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Il capolinea della Strada Reale era stato preparato con cura per l’arrivo del principe imperiale. A eccezione di una nave di scorta dell’esercito, arrivata pochi minuti prima, il lago era sgombro di traffico. Lungo il bordo dell’acqua, i primi ghiacci della stagione erano stati frantumati e le sculture in pietra lucidate. Molti novenali prima, il Prefetto aveva importato un giardino di giada ornamentale e l’aveva “piantato” lungo la parte del lago dove si trovava anche il molo. Gli alberi e i cespugli di pietra, in grandezza naturale, erano ornati da centinaia di fiori intagliati in topazi gialli e azzurri. Quella mattina, gli uomini della città avevano spolverato ogni traccia di neve dal giardino di giada, che ora splendeva di una grazia sterile.

I cittadini erano in piedi lungo il molo. Ognuno, uomo, donna o bambino, teneva in mano una piccola copia del tricolore imperiale, distribuita dagli uomini del Prefetto. I discorsi erano allegri e rilassati. Sebbene la partecipazione fosse stata quasi imposta, molti attendevano con autentica impazienza. La visita di un membro della famiglia imperiale rappresentava pur sempre un evento molto raro. Nessuno se ne rendeva conto con più ansia e più chiarezza del Prefetto in persona. Parapfu Moragha era in piedi sull’attenti, rigido, tra la banda della guarnigione e il giardino di giada.

Il sole splendeva alto nel cielo perfettamente azzurro del mezzogiorno, ma il vento che soffiava sul lago era gelato e le colline che gli facevano da sfondo, coperte di pini e di neve, lo rendevano simile a una pozzanghera di un blu glaciale sorpresa da un inverno precoce.

All’improvviso, la superficie liscia del lago non fu più deserta. L’imbarcazione reale comparve dal nulla, piombando sull’acqua verso est. Lo scafo bianco quasi scomparve sotto la superficie, poi riaffiorò, con qualche stridio del fasciame. Una serie di onde alte due piedi si rincorsero sulla superficie del lago, schizzando acqua gelida sul molo. Ancora prima che l’imbarcazione smettesse di dondolare la gente incominciò a sventolare il tricolore imperiale, con lo stemma del sole giallo e di un cielo azzurro sui campi verdi. La banda sulla riva attaccò un allegro motivo di benvenuto, mentre la piccola nave si avvicinava all’attracco.

Sul ponte privato del vascello, Pelio-nge-Shozheru, principe imperiale di Tutt’Estate, sganciò le cinture di sicurezza e si alzò per andare a piedi fino al parapetto. Sebbene più alto della media degli Azhiri, Pelio era ancora poco più che un ragazzo. Indossava un gonnellino verde e azzurro con i gradi ricamati sulla vita, ma anche senza costume il naso ampio e gli occhi verdi lo avrebbero comunque identificato come un membro della nobiltà. Nessuno avrebbe mai immaginato che il principe fosse un witling, così privo di Talento che i suoi poteri di kengaggio non sarebbero bastati a uccidere nemmeno un lombrico.

Una tiepida brezza estiva, rengata dall’emisfero meridionale, e precisamente da latitudine sud simmetrica a quella nord di Bogdaru rispetto all’equatore, spirava dolcemente sul ponte per riscaldare la schiena di Pelio e isolarlo dal gelo locale. I servi addetti a quel compito erano sistemati sottocoperta, così come i nobiluomini e le nobildonne del seguito. Il principe era in piedi sul ponte da solo, o meglio contornato dal minor, numero indispensabile di creature, le sue guardie del corpo personali e l’orso da difesa. Era una protezione molto superiore di quanto la media della nobiltà si sentisse obbligata a tenere, ma Pelio era un witling, e senza la vigile sorveglianza delle guardie anche il più umile dei contadini poteva mandare il suo organismo in corto circuito.

