.»
I servitori disposero un pasto, incluse diverse ciotole di vetro con dentro delle candele. Faile li congedò con un sorriso e un cenno della mano, e quelli si ritirarono giù per il fianco della collina. Era evidente che Faile si era assicurata di far sembrare il pasto lauto. La coperta era ricamata, forse presa dal bottino degli Shaido. Il pasto era servito su piatti e vassoi d’argento, il prosciutto su un letto di orzo bollito e con capperi in cima. C’era addirittura del vino.
Faile si avvicinò a lui. «Mi rendo conto che quest’anno c’è stato molto che non valeva la pena assaporare. Malden, il Profeta, quel rigido inverno. Ma se queste cose sono il prezzo per stare con te, Perrin, allora le pagherò volentieri una dozzina di volte.
«Se tutto fosse a posto, trascorreremmo questo prossimo mese a scambiarci doni, confermando il nostro amore, celebrando la nostra prima estate come marito e moglie. Dubito che avremo il mese di tranquillità che è nostro diritto, ma almeno dovremmo trascorrere e goderci questa serata insieme.»
«Io non so se posso, Faile» disse lui. «I Manti Bianchi, il cielo... Luce! L’Ultima Battaglia stessa è quasi qui. L’Ultima Battaglia, Faile! Come posso banchettare mentre la mia gente è tenuta sotto minaccia di esecuzione e mentre il mondo stesso potrebbe morire?»
«Se il mondo stesso sta per morire,» disse Faile «non è forse il momento in cui un uomo deve prendere il tempo di apprezzare quello che ha? Prima che gli sia portato via tutto?»
Perrin esitò. Lei gli posò una mano sul braccio, il suo tocco così delicato. Non aveva alzato la voce. Voleva forse che lui urlasse? Era così difficile capire quando lei voleva una discussione e quando no. Forse Elyas avrebbe avuto dei consigli per lui.
«Ti prego» disse Faile piano. «Cerca di rilassarti per una sera. Per me.»
«D’accordo» disse lui, poggiando la propria mano sulla sua.
Lei lo condusse alla coperta e si accomodarono, fianco a fianco di fronte a quell’assortimento di piatti d’argento. Faile accese altre candele con quelle che i servitori avevano lasciato. La notte era gelida: le nuvole sembravano trascinare via il calore estivo. «Perché far questo fuori?» disse Perrin. «E non nella nostra tenda?»
«Ho chiesto a Tam cosa fate nei Fiumi Gemelli per shanna’har» disse lei. «E, come temevo, ho appreso che non lo celebrate. Questo è davvero piuttosto arretrato, te ne rendi conto: dovremo cambiare l’usanza, una volta che le cose si saranno sistemate. A ogni modo, Tam ha detto che la cosa più simile che avevano era qualcosa che lui e sua moglie facevano. Una volta all’anno, mettevano in uno zaino un pasto completo — il più stravagante che potevano permettersi — e si dirigevano a piedi fino a un posto nuovo nei boschi. Mangiavano lì e trascorrevano la giornata l’uno con l’altro.» Si accoccolò contro di lui. «Il nostro matrimonio è stato fatto alla maniera dei Fiumi Gemelli, perciò desideravo che anche questo giorno seguisse la stessa usanza.»
Lui sorrise. Malgrado le obiezioni precedenti, la sua tensione si stava allentando. Il cibo aveva un buon odore, e il suo stomaco brontolò, inducendo Faile a mettersi a sedere per prendergli il suo piatto e porgerglielo.
Lui ci si avventò. Cercò di mantenere le buone maniere, ma il cibo era eccellente ed era stata una giornata lunga. Si ritrovò a lacerare il prosciutto a morsi con ferocia, anche se cercò di stare attento a non far colare nulla sulla coperta elegante.
Faile mangiava più lentamente, l’odore di divertimento che si mischiava a quello del suo sapone.
«Cosa?» domandò Perrin, pulendosi la bocca. Lei era illuminata solo dalle candele, adesso che il sole era tramontato del tutto.
«C’è molto del lupo in te, marito mio.»
Lui rimase immobile, notando che si stava leccando le dita. Borbottò fra sé, pulendole invece con un tovagliolo. Per quanto gli piacessero i lupi, non li avrebbe invitati al tavolo da pranzo con lui. «Troppo del lupo in me» disse.
«Sei quello che sei, marito mio. E, guarda caso, io amo quello che sei, perciò questo è bene.»
