29 Una sensazione terribile

«Cosa pensi stia complottando Perrin?» chiese Berelain mentre passeggiava accanto a Faile e Alliandre.

Faile non rispose. Il tardo pomeriggio era fiocamente illuminato da un sole distante ammantato. Presto avrebbe fatto ardere l’orizzonte mentre tramontava per la notte. Entro due giorni, Perrin sarebbe andato sotto processo. Aveva ritardato appositamente per ottenere più tempo in modo che gli Asha’man potessero dipanare lo strano problema con i passaggi, lei lo sapeva.

Il loro esercito stava crescendo, con sempre più persone che affluivano da loro. I rapporti degli esploratori indicavano anche che la forza dei Manti Bianchi stava aumentando. Più lentamente, ma stava aumentando comunque. In giorni come questi, un esercito era un simbolo di forza e — come minimo — cibo.

Una macchia di alberi di ditoradice saturava l’acqua del torrente vicino all’accampamento militare di Perrin. Erano piante talmente strane, con quelle radici intinte nell’acqua. Tronchi come vetro fluido che si fosse accumulato nell’indurirsi. Non c’era nulla del genere nella Saldea. Pareva che due passi falsi qui potessero condurti in una palude.

«Nessuna risposta per me?» chiese Berelain. Pareva distratta in questi giorni. «Ho riflettuto. Forse sarebbe bene mandare un inviato all’esercito dei Manti Bianchi. Pensi che Perrin mi permetterebbe di andare a parlare con loro? Forse potrei fare un appello personale per suo conto.»

Continuava a tirar fuori quell’argomento. «No» disse Faile. «Sai che ha preso una decisione su questo processo, Berelain.»

La Prima increspò le labbra, ma non insistette ulteriormente. Le tre continuarono la loro passeggiata, accompagnate da dieci Fanciulle. Una volta Faile avrebbe potuto lamentarsi per quell’attenzione. Questo era prima che fosse stata rapita in modo così inatteso e facile.

In lontananza, vide un gruppetto di profughi lasciare il campo, allontanandosi verso sudest, tagliando per la campagna. Prima che le cose fossero andate storte con i passaggi, circa diecimila erano stati mandati in zone rurali a Cairhien. Tutti avevano istruzioni di non dire nulla. Perrin non voleva che si sapesse ancora la sua ubicazione. Le donne avrebbero mantenuto il riserbo, ma gli uomini avrebbero chiacchierato; lo facevano sempre.

Pochi sapevano che i passaggi non funzionavano; Perrin aveva detto alla gente che aveva bisogno che gli Asha’man fossero in forze, nel caso in cui dovessero scontrarsi con i Manti Bianchi. Era abbastanza vero. Tuttavia, alcuni profughi avevano chiesto di andarsene a piedi. A questi, Faile aveva dato un po’ d’oro e un gioiello dalla riserva di Sevanna e aveva augurato loro il meglio. Era sorpresa di quanti di loro volessero tornare a case che si trovavano in terre controllate dai Seanchan.

Malgrado le partenze, le dimensioni dell’armata di Perrin crescevano giorno dopo giorno. Faile e le altre superarono un grosso gruppo che si esercitava con le spade. I profughi che avevano deciso di addestrarsi ora ammontavano a circa venticinquemila. Si esercitavano fino a tardi e Faile poteva ancora sentire ordini sbraitati da Tam.

«Ebbene.» Berelain continuò con le sue riflessioni. «Cosa farà Perrin? Perché organizzare questo processo? Vuole qualcosa da quei Manti Bianchi.» Aggirò una ditoradice contorta. La Prima, come molti altri, leggeva nelle azioni di Perrin più di quanto c’era da trovare. Lui sarebbe stato divertito se avesse saputo i complotti che gli ascrivevano.

E lei afferma di comprendere gli uomini, pensò Faile.

Perrin non era affatto stupido, né era il sempliciotto che affermavano alcuni. Pianificava, pensava ed era attento. Ma era anche diretto. Deliberato. Quando diceva qualcosa, intendeva proprio quello.

«Sono d’accordo con Berelain» disse Alliandre. «Dovremmo semplicemente andarcene, marciare via. Oppure attaccare quei Manti Bianchi.»

Faile scosse il capo. «Perrin è turbato quando la gente pensa che lui abbia fatto qualcosa di sbagliato. Finché i Manti Bianchi continuano a insistere che lui è un assassino, il suo nome non sarà pulito.» Lui si stava comportando in modo sciocco, ostinato, ma c’era della nobiltà in questo.

Finché ciò non l’avesse fatto ammazzare. Comunque, lei lo amava proprio per quel senso dell’onore. Cambiarlo sarebbe stato imprudente, perciò lei doveva assicurarsi che altri non approfittassero di lui.

Come faceva sempre quando discutevano dei Manti Bianchi, Berelain aveva uno strano sguardo nei suoi occhi, e lanciò un’occhiata — forse inconsciamente — nella direzione in cui era accampato il loro esercito. Luce. Aveva intenzione di chiedere ancora se poteva andare a parlare con loro? Aveva tirato fuori una dozzina di ragioni diverse per cui voleva farlo.

Faile notò un numeroso gruppo di soldati che cercava di non farsi notare mentre girava per l’interno del campo, tenendo il passo con Faile e la sua scorta nella loro passeggiata. Perrin voleva che fosse ben protetta.

«Questo giovane lord Capitano Comandante» disse Alliandre distrattamente. «Sembra piuttosto avvenente in quell’uniforme bianca, non direste? Sempre di riuscire a ignorare quel sole raggiato sul suo mantello. Un uomo davvero stupendo.»

«Eh?» disse Berelain. Cosa sorprendente, un colore caldo si diffuse sulle sue gote.

«Avevo sempre sentito dire che il figliastro di Morgase era un uomo attraente» continuò Alliandre. «Ma non avevo mai immaginato che fosse così puro.»

