Robert J. Sawyer Mutazione pericolosa

PROLOGO Berkeley (California) — Ai nostri giorni

«È meglio essere odiati per quello che siete, piuttosto che amati per quel che non siete.»

André Gide, (vincitore del Premio Nobel per la letteratura 1947)


Sembrava uno strano posto per morire.

Durante l’anno accademico, 23.000 studenti a tempo pieno sciamavano sui prati ben alberati dell’Università Berkeley di California. Ma in quella fresca notte di giugno, il campus era quasi completamente vuoto.

Pierre Tardivel allungò la mano verso quella di Molly Bond. Era un giovane tenace e di bell’aspetto di trentatré anni, con spalle strette, testa rotonda, e capelli castani dello stesso color cioccolata dei suoi occhi. Molly, che a sua volta avrebbe compiuto trentatré anni un paio di settimane dopo, era bella… da mozzare il fiato, anche senza trucco. Aveva zigomi alti, labbra piene, profondi occhi blu, e capelli biondo naturale divisi al centro e tagliati corti sulla fronte ma che ricadevano copiosamente sulle spalle. Molly strinse la mano di Pierre, e presero a camminare fianco a fianco.

Il campanile aveva appena suonato le 11 di sera. Molly aveva lavorato fino a tardi al dipartimento di psicologia, dove era assistente. A Pierre non piaceva che Molly tornasse a casa da sola, a piedi e di notte, così era rimasto al Lawrence Berkeley National Laboratory, posto su una collinetta sopra il campus, finché lei non gli aveva telefonato dicendo di essere pronta ad andarsene. Non era un incomodo per lui; al contrario, l’eterno problema di Molly era convincere Pierre a prendersi una pausa dalle sue ricerche.

Molly non aveva dubbi sui sentimenti di Pierre per lei; questa certezza era uno dei pochi lati positivi del dono di saper leggere nel pensiero. Qualche volta avrebbe voluto che la prendesse a braccetto mentre camminavano, ma a lui non piaceva farlo. Non che non fosse affettuoso: era franco-canadese, dopotutto, e come francese dava libero sfogo ai sentimenti, mentre come canadese aveva l’istinto di stringerla a sé per proteggerla dal freddo. Ma lui diceva sempre che ci sarebbe stato tempo più tardi per aiutarlo a sorreggersi, tenendole il braccio intorno alla vita e viceversa. Per ora, mentre ancora poteva, voleva camminare liberamente.

Mentre attraversavano il ponte sul bivio a nord dello Strawberry Creek, Molly disse: — Com’è andato il lavoro oggi?

La voce di Pierre aveva un forte accento. — Burian Klimus è stato una spina nel fianco — disse.

Molly rise con un suono gutturale. La sua voce era acuta e femminile, ma la sua risata aveva qualcosa di rude, che Pierre aveva detto di trovare molto sexy. — E quando non lo è? — disse.

— Esattamente — replicò Pierre. — Klimus vuole la perfezione, e credo che ne abbia diritto. Ma lo scopo del Progetto Genoma Umano è proprio scoprire cosa ci rende umani, e gli umani talvolta fanno sbagli. — Molly aveva ormai fatto l’abitudine all’accento di Pierre, ma sentirlo pronunciare tre volte yooman in una sola frase fu sufficiente a farle sbocciare il sorriso sulle labbra. — Ha fatto una bella sgridata a Shari, questo pomeriggio.

Molly annuì. — Ho sentito qualcuno fare un’imitazione di Burian al Club della Facoltà, ieri. — Si schiarì la gola e simulò un accento tedesco. — «Io non sono solo membro dell’Zen-Club per Uomini… sono anche il suo presidente.»

Pierre rise.

Più avanti c’era una panchina in ferro battuto. Vi era seduto un tipo corpulento che andava per la trentina, con indosso jeans scoloriti e una giacca di pelle aperta. L’uomo aveva un mento simile a due piccoli pugni protesi dal fondo della sua faccia e mezzo centimetro di capelli biondo sporco. Molly pensò che era strano che uno che vestiva come un hippie portasse i capelli così corti.

Continuarono a camminare. Normalmente, Pierre e Molly avrebbero deviato dalla panchina, tenendosi abbondantemente alla larga da quel tale che riposava… Molly ce la metteva tutta per impedire agli estranei di invadere il suo spazio fisico. Ma in quel punto un palo della luce e una bassa siepe delimitavano bruscamente il bordo opposto del sentiero, così finirono per passare solo a un paio di metri dall’uomo, Molly ancor più vicina di Pierre…

«Era ora che ’sto fottuto merdoso si facesse vivo.»

