Era l’inizio dell’estate dell’anno di Astrobia 535. Sulla Vecchia Terra era l’anno 535 A.S. (anno scientiae). Secondo la vecchia numerazione, sulla Terra era l’anno 2535. Era simpatica questa differenza tonda di duemila anni.
Perché ciò fosse possibile, doveva esserci un «anno libero» su Astrobia ogni ventinove anni, poiché gli anni su Astrobia erano un po’ più corti degli anni terrestri. Su Astrobia sarebbe dovuto essere il 553, ma poiché gli «anni liberi» non entravano nel conto, era invece il 535. La cosa funzionava bene.
Thomas More assunse la carica di Presidente del Mondo il 28 giugno dell’anno 535 di Astrobia.
A Thomas More il lavoro piaceva. Provava un senso di potere. Non che fosse più vanaglorioso del normale: pensava di essere molto vicino alla vecchia idea del re filosofo. Era stato un filosofo dilettante per molti anni, e adesso era re sul serio, perché il Presidente di Astrobia era chiamato re dal popolo, specialmente a Cathead. Thomas possedeva un certo ingegnaccio per fare dei ragionamenti chiari e per semplificare le cose complicate. Sapeva analizzare e andare rapidamente al nocciolo delle questioni; e qui su Astrobia aveva una libertà di esercitare il suo talento come non l’aveva mai avuto prima. Quand’era stato Cancelliere d’Inghilterra, aveva sempre avuto il re sopra di lui, un uomo difficile, con una pesante statura legale. Adesso c’era solo Kingmaker, un uomo assai più semplice e senza alcuna statura legale.
Thomas non aveva alcun obbligo di seguire i consigli di Kingmaker, ma lo ascoltava sempre volentieri.
— Ora che la tua donna e la tua bestia se ne sono andate, dovresti procurartene un’altra coppia — disse Kingmaker. — Non puoi rovinare la tua immagine pubblica adesso che sei in cima.
— Non sono mai state mie né l’una né l’altra, come del resto ti ho già detto — replicò Thomas, con calma. — La mocciosa impertinente ha detto che ritornerà al momento giusto a morire per me, e mi ha fatto capire che manca poco. E Rimrock l’ansel mi ritorna spesso alla mente, alla lettera. Ma dice che non gli piace affatto quello che c’è dentro, che il menu è troppo forte, anche se da giovane, in fondo all’oceano, mangiava un mucchio di serpenti di mare. Sì, si esprime spesso per enigmi di questo tipo. Però è sempre stato molto abile a scoprire la presenza degli Assassini programmati. So che è merito suo se sono riuscito a scappare tante volte. Ora però non cercano più di eliminarmi così sfacciatamente. Mi seguono sempre e sogghignano, facendomi vedere tutti i loro bei denti. Poi, rivolgendosi a me, si passano in taglio della mano davanti alla gola. Qualcuno che li capisce meglio di me mi ha detto che questo significa: «Il momento è vicino.»
— È tutto tranquillo, troppo tranquillo, è come la calma prima della tempesta — disse Kingmaker. — È come se il nostro mondo trattenesse il fiato aspettando che accada qualcosa.
— Lascia pure che lo trattenga, Kingmaker, fino a diventare blu. Indica che il raccolto non è ancora maturo. Non ho fretta: non ho bisogno d’affrettarmi. Tutto andrà bene: le cose vanno a posto da sole, senza neanche bisogno che io vi ponga mano, basta solo che le guardi. Mi è stato assicurato che sarò l’uomo più fortunato che sia mai esistito.
— Non so. Chi te l’ha assicurato, Thomas?
— Non riesco a ricordarmene, ma mi sembra che qualcuno me l’abbia garantito. Se non sconvolgerò le carte, se non rovescerò la brocca, se non farò cose abbiette e irragionevoli, allora la fortuna sarà sempre dalla mia. Ci dev’essere una fregatura dentro, ne sono convinto, e non ricordo se ho abboccato oppure no. Ma è una cosa che mi è stata offerta, e in questo momento mi sento decisamente fortunato.
— Cathead è stranamente calma, Thomas. Di solito è molto rumorosa e scatenata, quando c’è un cambio di amministrazione. Credi che questa tranquillità sia presagio di resa, di ritorno in massa da Cathead alla Vita Dorata?