Lui continuò a masticare il suo taglio di prosciutto. La notte era tranquilla e i servitori si erano ritirati abbastanza lontano che lui non riusciva a fiutarli o udirli. Probabilmente Faile aveva lasciato ordini che non fossero disturbati, e con gli alberi alla base della collina non avrebbero dovuto preoccuparsi di essere osservati.
«Faile,» disse lui piano «è necessario che tu sappia cos’ho fatto mentre eri prigioniera. Ho fatto cose che temevo mi avrebbero trasformato in qualcuno che tu non avresti più voluto. Non è stato solo il patto con i Seanchan. C’erano delle persone in una città, So Habor, a cui non riesco a smettere di pensare. Persone che forse avrei dovuto aiutare. E c’era uno Shaido, con la sua mano...»
«L’ho sentito. Pare che tu abbia fatto quello che dovevi.»
«Sarei andato molto oltre» ammise Perrin. «Odiando me stesso nel frattempo. Hai detto che un lord dev’essere tanto forte da resistere al lasciarsi manipolare. Be’, io non sarò mai così forte. Non se tu mi venissi portata via.»
«Dovremo assicurarci che nessuno mi porti via.»
«Potrebbe distruggermi, Faile» disse lui piano. «Credo che potrei gestire qualunque altra cosa. Ma se tu fossi usata contro di me, nulla avrebbe importanza. Io farei qualunque cosa per proteggerti, Faile. Qualunque cosa.»
«Forse dovresti avvolgermi in una morbida stoffa, allora,» disse lei in tono asciutto «e ripormi in una stanza sigillata.» Stranamente, il suo odore non era offeso.
«Non farei una cosa del genere» disse Perrin. «Sai che non lo farei. Ma questo significa che ho una debolezza, una debolezza terribile. Del tipo che un capo non può avere.»
Lei sbuffò. «Pensi che altri capi non abbiano debolezze, Perrin? Perfino il re o la regina di Saldea hanno le loro. Nikiol Dianatkhah era un beone, malgrado fosse noto come uno dei nostri più grandi sovrani, e Belairah sposò e mise da parte suo marito quattro volte. Il suo cuore la condusse sempre in mezzo ai guai. Jonasim aveva un figlio dedito al gioco d’azzardo, cosa che portò la sua Casata sull’orlo della rovina, e Lyonford non riusciva a tenere a freno la collera se veniva sfidato. Tutti quanti furono grandi monarchi. E tutti avevano la loro dose di debolezze.»
Perrin continuava a masticare il suo cibo, pensieroso.
«Nelle Marche di Confine» proseguì Faile «abbiamo un detto. "Una spada lucidata riflette la verità". Un uomo può affermare di essere diligente nei suoi compiti, ma se la sua spada non è lucidata, sai che è stato pigro.
«Be’, la tua spada è lucente, marito mio. Durante queste ultime settimane hai continuato a dire di essere stato un pessimo capo durante la mia prigionia. Mi hai fatto credere di aver portato l’intero campo alla rovina e allo sfacelo! Ma questo non è affatto vero. Li hai tenuti concentrati; li hai ispirati, hai mantenuto una forte autorità e hai conservato l’aria di un lord.»
«In parte c’è stata Berelain dietro a quello» disse lui. «Penso quasi che quella donna mi avrebbe fatto il bagno di persona se avessi passato un altro giorno senza lavarmi.»
«Sono certa che questo non avrebbe giovato alle voci» osservò Faile in tono asciutto.
«Faile, io...»
«Mi occuperò io di Berelain» disse Faile. La sua voce suonava pericolosa. «Questo è un compito con cui non hai bisogno di distrarti.»
«Ma...»
«Mi occuperò io di lei» disse Faile, la sua voce più decisa. Non era saggio sfidarla quando odorava a quel modo, a meno che lui non volesse iniziare una lunga discussione. Lei si ammorbidì, prendendo un altro boccone d’orzo. «Quando ho detto che eri come un lupo, marito mio, non stavo parlando del modo in cui mangi. Stavo parlando del modo in cui dai la tua attenzione. Sei motivato. Se ti viene dato un problema da risolvere, non importa quanto enorme, tu provvederai a farlo.
«Non riesci a capire? Questa è una caratteristica meravigliosa in un capo. E esattamente quello di cui i Fiumi Gemelli hanno bisogno. Sempre, naturalmente, che tu abbia una moglie che possa prendersi cura delle questioni più piccole.» Faile si accigliò. «Vorrei che mi avessi parlato dello stendardo prima di bruciarlo. Sarà difficile innalzarlo di nuovo senza sembrare sciocco.»