Molly serrò la presa, e le sue corte unghie prive di smalto affondarono nel dorso della mano di Pierre.

«Peccato che non sia solo… ma forse a Grozny piacerà più così.»

Molly parlò in un bisbiglio tremolante, così basso che quasi si perse nella brezza: — Andiamocene di qui. — Pierre alzò le sopracciglia, ma affrettò il passo. Molly si diede furtiva un’occhiata dietro le spalle. — Si è alzato dalla panchina, adesso — disse sottovoce. — Sta camminando verso di noi.

Scrutò il paesaggio circostante. Una trentina di metri più avanti c’era l’ingresso nord del campus, e più oltre i caffè deserti di Euclid Avenue. A sinistra c’era un’inferriata che separava l’Università da Hearst Avenue. Sulla destra, dei pini e la Haviland Hall, sede della School of Social Welfare. La maggior parte delle sue finestre erano buie. Un autobus rombò fuori dalla staccionata, l’ultimo autobus per lungo tempo, a quell’ora tarda. Pierre si morse il labbro inferiore. Dei passi attutiti si stavano avvicinando dietro di loro. Si infilò la mano in tasca, e Molly poté udire il tintinnio quando cominciò a infilarsi le chiavi fra le dita.

Molly aprì la cerniera della sua borsetta di cuoio bianco e ne estrasse il fischietto antistupro. Si concesse un altro sguardo indietro, e… Cristo, un coltello! — «Corri!» — urlò, e si gettò a destra, portandosi il fischietto alle labbra. Il suono lacerò la notte.

Pierre si lanciò di corsa, puntando diritto al cancello nord, ma dopo aver guadagnato qualche metro di sentiero, si guardò dietro. Forse ora che l’uomo sapeva che l’elemento sorpresa era venuto meno, se l’era solo data a gambe in direzione opposta, ma Pierre doveva assicurarsi che quel tipo non fosse andato dietro a Molly.

E quello fu l’errore di Pierre. L’uomo era rimasto indietro — Pierre aveva gambe più lunghe e aveva preso a correre prima — ma quando rallentò per guardare gli diede la possibilità di accorciare le distanze. Lontana dieci metri, Molly, che aveva anch’essa smesso di scappare, gridò il nome di Pierre.

Il punk aveva un coltello da caccia nella mano destra. Era difficile distinguerlo nelle tenebre, tranne che per il riflesso delle lampade stradali sulla sua lama di trenta centimetri. Lo teneva rivolto in alto, come se intendesse conficcarlo nella schiena di Pierre.

L’uomo fece un affondo. Pierre fece quel che avrebbe fatto ogni bravo ragazzo di Montreal cresciuto col desiderio di giocare nella squadra di hockey dei Canadiens: una finta a sinistra, e quando il tipo si avventò in quella direzione, Pierre scattò a destra. L’assalitore fu sbilanciato. Pierre si gettò in avanti, con la chiave del suo appartamento stretta fra l’indice e il medio. Colpì l’aggressore in faccia. L’uomo urlò dal dolore quando la chiave gli si conficcò nella guancia.

Molly corse verso l’uomo da dietro. Gli balzò sulla schiena e iniziò a percuoterlo, pugni ben stretti. Lui cercò di girarsi, come se volesse in qualche modo afferrare la donna che gli stava addosso, e, nello stesso istante, Pierre impiegò un’altra mossa di hockey, facendogli lo sgambetto. Ma invece di mollare il coltello, come pensava Pierre, l’uomo lo strinse ancor più saldamente. Mentre cadeva, il suo braccio si torse e la giacca di pelle si aprì. Il peso di Molly sul dorso gli spinse obliquamente l’affilata lama nella pancia.

All’improvviso ci fu sangue dappertutto. Molly lasciò andare l’uomo, trasalendo. Questi non si muoveva, e il suo respiro produceva un suono liquido, gorgogliante.

Pierre afferrò la mano di Molly. Prese a indietreggiare, ma all’improvviso si rese conto di quanto fosse grave la ferita dell’assalitore. L’uomo avrebbe sanguinato a morte senza immediato soccorso. — Trova un telefono — disse Pierre a Molly. — Chiama il nove-uno-uno. — Lei corse via, verso la Haviland Hall.