— No, non ci credo. Come potrebbero arrendersi? I dissidenti di Cathead non hanno il vantaggio di essere programmati per la resa. E se anche fosse, a quegli altri piace vederli soffrire.
— Agli altri, chi? A me non piace certo vederli soffrire.
— E neppure a me. Ma quest’ultima fase che ho detto, Kingmaker, non sono stato io a dirla. Qualcun altro l’ha detta con le mie labbra. Oh, non allarmarti per me: sono sano di mente. Mi accade ogni tanto, quando non sto attento a ciò che dico. Ma non mi preoccuperò di certo per quanto sta succedendo a Cathead.
— Ma se è proprio quella la maggior preoccupazione dei governanti di Astrobia, Thomas! È l’unica cosa che guasta la serenità del nostro mondo. E durante la campagna elettorale hai fatto certe promesse, garantendo di liquidare il problema di Cathead direttamente, e se necessario con severità.
— Troverò un modo elegante per rompere le promesse, Kingmaker. Mi stai trattando come se fossi un principiante in questo gioco, ma non lo sono affatto. Liquiderò il problema di Cathead considerandolo come già risolto. Tutto è calmo, laggiù. E tu vorresti che ritornasse il bordello di prima? Sento come un’immensa voce interiore che mi dice di non preoccuparmi di Cathead. Sento che non devo preoccuparmi di niente, assolutamente.
«L’amministrazione che finora ha avuto più successo, su Astrobia, era caratterizzata da una calma artificiosa prima di una tempesta che non si scatenò mai. Penso di riuscire a fare lo stesso anche ora.»
— Questo non è esattamente il modo che avevo in mente per te — disse Kingmaker, — ma vedremo come funzionerà.
Era una navigazione tranquilla su un oceano di buoni propositi e di cliché. Non c’era una sola nuvola in cielo, in quel momento, e il sole era senza macchie.
— Non siamo neppure certi che ci sia un cielo, e un sole — continuò Kingmaker. — Ma per la gente questo non ha importanza, e non ha importanza neppure per me. Chi mai alza lo sguardo al cielo, oggi?
— Il sole è un foro, e non un corpo — disse Thomas. — Non è il simbolo della sfericità piena, ma del vuoto bruciante… di Ouden. No, no! Non sono stato io a dirlo! E stato un altro, con le mie labbra!
Il voto in favore di Thomas era stato schiacciante. I suoi amici avevano votato compatti per lui, e i suoi nemici lo avevano circondato del loro esorbitante appoggio. Le macchine sensoriali proclamarono la sua vittoria: una delle più nette che si fossero mai avute.
Neppure i «duri» del Barrio e di Cathead tentarono di gettare discredito sulla sua investitura, a differenza di quanto avevano fatto nella maggioranza dei casi, in quegli ultimi vent’anni. Erano silenziosi, e c’era uno sguardo strano su quei milioni di volti. Gli sputasangue, i «duri» di Cathead, si guardavano in faccia e poi guardavano i loro capi. E questi fissavano il suolo, come se potessero trovare la risposta tra la polvere dei vicoli e sui marciapiedi sgretolati.
— Non ci metteremo in marcia subito, ma soltanto tra dieci giorni — dichiarò Battersea, uno dei capi di Cathead. Gli altri capi e la massa dei poveracci che li circondava sembrarono d’accordo.
E Thomas, dentro di sé, era tranquillo e fiducioso. La calma che regnava in quel luogo era peculiare. — è una calma voluta — disse tra sé, — e non ne sono certamente io l’origine. Se potessi rompere questa calma, mi troverei al centro della sommossa.
Qualche tempo prima, durante gli ultimi giorni della campagna elettorale, Thomas aveva avuto un incubo, un pomeriggio, mentre passeggiava. L’incubo era stato cancellato dalla sua mente, ma ce n’era ancora un frammento insepolto, e a volte riusciva quasi ad afferrarlo e a riportare alla memoria anche il resto. Una mezza dozzina di volte era quasi riuscito a ricrearlo, ma c’era qualcosa che ostacolava e distruggeva questo processo. Gli sfuggiva, gli scivolava via, cambiava forma, sfumava. C’era qualcosa nella sua mente che lo spingeva via. L’incubo riguardava quei fantocci meccanici, ì Programmati: nel suo incubo i Programmati erano i veri governanti del mondo, e anche gli esseri umani erano talmente programmati, ormai, e meccanici, che non si avvertiva più la differenza. Ma c’era molto di più: c’era l’annichilamento dei mondi, la cancellatura totale del passato, cosicché niente sarebbe mai esistito, e niente sarebbe mai potuto essere in futuro. E poi, subito dopo, non c’era più niente di tutto questo. Non i mondi, ma l’incubo stesso non era mai esistito.