«Come una statua intagliata dal marmo,» sussurrò Berelain «un vestigio dall’Epoca Leggendaria. Una cosa perfetta lasciata indietro. Affinché noi la adoriamo.»

«È passabile» disse Faile tirando su col naso. «Per quanto mi riguarda, preferisco una faccia barbuta.»

Non era una menzogna: lei amava una faccia barbuta, e Perrin era bello. Aveva in sé una forza imponente che era piuttosto attraente. Ma questo Galad Damodred era... be’, non era giusto paragonarlo a Perrin. Quello sarebbe stato come paragonare una finestra a vetri colorati a un armadietto realizzato da un maestro carpentiere. Entrambi erano esempi eccellenti della loro arte ed era difficile compararli fra loro. Ma di sicuro la finestra scintillava.

L’espressione di Berelain pareva distante. Era densamente rapita da Damodred. Era successo in così poco tempo. Faile aveva detto a Berelain che trovare un altro uomo a cui rivolgere le sue attenzioni avrebbe aiutato con le dicerie, ma il comandante dei Manti Bianchi? Quella donna aveva perso ogni buonsenso?

«Dunque cosa facciamo?» chiese Alliandre mentre aggiravano il lato meridionale del campo, a metà strada dal punto da cui erano partite.

«Riguardo i Manti Bianchi?» chiese Faile.

«Riguardo Maighdin» disse Alliandre. «Morgase.»

«Non riesco a non avere la sensazione che si sia approfittata della mia gentilezza» disse Faile «Dopo tutto quello che abbiamo passato assieme, lei non mi ha detto chi era?»

«Sembri determinata a darle pochissimo merito» disse Berelain.

Faile non rispose. Aveva pensato a quello che Perrin diceva e probabilmente lui aveva ragione. Faile non sarebbe dovuta essere così arrabbiata con lei. Se Morgase era davvero in fuga da uno dei Reietti, era un miracolo che fosse ancora viva. Inoltre, lei stessa aveva mentito sulla sua identità, la prima volta che aveva incontrato Perrin.

Per la verità, la sua rabbia era causata dal fatto che Morgase avrebbe giudicato Perrin. Lei presumeva di giudicare Perrin. Maighdin la cameriera sarebbe stata grata, ma Morgase la regina avrebbe visto Perrin come un rivale. Morgase avrebbe davvero trattato questo giudizio con imparzialità, oppure avrebbe colto l’occasione per screditare un uomo che aveva innalzato sé stesso come un lord?

«Io mi sento come te, mia signora» disse Alliandre piano.

«Ossia?»

«Ingannata» disse Alliandre. «Maighdin era nostra amica. Pensavo di conoscerla.»

«Avresti agito esattamente come ha fatto lei in quella situazione» disse Berelain. «Perché dare informazioni se non è necessario?»

«Perché eravamo amiche» disse Alliandre. «Dopo quello che abbiamo passato assieme, si scopre che lei è Morgase Trakand. Non solo una regina... la regina. Quella donna è una leggenda, lei era qui, con noi, a servirci il tè. Malamente.»

«Devi ammettere» disse Faile pensierosa «che è migliorata nel servire il tè.»

Faile si portò una mano alla gola, toccando la corda a cui era attaccata la pietra di Rolan. Non la indossava ogni giorno, ma lo faceva abbastanza spesso. Morgase era stata falsa tutto il tempo che erano state con gli Shaido? Oppure in qualche modo era stata la più vera? Senza titoli dei quali essere all’altezza, non era stata costretta a essere la "leggendaria" Morgase Trakand. In circostanze del genere, non era più probabile che trasparisse la vera natura di una persona?

Faile strinse la corda. Morgase non avrebbe rivoltato questo processo contro Perrin per ripicca. Ma avrebbe offerto il suo giudizio onestamente. Il che voleva dire che Faile doveva essere preparata, e preparare...

Delle urla risuonarono nelle vicinanze.

Faile reagì immediatamente, ruotando verso i boschi. D’istinto si aspettò degli Aiel che balzassero dai cespugli per uccidere e catturare, e provò un momento di puro panico.

Ma le urla provenivano dall’interno del campo. Lei imprecò, voltandosi, ma avvertì qualcosa strattonarle la cintura. Guardò giù con un sussulto e vide il coltello alla sua cintura uscire da solo dal fodero e ruotare in aria.

«Una bolla di male!» disse Berelain, scivolando di lato.

Faile si tuffò, gettandosi a terra mentre il suo coltello roteava nell’aria verso di lei. Mancò di poco. Mentre Faile si rimetteva in una posizione accucciata, notò trasalendo che Berelain stava affrontando un coltello, uno che — a giudicare dallo squarcio sulla camicia di Berelain — doveva essersi fatto strada fuori da un fodero nascosto all’interno della sua manica.

Al di là di Berelain, il campo era in tumulto. I profughi che si stavano esercitando lì vicino si stavano sparpagliando, con spade e lance che ruotavano in aria di propria volontà. Pareva come se ogni arma nell’accampamento avesse improvvisamente preso vita, sollevandosi ad attaccare il suo padrone.

Movimento. Faile schivò di lato quando il suo coltello si scagliò di nuovo verso di lei, ma una figura in marrone dai capelli bianchi ghermì l’arma dall’aria, tenendola in una stretta salda. Sulin rotolò, aggrappandosi a esso, i denti stretti mentre lo strappava dall’aria e lo sbatteva giù contro una pietra, rompendo la lama fino al manico.

Smise di muoversi. Le lance di Sulin, però, si staccarono dal loro posto sulla sua schiena e rotearono nel cielo, le punte dirette verso di lei.

«Scappate!» disse la Fanciulla, voltandosi e cercando di affrontare tutte e tre le lance assieme.

«Dove?» domandò Faile, raccogliendo un sasso da terra. «Le armi sono ovunque.» Berelain stava lottando col suo coltello. L’aveva afferrato, ma quello la stava combattendo, strattonando le sue braccia da una parte all’altra. Alliandre era circondata da tre coltelli. Luce! Faile all’improvviso si sentì fortunata per averne portato solo uno quel giorno.