Pierre rotolò l’uomo sul dorso, e mentre lo faceva il coltello scivolò fuori. Lo raccolse e lo gettò quanto più lontano poteva, nel caso che avesse sopravvalutato la lesione. Poi, strappando i bottoni, aprì la leggera camicia di cotone dell’aggressore, che era adesso intrisa di sangue, esponendo lo squarcio. L’uomo era in stato di shock: la sua carnagione, anche se era difficile notarlo nella fioca luce, si era fatta di un bianco grigiastro. Pierre si tolse il pullover beige della McGill University, e ne fece un cuscinetto per far pressione sull’emorragia.

Molly tornò qualche minuto dopo, ansimante per la corsa. — Sta venendo un’ambulanza, e anche la polizia — disse. — Come sta?

Pierre mantenne la pressione sul pullover appallottolato, ma il tessuto era ormai zuppo e viscido. — Sta morendo — disse, alzando lo sguardo verso di lei, con voce angosciata.

Molly si fece più vicina, ergendosi sull’assalitore. — Non lo riconosci?

Pierre scosse il capo. — Lo ricorderei, quel mento.

Lei si inginocchiò accanto all’uomo, poi chiuse gli occhi, ascoltando la voce che solo lei poteva udire.

«Non è giusto» pensò l’uomo. «Ho ucciso solo gente che secondo Grozny lo meritava. Ma io non merito di morire. Non sono un fottuto…»

La voce interiore si arrestò bruscamente. Molly riaprì gli occhi e poi, gentilmente, tolse le mani coperte di sangue di Pierre dal pullover inzuppato. — È andato — disse.

Pierre, che era ancora in ginocchio, si ritrasse lentamente. La sua faccia era bianca come un lenzuolo e la mascella gli pendeva semiaperta. Molly riconobbe i segni; proprio come l’aggressore pochi momenti prima, lo stesso Pierre era ora sotto shock. Lo aiutò a distaccarsi dal corpo e lo fece sedere giù sull’erba, alla base di un pino.

Dopo quella che parve un’eternità, udirono infine l’avvicinarsi delle sirene. La polizia cittadina arrivò per prima, passando dal cancello nord, seguita pochi istanti dopo da un’auto della polizia del campus che giunse dalla direzione della Moffit Library. I due veicoli frenarono fianco a fianco, vicino a dove cominciava il boschetto di pini.

I poliziotti cittadini erano una coppia sale e pepe: un massiccio nero e una donna bianca più alta e ossuta. Il nero sembrava essere l’ufficiale anziano. Prese un pacchetto sigillato di guanti di latex da un compartimento e se li schiaffò sulle mani carnose, poi si mise a esaminare il cadavere. Controllò il polso dell’uomo, poi gli spostò la testa e tentò ancora alla base del collo. — Cristo — disse.

— Karen?

La sua partner si fece più vicina e puntò il raggio di una torcia sulla faccia. — Si è preso un bel colpo, questo è sicuro — disse la donna, indicando la ferita che avevano inferto le chiavi di Pierre. Poi sbatté le palpebre. — Di’, non l’avevamo già fermato poche settimane fa?

Il nero annuì. — Chuck Hanratty. Feccia. — Scosse il capo, ma sembrò più per stupore che per tristezza. Si alzò in piedi, si strappò i guanti, e scambiò per un attimo uno sguardo col poliziotto del campus, un bianco paffuto dai capelli candidi che cercava di evitare di far cadere gli occhi sul corpo. Poi si rivolse a Pierre e Molly. — Nessuno di voi è ferito?

— No — disse Molly, con voce lievemente tremante.

— Solo un po’ scossi.

La donna poliziotto stava esplorando la zona con la sua torcia. — Quello è il coltello? — disse, guardando Pierre e indicando l’arma, che era atterrata alla base di un altro pino.

Pierre alzò lo sguardo, ma non parve sentire.

— Il coltello — disse lei di nuovo. — Il coltello che l’ha ucciso.

Pierre annuì.

— Stava cercando di ammazzarci — disse Molly. Il nero la guardò. — Lei è studentessa qui?

— No, sono del corpo insegnante — disse lei. — Dipartimento di psicologia.

— Nome?

— Molly Bond.

Con un cenno del capo l’agente indicò Pierre, che stava ancora a fissare il vuoto. — E lui?

— È Pierre Tardivel. È dell’Human Genome Center, su al Lawrence Berkeley Laboratory.

L’agente si rivolse al poliziotto del campus. — Conosce questi due?