Ancora una volta gli era scivolato via dalla mente. Che cosa gli era successo? A causa di questo stato di cose, Thomas aveva un tremendo mal di capo, e si sentiva quasi prostrato. Poi inghiottiva un paio di pastiglie, e il malessere spariva, come spariva l’incubo e il ricordo di esso.
Il lavoro del Presidente del Mondo era sorprendentemente facile. Le leggi venivano proposte, accettate e portate a lui dai Maestri della Legge, le cento e una grandi menti di Astrobia (selezionate dalle macchine per la loro genialità in campo legale), le quali si occupavano di queste faccende con tanta maestria. Naturalmente, un numero particolarmente elevato di leggi fu presentato al nuovo Presidente, perché vi era appunto l’abitudine di scaraventargliele addosso a mucchi, all’inizio. Ma venivano sbrigate tutte, con grande facilità.
Ogni legge poteva essere analizzata dalle macchine, interpretata e suddivisa nelle sue componenti, e la decisione giusta poteva venire presa automaticamente. E a volte Thomas aveva l’impressione che le decisioni gli venissero indicate automaticamente anche dall’interno della sua mente. E, dentro e fuori, la decisione era sempre la stessa: Approvale. Com’era possibile sbagliarsi, se la decisione era sempre «sì»?
C’era anche un’altra ragione per votare «sì». Il Presidente di Astrobia che per tre volte avesse posto il veto a una proposta accettata dai Maestri della Legge, era condannato a morte. Non aveva alcuna importanza la forma in cui la proposta era presentata.
Credete che questo rendesse il lavoro del Presidente del Mondo puramente rappresentativo? Niente affatto. Il suo vero lavoro consisteva nel mettere in moto tutto quel meccanismo che portava alla formulazione delle leggi, consultando, consigliando, mantenendo o creando un consenso. L’approvazione vera e propria della legge, una volta definita, era una tradizione che si era conservata dai tempi antichi. Si presumeva che l’approvazione fosse automatica.
Quanto alle leggi in se stesse, molte avrebbero lasciato perplesso perfino il più smaliziato azzeccagarbugli.
Bene, Thomas era stato anche uno smaliziato azzeccagarbugli, ai suoi tempi. Perciò esaminò attentamente alcune delle leggi. Sapeva tutto su certe clausole tranello che possono costellare una legge, forse più di quanto sapessero le macchine analizzatrici. Lui stesso aveva inventato delle clausole tranello. Ma diede la sua approvazione a un mucchio di leggi che, in verità, non avrebbe voluto approvare.
— Diventa sempre più strano — disse. — Qualcun altro sta pensando con la mia mente, qualcun altro sta parlando con la mia voce, e ora, infine, qualcun altro ancora sta firmando le leggi con la mia mano.
Varò la Nona legge della Standardizzazione delle Menti, come pure quella degli Obiettivi della Mente. Qualcuno stava costruendo un edificio sempre più alto su quelle fondamenta artificiali. — Che bizzarri castelli in aria stanno fabbricando! — esclamò Thomas. Ma approvò la legge, chiedendosi tuttavia che cosa si stesse tramando, e quale fosse la vera ragione per cui la approvava.
Eliminò delle stonature da alcune leggi, prima di approvarle. In qualche modo, tuttavia, queste stonature saltavano fuori di nuovo attraverso vari permessi privati. Così corresse con estrema attenzione la Legge della Benevolenza Obbligatoria. Questa legge andava al di là perfino dell’Atto della Mente Aperta. — Questa non mi pare proprio la Benevolenza che conoscevo — dichiarò Thomas.
Le stonature riemergevano, abilmente camuffate in nuove leggi. La cosa diventava sempre più disdicevole, man mano diventava più chiaro il profilo dell’edificio che doveva sorgere su quelle benevole fondamenta.