«Io non voglio innalzarlo di nuovo» disse Perrin. «Ecco perché gliel’ho fatto bruciare.»
«Ma perché?»
Prese un altro boccone del suo prosciutto, non guardandola di proposito. Lei odorava di curiosità, quasi disperatamente.
Non posso guidarli, pensò. Non finché non saprò se riesco a dominare il lupo.
Come poteva spiegare? Spiegare che temeva il modo in cui il lupo prendeva il controllo quando lui combatteva, quando voleva qualcosa con troppa forza?
Non si sarebbe liberato dei lupi: erano diventati parte di lui in modo troppo radicato. Ma dove avrebbe lasciato la sua gente, dove avrebbe lasciato Faile se si fosse perso a causa di quello che c’era dentro di lui?
Ricordò di nuovo una creatura sporca, un tempo un uomo, rinchiusa in una gabbia. Non c’è più nulla in costui che si ricordi di essere stato un uomo...
«Marito mio» disse Faile, appoggiandogli una mano sul braccio. «Per favore.» Odorava di tristezza. Questo gli strinse il cuore.
«Ha a che fare con quei Manti Bianchi» disse Perrin.
«Cosa? Perrin, pensavo di avere detto...»
«Ha a che fare» disse Perrin con fermezza «con quello che mi successe la prima volta che li incontrai. E quello che avevo cominciato a scoprire nei giorni precedenti.»
Faile si accigliò.
«Ti ho detto di aver ucciso due Manti Bianchi» disse lui. «Prima di incontrarti.»
«Sì.»
«Mettiti comoda» disse Perrin. «È necessario che tu sappia l’intera storia.»
E così gliela raccontò. Esitante sulle prime, ma presto le parole gli uscirono più facili. Parlò di Shadar Logoth e di come il loro gruppo si era sparpagliato. Di Egwene che gli aveva lasciato prendere il comando, forse la prima volta che era stato costretto a farlo.
Le aveva già parlato del suo incontro con Elyas. Lei sapeva molto su Perrin, cose che lui non aveva mai detto a nessun altro, cose di cui non aveva mai parlato nemmeno con Elyas. Lei sapeva del lupo. Sapeva che lui temeva di perdere sé stesso.
Ma non sapeva quello che provava in battaglia. Non sapeva che cosa aveva provato nell’uccidere quei Manti Bianchi, nell’assaggiare il loro sangue, sia nella propria bocca che attraverso il suo legame con i lupi. Non sapeva com’era essere consumati da rabbia, paura e disperazione quando lei era stata catturata. Queste erano le cose che lui spiegò a poco a poco.
Le disse della frenesia che si era impadronita di lui quando la stava cercando nel sogno del lupo. Parlò di Noam e di cosa temeva che gli sarebbe successo. E di come era collegato al modo in cui si comportava quando combatteva.
Faile ascoltò, seduta in silenzio in cima alla collina, le braccia avvolte attorno alle gambe, illuminata dalle candele. I suoi odori erano smorzati. Forse Perrin avrebbe dovuto omettere alcune cose. Nessuna donna voleva sapere che bestia diventava suo marito quando uccideva, giusto? Ma ora che stava parlando, voleva sbarazzarsi dei suoi segreti. Ne era stanco.
Ciascuna parola pronunciata lo faceva rilassare di più. Faceva quello che il pasto — per toccante che fosse stato — non era riuscito a fare. Nel parlarle delle sue lotte interiori, Perrin avvertì parte del suo fardello sollevarsi.
Terminò parlando di Hopper. Non era certo del perché avesse tenuto il lupo per ultimo; Hopper aveva fatto parte di molto di cui Perrin aveva parlato prima: i Manti Bianchi, il sogno del lupo. Ma gli sembrava giusto conservare Hopper fino alla fine, così lo fece.
Mentre terminava, fissò la fiammella di una delle candele. Due di esse si erano spente, lasciando altre a tremolare ancora. Quella luce non era fioca ai suoi occhi. Aveva problemi a ricordare com’erano stati i suoi giorni quando i suoi sensi erano stati deboli quanto quelli di un uomo normale.
Faile si appoggiò contro di lui, avvolgendogli il braccio attorno a sé stessa. «Grazie» disse.
Lui esalò un profondo sospiro, reclinandosi contro il ceppo alle sue spalle, percependo il calore di Faile.
«Voglio parlarti di Malden» disse lei.
«Non devi» replicò Perrin. «Solo perché io...»
«Zitto. Io sono stata in silenzio mentre parlavi. È il mio turno.»
«D’accordo.»