Diverse Fanciulle accorsero ad aiutare Alliandre, scagliando pietre contro i coltelli, schivando lance che si avventavano verso di loro. Berelain era sola.

Digrignando i denti — sentendosi una mezza sciocca perché aiutava la donna che odiava — Faile balzò a mettere le mani su quelle di Berelain, prestando la sua forza a quella della Prima. Assieme strattonarono il pugnale da una parte, verso terra, dove riuscirono a conficcarlo di punta nel suolo. Quando lo fecero, sorprendentemente, esso smise di muoversi.

Faile lo lasciò andare esitante, poi alzò lo sguardo verso la scombussolata Berelain. La donna si premette la destra sull’altro palmo, tamponando il sangue da un taglio che aveva ricevuto. Annuì a Faile. «Grazie.»

«Cosa l’ha fermato?» chiese Faile, il cuore che le palpitava. Delle grida risuonavano per tutto il campo. Imprecazioni. Clangori di armi.

«La terra?» chiese Berelain, inginocchiandosi.

Faile infilò le dita nel suolo. Si voltò, notando allarmata che una delle Fanciulle era a terra, anche se altre avevano abbattuto diverse lance volanti. Faile lanciò la sua manciata di terra contro quella che stava ancora schioccando attorno.

Quando la terra toccò la lancia, l’arma cadde. Sulin lo vide, sgranando gli occhi dietro il suo volto velato. Lasciò cadere le pietre che aveva impugnato e raccolse una manciata di terra, spruzzandosela sopra la testa mentre una lancia saettava verso il suo cuore.

La terra la fermò e cadde al suolo. Vicino, i soldati che le avevano seguite per sorvegliare Faile e le altre se la stavano passando peggio. Erano indietreggiati in un cerchio, usando i loro scudi per bloccare gli assalti delle armi, accucciati con espressioni preoccupate.

«Presto!» disse Faile alle Fanciulle, conficcando entrambe le mani nel terreno. «Spargete la voce! Fate sapere agli altri come fermare le armi!» Gettò della terra sui pugnali accanto ad Alliandre, abbattendone due con un solo lancio, poi iniziò a correre verso i soldati lì vicino.


«Non c’è bisogno che ti scusi, Galad» disse Morgase piano. «Non avresti potuto sapere cosa stava accadendo nella Fortezza della Luce. Era a leghe e leghe di distanza.»

Sedevano nella sua tenda, le sedie una di fronte all’altra, la luce del tardo pomeriggio che brillava sulle pareti. Galad sedeva con le mani serrate davanti a sé mentre si sporgeva in avanti. Così pensieroso. Morgase si ricordò le sue prime impressioni di lui, molto tempo prima quando aveva sposato suo padre. Il ragazzino era stato semplicemente parte dell’accordo e, pur avendolo adottato, Morgase si era sempre preoccupata che lui si sentisse meno amato dei suoi fratelli.

Galad era sempre stato così solenne. Lesto a evidenziare quando qualcuno faceva qualcosa di sbagliato. Ma a differenza degli altri bambini — Elayne in particolare — lui non aveva usato la sua conoscenza come un’arma. Morgase avrebbe dovuto capirlo. Avrebbe dovuto rendersi conto che sarebbe stato attratto verso i Manti Bianchi per la loro visione di un mondo che era bianco e nero. Avrebbe potuto prepararlo meglio? Avrebbe potuto mostrargli che il mondo non era bianco e nero... e neanche grigio. Era pieno di colori che a volte non si adattavano ad alcuno spettro di moralità.

Lui alzò lo sguardo, le mani ancora serrate e gli occhi turbati. «Ho accusato Valda ingiustamente. Quando sono andato da lui, ho detto che pretendevo il Giudizio Sotto la Luce perché lui ti aveva maltrattato e ucciso. Ho sbagliato a metà. Ho fatto qualcosa in cui ero in errore, almeno in parte. A prescindere da quel fatto, sono lieto di averlo ucciso.»

A Morgase si mozzò il fiato in gola. Valda era stato noto come uno dei più grandi spadaccini al mondo. E Galad lo aveva sconfitto in un duello? Questo giovane? Ma lui non era più un giovane. Galad aveva fatto le sue scelte e a lei riusciva difficile giudicarlo per esse. Per certi versi, sembravano più ammirabili di quelle che aveva compiuto lei.

«Hai fatto bene» disse. «Valda era un serpente. Sono certo che ci fosse lui dietro la morte di Niall. Galad, tu hai reso un servizio al mondo.»

Lui annuì. «Per quello che ha fatto a te, meritava la morte. Ma sarà comunque necessario che io dirami una dichiarazione.» Si alzò, serrando le mani dietro la schiena mentre camminava, con i suoi abiti bianchi che parevano risplendere nella luce. «Spiegherò che la mia accusa di omicidio era falsa, ma che Valda meritava comunque la morte per gli altri suoi crimini. Crimini terribili.» Si fermò per un momento. «Vorrei averlo saputo.»

«Non c’era nulla che avresti potuto fare, figlio» disse lei. «La mia prigionia è stata solo colpa mia. Per essermi fidata dei miei nemici.»

Galad agitò una mano. «Non c’era modo di resistere a Gaebril, se quello che hai sentito è vero. E per quanto riguarda la tua prigionia, tu non ti sei fidata dei tuoi nemici. Sei stata tradita, come tutti noi, da Valda. I Figli non sono mai nemici di una persona che cammina nella Luce.»

«E Perrin Aybara?» chiese lei.

«Progenie dell’Ombra.»

«No, figlio. Non mi piacciono alcune delle cose che sta facendo, ma ti assicuro che è un brav’uomo.»

«Allora il processo lo dimostrerà» disse Galad.

«I bravi uomini possono commettere errori. Se procedi con questo, potrebbe finire in un modo che nessuno di noi desidera.»

Galad si immobilizzò, accigliandosi. «Madre, stai insinuando che gli dovrebbe essere permesso di farla franca?»

