VII

Il videophon lo riportò alla realtà. Accese lo schermo, pronto a sbranare a parole chi lo chiamava, chiunque fosse. Ma apparve il volto di Valerie.

— È quasi l’ora della pausa di mezzogiorno — disse lei, evitando d’incontrare il suo sguardo. — Potresti… non ti disturberebbe se…

— Stesso posto, d’accordo?

— Oh, grazie, Roan!

Lui le grugnì un saluto e spense l’apparecchio.

La ragazza non era presso i transplat del Grosvenor Center quando lui vi giunse, cosicché si diresse subito al parco. Valerie lo stava aspettando lì. Si lasciò cadere nel separé accanto a lei, appoggio il mento sulle mani e… dannazione a quei passanti! Non avevano mai visto le mani di qualcuno in vita loro?

Dopo un poco, tuttavia, sedette in posa decorosa. Valerie irradiava attorno un tranquillo silenzio. Si chiese se avesse dovuto parlarle del giovanotto del sogno, e quasi ne rise. Ma non poteva ridere in pubblico davanti a lei. Indecoroso. Nel sogno inoltre c’era stato amore. Valerie, nella sua pedante ristrettezza di vedute, era riuscita a innamorarsi. E va bene, pensò, dille che non sei ancora riuscito a trovare quel tipo, dille che la capisci, e tanti saluti. Tu hai ben altre preoccupazioni.

Si volse a guardarla. — Ascolta, mi spiace ma non sono riuscito…

— Lui si chiama Prester. — Val si accostò al pannello di separazione e sussurrò: — Oh, Roan, che imbarazzo quando mi hai vista lì nell’acqua. Loro non intedevano lasciare che tu mi vedessi affatto. Oh, chissà cos’avrai pensato!

— Diciamo che non ho creduto ai miei occhi — borbottò lui, distratto.

— Lo so! — disse disperatamente Val. — Sono perfino sorpresa che tu abbia accettato di venire qui.

— Che stai dicendo… ah, il laghetto! Santo cielo, soltanto in questo momento mi rendo conto che tu eri… che realmente tu… oh, lasciamo perdere. Val, sono davvero contento che tu l’abbia trovato. Prester, eh? Un tipo simpatico, si.

Il volto di lei s’illuminò di colpo. — Roan… dici sul serio? Io non sono una… svergognata?

— Tu sei grande, e sei la sola persona che conosco in questo sterile mondo bigotto che io abbia visto vivere un momento di vita vera. Io sono felice, Val! Tu non sai… non puoi… quello che mi è successo. Abbastanza da riempire una dozzina di sogni. Ed è stato come un sogno, anche se… voglio dire, c’erano dei frammenti di vita reale, cose di cui mi aveva parlato Nonnina, cose che avevo visto da sveglio: una ragazza che conobbi per caso sbagliando il numero del transplat e… ma io credevo che fosse soltanto un sogno. Capisci? Volevo crederlo, suppongo. Dovevo credere a Fiore, e lei ha detto che era un sogno. — Cieli immensi, stava parlando come uno screanzato e di fronte a sua sorella!

Ma Val non aveva fatto una piega; il rossore delle sue guance era eccitazione e non vergogna. Nei suoi occhi brillava una luce lontana. — Lei è adorabile, Roan, così bella. E ti ama. Io lo so.

— Tu che vuoi saperne — fu costretto a sogghignare lui. — Oh, Val… quella pentola di zucchero d’acero!

— Mmh… e il campo d’avena!

— La lunga tavola di assi, e le canzoni!

— Sì, e i bambini… tutti quei bambini!

— Cos’è successo? — gemette lui. — Come può succedere questo?

Val sussurrò con fervore: — Potremmo essere impazziti tutti e due. Oppure il mondo intero si è spaccato, e noi siamo precipitati giù dentro la spaccatura fino a… o invece è stato davvero un sogno, e l’abbiamo sognato in due. Ma non m’importa, è stato bello e… e se tu avessi detto che io ero una… a causa di… avresti distrutto ogni cosa e mi avresti ucciso. Allora va tutto bene per te, Roan, va davvero tutto bene? È così sul serio?