Thomas desiderava ardentemente di ricordare qualcosa di più a proposito di un certo viaggio nell’incubo.
Ed ora c’era una legge piuttosto trascurabile fra le tante, ma in qualche punto della sua mente suonava un campanello d’allarme. Forse era un avvertimento di Rimrock l’ansel! Aveva un suono familiare, del tipo Gli Assassini ti sono addosso, ma non era espresso a parole. Thomas era appena stato assai brillante nell’individuare delle assurdità in una serie di leggi, e aveva sollevato obiezioni. In toni teatrali aveva fatto prevalere la sua esperienza, e ne era molto orgoglioso. Ma ora sentiva anche un po’ il bisogno di riposarsi. Preferiva che queste ultime leggi ancora da approvare scivolassero via lisce, e si sentiva un po’ irritato dall’avvertimento che gli ronzava nella testa.
Perciò riuscì a malapena ad accorgersi di ciò che non andava nella legge del Distacco dalla Terra: era nascosto in una nota in calce a un’altra nota in calce. Ma quando la individuò, ne fu scosso come se avesse raccolto un serpente credendo che fosse un bastone (usò appunto questa frase).
Si trattava di una semplice clausola intestata Residui. Bene, in un certo senso il provvedimento metteva fuori legge tutti i residui di una cosa che un tempo sembrava importante, perciò poteva anche entrare tra i Residui. Soltanto, non aveva a che fare con la legge del Distacco dalla Terra. A dire il vero, Thomas non trovava nulla di troppo sbagliato nella proposta, salvo che lì era completamente fuori posto e che gli veniva presentata in modo disgustosamente arrogante. Non era contrario all’idea in sé: era l’abissale presunzione dei Maestri della Legge, o di chiunque altro, che inserivano quella clausola in una legge alla quale non apparteneva, e che cercavano di fargliela scivolare sotto gli occhi senza che lui se ne accorgesse.
— Dovrebbero chiamarla la «Legge per l’Interdizione dell’Aldilà» — disse. Era una cosa plausibile e proprio questo la condannava: perché preoccuparsi di fare una legge per una cosa del genere? Non ce n’era bisogno. Non c’era ragione per farlo. Ma qualcuno si stava dando da fare per fargliela approvare a sua insaputa.
— Già, vorrebbero addirittura proibirle di avere un’ombra — aggiunse. — Perché mai dovrebbero temere tanto un’ombra? È una cosa pressoché morta. Lasciatela tranquilla nei suoi ultimi istanti! Perché tanta avidità di assassinarla, quando i battiti del suo cuore si sono quasi fermati?
Tolse le clausole dalla legge. Non appena l’ebbe fatto, provò una punta di apprensione. Aveva tolto cose molto più importanti da leggi molto più importanti, per giorni interi, molte per ripicca, altre per la curiosità di vedere con cosa sarebbero ritornati alla carica il giorno dopo. E non aveva mai provato alcuna apprensione quando si era trattato di sfrondare leggi ben più importanti. Le cose stavano perdendo le giuste proporzioni ai suoi occhi, e questo lo preoccupava. Decise di chiudere bottega, per quel giorno.
La mattina dopo, eccola ancora lì, sotto forma di una clausola della Legge Pezza, la prima legge della giornata. Qualcuno si era dato da fare durante la notte per reinserirla in una legge che non aveva alcuna connessione possibile con quella clausola, una legge che aveva già esaminato e che era stata messa da parte soltanto per una chiarificazione di ordine minore. Thomas non si sarebbe certamente accorto che era lì, nella Legge Pezza, se non vi fosse stato un avvertimento nella sua mente, un avvertimento del tipo che Rimrock usava mandargli: Gli Assassini ti sono addosso!
Thomas percepì un lontano ticchettio nella sua mente, come se il suo tempo stesse per scadere. Quella strana proposta, dall’apparenza insignificante, evidentemente doveva avere molta importanza per qualcuno: — Qui qualcosa ci cova — si disse, — ed è qualcosa di più che una semplice gatta…
Rabbiosamente, Thomas diede il veto all’intera Legge Pezza. C’era qualcosa di definitivo nel suo gesto. L’unico modo per sentirsi il padrone. Ora ritornava se stesso, usciva dal suo abisso, e per una piccola frase indifferente, senza importanza. Era sbiadito tra le mani delle Macchine programmatrici e dei Programmati; ma il Presidente era lui.