«Vieni» disse lei con un gesto. «Torna a sedere. Mi stai facendo venire il mal di testa, ad andare avanti e indietro.»

Forse era assurto alla posizione di lord Capitano Comandante solo di recente, ma era sempre sembrato irritarsi nel ricevere un ordine. Si sedette, però.

Stranamente, Morgase si sentiva di nuovo una regina. Galad non l’aveva vista durante quei mesi duri. Pensava a lei come la vecchia Morgase, così attorno a lui lei si sentiva davvero come la vecchia Morgase. Quasi.

Niall l’aveva tenuta prigioniera, ma l’aveva rispettata, e lei aveva cominciato a pensare di poter rispettare anche lui. Cos’era successo alla plancia dove lei e Niall avevano giocato a sassolini così spesso? Odiava pensare che fosse stata rotta nell’attacco dei Seanchan.

Galad sarebbe diventato un lord Capitano Comandante come Niall o forse qualcuno di meglio? La regina in lei, la regina risvegliata, voleva trovare un modo per tirar fuori la sua luce e reprimere l’ombra.

«Galad» disse lei. «Cos’hai intenzione di fare?»

«Riguardo al processo?»

«No. Con questo tuo esercito.»

«Combatteremo all’Ultima Battaglia.»

«Ammirevole» disse lei. «Ma sai cosa significa questo?»

«Significa combattere a fianco del Drago Rinato.»

«E delle Aes Sedai.»

«Possiamo servire a fianco delle streghe per un periodo, se è nel nome del bene superiore.»

Morgase chiuse gli occhi, espirando. «Galad, ascoltati. Le chiami streghe? Sei andato a addestrarti con loro, forse per diventare un Custode!»

«Sì.»

Lei aprì gli occhi. Galad pareva così convinto. Ma perfino il più violento e letale dei segugi poteva essere convinto. «Sai cos’hanno fatto a Elayne, madre?» chiese lui.

«Intendi perderla?» Morgase covava ancora rabbia per quello.

«L’hanno mandata in missione» disse, la voce intrisa di disgusto. «Hanno rifiutato di lasciarmela vedere, probabilmente perché era via, messa in situazioni di pericolo. L’ho incontrata in seguito, fuori dalla Torre.»

«Dov’era?» domandò Morgase con impazienza.

«Qui nel Sud. I miei uomini chiamano le Aes Sedai streghe. A volte mi domando quanto questo sia lontano dalla verità.»

«Galad...»

«Non tutte le donne che maneggiano l’Unico Potere sono malvagie di fondo» disse lui. «Questa è una tradizione errata dei Figli. La via della Luce non fa questa affermazione; dice solo che la tentazione di usare l’Unico Potere può corrompere. Credo che le donne che ora gestiscono la Torre Bianca abbiano lasciato che i loro piani e i loro complotti egoistici le accecassero.»

Lei annuì, non desiderando discutere su quel punto. Grazie alla Luce, Elaida non era qui ad ascoltare quella logica!

«A ogni modo» disse lui. «Combatteremo assieme a loro e al Drago Rinato, e a questo Perrin Aybara, se necessario. La lotta contro l’Ombra supera ogni altra preoccupazione.»

«Allora lascia che ci uniamo a quella lotta» disse lei. «Galad, dimentica questo processo! Aybara intende smobilitare parte del suo esercito e dare il resto ad al’Thor.»

Lui incontrò i suoi occhi, poi annuì. «Sì. Ora riesco a vedere che il Disegno ti ha condotto da me. Viaggeremo con voi. Dopo che il processo sarà terminato.»

Lei sospirò.

«Non faccio questo per scelta» disse Galad, alzandosi di nuovo. «È stato Aybara stesso a proporre di essere processato. Quell’uomo ha un peso sulla coscienza e negargli questa opportunità sarebbe sbagliato. Lasciamo che dimostri la sua innocenza a noi e a sé stesso. Poi potremo continuare.» Esitò, allungando una mano e toccando la spada dal fodero bianco sulla sua madia. «E se possiamo continuare senza di lui, allora riposerà nella Luce, avendo pagato per i suoi crimini.»

«Galad,» disse lei «sai che Lini era fra le persone che hai preso dal campo di Perrin.»

«Avrebbe dovuto parlare, rivelarsi a me. L’avrei liberata.»

«Eppure non l’ha fatto. Ho sentito che hai addirittura minacciato di giustiziare i prigionieri se Perrin non fosse sceso in battaglia. L’avresti fatto davvero?»

«Il loro sangue sarebbe ricaduto su di lui.»

«Il sangue di Lini, Galad?»

«Io... io l’avrei vista in mezzo a loro e l’avrei tolta dal pericolo.»

«Così avresti ucciso gli altri» disse Morgase. «Persone che non avevano fatto alcun male, che non erano colpevoli di nient’altro tranne essere stati ingannati da Aybara?»

«Le esecuzioni non avrebbero mai avuto luogo. Era solo una minaccia.»

«Una menzogna.»

«Bah! Qual è lo scopo di tutto questo, madre?»

«Farti pensare, figlio» disse Morgase. «In modi che ho incoraggiato prima, piuttosto che lasciarti alle tue semplici illusioni. La vita non è semplice come il lancio di una moneta, una faccia o l’altra. Ti ho mai parlato del processo di Tham Felmley?»

Galad scosse il capo con aria irritata.

«Ascoltami. Era un costruttore a Caemlyn, uno rispettabile. Venne accusato di aver ucciso suo fratello nei primi tempi del mio regno. Aveva una reputazione sufficiente e il suo caso era abbastanza importante che lo presiedetti io stessa. Alla fine fu impiccato.»

«Una fine adeguata per un assassino.»

«Sì» disse Morgase. «Purtroppo, l’assassino fu lasciato libero, era stato uno dei suoi muratori a commettere l’omicidio. Non si scoprì fino a due anni dopo, quando l’uomo fu preso per un altro delitto. Allora rise di noi, mentre lo impiccavamo. Felmley era sempre stato innocente. Il vero uomo, l’assassino, era stato uno di quelli che lo avevano condannato durante il processo originario.»