— Sei una bellissima sorella. Te lo dico come fratello: sul serio.

— Ooooh! — gemette Val, arrossendo di piacere. Poi, con un’ombra di rammarico: — Sono felice di non pensare come te.

— Uh… e perché?

— Comunque accada, comunque possa funzionare, è un sogno. E se non lo fosse, cos’altro potrebbe essere? Fai come me, Roan: l’ho sognato, e per tutto il resto della mia vita ricorderò. Ma… spero che questo sogno torni ancora.

— Se scopro come funziona, cosa lo fa accadere e perché, stai certa che tornerà. Perciò sii contenta se io penso nel modo in cui penso.

— Se lo scopri… mi porterai là con te?

— Se non potessi portare anche te — disse lui con calore, — non ci andrei neppure io. Questo ti fa star meglio?

— Credo che ti darò un bacio!

L’idea di una cosa simile in un posto come quello lo fece scoppiare a ridere, e accorgendosi che stavano attraendo alcuni sguardi Valerie sibilò: — Taci, Roano… dagli zoccoli di tuono! — E quella frase, che Fiore aveva canticchiato, gli fece balzare il cuore in petto.

Lei lo sbirciò timidamente: — Sono spiacente, Roan.

— Non esserlo — ansimò lui. — Per un attimo, è stato come se lei fosse qui. — Alzò le mani, le chiuse a pugno e le guardò, poi le nascose di nuovo. Fiore… be’, dopo le 16,00 non gli sarebbe mancato il tempo per cercarla. — Val…

— Non sapevo che si potesse essere così felici — disse lei. — Che c’è, Roan?

— Niente. Solo che ora sono veramente in ritardo — borbottò, cambiando improvvisamente idea. Non era il momento di farla partecipe dei suoi guai. Ci avrebbe pensato il Servizio Notizie, verso le 16,12. Nel frattempo, meglio lasciarla di buonumore. Si avviarono alla zona dei transplat.

— Roan, dobbiamo venire qui ogni giorno e parlarne ancora. Non so nulla di quello che hai fatto là, e tu non sai ciò che ho fatto io. Ad esempio quando ho…

— Sicuro, dovremo farlo, certo — disse lui. — Spero soltanto d’essere qui anche domani.

Val si fermò stupita. — C’è qualcosa che ti preoccupa?

— Sali sulla tua piattaforma. Va tutto bene. Su, fa presto.

Lei compose il numero, salì e scomparve. Roan restò lì a fissare lo spazio vuoto dove c’era stato il suo volto ansioso, finché un altro viaggiatore non vi si materializzò. Sperava di non averla impensierita troppo.

A passi lenti tornò indietro e sedette su una panchina. E fu allora che ebbe la sua grande idea.


* * *

— Chi è, a quest’ora? — La voce, sottile e ansiosa, gli parve ancora più vecchia.

— Sono io, Roan — rispose dal cortile.

Lo spioncino della porta si aprì. Il tono della donna suonò più gentile e sicuro. — Sei sempre il benvenuto qui, ragazzo. Però sapevi che avresti potuto avvertirmi prima. Adesso fai il bravo figliolo e fila via per un’oretta. Poi potrai tornare a restare finché vorrai. D’accordo?

— D’accordo un petalo! Io non ho un’ora. Vieni fuori, altrimenti vengo dentro io.

— Bada come parli con me, testa vuota d’un beccaccino, o ti strino via la parrucca con la mia lima da unghie!

Nell’istante in cui lei aveva cominciato a strillare, lui cominciò a ruggire: — Vestita o non vestita, vieni fuori di lì. E se ti tappassi la ciabatta per dieci schifosi secondi risparmieresti di sprecare tempo!

Quando smisero di gridare entrambi ci fu una pausa di silenzio teso. D’improvviso Nonnina scoppiò a ridere: — Ragazzo, dove hai imparato a parlare in questo modo?

— Per anni ho sentito parlare te, Madre di mio padre — borbottò lui, diffidente. — Anche se mi accorgo soltanto ora di non averti mai ascoltata veramente. In quanto al vestiario… se sei appena decente, stai certa che non mi scandalizzo.

