13 Assassino

Chiunque, ma non Jacob, pensavo, scuotendo la testa, sull’autostrada che attraversava la foresta verso La Push.

Non ero ancora certa di aver preso la decisione migliore, frutto di un compromesso con me stessa.

Non potevo giustificare i gesti di Jacob e dei suoi amici, il branco. Ora capivo cosa intendesse la sera precedente, quando aveva sottolineato che forse non avrei voluto rivederlo. Se lo avessi chiamato, come aveva suggerito, mi sarei sentita una codarda. Dovevo parlargli faccia a faccia, era il minimo. Gli avrei detto chiaro e tondo che non potevo tollerare ciò che stava accadendo. Non potevo essere amica di un assassino senza batter ciglio e lasciare che l’elenco dei delitti si allungasse... Mi sarei sentita un mostro anch’io.

Ma non potevo non metterlo in guardia. Dovevo fare il possibile per proteggerlo.

Parcheggiai di fronte alla casa dei Black, con le labbra contratte in una linea dura e sottile. Il mio migliore amico era un licantropo e tanto bastava a complicare le cose. Era proprio necessario che fosse anche un mostro?

La casa era buia, le luci ancora spente, ma non m’importava di svegliarli. Bussai forte alla porta d’ingresso, piena di energia e di rabbia. Il suono riecheggiò tra le pareti.

«Avanti», disse Billy dopo un minuto mentre una lampadina si accendeva.

Girai la maniglia; la serratura era aperta. Billy era sulla soglia di una stanza vicina al cucinotto, con una vestaglia sulle spalle; non era ancora salito sulla sedia a rotelle. Quando mi riconobbe strabuzzò gli occhi e si fece immediatamente serio.

«Ehi, buongiorno, Bella. Come mai qui a quest’ora?».

«Ciao, Billy. Ho bisogno di parlare con Jake... dov’è?».

«Ehm... a dir la verità, non lo so». Mentì spudoratamente.

«Sai cosa fa Charlie, stamattina?», chiesi, stufa della sua recita.

«Dovrei saperlo?».

«Lui e metà degli uomini di Forks sono nel bosco, armati, a caccia di lupi giganti».

Dopo un fremito, l’espressione di Billy tornò neutra.

«Mi piacerebbe parlarne con Jake, se non ti dispiace», aggiunsi.

Per un istante arricciò le labbra spesse. «Scommetto che dorme ancora», rispose infine, indicando il piccolo corridoio che conduceva alla stanza del piano terra. «Torna sempre tardi, ultimamente. Ha bisogno di riposo. Forse è meglio che non lo svegli».

«Oggi tocca a me», mormorai dirigendomi a grandi passi in corridoio. Billy sospirò.

La microscopica stanza di Jacob era l’unica che si affacciava sul breve corridoio. Non mi preoccupai di bussare. Spalancai la porta che sbatté rumorosa contro la parete.

Jacob—vestito soltanto degli stessi pantaloni corti da ginnastica che gli avevo visto addosso in camera mia—era sdraiato sul letto a due piazze che occupava la stanza, lasciando liberi solo pochi centimetri di spazio ai bordi. Nemmeno in diagonale riusciva a starci... da una parte spuntavano i piedi, dall’altra la testa. Dormiva sodo, russava piano a bocca spalancata. Il colpo della porta non l’aveva smosso.

Sul volto c’era l’espressione pacifica di chi è ancora nel mondo dei sogni, senza un’ombra di cattiveria. Notavo soltanto ora le sue occhiaie. Malgrado la stazza assurda, aveva l’aria di un ragazzino stanchissimo. Provai compassione per lui.

Uscii dalla stanza e chiusi la porta in silenzio.

Billy mi osservò, curioso e guardingo, mentre tornavo verso l’ingresso.

«Meglio lasciarlo riposare».

Billy annuì e per un minuto restammo a guardarci negli occhi. Morivo dalla voglia di chiedergli che ruolo avesse nella faccenda. Cosa pensava della trasformazione di suo figlio? Sapevo che dal primo giorno era stato dalla parte di Sam, perciò supponevo che gli omicidi non lo preoccupassero. Come potesse giustificarli, non riuscivo a immaginarlo.