Pelio guardò la folla festante e la; banda militare al di là dello specchio d’acqua. Chissà se sotto sotto ridono di me, pur fingendo di esultare, pensò. Che un witling dovesse diventare un giorno imperatore era davvero un grande scherzo della sorte. Senz’altro, anche tra i civili assiepati sulla riva c’era chi possedeva qualche povero disgraziato con più Talento di lui. Era quello il destino dei witling. Non avevano difese contro i poteri di teletrasporto della gente normale. Un witling veniva trattato come uno schiavo a meno che, naturalmente, non fosse nato all’interno della famiglia reale e non fosse l’erede apparente di un impero. Gli occhi di Pelio bruciarono di una vergogna ormai abituale, mentre guardavano senza vedere le centinaia di sudditi che sventolavano il tricolore. Con quale entusiasmo doveva essere stata accolta la sua nascita, nel Regno d’Estate! Suo padre era rimasto senza eredi per anni, con grande pericolo per la dinastia, e ormai alla fine della mezza età gli avevano finalmente trovato una consorte fertile. Pelio pensava spesso a quanto suo padre dovesse aver sofferto quando era diventato chiaro che suo figlio non si dimostrava superiore, né normale e nemmeno ritardato rispetto alla media. Insomma, che non avrebbe mai posseduto nemmeno il più piccolo grammo di Talento. Per completare la tragedia, il destino aveva in serbo un’altra beffa. Solo un anno più tardi la madre di Pelio, la Regina Consorte Virizhiana, aveva dato alla luce Aleru. Se non fosse stato per una semplice questione di date, il Principe Aleru sarebbe stato il primo in linea di successione. E Aleru era perfettamente normale, anzi, con un Talento superiore alla media.

Naturalmente, la posizione di Pelio nella corte reale era fonte di grande imbarazzo. Il re Shozheru mancava della forza di carattere necessaria per far giustiziare il primogenito, e l’esecuzione era appunto l’unico metodo consentito per sgombrare la linea di successione in favore del secondogenito. Non c’era da sorprendersi che a corte, al posto degli amici, Pelio contasse solo una schiera di intriganti ossequiosi, pronti a mentirgli e ad adularlo. E più che il rispetto, conosceva l’odio sincero di cui era fatto segno da parte del fratello e della madre.

Ogni tre o quattro stagioni, il protocollo esigeva che Pelio prendesse la nave e andasse a visitare qualche angolo del Regno. I viaggi lo esponevano spesso a derisioni mascherate con meno abilità di quanto non accadesse all’interno del Palazzo d’Estate, ma almeno le facce erano diverse. Inoltre, il Regno d’Estate era davvero vasto e meraviglioso, tanto da fargli quasi dimenticare tutti i suoi guai. Tanto più che i viaggi non erano sempre così tranquilli come i consiglieri reali avrebbero voluto. Quest’ultimo lasciava ben sperare, in proposito. Lo strano messaggio che aveva ricevuto quella mattina era anonimo, ma esplicito. A Bogdaru c’era stata battaglia, con mostri o rappresentanti del Popolo d’Inverno…

I soldati a riva recuperarono le funi per il traino e tirarono il vascello contro le assi che rivestivano il molo. Il Prefetto e la banda della guarnigione si trovavano ormai direttamente al di sotto del ponte. Il principe sorrise vedendo Moragha sussultare. Il Prefetto doveva aver avvertito il vento caldo che spirava dalla nave.

L’imbarcazione rimbalzò dolcemente contro le assi e i soldati assicurarono gli ormeggi. Pelio salutò la folla e si scostò dal parapetto. — Qui, Samadhom — ordinò con voce pacata all’orso da difesa. Il grosso animale dalla pelliccia color sabbia lo raggiunse camminando a quattro zampe e incominciò a leccargli una mano. Il principe si fidava di lui più che di tutte le sue guardie, e come difesa passiva contro gli attacchi di kengaggio la bestia era probabilmente efficace come qualunque altro Azhiri, a eccezione dei Corporati. Pelio accarezzò la testa di Samadhom e poi, seguito da un drappello di guardie silenziose, scese le scale fino al primo ponte. I nobili che si unirono a loro all’altezza del secondo livello non erano altrettanto austeri, ma Pelio ignora il loro eterno e artificiale buon umore. Con il seguito immediatamente alle spalle, percorse il ponte mobile in ferro filigranato per raggiungere il molo e si fermò nel punto in cui Parapfu era fermo, irrigidito sull’attenti.