Galad tacque.

«Non è l’unica volta» continuò Morgase «in cui sono certa di aver fatto impiccare qualcuno per errore. Perciò dimmi, Galad. Dovrei essere impiccata per il mio errore nel condannare un innocente?»

«Tu hai fatto del tuo meglio, madre.»

«Ed è comunque morto un uomo che non lo meritava.»

Galad parve turbato.

«Ai Figli piace parlare della Luce che li protegge,» disse Morgase «che guida il loro giudizio e consegna le persone alla giustizia. Non è così che funziona, Galad. Valda, affermando di essere benedetto dalla Luce, poteva fare cose terribili. E io, sperando nell’aiuto della Luce, ho ucciso ingiustamente.

«Non sto dicendo che Aybara è innocente. Non ho sentito abbastanza in un senso o nell’altro. Ma voglio che tu capisca. A volte un brav’uomo può commettere degli errori. A volte è appropriato punirlo. Altre volte, la punizione non serve a nessuno e la cosa migliore da fare è lasciare che continui e impari. Come io ho continuato e imparato, dopo aver preso decisioni tanto sbagliate.»

Galad si accigliò. Quello era un bene. Infine lui scosse il capo, il suo volto che si rischiarava. «Vedremo cosa porterà il processo. È...»

Qualcuno bussò sul palo di fuori. Galad si voltò, corrugando la fronte ancora di più. «Sì?»

«Mio lord Capitano Comandante» disse un Manto Bianco, sollevando il lembo ed entrando nella tenda. Era un uomo magro con occhi infossati e chiazze scure sotto di essi. «Abbiamo appena ricevuto notizie dall’accampamento della creatura Aybara.»

Galad si alzò in piedi. «A quale proposito?» domandò.

«Disordini nel loro campo, affermano» disse il Manto Bianco. «Qualcosa su feriti che hanno bisogno di cure. Mio lord Capitano Comandante... è evidente che si tratta di uno stratagemma. Qualche sorta di inganno. Dovremmo attaccarli o, quanto meno, negare questa inutile proroga.»

Galad esitò. Guardò Morgase.

«Non è un inganno, figlio» disse. «Posso prometterti questo. Se Aybara dice di aver bisogno di più tempo, è sincero con te.»

«Bah» disse Galad, congedando il messaggero con un gesto. «Ci penserò su. Assieme alle cose che hai detto, madre. Forse un po’ di tempo in più per riflettere sarà... gradito.»


«Gli incanalatori dicono che stanno lavorando più che possono» spiegò Gaul, camminando accanto a Perrin per il campo mentre controllavano le varie sezioni. «Ma dicono che potrebbero volerci giorni per occuparsi di tutti.»

Il sole stava calando verso l’orizzonte, ma probabilmente sarebbe stata una lunga notte per molti di loro, a curare i feriti. Ce n’erano stati a migliaia, anche se parecchie lesioni — per fortuna — non erano gravi. Avevano perso alcune persone. Troppe, forse tante quante quelle che erano morte per i morsi dei serpenti.

Perrin grugnì. Gaul stesso aveva un braccio al collo; si era difeso dalle sue lance solo per essere quasi ucciso da una delle sue frecce. L’aveva bloccata col suo avambraccio. Quando Perrin l’aveva chiesto, lui aveva riso e aveva detto che erano passati anni dall’ultima volta che si era trafitto con la sua stessa freccia. Umorismo aiel.

«Abbiamo avuto risposta dai Manti Bianchi?» chiese Perrin, voltandosi verso Aravine, che camminava dall’altro suo lato.

«Sì» disse lei. «Ma nulla di specifico. Il loro comandante ha detto che avrebbe "pensato" se darci più tempo.»

«Be’, non è lui quello che deve decidere» disse Perrin, entrando nella sezione mayenese del campo per controllare la gente di Berelain. «Non ho intenzione di rischiare una battaglia con un quarto dei miei uomini feriti e i miei Asha’man stremati dalla Guarigione. Ci presenteremo a questo processo quando lo dirò io, e se Damodred non è d’accordo, che ci attacchi pure.»

Gaul bofonchiò il suo assenso. Portava le sue lance, ma Perrin notò che erano fissate al loro posto più saldamente del solito. Aravine portava una lanterna, anche se non avevano ancora avuto bisogno di accenderla. Anche lei prevedeva che sarebbero stati svegli fino a tardi.

«Fammi sapere quando Tam ed Elyas tornano» disse Perrin a Gaul. Perrin aveva inviato ciascuno separatamente in visita a villaggi vicini ad accertarsi che la gente lì — quelli che non si erano uniti a un esercito di passaggio — non fosse stata colpita dalla bolla di male.

Berelain si era ricomposta, la sua mano bendata. Gli diede il rapporto di persona, dalla sua tenda, dicendo quanti dei suoi soldati erano rimasti feriti, dando i nomi degli uomini che avevano perso. Solo sei del suo campo.

Perrin sbadigliò nel lasciare la tenda, mandando Aravine a controllare le Aes Sedai. Gaul si era precipitato ad aiutare per trasportare alcuni dei feriti e Perrin si ritrovò solo nel percorrere il sentiero verso la parte dell’accampamento di Alliandre.

Il suo martello non aveva tentato di ucciderlo. A quanto ne sapeva, era l’unico la cui arma non aveva reagito alla bolla di male. Cosa voleva dire?

Scosse il capo, poi esitò, soffermandosi mentre sentiva qualcuno correre lungo il sentiero verso di lui. Colse l’odore di Tam e si voltò per incontrare l’uomo robusto mentre arrivava.

«Perrin, figliolo» disse Tam, senza fiato per la corsa. «È successo qualcosa di insolito.»

«La bolla di male ha colpito il villaggio?» chiese Perrin, allarmato. «La gente è rimasta ferita?»