Nascoste nei suoi occhi leggevo altrettante domande per me, ma nemmeno lui osò aprire bocca.

«Senti», dissi spezzando quel silenzio plumbeo. «Vado a fare una passeggiata alla spiaggia. Quando si sveglia, digli che lo aspetto là, d’accordo?».

«Va bene, va bene», mi confermò Billy.

Chissà se lo avrebbe fatto. Be’, perlomeno ci avevo provato, no?

Scesi a First Beach e mi fermai nell’ampio parcheggio sterrato. Faceva ancora buio—erano i momenti cupi che precedono l’alba di un giorno nuvoloso—e, una volta spenti i fari, non si riusciva a vedere niente. Fui costretta ad aspettare che gli occhi si adattassero all’oscurità, prima di individuare il sentiero che attraversava il muro di erbacce alte. Il freddo era più intenso, rafforzato dal vento che soffiava sull’acqua nera, così affondai le mani nelle tasche del mio giubbotto. Se non altro, aveva smesso di piovere.

Mi avviai lungo la spiaggia, verso la scogliera che stava a nord. Non riuscivo a vedere St James né le altre isole, ma soltanto l’orizzonte sfocato dell’oceano. Camminavo tra le rocce, ben attenta a dove mettessi i piedi, per evitare di inciampare nei tronchi trascinati a riva dalla corrente.

Trovai ciò che cercavo ancora prima di sapere cosa cercassi. Si materializzò dall’oscurità a pochi metri di distanza: un tronco lungo, bianchissimo, trascinato nel bel mezzo delle rocce. Le radici puntavano in direzione dell’oceano, come centinaia di fragili tentacoli. Non potevo giurare che fosse lo stesso tronco su cui era avvenuta la prima conversazione tra me e Jacob—grazie alla quale la mia vita aveva imboccato sentieri e intrecci nuovi—ma il luogo sembrava proprio quello. Mi ci sedetti come tanto tempo prima e guardai verso il mare invisibile.

Vedere Jacob in quello stato, innocente e vulnerabile nel sonno, aveva esaurito la repulsione e dissolto la rabbia. Non potevo fare come Billy e chiudere un occhio di fronte a ciò che stava accadendo, ma neanche incolpare Jacob. Non è così che funziona se vuoi bene a qualcuno. Se davvero te ne importa, è impossibile essere razionali. Jacob era mio amico, che fosse un assassino o no. E io non sapevo come comportarmi.

Ripensando a lui, pacifico e addormentato, mi sentii in balia dell’esigenza di proteggerlo. Un desiderio totalmente irrazionale. Ma, per irrazionale che fosse, meditai sul ricordo del suo viso tranquillo, in cerca di una risposta, di un modo per soccorrerlo, mentre il cielo a poco a poco si faceva grigio.

«Ciao, Bella».

La voce di Jacob, spuntata dall’oscurità, mi fece sobbalzare. Era dimessa, quasi timida, ma non lo avevo sentito avvicinarsi sulle rocce, perciò riuscì a spaventarmi. Vedevo la sua sagoma stagliarsi alla luce dell’alba. Appariva enorme.

«Jake?».

Rimase a distanza di qualche metro, dondolando sui piedi, ansioso.

«Billy mi ha detto che sei passata. Non ci hai messo molto, eh? Sapevo che avresti capito».

«Sì, mi sono ricordata la storia giusta», sussurrai.

Per qualche istante restammo zitti e, malgrado il buio, percepii il suo sguardo in cerca del mio volto. Forse gli bastava quella poca luce per leggere la mia espressione perché, quando parlò di nuovo, la sua voce aveva una nota acida.

«Bastava una telefonata».

Annuii. «Lo so».

Iniziò a muoversi sulle rocce. Soltanto sforzandomi riuscivo a distinguere dal rumore delle onde quello soffice dei suoi passi. Tutt’altra cosa, in confronto alle maracas che avevo io al posto dei piedi.

«Perché sei venuta?», chiese senza smettere di muoversi, irrequieto.

«Pensavo che fosse meglio parlarti di persona».

Sbuffò. «Ah, certo che sì».

«Jacob, devi stare attento...».

«Ai ranger e ai cacciatori? Non preoccuparti. Sappiamo già tutto».