— Riposo, buon Parapfu.

Moragha si rilassò con visibile sollievo e fece cenno alla banda di suonare il segnale di Riposo. Sul molo, la folla ruppe il silenzio che aveva mantenuto fin dal momento in cui il principe aveva posato il piede a terra.

— Altezza, in occasione della vostra visita la gente della mia prefettura, me compreso, desidera esprimervi il più rispettoso e sincero benvenuto. — Il Prefetto si girò, scuotendo la testa per l’entusiasmo, e indicò con un cenno a Pelio i gradini intarsiati che conducevano alla residenza prefettizia. — Ci sono così tante cose che dobbiamo mostrare a Vostra Altezza Imperiale. — Moragha si mise al passo alle spalle del principe, intromettendosi tra lui e la scorta. — Bogdaru è la regione più a nord del Regno d’Estate, ma cerchiamo di mantenere vivo nei nostri cuori e nelle nostre opere lo spirito del verde che cresce. — Indicò il giardino di giada che costeggiava il sentiero da entrambi i lati. Pelio seguì il gesto, senza fare commenti. Vide che le pietre verdi e gialle erano intagliate con abilità e sengò molto vagamente che gli schemi di densità assomigliavano a quelli delle piante vere. Eppure, c’era qualcosa di goffo nel tentativo di imitare la vita con la pietra o la neve. Era il genere di cose che aveva visto, spinte a un eccesso di astrazione, nel palazzo di cristallo del Re delle Nevi, al limite estremo del mondo. — Le miniere di Bogdaru sono le più grandi del mondo — continuò Moragha, non ottenendo risposta. — Il Popolo d’Estate lavora in questa zona per estrarre il rame da più di un secolo…

In fondo al corteo i servi continuarono a teletrasportare la brezza calda dall’emisfero meridionale e accanto a Pelio il Prefetto incominciò a sudare sotto il pesante mantello di pelle decorata. Ma l’aria calda aveva ben poco a che fare con l’ostinato silenzio del principe: erano pochi gli adulatori capaci di sostenere la laconicità e lo sguardo impassibile che gli erano propri. A corte, quei silenzi glaciali venivano considerati un segno di rozzezza e di stupidità. Bisognava ammettere che dai modi di Pelio traspariva una certa arroganza, ma era dettata più che altro dalla sfiducia e dalla solitudine.

Finalmente, il discorsetto che Moragha si era preparato giunse al termine. I due camminarono in silenzio per parecchi passi, finché il principe non si rivolse al suo accompagnatore.

— Raccontatemi della schermaglia dell’altra notte, buon Parapfu.

— Come fate a… — Il Prefetto si interruppe e ricacciò indietro la sorpresa. — Non c’è molto da riferire, Altezza. La faccenda è ancora un mistero. I miei agenti hanno individuato degli intrusi sulle colline verso nord. Ho spedito sul posto le truppe della guarnigione, che hanno incontrato una grande creatura volante e l’hanno distrutta.

— E gli intrusi? — insisté il ragazzo.

Il Prefetto agitò la mano come per liquidare in fretta la faccenda. — Sono witl… gente di nessuna importanza, Altezza.

Witling! Dunque, il suo informatore anonimo aveva detto la verità. Witling che lottavano contro la gente normale, incredibile!

— Creature del Popolo delle Nevi? — domandò Pelio con noncuranza, cercando di nascondere l’emozione.

— No, Altezza. Almeno, non ho mai visto nessun Uomo delle Nevi che somigli a loro.

— Li interrogherò.

— Ma il Generale Barone Ngatheru ha inquisitori assai esperti ad Atsobi…

Ti contraddici da solo, idiota, pensò Pelio. Dunque hai davvero per le mani qualcosa di molto interessante.

Gli stranieri sono già stati inviati nella sede della guarnigione?

— Uhm, no, Altezza. Si trovano in una delle prigioni sotto la mia residenza. Il Barone pensava che…

— Benissimo, Parapfu. Allora interrogherò questi strani prigionieri immediatamente.