Chiuse bottega anche per quel giorno. Non erano ancora le otto del mattino. Non era rimasto nel suo studio più di dieci minuti.
— Un re non dovrebbe lavorare tutto il giorno come un contadino. E non dovrebbe lavorare affatto in un giorno incominciato così male.
Kingmaker parlò a Thomas privatamente, a tale proposito, la sera stessa. Thomas avrebbe preferito parlarne con Fabian Foreman, ma Foreman non aveva dato alcun segno di volergli parlare, ora, e anzi aveva evitato Thomas, quando questi era riuscito ad avvicinarlo.
— Avremo tempo di parlarne sul patibolo… — aveva detto Foreman ammiccando a Thomas, ma senza sorridere. E c’era qualcosa nel profondo degli occhi di Foreman, e un’altra cosa ancora più profonda, e una terza più profonda ancora.
Così gli toccò sorbirsi il fervorino di Kingmaker.
— È tutta una questione di pulizia — disse Cosmos Kingmaker. — Una vita bella non può avere delle componenti che non siano armoniose. C’è un unico elemento disarmonico che sopravvive (anche se a stento) ed è appunto questo elemento che vogliamo estirpare. L’Ideale di Astrobia è l’Umanità finalizzata. Se rimanesse anche la più piccola fede in un Aldilà fantasma, l’Ideale fallirebbe.
— «Umanità finalizzata»: mi sembra una definizione ambigua, Cosmos. Ha due significati. Può voler dire un’umanità perfetta. Oppure un’umanità che finisce.
— No, ha un solo significato, Thomas. Sono due aspetti della stessa cosa. Noi, il Popolo dell’Ideale, ci siamo innalzati da creature unicellulari, e da cose perfino inferiori a una cellula. Noi siamo l’Ente Cosmico. Noi siamo coloro che i nostri avi definivano i Beati, noi siamo i Santi. L’Avvenire è venuto, e noi ne siamo in mezzo. Non infangare l’Ideale comune, Thomas.
«C’è un’antica leggenda su alcune creature folli. Fuggirono dal nostro stato di perfezione, convinte che ci fosse un Aldilà, e precipitarono per sempre nel vuoto. Non possiamo permettere che questo accada anche a noi.»
— Mi si è affacciato or ora alla mente un pensiero piuttosto oscuro: che ci sia stato uno scambio di etichette, e che il vuoto sia la Dorata Astrobia — disse Thomas.
— Bene, dimentica i pensieri oscuri. Parliamo della questione sotto l’aspetto politico. Anch’io, personalmente, non vedo che importanza possa avere che una cosa moribonda viva ancora un po’ o muoia subito. Ma i Programmati affermano che per loro è molto importante.
— Già, hanno un preciso orario per la scomparsa di tutte le cose, e non ammettono che ci siano ritardi. Oh, scusa, Kingmaker, questo era un altro di quei miei pensieri oscuri. Non so neppure che cosa sto dicendo!
— Se è importante per i Programmati, e per noi è indifferente, allora concediamoglielo pure. Anch’essi ci hanno fatto simili concessioni tante volte.
— Davvero, senza secondi fini? — si chiese Thomas. — Ho la sensazione… ho la sensazione di trovarmi in mezzo a un violento combattimento. E sono pieno di dubbi: perché mai una cosa così insignificante vale un combattimento? Ma si tratta veramente di una cosa tanto insignificante? Si tratta ancora una volta di scambi di etichette. Devo ora decidere se le etichette su «Tutto» e su «Nulla» sono state scambiate tra loro, e se è mio dovere proibire che siano rimesse al loro posto.
— Non è stata scambiata alcuna etichetta, Thomas. Tutto ha l’etichetta giusta, in questo mondo dove tutto si svolge nel modo giusto. Una volta che la cosa sia fatta qui, anche la Vecchia Terra seguirà il nostro esempio. Segue il nostro esempio in tutto. Perciò, se noi, ora, diciamo che è finita, essa sarà finita per sempre.