«Non preoccuparti?». Ero incredula. «Jake, sono armati! Stanno piazzando le trappole, offrono taglie e...».

«Sappiamo badare a noi stessi», ruggì, inquieto. «Non troveranno nulla. Stanno soltanto complicando le cose e in questo modo rischiano di sparire presto anche loro».

«Jake!», sibilai.

«Che c’è? È un dato di fatto».

Ero talmente indignata da non avere più voce. «Come potete... comportarvi così? Sono persone che conoscete. C’è anche Charlie!». Al pensiero, sentii lo stomaco rivoltarsi.

Jacob si fermò per replicare: «Che altro possiamo fare?».

Il sole colorò le nuvole di rosa e argento. Riuscivo a leggere l’espressione sul suo volto: arrabbiata, frustrata, delusa.

«Potresti... be’, cercare di non essere un... licantropo?», suggerii bisbigliando.

Alzò le braccia al cielo. «Come se potessi scegliere!», urlò. «E cosa pensi che risolverei, visto che sei così preoccupata per le persone scomparse?».

«Non ti capisco».

Mi guardò in cagnesco, a occhi sbarrati, e con un ghigno mi disse: «Sai cos’è che mi fa letteralmente saltare i nervi?».

Trasalii di fronte alla sua espressione ostile. Sembrava in attesa di una risposta, perciò scossi la testa.

«Che sei davvero un’ipocrita, Bella: sei terrorizzata da me! Ti pare giusto?». Gli tremavano le mani per la rabbia.

«Ipocrita? Sarei un’ipocrita perché ho paura di un mostro?».

«Ugh!», ruggì, premendo i pugni tremanti contro le tempie e sbarrando gli occhi. «Ti prego, ascolta te stessa».

«Cosa?».

Fece due passi avanti e si chinò su di me, lo sguardo incendiato dalla furia. «Vedi, mi dispiace proprio di non essere il mostro che va bene per te, Bella. Immagino di non essere al livello dei succhiasangue, vero?».

Balzai in piedi e gli restituii l’occhiataccia. «No, non lo sei!», gridai. «La colpa non è di ciò che sei, stupido, ma di ciò che fai.

«Cosa vorresti dire?», ruggì, mentre tutta la sua sagoma tremava di rabbia.

Fui colta alla sprovvista dalla ricomparsa della voce di Edward che mi metteva in guardia: «Stai molto attenta, Bella», suggerì con il suo timbro vellutato. «Non tirare la corda. Prova a calmarlo».

Nemmeno la voce che sentivo in testa ragionava, quel giorno. Però la ascoltai: per quella voce avrei fatto qualsiasi cosa.

«Jacob», lo implorai, tranquilla e pacata. «È davvero indispensabile uccidere? Non c’è un’altra maniera? Voglio dire, se alcuni vampiri riescono a sopravvivere senza ammazzare nessuno, non potreste provarci anche voi?».

Si raddrizzò di scatto, come se le mie parole fossero state una scossa elettrica. Puntò lo sguardo stralunato dritto verso di me.

«Uccidere?», chiese.

«Di cosa credi che stessimo parlando?».

Non tremava più. Mi guardò incredulo e vagamente speranzoso. «Pensavo stessimo parlando del disgusto che provi per i licantropi».

«No, Jake, no. Non è perché sei un... lupo. Non è un problema, te lo giuro», dissi, e sapevo di essere sincera. Davvero non m’importava che si trasformasse in un lupo gigante: restava comunque Jacob. «Se solo trovaste il modo di non fare del male a nessuno... è questo che mi sconvolge. Sono persone innocenti, Jake, come Charlie, e non posso far finta di niente mentre voi...».

«Tutto qui? Davvero?», m’interruppe e sul volto comparve un sorriso. «Hai soltanto paura che io ammazzi qualcuno? Non ci sono altre ragioni?».

«Non ti pare abbastanza?».

Scoppiò a ridere.

«Jacob Black, non ci trovo nulla di divertente».

«Già, già», disse senza smettere di sghignazzare.

Fece un lungo passo in avanti e mi stritolò in un altro abbraccio da orso. «Davvero, sinceramente, non t’importa che io mi trasformi in un cane gigante?», chiese, allegro.

«No», stavo soffocando. «Mi—manca—l’aria—Jake!».