— Screanzato! — La donna uscì e chiuse la porta dietro di sé con un calcagno. Indossava un enorme accappatoio d’un agonizzante viola, e sembrava essere a piedi nudi. I suoi capelli, invece d’essere sollevati e riuniti dietro la nuca, le pendevano sciolti come quelli d’una Nubile. Roan s’irrigidì per un istante, poi lei se li gettò indietro con uno scatto della testa e disse: — E allora? — La sua voce aveva perso del tutto il placido tono mielato.

Lentamente lui sorrise. — Lo screanzato ti preferisce così come sei.

La donna sbuffò, ma parve compiaciuta. — Ce la stai mettendo tutta per non farti schizzare gli occhi dalle orbite, invece. Be’, hai scoperto il mio segreto. Ma alla mia età non ho forse diritto a una piccola eccentricità? — chiese in tono di sfida.

— Hai vissuto abbastanza da meritarti qualche privilegio, suppongo.

— Andiamo dentro. — La donna attraversò il cortile. — Molta gente non può o non vuole capire che io ho trascorso solo l’ultima parte della mia vita in quell’ingessatura cono-su-cono. Chiunque altro ci è praticamente nato dentro. Be’, a me non piace. Diavolo, ti incapsula in un modo che non riesci neanche a distinguere un uomo da una donna! — Sbuffò. — Ai miei tempi si veniva educati in un altro modo. — Aprì una porta nell’angolo di destra. — Per di qua.

La stanza in cui entrarono aveva un’insolita forma a triangolo isoscele, e Roan non l’aveva mai vista prima. — Cos’è successo alla tua voce, Nonnina? Sei sicura di sentirti bene?

Nel familiare mormorio talco-e-lontananza lei rispose: — Vuoi dire che preferisci il mio sussurro sfiatato? — Poi, quasi stridula: — Lo tengo da parte per ricevere gli ospiti. Devo farlo. Nessuno mi prende per quello che sono se uso il mio tono naturale. Tutti pretendono di vedermi come una colonna di rispettabilità, e Dio solo sa quanto mi pesa. Qui dentro fa caldo, eh?

Lui annuì appena, attese che si fosse seduta e poi la imitò. — Sai perché sono qui? A causa di un sogno.

La donna lo scrutò più da vicino: — Hai dormito male?

— Quello non era un sogno.

— No? E che altro, allora?

— Sono qui per scoprire cos’è successo. E dov’è successo.

Lei si riassettò il bordo dell’accappatoio. — Il fatto che tu abbia svelato questo piccolo segreto della mia vita non ti autorizza a frugarci dentro in cerca di chissà cos’altro. Cosa ti fa pensare che non fosse un sogno?

— Una persona normale e in buona salute non dorme per due giorni di fila. E inoltre c’era Valerie. L’ho vista in quel posto, proprio all’ultimo momento.

— Hai l’aria d’incolparne me. Certi sogni… be’, capitano — borbottò la donna. Poi rise. — E sei venuto a compiere giustizia su di me?

Cosa?

— Offesa al tuo decoro di fratello, pudore e tutto il resto?

— Valerie è più felice di quanto lo sia mai stata in vita sua, e così innamorata che forse non ci vede chiaro. E io sono felice per lei.

— Ah! — La donna sorrise. — Non vi si può definire due conformisti, certo. Capisco. Dunque, se ho afferrato il nocciolo della cosa, tu vorresti scoprire dove sia questa terra di sogno e tornarci, portando tua sorella con te.

— Non è così semplice — disse lui. — Quello di cui ho bisogno è uno dei tuoi operatori di telecinesi. Voglio dire adesso.

— Il meglio che posso scovare per te è una ragazzina che riesce a far oscillare il braccio di un bilanciere a distanze inferiori ai cinque metri.

Lui non tentò neppure di nascondere la sua delusione.

Le labbra della donna s’incresparono pensosamente. — Come ti è venuto in mente di tirare in ballo me in questa faccenda?