«E c’è ancora questo, Thomas: o tu firmerai la legge domani, o morirai il giorno seguente. C’è un limite all’ostruzionismo di un Presidente del Mondo. Una legge o una clausola sensate, approvate per tre volte dai Maestri della Legge, e per tre volte bloccate dal veto del Presidente, significano per lui la morte. A volte si è arrivati a due veti per un gesto di sfida, più spettacolare che altro, a parer mio. Ma tre veti non si sono mai avuti. Allora l’approverai?»
— Quello che mi ha irritato è il tentativo di nasconderla come clausola di altre leggi comuni, cercando di fare in modo che io non la vedessi.
— Sarà presentata domani, come legge a parte, chiara e senza compromessi. La firmerai?
— Se fosse stata presentata così la prima volta, l’avrei firmata senza porre nessuna domanda.
— Sì, va bene. Ma domani la firmerai?
— Non lo so, Kingmaker. Non molto tempo fa ero sulla cima del Monte Elettrico, in mezzo a una tempesta di fulmini più violenta di quanto ritenessi possibile. Ho attraversato le terre incolte, e ho scoperto che esiste un popolo di quelle zone. Ho visto creature che mi hanno fatto credere che c’è o che c’è stato il Demonio. Ho incontrato un giovane che era imperatore per un giorno. E ora credo che sia possibile essere re per nove giorni.
— Di cosa stai parlando, Thomas? Cosa c’entra con la nostra discussione?
— Non lo so, ma sembra che in qualche modo c’entri. Il ricordo del Grande Tuono dovrebbe esercitare un certo peso.
I Grandi chiamarono Thomas il mattino successivo, per fargli una bella lavata di capo: Kingmaker, Proctor, Foreman, Chezem, Pottscamp, Wottle, Northprophet.
Ma Pottscamp e Northprophet non facevano parte di quel suo incubo dimenticato? Be’, rischiereste d’insultare un uomo soltanto perché avete fatto un sogno spiacevole su di lui? E che sogno, poi?
— Hai solo due possibilità, Thomas — gli disse Proctor, con calma. — O firmare la legge, o morire. Non sembri disposto a fare la prima cosa e non credo che neppure la seconda sia di tuo gradimento.
— Thomas, tu hai posto il veto due volte su qualcosa di assolutamente innocuo — aggiunse Pottscamp. — perché?
C’era qualcosa di strano in Pottscamp, e Thomas non riusciva ad analizzarlo. Conosceva bene quell’uomo; ma ora aveva la sensazione di non conoscerlo affatto.
— Diavoli di Spagna, non so! — sbottò Thomas. — Anch’io lo credevo innocuo; e mi hanno dato fastidio quei tentativi di farmelo firmare a mia insaputa. Ma ora vedo che non può essere innocuo, se per ben due volte si è tentato di imbrogliarmi e se adesso siete tutti così eccitati per il veto. C’era un vecchio che stava morendo, l’altra notte, e forse sta ancora morendo stamattina, o è già morto. Perciò, lasciatelo morire, e forse la cosa morirà con lui per sempre. Non avete il diritto di assassinare una cosa che è già sul letto di morte. Non so se ci sia qualcosa al di là di questo mondo. Voi volete proibire alla mente di pensarci. Io proibisco questa proibizione.
— Thomas, il Metropolita di Astrobia è morto durante la notte — annunciò Kingmaker. — È morto con i suoi seguaci intorno a lui: quattro in tutto. Non assassiniamo nulla di vivo.
— Thomas, devi avere fiducia in noi — disse Proctor. — Per lo meno abbi fiducia in Pottscamp. Tutti su Astrobia si fidano di Pottscamp.
— L’uomo sulla cui personale disonestà nessuno ha dubbi — canzonò; Thomas. Ma perché mai stava dicendo queste cattiverie su una così brava persona come Pottscamp?
— Thomas, non c’è un uomo su dieci milioni, su Astrobia o sulla Terra, che creda ancora — replicò Kingmaker. — E l’altra sera dicevi tu stesso che non sei più un credente.
— Era l’altra sera, Cosmos. Alla mattina, a volte, ritorno un po’ a credere.
— I nostri rapporti con i Programmati ne soffrirebbero, se permettessimo la fede nell’Aldilà, anche da parte di una sola persona — disse Proctor. — Vogliono che scompaia come simbolo. Insistono. E questo è un argomento che non danneggia nessuno: possiamo cedere. Ecco, è tutto qui, sottoforma di legge singola. Firma!