Mi lasciò andare e mi prese per mano. «Non sono un assassino, Bella».

Studiai la sua espressione e capii che era la verità. Sentii un profondo sollievo.

«Davvero?», chiesi.

«Davvero, te lo giuro solennemente».

Gli gettai le braccia al collo. Ripensai al giorno del primo giro in moto... lui però era diventato più grosso e io mi sentivo ancora più bambina.

Come quell’altra volta, mi accarezzò i capelli.

«Scusa se ti ho dato dell’ipocrita».

«Scusa se ti ho dato dell’assassino».

Rise.

Poi mi venne in mente qualcos’altro e mi allontanai da lui per poterlo vedere bene in viso. Aggrottai le sopracciglia, ansiosa. «E Sam? Gli altri?».

Scosse la testa sorridendo, come se si fosse appena liberato di un fardello enorme. «Certo che no. Non ricordi come ci chiamiamo, tra di noi?».

Non l’avevo scordato, anzi, mi era appena tornato in mente. «Protettori?».

«Esatto».

«Però, non capisco. Cosa succede nei boschi? Cosa sai degli escursionisti scomparsi, del sangue?».

All’istante la sua espressione si fece seria, preoccupata. «Cerchiamo di fare il nostro dovere, Bella. Tentiamo di proteggerli, ma arriviamo sempre un secondo troppo tardi».

«Proteggerli da cosa? C’è davvero un orso assassino?».

«Bella, piccola mia, noi proteggiamo gli uomini da una cosa sola: il nostro unico nemico. Che è la sola ragione della nostra esistenza».

Lo fissai senza batter ciglio per qualche istante, prima di capire. Poi impallidii e dalle mie labbra sgusciò uno strillo sottile, inarticolato, di puro terrore.

Mi scrutò perplesso. «Pensavo che, più di chiunque altro, tu avessi capito cosa stava succedendo».

«Laurent», sussurrai. «È ancora da queste parti».

«Chi è Laurent?», mi chiese allarmato.

Cercai di riordinare il caos che avevo in testa. «Lo sai, lo avete visto nella radura. C’eri anche tu... avete impedito che mi uccidesse...».

«Ah, la sanguisuga con i capelli neri?». Sfoderò un sorriso fiero e aperto. «Si chiamava così?».

Sentii un brivido. «Cosa pensavi?», sussurrai. «Poteva uccidervi! Jake, tu non sai quanto pericoloso...».

Fui interrotta da un’altra risata. «Bella, un vampiro solitario non è un gran problema per un branco numeroso come il nostro. È stato talmente facile che non ci siamo nemmeno divertiti!».

«Cosa è stato facile?».

«Uccidere il succhiasangue che stava per uccidere te. Spero che non lo consideri una vittima», aggiunse svelto. «I vampiri non sono persone».

Riuscivo a malapena a parlare. «Hai... ucciso... Laurent?».

Annuì. «Lavoro di gruppo», precisò.

«Laurent è morto?», sussurrai.

La sua espressione cambiò. «Non ti dispiace, vero? Stava per ucciderti... era pronto ad assalirti. Bella, ce ne siamo accertati prima di attaccarlo. Lo sai, vero?».

«Lo so. No, non mi dispiace... sono...». Dovevo sedermi. Azzardai un passo indietro fino a sentire il contatto con il tronco, su cui mi lasciai cadere. «Laurent è morto. Non verrà mai più a cercarmi».

«Non sei infuriata, eh? Non era amico tuo o qualcosa del genere, vero?».

«Amico mio?». Alzai lo sguardo, confusa e sconvolta dalla buona notizia. Iniziai a balbettare, con gli occhi lucidi. «No, Jake, mi sento davvero... davvero sollevata. Temevo che prima o poi mi avrebbe trovata... ho passato notti intere in sua attesa, sperando che, dopo aver preso me, non toccasse Charlie. Ho avuto così paura, Jacob... Ma come avete fatto? Era un vampiro! Come avete fatto a ucciderlo? Era forte, duro come il marmo...».

Si sedette accanto a me e con un braccio mi strinse a sé per consolarmi. «Siamo fatti apposta, Bells. Anche noi siamo forti. Se solo mi avessi detto che eri così impaurita. Non ce n’era bisogno».