«Oh, no» disse Tam. «Non quello. Il villaggio è a posto. Non hanno neanche notato nulla che non andasse. Si tratta di qualcos’altro.» Tam odorava strano. Pensieroso, preoccupato.

Perrin si accigliò. «Cosa? Che sta succedendo?»

«Io... be’, devo andare, figliolo» disse Tam. «Lasciare il campo. Non so quando tornerò.»

«Questo...»

«Non ha nulla a che fare con i Manti Bianchi» disse Tam. «Mi è stato detto che non posso rivelare molto. Ma riguarda Rand.»

I colori turbinarono. Rand camminava per i corridoi della Pietra di Tear. La sua espressione era cupa. Pericolosa.

«Perrin» disse Tam. «Penso che sia qualcosa che devo fare. Riguarda le Aes Sedai, e io devo lasciarti ora. Non posso dire altro. Me l’hanno fatto giurare.»

Perrin guardò negli occhi di Tam e vi vide la sincerità. Annuì. «D’accordo, allora. Hai bisogno di aiuto? Qualcuno che venga con te, ovunque tu stia andando?»

«Starò bene» disse Tam. Odorava d’imbarazzo. Cosa stava succedendo? «Cercherò di procurarti qualche aiuto, figliolo.» Posò una mano sulla spalla di Perrin. «Ti sei comportato bene qui. Sono fiero di te, e lo sarebbe anche tuo padre. Continua così. Ti rivedrò all’Ultima Battaglia, se non prima.»

Perrin annuì. Tam si affrettò verso la sua tenda, forse per fare i bagagli.


Era difficile sembrare regale mentre la portavano in cima alle mura di Caemlyn su una lettiga, ma Elayne fece del suo meglio. A volte ottenere quello che volevi era più importante che sembrare regale.

Riposo a letto! Per una regina! Be’, per fare in modo che Melfane la smettesse di girarle attorno, aveva pronunciato un giuramento che non sarebbe stata in piedi. Ma non aveva detto nulla sul rimanere nella sua camera da letto.

Quattro uomini della Guardia portavano la lettiga sopra le loro spalle. Elayne sedeva al sicuro tra i braccioli, indossando un abito cremisi, i capelli attentamente spazzolati, la Corona di Rose dell’Andor sopra la testa.

La giornata era afosa, il clima che stava volgendo al caldo, il cielo ancora scuro di nuvole. Riservò un momento al sentirsi in colpa per aver costretto quei poveretti a trasportarla attraverso quest’afa di inizio estate in uniforme completa. Ma questi uomini avrebbero cavalcato in battaglia in suo nome: potevano sopportare un po’ di calura. E comunque non accadeva spesso che degli uomini della Guardia avessero l’onore di trasportare la loro regina.

Birgitte procedeva ad ampie falcate accanto alla lettiga e il legame indicava che era divertita. Elayne aveva temuto che lei avrebbe cercato di fermare questa escursione, ma invece aveva riso! Birgitte doveva aver stabilito che le attività di quest’oggi — anche se di sicuro avrebbero sconvolto Melfane — non costituivano un vero rischio per lei o i suoi bambini. Per la Custode, questo significava un’opportunità di vedere Elayne messa in mostra per la città come una sciocca.

Elayne sussultò. Cosa avrebbe detto la gente? La regina che veniva portata su una lettiga alle mura esterne? Be’, non aveva intenzione di lasciare che le voci le impedissero di vedere la prova con i suoi occhi e non aveva intenzione di lasciarsi tiranneggiare da una levatrice dispotica.

Aveva un’ottima visuale dalle mura. I campi che portavano ad Aringill si aprivano alla sua sinistra; la città brulicava alla sua destra. Quei campi erano di un marrone troppo intenso. I rapporti da tutto il regno erano drammatici. Nove campi su dieci non avevano dato frutto.

I portatori di Elayne la fecero salire fino a una delle torri delle mura, poi trovarono un intoppo nel rendersi conto che la lettiga era troppo lunga per le svolte sulle scale a chiocciola all’interno della torre; la dimostrazione avrebbe avuto luogo lì in cima. Per fortuna, c’erano delle corte maniglie alternative proprio per situazioni del genere. Rimossero le aste, passarono alle maniglie e procedettero.

Mentre la portavano su, lei si distrasse pensando a Cairhien. Le casate nobiliari lì affermavano tutte di attendere con impazienza che lei arrivasse a prendere il trono, eppure nessuna di esse le offriva più di un debole sostegno. Il Daes Dae’mar era in piena efficacia e il posizionamento per l’ascesa al trono di Elayne — o per il suo fallimento — era iniziato nel momento in cui Rand aveva menzionato che intendeva dare a lei la nazione.

A Cairhien, cento diversi venti politici soffiavano sempre in cento direzioni diverse. Lei non aveva tempo di apprendere tutte le differenti fazioni prima di prendere il trono. Inoltre se si fosse fatta vedere a partecipare al gioco, avrebbero potuto considerarla come qualcuno da sconfiggere. Doveva trovare un modo per impadronirsi del Trono del Sole senza mischiarsi troppo nella politica delle casate locali.

La lettiga di Elayne cigolò e sormontò l’orlo del torrione. In cima c’era Aludra con uno dei suoi prototipi di drago. Il tubo di bronzo era piuttosto lungo e posto in un’intelaiatura di legno. Era solo uno finto, messo lì per mostra. Un secondo drago, funzionante, era stato messo in cima alla torre successiva lungo le mura. Si trovava a distanza sufficiente perché Elayne non si trovasse in pericolo se qualcosa fosse andato storto.

La snella donna tarabonese pareva indifferente al fatto che stava consegnando un’arma potenzialmente rivoluzionaria alla regina di un paese straniero; tutto quello che Aludra sembrava volere era un modo per vendicarsi dei Seanchan, o così aveva spiegato Mat. Elayne aveva passato qualche tempo con quella donna mentre viaggiava col serraglio di Luca, ma non era ancora certa di quanto potesse fidarsi di lei. Avrebbe dovuto farla tenere d’occhio da mastro Norry.