L’anziano poliziotto stava lentamente riguadagnando la compostezza; quel genere di cose era ben diverso dal rimorchiare le auto in sosta nei posti riservati agli handicappati. Scosse la testa.

L’agente maschio si voltò di nuovo verso Molly e Pierre. — Fatemi vedere le vostre patenti di guida e i tesserini dell’università — disse.

Molly aprì la borsetta e mostrò all’ufficiale i documenti richiesti. Pierre, infreddolito senza il pullover addosso, ancora scosso dalla morte dell’uomo, le braccia coperte fino ai gomiti di sangue che si andava incrostando, riuscì a tirar fuori il portafoglio marrone, ma si limitò a fissarlo come se non sapesse aprirlo. Molly glielo prese gentilmente ed esibì la sua identità al poliziotto.

— Canadese — disse l’uomo, come se fosse una cosa di cui essere molto sospettosi. — Ha i documenti di soggiorno?

— Documenti… — ripeté Pierre, ancora intontito.

— Ha una carta verde — disse Molly. Frugò nel portafoglio, la trovò, e la mostrò all’ufficiale. Il poliziotto nero annuì. La sua collega intanto aveva preso una macchina Polaroid dall’autopattuglia e stava scattando foto della scena.

Finalmente l’ambulanza arrivò. Passò dal cancello nord, ma non poté scendere fin dove si trovavano loro. Tutti i veicoli avevano spento le sirene prima di parcheggiare, ma l’ambulanza lasciò accesa la luce rotante sul tetto, facendo danzare ombre arancioni su tutta la scena. L’aria era piena di gracchianti chiamate sulle radio della polizia e dell’ambulanza. Due paramedici, entrambi maschi, si precipitarono verso l’uomo a terra. Era giunto fin lì anche qualche spettatore.

— Niente polso — disse il poliziotto. — Nessun segno di respirazione.

I paramedici fecero alcuni controlli, poi annuirono. — È andato, questo è sicuro — disse uno. — Forza, prendiamolo su.

— Karen? — disse l’ufficiale.

La poliziotta annuì. — Ho preso abbastanza foto.

— Torna in auto — disse l’uomo. Si rivolse a Pierre e Molly. — Avremo bisogno delle deposizioni di tutti e due.

— È stata autodifesa — disse Molly.

Per la prima volta, l’agente mostrò un po’ di calore umano. — Naturalmente. Non preoccupatevi; è solo routine. Il tizio che vi ha assaliti aveva un bel record criminale: rapina, aggressione, incendio di una croce.

— Di una croce? — disse Molly, scioccata.

Il poliziotto annuì. — Un bel tipo, quel Chuck Hanratty. Era invischiato in un gruppo neonazista chiamato Millennial Reich. Di solito se ne stanno oltre la Baia a San Francisco, ma hanno reclutato anche qui a Berkeley. — Si guardò intorno, verso i vari edifici. — La vostra auto è qui?

— Eravamo a piedi — disse Molly.

— Be’, guardate, è mezzanotte passata e, francamente, il suo amico sembra un po’ fuori di sé. Perché non lasciate che l’agente Granatstein e io vi diamo un passaggio? Potrete venire alla Centrale domani per fare una deposizione. — Le porse una carta.

— Perché — disse Pierre, finalmente riscuotendosi un po’ — un neonazista dovrebbe aggredirmi?

Il nero si strinse nelle spalle. — Non è un gran mistero. Andava dietro al suo portafoglio e alla sua borsa.

Ma Molly sapeva che non era vero. Prese la mano incrostata di sangue di Pierre e lo guidò verso l’auto della polizia.

Pierre entrò sotto la doccia, tergendosi il sangue dalle braccia e dal petto. L’acqua che scorreva giù per lo scarico era tinta di rosso. Pierre si strofinò meticolosamente fino a rimuovere la più piccola traccia di sangue sulla pelle. Dopo essersi asciugato, strisciò nel letto accanto a Molly, e si strinsero l’uno all’altra.

— Perché un neonazista dovrebbe darmi la caccia? — disse Pierre, nell’oscurità. Sbuffò rumorosamente. — Diavolo, perché qualcuno dovrebbe darsi pensiero di cercare di uccidermi? Dopotutto… — Le parole si spensero. La frase in inglese si era già formata nella sua mente, ma decise di non darle voce.

Ma Molly seppe quel che era stato sul punto di dire, e lo attirò ancor più vicino a sé, tenendolo stretto.

«Dopotutto» aveva pensato Pierre Tardivel «è probabile che morirò presto comunque.»

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