«Ma tu non c’eri», mormorai, persa nei miei pensieri.

«Sì, è vero».

«Aspetta, Jake... pensavo lo sapessi, però. Ieri notte hai detto che era pericoloso per te trattenerti nella mia stanza: ho creduto che temessi l’arrivo di un vampiro. Cosa intendevi?».

Restò a guardarmi, confuso, e chinò la testa. «Non parlavo di vampiri».

«E allora perché pensavi che fosse rischioso restare?».

Mi lanciò un’occhiata colpevole. «Quella che correva il rischio eri tu, non io».

«Non capisco».

Abbassò gli occhi e scalciò un sasso. «Ci sono molte ragioni per cui è meglio che non ti ronzi attorno, Bella. Innanzitutto non avrei dovuto rivelarti il nostro segreto, ma ciò che più mi preoccupa è che corri troppi rischi. Se perdo la pazienza... e mi scaldo troppo... potresti farti male».

Meditai sulle sue parole. «Anche prima, quando ti sei arrabbiato... quando ti ho urlato contro... e tremavi?».

«Già». Chinò ancora di più la testa. «Sono stato davvero stupido. Devo imparare a controllarmi meglio. Ho giurato che, qualunque cosa mi avessi detto, non avrei perso le staffe. Invece ero talmente furioso al pensiero di averti persa... di non essere accettato per ciò che sono...».

«Cosa ti succede se... perdi le staffe?», sussurrai.

«Mi trasformerei in lupo», bisbigliò.

«Non c’è bisogno della luna piena?».

Alzò gli occhi al cielo. «La versione hollywoodiana non è la più fedele». Fece un sospiro e tornò serio. «Non c’è bisogno che ti senta sotto pressione, Bells. Ce ne occuperemo noi. Stiamo tenendo d’occhio Charlie e gli altri, e faremo in modo che non gli accada nulla. Fidati».

Sentirlo parlare al futuro mi fece balzare alla mente un pensiero molto, molto ovvio, che avrei dovuto cogliere se l’idea che Jacob e i suoi amici avevano combattuto e sconfitto Laurent non mi avesse distratto tanto da dimenticarmene.

Ce ne occuperemo noi.

Non era finita.

«Laurent è morto», dissi con un filo di voce, e il mio corpo divenne freddo come il ghiaccio.

«Bella?», chiese Jacob in ansia, sfiorandomi la guancia pallida.

«Se Laurent è morto... una settimana fa... allora gli ultimi delitti sono opera di qualcun altro».

Jacob annuì, serrò le mascelle e ricominciò a parlare: «Erano in due. Pensavamo che la sua compagna volesse combattere contro di noi: le nostre storie raccontano che se uccidi un membro di una coppia, l’altro ce l’avrà a morte con te; invece lei continua a fuggire e ritornare. Se sapessimo cosa cerca, sarebbe più facile catturarla. Ma non ci lascia indizi. Continua a ballare sul confine, come volesse mettere alla prova le nostre difese e cercare un ingresso. Ma per dove? Dove vuole arrivare? Secondo Sam, vuole costringerci a sparpagliarci per avere qualche possibilità in più...».

Sentii la sua voce farsi sempre più fioca, fino a giungere da oltre un tunnel per poi diventare indecifrabile. Avevo la fronte zuppa di sudore e lo stomaco sconquassato quasi fosse tornata l’influenza. Anzi, proprio come se avessi l’influenza.

Abbandonai la stretta di Jacob e mi chinai sul tronco. Ero preda di vane convulsioni: lo stomaco era vuoto, scosso da conati che non potevano espellere niente.

Victoria era tornata. E cercava me. Intanto uccideva gli sconosciuti nei boschi. E nei boschi c’era Charlie...

Avevo la nausea e mi girava la testa. Sentii le mani di Jacob sulle spalle a impedire che mi accasciassi sulle rocce. Il suo respiro mi scaldava la guancia: «Bella! Che succede?».

«Victoria», farfugliai appena fui in grado di riprendere a respirare, tra un conato e l’altro.

A questo nome, udii nella testa il ringhio furioso di Edward.

Jacob mi fece rialzare. Goffamente, mi prese in braccio, posando la mia testa inerte contro la sua spalla. Mi spostò dalla fronte i capelli madidi di sudore.