Per lui sarebbe dovuto essere preoccupante sentir sparlare di Malden. Giacque con la schiena contro il ceppo, il cielo sopra di loro che crepitava di energia, il Disegno stesso a rischio di sfilacciarsi, mentre sua moglie raccontava di com’era stata catturata e picchiata. Eppure fu una delle cose più stranamente rilassanti che lui avesse mai sperimentato.
Gli avvenimenti in quella città erano stati importanti per lei, forse le avevano perfino fatto bene. Anche se lui si adirò nel sentire di come Sevanna aveva legato Faile nuda e l’aveva lasciata lì fuori tutta la notte. Un giorno avrebbe dato la caccia a quella donna.
Non oggi, però. Oggi aveva sua moglie tra le braccia, e la sua voce forte era un sollievo. Avrebbe dovuto rendersi conto che lei avrebbe pianificato la propria fuga. In effetti, ascoltando i suoi attenti preparativi, iniziò a sentirsi uno sciocco. Lei si era preoccupata che lui si facesse uccidere nel cercare di liberarla: non lo disse, ma Perrin riuscì a dedurlo. Quanto lo conosceva bene.
Faile tralasciò alcune cose. A lui non importò. Sarebbe stata come un animale confinato in gabbia senza i suoi segreti. Lui aveva un buona ipotesi su quello che stava nascondendo, però. Aveva qualcosa a che fare con il Senza Fratelli che l’aveva catturata, qualcosa sui piani di Faile di ingannare l’uomo e i suoi amici per aiutarla a scappare. Forse aveva provato affetto per lui e non voleva che Perrin rimpiangesse di averlo ucciso. Quello non era necessario. Quei Senza Fratelli si erano trovati con gli Shaido e avevano attaccato e ucciso uomini sotto la protezione di Perrin. Nessun atto di gentilezza avrebbe compensato questo. Meritavano la morte.
Questo lo fece esitare. Probabilmente i Manti Bianchi dicevano cose molto simili su di lui. Ma i Manti Bianchi avevano attaccato per primi.
Lei terminò. Era molto tardi ora, e Perrin allungò una mano verso un involto che i servitori di Faile avevano portato su, tirando fuori una coperta.
«Ebbene?» chiese Faile nell’accomodarsi, mettendo di nuovo il suo braccio attorno a sé.
«Sono sorpreso che tu non mi abbia fatto una lavata di capo per essermi precipitato dentro come un toro selvaggio e aver calpestato tutti i tuoi piani.»
Questo la fece odorare di soddisfazione. Non era l’emozione che lui si era aspettato, ma aveva smesso molto tempo prima di cercare di decifrare il modo in cui pensavano le donne.
«Ho quasi tirato fuori la faccenda stasera» disse Faile «in modo da poter litigare come si deve e poi riconciliarci in maniera adeguata.»
«Perché non l’hai fatto?»
«Ho deciso che questa notte doveva essere fatta nei modi dei Fiumi Gemelli.»
«E tu pensi che mariti e mogli non litighino nei Fiumi Gemelli?» chiese lui divertito.
«Be’, forse lo fanno. Ma tu, marito, sei sempre a disagio quando urliamo. Sono molto lieta che tu abbia cominciato a farti valere da te, come è giusto. Ma la mia richiesta di adattarti alle mie usanze è stata esagerata. Ho pensato che stanotte avrei cercato di adattarmi io alle tue.»
Quelle erano parole che lui non si era mai aspettato di udire da Faile. Parevano la cosa più personale che lei avesse mai potuto dargli. Cosa imbarazzante, si sentiva le lacrime agli occhi, e la strinse forte.
«Ora,» disse lei «non sono un docile agnellino, bada bene.»
«Non penserei mai una cosa del genere» disse lui. «Mai.»
Lei odorò di soddisfazione.
«Sono spiacente di non aver pensato molto alla possibilità che tu fuggissi per conto tuo.»
«Ti perdono.»
Perrin abbassò lo sguardo verso di lei mentre quei bellissimi occhi scuri riflettevano la luce delle candele. «Questo significa che possiamo riconciliarci senza aver litigato?»
Lei sorrise. «Lo permetterò, per stavolta. E, naturalmente, i servitori hanno ordini rigorosi di far rispettare la nostra intimità.»
Lui la baciò. Gli pareva così giusto e sapeva che le preoccupazioni che aveva avuto — l’imbarazzo che c’era stato tra loro fin da Malden — erano sparite. Che fosse stato qualcosa di reale o qualcosa che si era immaginato, adesso era passato.
Aveva di nuovo Faile, davvero e completamente.