Ovviamente sempre che i draghi funzionassero. Elayne riservò un’altra occhiata alla gente giù in basso. Solo allora si rese conto di quanto si trovava davvero in alto. Luce!

Sono al sicuro, ricordò a sé stessa. La visione di Min.

Non che lei dicesse nulla del genere a Birgitte, non più. E intendeva davvero smettere di correre così tanti rischi. Questo non era un rischio. Non proprio.

Distolse lo sguardo prima che le venissero le vertigini ed esaminò il drago più da vicino. Aveva la forma di una grossa campana di bronzo, ma più lunga e più stretta. Come un enorme vaso girato sul fianco. Elayne aveva ricevuto più di una missiva dai campanari adirati. Aludra insisteva che i suoi ordini fossero eseguiti alla lettera e aveva costretto gli uomini a fondere il tubo da capo tre volte.

Il giorno prima, a tarda notte, era risuonato uno schianto fragoroso per la città. Come se un muro di pietra fosse caduto da qualche parte o un fulmine avesse colpito. Quella mattina Elayne aveva ricevuto un messaggio da Aludra.

"Prima prova un successo" si leggeva. "Incontrati con me oggi sulle mura cittadine per una dimostrazione".

«Maestà» disse Aludra. «Sei... be’, sì?»

«Starò bene, Aludra» disse Elayne, cercando di mantenere la sua dignità. «Il drago è pronto?»

«Lo è» rispose Aludra. Indossava un lungo abito marrone, i suoi neri capelli ondulati sciolti, che le arrivavano giù fino in vita. Perché niente trecce oggi? Pareva che Aludra non si curasse dei gioielli ed Elayne non l’aveva mai vista indossarne uno. Un gruppo di cinque uomini della Banda della Mano Rossa di Mat si trovava con lei, uno che portava quello che sembrava una sorta di spazzolone da camino. Un altro aveva tra le mani una sfera metallica, mentre un altro portava un barilotto di legno.

Elayne poteva vedere un gruppo simile anche sull’altro torrione. Qualcuno lì aveva sollevato un cappello in aria e lo aveva agitato verso di lei. Mat voleva osservare dalla torre con il drago funzionante, pareva. Uomo avventato. E se quella cosa fosse esplosa come un fiore notturno?

«La dimostrazione, dunque,» disse Aludra «ora la cominceremo. Questi uomini qui, loro ti mostreranno ciò che verrà fatto sull’altra torre.» Esitò nell’osservare Elayne. «Sua maestà, credo che dovremmo posizionarla più in alto in modo che possa vedere la dimostrazione.»

Pochi minuti dopo, avevano individuato alcune casse più piccole da mettere sotto la lettiera e sollevare Elayne in modo che potesse vedere oltre le merlature della torre. Pareva che fosse stato costruito qualcosa sulle pendici di una collina distante, anche se era troppo lontano perché Elayne potesse distinguerlo.

Aludra tirò fuori diversi cannocchiali e ne porse uno ciascuno a Elayne e Birgitte.

Elayne si sollevò il cannocchiale all’occhio. Manichini per i vestiti. Aludra ne aveva disposto una cinquantina a file sulla collina distante. Luce! Dove se n’era procurati così tanti? Probabilmente Elayne avrebbe ricevuto delle missive prolisse dai sarti di tutta la città.

Mat aveva promesso che questo sarebbe valso praticamente qualunque costo. Ovviamente quello era Mat. Non era certo la persona più affidabile al mondo.

Non è lui quello che ha lasciato che l’Ombra rubasse un ter’angreal inestimabile, ricordò a sé stessa.

Elayne fece una smorfia. Nel suo borsello portava una copia della testa di volpe. Era una delle tre che aveva creato finora. Se doveva essere confinata nel suo letto, allora poteva fare buon uso del suo tempo. Sarebbe stato molto meno frustrante se fosse stata in grado di incanalare regolarmente.

Tutte e tre le repliche dei medaglioni a testa di volpe funzionavano come la prima. Lei non poteva incanalare mentre ne indossava una e un flusso potente era in grado di sopraffarle. Aveva proprio bisogno di riavere quell’originale per ulteriori studi.

«Puoi vedere, maestà,» disse Aludra con voce rigida, come non abituata a tenere una dimostrazione «che abbiamo cercato di ricreare le condizioni nelle quali potresti utilizzare i draghi, vero?»

Tranne che invece di cinquanta manichini, avremmo centomila Trolloc, pensò Elayne.

«La torre successiva, dovresti guardarla» disse Aludra con un gesto.

Elayne voltò il cannocchiale per guardare il torrione successivo lungo le mura. Poteva vedere i cinque membri della Banda lì, vestiti in uniforme, attendere con un altro drago. Mat stava guardando dentro quella cosa, proprio nel tubo.

«Questi si sono addestrati un poco sui draghi» disse Aludra. «Ma non hanno l’efficienza che mi piacerebbe. Andranno bene per ora, sì?»

Elayne abbassò il suo cannocchiale mentre gli uomini tiravano indietro il tubo finto — era su una serie di ruote — e lo ruotavano un poco in alto verso il cielo. Uno vi versò dentro un po’ di polvere nera dal suo barilotto, poi un altro vi ficcò dentro un tantino di qualcosa. Questo fu seguito dall’uomo con la lunga asta, che la infilò nel tubo. Non era uno spazzolone da camino che aveva in mano, ma qualche genere di attrezzo usato per comprimere.

«Quella sembra la polvere dentro un fiore notturno» disse Birgitte. Il legame trasmetteva cautela.

Aludra scoccò un’occhiata alla Custode «E come sai cosa c’è dentro un fiore notturno, Maerion? Ti rendi conto di quant’è pericoloso aprire uno di quelli, sì?»

Birgitte scrollò le spalle.