«Chi?», domandò. «Mi senti, Bella? Bella?».

«Laurent non era il suo compagno», mugugnai, col viso affondato nella spalla di Jacob. «Erano soltanto vecchi amici...».

«Ti serve dell’acqua? Chiamo un dottore? Dimmi che devo fare», chiese agitato.

«Non sono malata: ho paura», spiegai con un sussurro. Ma il termine “paura” non era abbastanza.

Jacob mi diede un buffetto sulla schiena. «Hai paura di questa Victoria?».

Annuii tremando.

«Victoria è la femmina con i capelli rossi?».

Senza smettere di tremare mormorai un «sì».

«Come fai a sapere che non era la sua compagna?».

«È stato Laurent a svelarmelo. Lei stava con James», risposi e mostrai automaticamente la mia cicatrice.

Jacob mi voltò la testa e la tenne ferma con la sua grossa mano. Mi guardò dritto negli occhi. «Ti ha detto altro, Bella? È importante. Sai cosa cerca?».

«Certo che sì», sussurrai. «Cerca me».

Strabuzzò gli occhi, poi mi guardò torvo. «Perché?».

«Edward ha ucciso James», bisbigliai. Ero talmente stretta tra le braccia di Jacob da non aver bisogno di chiudere la voragine; c’era lui a tenermi assieme. «E lei si è... infuriata. Ma secondo Laurent, trova più giusto vendicarsi su di me anziché su Edward. Compagna per compagno. Non sapeva—e immagino che ancora non lo sappia—che... che...», deglutii a fatica, «che le cose sono cambiate. Per Edward, perlomeno».

Le mie parole catturarono l’attenzione di Jacob, mentre sul suo volto scorreva un fiume di espressioni diverse. «È così che è andata? Per questo i Cullen sono partiti?».

«In fin dei conti sono un semplice essere umano. Niente di speciale», scrollando debolmente le spalle.

Una specie di ringhio, o più che altro la sua imitazione umana, risuonò nel petto di Jacob, contro cui poggiavo l’orecchio. «Se quell’idiota succhiasangue è davvero tanto stupida...».

«Per favore», mugolai. «Per favore, no».

Jacob tacque e annuì.

«È importante», ribadì, preso dai suoi pensieri. «Sono esattamente le informazioni che ci servivano. Dobbiamo dirlo subito agli altri».

Si alzò e mi aiutò a rimettermi in piedi. Mi cinse i fianchi finché non fu sicuro del mio equilibrio.

«Sto bene», mentii.

Sciolse l’abbraccio e mi prese per mano.

«Andiamo».

Mi trascinò verso il pick-up.

«Dove andiamo?», chiesi.

«Non lo so ancora», confessò. «Convocherò una riunione. Tu aspetta un minuto qui, d’accordo?». Mi aiutò ad appoggiarmi alla fiancata del pick-up e lasciò la mia mano.

«Dove vai?».

«Torno subito», rispose. Poi si voltò e sfrecciò nel parcheggio, per attraversare il sentiero e sparire nella foresta. Correva rapido tra gli alberi, agile come un cervo.

«Jacob», urlai rauca, ma ormai era lontano.

Non era il momento migliore per restare sola. Pochi secondi dopo che Jacob si fu allontanato, ero già in iperventilazione. Mi trascinai al posto di guida e all’istante abbassai le sicure tutte assieme. Quel gesto non mi fece sentire affatto più protetta.

Victoria mi stava dando la caccia. Era una fortuna che non mi avesse già trovata... fortuna unita a cinque licantropi adolescenti. Sbuffai. Jacob poteva dire quel che voleva, ma il pensiero che si avvicinasse a Victoria era terrificante. Non m’importava in cosa si trasformasse quando si arrabbiava. Vedevo lei, l’espressione selvaggia, i capelli come fiamme, letale, indistruttibile...

Eppure, secondo Jacob, Laurent non c’era più. Possibile? Edward—mi serrai tra le braccia, automaticamente—mi aveva spiegato quanto fosse difficile uccidere un vampiro. Solo un suo simile poteva riuscirci. Ma Jake aveva detto che i licantropi erano fatti apposta...