— Per i nove serpenti della mia mente! Non firmo! — urlò Thomas. Non mettete fuori legge solo quei quattro pazzi di Cathead. Ho scoperto per caso che ci sono ancora una sinagoga, su Astrobia, con cinquanta o sessanta membri, e una moschea con tredici membri. Ci sono varie decine di vecchie sette che sopravvivono ancora, e molte hanno quasi una decina di membri. Ci sono i monaci dalla tonaca verde di sant’Arpionaio ancora all’opera nelle terre incolte. È tutta brava gente, anche se credono in cose che ora sono fuori moda, e non c’è motivo di condannarli a morte.
— Sono qualche centinaio, forse meno, su parecchi miliardi. Li stroncheremo — dichiarò Northprophet.
— La pensi anche tu allo stesso modo, Kingmaker? — domandò Thomas.
— Assolutamente — disse il regale Kingmaker. — Ritengo che nessuna differenza debba essere consentita, neppure per un’aberrazione di minore importanza come questa.
— Chezem, Pottscamp, Proctor, Wottle, Northprophet, la pensate anche voi allo stesso modo?
Tutti la pensavano allo stesso modo, e assentirono gravemente col capo, quasi all’unisono.
— Foreman, anche tu la pensi allo stesso modo? — domandò Thomas.
Foreman non disse nulla. Aveva uno sguardo profondo, e un sorriso ironico.
— Foreman, tu sei lo storico — disse Thomas. — Questa è proprio la stessa maledetta ragione per cui mi hanno ucciso la prima volta, no?
— La stessa maledetta ragione, Thomas.
— Firma — gli ordinò Proctor.
— Oh, va bene, sono stufo di giocarci intorno. La firmo — disse Thomas.
— Sai la condanna se non firmi — disse Proctor. — è la morte.
(Foreman dovette nascondere il piacere che gli davano quelle parole. Molto meglio così: era stato Proctor a dirle, a fare l’errore, a spingere troppo la cosa.)
— Per un Presidente del Mondo che ponga tre volte il veto su una legge c’è la morte — aggiunse Proctor, incalzando, peggiorando l’errore; Thomas stava diventando rosso per la rabbia. — è una giusta legge. Non si può tollerare un ostruzionista alla Presidenza del Mondo… Ma perché esiti adesso, mentre un momento fa eri pronto a firmare?
— Già, un uomo dovrebbe essere proprio pazzo per lasciarci la testa due volte sulla stessa cosa — mormorò Thomas, ancora recalcitrante. — Naturalmente, firmerò.
— Dovrebbe sentirsi migliore degli uomini che ha intorno, per accettare una sfida così — si affrettò a dire Foreman, perché Thomas stava già avvicinando lo stilo magnetico al foglio. — Dovrebbe essere un uomo con ancora un briciolo d’orgoglio.
— Io ho ancora dell’orgoglio — dichiarò Thomas. — E mi sento migliore di quelli che ho intorno, adesso che li guardo bene.
— Dovrebbe essere un uomo che non si lascia manovrare, né spaventare — aggiunse Foreman.
— E io ti dico che lo sono, anche se è una bugia. Un po’ di paura ce l’ho — disse Thomas.
— Dovrebbe essere un uomo che sostiene le sue idee anche se ha paura — lo punzecchiò Foreman. — Dovrebbe essere un vero uomo per morire in nome di un principio, anche avendolo capito solo all’ultimo minuto, e confusamente. Dovrebbe essere un uomo che…
— Foreman, sei pazzo? — domandò Proctor. — Che cosa stai cercando di ottenere?
— Chi mi ha spinto con le spalle al muro quell’altra volta, Fabian? — chiese Thomas a bassa voce. — Chi era che voleva la mia testa in nome di un principio suo?
— Se ti verrà offerta un’altra vita, Thomas, cercherai di scoprirlo da te. Sarà considerato un tuo amico o un tuo nemico, cosa ne pensi? Da quale parte ti sembrava si trovasse?
— Firma quella legge — ordinò Proctor. — Ti obblighiamo a farlo.
— Nessuno mi obbligherà mai a fare qualcosa, neppure l’inferno! — esclamò Thomas. Prese la legge e vi scarabocchiò sopra in latino: « La proibisco.» Veto.
Si costituirono subito in assemblea. E lo condannarono a morte.