Aludra si accigliò, ma non ottenne risposta, così prese un respiro profondo e si calmò. «Il congegno, quello è perfettamente sicuro. Abbiamo preparato l’altro drago per sparare, così non ci sarà pericolo, giusto? Ma non ci sarebbe pericolo comunque. La fusione è buona e i miei calcoli, quelli sono perfetti.»

«Elayne,» disse Birgitte «penso ancora che sarebbe meglio osservare dal muro sotto. Perfino se questo accanto a noi non verrà acceso.»

«Dopo tutto quello che ho passato per salire quassù?» chiese Elayne. «No, grazie. Aludra, puoi procedere.»

Lei ignorò l’irritazione di Birgitte. Aludra pensava davvero di poter colpire uno di quei manichini con la sua sfera di ferro? La distanza era parecchia e la sfera era così piccola, a malapena più larga del palmo teso di un uomo. Elayne aveva investito tutti questi sforzi per qualcosa che avrebbe funzionato peggio di una catapulta? Pareva che questo drago potesse scagliare la sua sfera più lontano, ma i macigni lanciati da una catapulta erano di gran lunga più grossi.

Gli uomini terminarono. L’ultimo di loro toccò con una piccola torcia un fuso che spuntava dalla sfera e la fece rotolare dentro il tubo, poi voltarono il tubo perché fosse rivolto direttamente verso l’esterno.

«Vedi?» disse Aludra, dando delle pacche al drago. «Tre uomini è meglio. Quattro per sicurezza, nel caso in cui uno cada. Uno potrebbe fare il lavoro, se necessario, ma sarebbe lento.»

Gli uomini si fecero indietro mentre Aludra tirava fuori una bandiera rossa. La tenne alta in aria, segnalando all’altra squadra sulla torre successiva lungo le mura. Elayne si concentrò su di loro con il cannocchiale. Uno portava una piccola torcia. Mat osservava con espressione incuriosita.

Aludra abbassò la sua bandiera. Il soldato toccò con la sua torcia ardente il lato del drago.

Il suono esplosivo che seguì fu così potente da far sobbalzare Elayne. Il boato fu fragoroso come un tuono e lei udì in lontananza quella che suonava come un’eco dell’esplosione. Si portò una mano al petto e si ricordò di prendere un respiro.

Una sacca sulla collina esplose in un enorme spruzzo di polvere e terra. Il suolo parve tremare! Era come se una Aes Sedai avesse sradicato la terra con un flusso, ma l’Unico Potere non era stato usato affatto.

Aludra pareva delusa. Elayne si portò il cannocchiale all’occhio. L’esplosione aveva mancato i manichini di venti passi buoni, ma aveva squarciato un buco nel terreno largo cinque. La palla esplodeva come un fiore notturno, per provocare quello?

Questo congegno non era semplicemente una catapulta o un trabucco migliorato; era qualcosa di completamente diverso. Qualcosa capace di mandare a sbattere una sfera di ferro nel terreno con una forza tale da aprire un foro per poi forse esplodere da sola.

Be’, lei avrebbe potuto formare un’intera fila di questi draghi sulle mura! Se avessero sparato tutti assieme...

Aludra sollevò di nuovo la sua bandiera; Elayne osservò col suo cannocchiale mentre gli uomini sul torrione successivo ripulivano, poi ricaricavano il tubo. Mat si stava tenendo le orecchie accigliato, cosa che fece sorridere Elayne. Lui avrebbe davvero dovuto assistere dalla sua torre. Il processo di ricarica richiese un tempo molto breve, forse tre minuti. E Aludra diceva che intendeva fare in modo che fosse più veloce?

Aludra scrisse una serie di ordini e la mandò via messaggero agli uomini. Quelli cambiarono leggermente la posizione del drago. Lei agitò la sua bandiera; Elayne si preparò per un’altra esplosione, ma non riuscì a fare a meno di sobbalzare quando giunse.

Stavolta lo scoppio fu preciso, colpendo proprio il centro della fila di manichini. I loro resti a brandelli roteavano nell’aria. Il colpo ne distrusse cinque o sei e ne sbatté a terra una buona dozzina.

Con la capacità di sparare ogni due minuti, di colpire così lontano e di portare una tale devastazione, queste armi sarebbero state mortali. Mortali quanto le damane, forse. Birgitte stava ancora guardando attraverso il suo cannocchiale e, sebbene il suo volto fosse impassibile, Elayne poteva avvertire lo stupore della donna.

«L’arma, la trovi soddisfacente?» chiese Aludra.

«La trovo soddisfacente, Aludra» disse Elayne con mi sorriso. «La trovo davvero soddisfacente. Le risorse dell’intera città sono tue, le risorse di tutto l’Andor.» Lanciò un’occhiata all’Illuminatrice. «Ma tu devi mantenere i progetti e i disegni un segreto. Manderò delle guardie con te. Non possiamo permetterci di lasciare che qualche campanaro rifletta su quanto gli frutterebbe lasciare la sua patria e vendere informazioni ai nostri nemici.»

«Finché non raggiungono i Seanchan,» disse Aludra «non m’importa.»

«Be’, a me sì» disse Elayne. «E sono io quella che si assicurerà che queste cose siano usate a dovere. Mi servirà un giuramento da parte tua, Aludra.»

La donna sospirò ma glielo diede. Elayne non aveva intenzione di usarli contro nessuno tranne i Trolloc e i Seanchan. Ma si sarebbe sentita più sicura per la sua patria sapendo di avere questi a disposizione.

Sorrise mentre vi rifletteva e trovò difficile contenere la sua eccitazione. Birgitte abbassò finalmente il suo cannocchiale. La sentiva... solenne.

«Cosa?» domandò Elayne mentre le guardie facevano a turno col suo cannocchiale, esaminando la devastazione. Provava uno strano senso di indigestione. Aveva mangiato qualcosa di guasto per pranzo?

«Il mondo è appena cambiato, Elayne» disse Birgitte, scuotendo la testa, la lunga treccia che ondeggiava lievemente. «E appena cambiato in modo davvero enorme. Ho una tremenda sensazione che sia solo l’inizio.»

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