Aveva aggiunto che stavano tenendo d’occhio Charlie e che avrei dovuto fidarmi della loro protezione. Come facevo a fidarmi? Nessuno di noi era al sicuro! Men che meno Jacob se stava cercando di mettersi tra Victoria e Charlie... Tra Victoria e me...

Per poco non ricominciai a vomitare.

Un colpo secco sul finestrino mi fece sobbalzare, terrorizzata, ma era soltanto Jacob, già di ritorno. Aprii la portiera con mano tremante, risollevata.

«Hai davvero paura, eh?», chiese mentre saliva.

Annuii.

«Non ce n’è bisogno. Baderemo noi a te; a te e a Charlie. Te lo prometto».

«L’idea che vi imbattiate in Victoria mi spaventa molto più del pensiero che sia lei a trovare me», sussurrai.

Rispose ridendo: «Quanto sei diffidente! Così ci insulti».

Scossi la testa. Avevo visto fin troppi vampiri in azione.

«Dove sei andato?», chiesi.

Corrugò le labbra, senza rispondere.

«Ma dai... È un segreto?».

Si fece scuro in viso. «Non proprio. È un po’ strano, però. Non voglio sconvolgerti troppo».

«Be’, un po’ ci sono abituata alle cose sconvolgenti, sai com’è». Abbozzai un sorriso.

Lui ridacchiò di cuore. «Lo immagino. D’accordo. Ecco, quando ci trasformiamo in lupi, riusciamo a... sentirci».

Aggrottai le sopracciglia, confusa.

«Non nel senso che sentiamo i rumori», proseguì, «ma i... pensieri, i nostri, a qualunque distanza ci troviamo l’uno dall’altro. È molto utile quando siamo a caccia, ma nelle altre situazioni è un bel fastidio. È imbarazzante non avere nessun segreto. Strano, eh?».

«Per questo ieri notte dicevi che avrebbero saputo del nostro incontro, anche se non glielo avessi detto?».

«Vedo che capisci al volo».

«Grazie».

«E molto a tuo agio con le stranezze. Temevo che l’avresti presa peggio».

«Non è... be’, non sei il primo che conosco capace di fare una cosa del genere. Perciò non mi sembra così strana».

«Davvero? Aspetta... stai parlando dei tuoi succhiasangue?».

«Per favore, non chiamarli in quel modo».

Rise. «Certo. I Cullen. Così va meglio?».

«Soltanto... soltanto Edward». Mi strinsi immediatamente con un braccio al petto.

Jacob sembrava sorpreso... spiacevolmente sorpreso. «Pensavo fossero soltanto dicerie. Ho sentito raccontare di vampiri dotati di... poteri supplementari, ma credevo si trattasse di leggende».

«C’è rimasto qualcosa che sia soltanto una leggenda?», chiesi torva.

Jacob aggrottò le sopracciglia. «Mi sa di no, direi. Bene, abbiamo appuntamento con Sam e gli altri nel posto in cui siamo andati in moto».

Avviai il pick-up e puntai verso la strada.

«Perciò, ti sei appena trasformato in lupo per parlare con Sam?», chiesi incuriosita.

Jacob annuì, quasi imbarazzato. «Ho cercato di farla breve, di non pensarti, per non fargli sapere che c’eri anche tu. Temevo che Sam mi avrebbe proibito di portarti con me».

«Non sarebbe bastato a fermarmi». Non riuscivo a liberarmi della sensazione che Sam fosse il cattivo. Serravo le mascelle ogni volta che lo sentivo nominare.

«Be’, sarebbe bastato a fermare me», disse Jacob, imbronciato. «Ricordi che ieri notte non riuscivo a finire le frasi? A terminare il mio racconto?».

«Sì. Sembrava che qualcosa ti strangolasse».

Soffocò una risata. «Già. Più o meno era così. Mi aveva proibito di dirtelo. Sam... è il capobranco, tutto qui. Il maschio dominante. Quando ci ordina di fare o non fare qualcosa, se lo dice sul serio, be’, non possiamo far finta di niente».

«Assurdo», mormorai.

«Molto. È roba da lupi, direi».

«Ah». Fu la miglior risposta che riuscissi a dargli.