Il Prefetto non era così stupido da opporsi a un capriccio imperiale, fosse pure del principe Pelio. — Certo, Altezza. Sarà più comodo usare la polla di transito della mia modesta casa.

Ormai avevano raggiunto la terrazza di quarzo rosa che circondava la residenza del Prefetto. L’edificio, sistemato a soli cinquecento piedi dal lago, si trovava cinquanta piedi più in alto sul fianco del crinale che difendeva il capolinea della Strada Reale dalla curiosità di chi si trovava a nord. Non c’era da stupirsi che Moragha non avesse suggerito di arrivare lassù via teletrasporto. Usare le polle di transito con quel clima doveva essere una faccenda gelida e sgradevole.

Come molti altri edifici delle regioni fredde, la residenza aveva una porta intagliata nel muro. A Pelio le porte piacevano. Gli garantivano quella mobilità che altri possedevano per natura. All’interno della prefettura lo spazio era troppo angusto perché gli addetti al riscaldamento compissero il loro lavoro, e di conseguenza le stanze risultavano fredde e stantie. La pallida luce che filtrava dalle finestre era molto meno allegra di quella che il principe era abituato a vedere nei grandi saloni da ballo del Palazzo d’Estate. Gli schiavi di Moragha circolavano tra i nobili offrendo dolci e bevande, e il Prefetto era persino riuscito a far arrivare un piccolo gruppo di cantanti da un posto a sud di Atsobi. Era una scena di festa… nei limiti del possibile.

Parapfu condusse il principe e le guardie lontano dalla folla e, attraverso un misero giardino interno, fino alla polla di transito della casa, dove i suoi servi stavano preparando dei galleggianti a tenuta d’acqua.

— La prigione è a circa 400 metri sotto il livello del suolo, Altezza — spiegò. — Ho pensato che la polla di transito sia l’entrata più conveniente.

Pelio annuì, infilandosi il galleggiante. Se Moragha fosse stato più abile avrebbero potuto saltare esattamente dal punto in cui si trovavano. Ma 400 metri erano un bel tuffo. Una volta il Prefetto aveva compiuto un balzo di 500 metri verso il basso, senza prima immergersi in una polla di transito, e lo sbalzo termico gli aveva procurato un mal di testa durato più di un novenale.

L’acqua nella polla era fredda e vischiosa, tanto che Pelio fu contento della tuta a tenuta stagna, nonostante la scomodità e la seccatura. La cosa dimostrava ancora una volta come l’unico posto decente per vivere fossero i tropici, dove l’inverno non veniva mai. Nell’acqua attorno a lui, mentre Moragha si preparava al salto, Pelio sengò una tensione familiare. Passò un minuto, la tensione si “ravvivò”, poi si concentrò su se stessa mentre l’acqua e il suo contenuto passavano dalla polla di partenza a quella di destinazione.

Sbucarono in superficie, mentre le guardie prendevano immediatamente posizione ai bordi. Pelio e Moragha si tirarono su e uscirono dall’acqua. L’ambiente puzzava e il fungo delle rocce sulla Darete mandava forti riflessi verdastri, segno che l’aria non veniva cambiata da molte ore. La prigione illuminata di verde era larga, e abbastanza calda, anche se si trattava solo di uno spazio cavo in un letto abissale di rocce. Senza l’attenzione costante dei guardiani che ne conoscevano la dislocazione, la cella sarebbe diventata ben presto una bara per i suoi prigionieri.

— Ehi, voi! In piedi! — ordinò Moragha con voce tagliente. Il suo uomo incominciò a sferrare calci alle sagome vestite di scuro sul pavimento. Pelio soppresse un sussulto quando il primo degli stranieri si alzò. La creatura (un uomo?) era tanto alta da raggiungere e forse superare i sei piedi, ma il particolare più grottesco era l’incredibile esilità delle sue membra. Sembrava che anche una semplice caduta sarebbe bastata a distruggerlo.

— In piedi, ho detto! Sull’attenti. Vi è stato riservato un onore immeritato. Alzati! — Moragha diede un calcio alla seconda creatura, che rotolò agilmente in piedi come se avesse aspettato all’erta per tutto quel tempo.

Per Pelio, il resto dell’universo si ritirò in una posizione di assoluta irrilevanza. Non udì le esclamazioni trattenute a stento dalle guardie. Non notò il silenzio che si dilatava all’infinito.

Lei era bellissima. In piedi, la ragazza era alta, almeno quanto Pelio, eppure snella come una femmina di cerbiatto dei boschi. Anche nella luce fioca, la tuta rivelava la strana perfezione della sua figura. E poi il viso… il suo fascino era quasi soprannaturale. I lineamenti erano decisi, con il naso e il mento quasi appuntiti. Era come se un artista dotato di grande sensibilità avesse preso spunto dalla faccia scura e grottesca dell’uomo più alto per crearne un viso dalla grazia infinita. La carnagione, a differenza di quella bianca e gessosa del Popolo delle Nevi e della pelle verde-grigiastra di Pelio, era quasi nera alla luce del fungo delle rocce, e il viso della ragazza sembrava intagliato nell’ebano. Nella mente del principe affiorarono di colpo tutte le favole dell’infanzia che parlavano di driadi e di elfi dei boschi. La sconosciuta sembrava uscita da un sogno.

Pelio passò un tempo infinito a perdersi negli occhi scuri e profondi di quel viso miracoloso. Finalmente l’incantesimo si attenuò e lui ritrovò il coraggio di parlare.

— Ed è… sono witling, Parapfu?

— Sì, come vi ho già detto, Altezza — confermò il Prefetto, guardandolo con aria strana.

— Parlano Azhiri?

— Quanto basta, almeno. Pelio si rivolse alla ragazza. — Qual è il tuo nome? — chiese, parlando lentamente.

— Yoninne. — La risposta era chiara, ma carica di sovratoni tesi e tinti di paura.

— Ionina? È un nome strano. Da dove vieni, Ionina?

— Da… — La risposta venne interrotta da un comando brusco e incomprensibile impartitole dal gigante magro. La ragazza replicò a tono e si girò di nuovo verso Pelio. — Non voglio dirlo. — Indietreggiò, guardandolo con coraggio, e quasi con aria di sfida. Ed è una witling, pensò lui.

Prese subito una decisione, e cercò di non pensare a che cosa sarebbe successo quando suo padre l’avesse saputa. — Mi congratulo con Voi, Prefetto. Con la scoperta e la cattura degli intrusi avete svolto un ottimo lavoro. Sembrano davvero molto interessanti. Li porterò con me, nel viaggio di ritorno al Palazzo d’Estate.

— Altezza! Sono pericolosi. I mostri che li accompagnavano erano così rumorosi che li sentivamo fin da Bogdaru.

Pelio si girò verso il Prefetto, guardandolo con un sorrisino di rivincita. — Pericolosi, avete detto, buon Parapfu? E sono witling? Come possono essere pericolosi? Hanno ferito i soldati di Ngatheru?

— No, Altezza — ammise Moragha, mentre nella sua voce si insinuava un’impercettibile ombra di risentimento. — In verità, se avessero anche solo tentato un attacco alle truppe, a quest’ora sarebbero morti. Ma non sono le loro persone a rappresentare un pericolo, signore. Il Generale Barone Ngatheru è convinto che possano fornire spiegazioni sui frammenti del mostro caduti in nostro possesso dopo la battaglia.

— Benissimo. Porterò con me anche tutti i frammenti che avete. Niente discussioni. Se mio cugino Ngatheru dovesse offendersi, mettetelo direttamente in contatto con me o con mio padre. — Pelio si augurò mentalmente che Ngatheru decidesse di lasciar perdere la questione. Dopotutto, il Barone era cinque gradi più in basso di lui nella gerarchia nobiliare.

— Sì, Altezza. — Il Prefetto si mise brevemente sull’attenti prima di capitolare.

Pelio tuffò un ultimo sguardo negli occhi scuri e misteriosi della driade, poi si girò verso la polla di transito. La creatura più bella che abbia mai

… E, come me, è una witling.

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