«Eh, sì. Ci sono un sacco di “cose da lupi” come questa. Sto ancora imparando. Non riesco a immaginare come abbia potuto riuscirci Sam tutto da solo. È già uno schifo passarci con l’aiuto di un branco intero».

«Sam era solo?».

«Sì». Jacob abbassò la voce. «La mia... trasformazione è stata l’esperienza più orribile... più terrificante che abbia mai vissuto. Peggio di qualsiasi altra cosa si possa immaginare. Ma non ero solo: c’erano le voci, nella mia testa, a spiegarmi cosa stava succedendo e come avrei dovuto comportarmi. Per merito loro non sono impazzito. Sam, invece...», scosse la testa, «Sam non è stato aiutato da nessuno».

Questo cambiava le cose. Di fronte a quella spiegazione, non potevo non provare un po’ di compassione per Sam. Dovevo convincermi che odiarlo non aveva più senso.

«Si arrabbieranno, quando mi vedranno arrivare assieme a te?», chiesi.

Fece una smorfia. «Probabilmente».

«Forse non...».

«No, va bene così. Sai un mucchio di cose che potrebbero esserci utili. Non sei un essere umano ignorante come gli altri. Sei una specie di... spia, o qualcosa del genere. Eri un’infiltrata nelle linee nemiche».

Restai perplessa. Era questo che voleva Jacob? Informazioni riservate utili a distruggere l’avversario? Io non ero una spia. Non avevo raccolto informazioni. Le sue parole bastavano a farmi sentire una traditrice.

Però desideravo che fermasse Victoria, no?

No.

Certo, mi sarebbe piaciuto che qualcuno fermasse Victoria, preferibilmente prima che mi torturasse a morte, s’imbattesse in Charlie o uccidesse l’ennesimo sconosciuto. Però non volevo fosse proprio Jacob a fermarla, né che ci provasse. Fosse stato per me, l’avrei trattenuto a un centinaio di chilometri da lei.

«Per esempio, la storia del succhiasangue che legge nel. pensiero», continuò, ignorando il mio silenzio. «È il genere di informazione che ci serve sapere. È davvero una rottura che certe leggende siano vere. Una bella complicazione. Ehi, pensi che questa Victoria abbia qualche potere speciale?».

«Non credo». Ci pensai e, con un sospiro: «Me ne avrebbe parlato».

«Chi? Edward? Ops, dimenticavo... Non ti va che si faccia il suo nome».

Incrociai le braccia strette e cercai di ignorare le pulsazioni che mi scuotevano il petto.

«In effetti, no».

«Scusa».

«Come fai a conoscermi così bene, Jacob? A volte sembra che tu riesca a leggermi nel pensiero».

«Macché. Basta fare attenzione».

Avevamo raggiunto il sentiero sterrato su cui Jacob mi aveva insegnato ad andare in moto.

«Va bene qui?», chiesi.

«Sì, sì».

Accostai e spensi il motore.

«Sei ancora piuttosto infelice, vero?», mormorò.

Annuii, fissando il vuoto nell’oscurità della foresta.

«Hai mai pensato che... forse... sarebbe il caso di lasciar perdere?».

Inspirai lentamente e poi sbottai: «No».

«Perché non è che lui fosse...».

«Ti prego, Jacob», implorai con un sussurro. «Potremmo evitare di parlarne? Non ce la faccio».

«D’accordo». Riprese fiato. «Scusa se ne ho parlato».

«Non prendertela. In un’altra situazione, sarebbe bello poterne finalmente parlare con qualcuno».

Annuì. «Già, anche per me è stato difficile nasconderti il segreto per due settimane. Dev’essere un inferno non poterne parlare con nessuno».

«Sì, un inferno».

Esalò un respiro secco. «Sono arrivati. Andiamo».

«Sei sicuro?», chiesi mentre apriva la portiera. «Forse non è il caso che venga anch’io».

«Se ne faranno una ragione», disse e poi sorrise. «Chi ha paura del lupo cattivo?».

Risposi con una risata sonora. Ma scesi subito dal pick-up e affiancai svelta Jacob. Ricordavo fin troppo bene i mostri giganteschi incontrati nella radura. Le mani mi tremavano come quelle di Jacob poco prima, ma la mia era paura, non rabbia.

Mi prese la mano e la strinse forte. «Si parte».

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