— Stiamo perdendo tempo — mormorò lui. — Ho pensato che dovevi sapere qualcosa, visto quello che hai detto l’ultima volta che sono stato qui: il transplat che sarà sorpassato, la gente che può teleportarsi dovunque, le comunicazioni a distanza senza apprecchiature. Quando me ne hai parlato avevo già visto due volte una persona spostarsi con la teleferesi. E da allora… — Ebbe un brivido. — Tu devi saperne qualcosa. E forse puoi dirmi perché io sono stato coinvolto in questa faccenda.

— Vediamo di tornare al concreto. Cos’è tutta questa fretta che hai addosso?

— Ho un appuntamento fra… — controllò l’orologio — meno di due ore. E per me può voler dire la rovina se non troverò un aiuto.

In brevi parole le spiegò che il Privato, pur senza averlo detto chiaramente, lo sospettava di qualche attività illecita e non avrebbe esitato a mettere in atto le sue minacce.

— Hai ragione — disse lei dopo un poco. — Credo che abbia paura di te, anche se non so perché dovrebbe essere così spaventato. È proprio come suo padre, quel vecchio grassone che… — S’interruppe con un sussulto quando la mano di lui le calò su un polso.

— Sono cose che non posso ascolatare. Non ora.

— Come vuoi. — La donna annuì con sorprendente dolcezza. — Scusami. Dunque, se tu avessi uno dei miei TC che ne vorresti fare?

Roan si piegò in avanti con i gomiti sulle ginocchia, lasciando le mani guantate in piena vista. — Fare? Vorrei prendere questa società bigotta e rimandarla a vivere nei boschi. Vorrei che i genitori allevassero i bambini nati da loro. Vorrei mettere sottosopra la Stasi stessa e scuoterla fino a farla sanguinare, perché la gente impari a vivere daccapo.

Gli occhi di Nonnina ebbero un lampo. — Perché?

— Potrei raccontarti che voglio il bene della gente… visto che tu sei passata attraverso i cambiamenti che ci sono stati e puoi riuscire a criticarli dall’esterno. Ma non voglio dirti niente del genere. No… la verità è che io desidero vivere a quel modo, avere figli e vederli correre a piedi nudi sull’erba, lavorare e sudare, e svegliarmi al mattino e vedere il cielo libero fuori dalla finestra.

«Speravo di poter ritrovare la gente che ho sognato. Ho perfino pensato di andarmene nelle zone selvagge fra le città e cercare di vivere in quel modo. Ma se ci provassi, avrei sempre paura che i sorveglianti o i cercatori di miniere mi trovassero e mi riportassero indietro. La Stasi non tollera che la gente viva così. Di conseguenza bisogna costringere la Stasi a lasciarci vivere.

Fece un profondo respiro. — Adesso la Stasi è costruita intorno al transplat. Non ci può essere un metodo più efficiente e migliore. Ma se oggi tornassi in ufficio e dichiarassi d’aver lavorato segretamente per svilupparne uno… se avessi uno dei tuoi telecinetici per fargli trasferire oggetti qua e là per l’ufficio, e dicessi di avere una macchina che gli permette questo… allora il Privato mi dovrebbe ascoltare. Avrei salvato il mio lavoro e potrei disseminare questa gente nella nostra società fino a cambiarne del tutto la cultura. E un giorno sarei io il Privato Walsh, alla Walsh Co. E allora… Stasi, addio!

— Sai una cosa — disse lei, — ti voglio bene.

— Anch’io — mormorò lui, colpito. — Aiutami, ti prego.

Lei si alzò e gli strinse un braccio con le dita ossute. — Dovrò pensarci. Vedi, se tu agissi a questo modo non cambieresti molto le cose. Il vecchio, tuo padre, non comprerebbe a scatola chiusa un trucco da salotto. Vorrebbe vedere la macchina.

— Farò quel che potrò. Puoi mettermi in contatto con uno dei tuoi… come li hai chiamati?

— TC — rispose lei, distrattamente. — Ma si dà il caso che io abbia qualcosa di molto meglio di ogni TC. Che ne diresti di un transplat senza piattaforme… Un trasferitore di materia capace di teleportare gli oggetti senza apparecchiature visibili al luogo di partenza e all’arrivo?

— Una cosa simile non esiste, Nonnina.

— E cosa ti autorizza a dirlo?

— È una vita che lavoro con i transplat, ecco cosa. C’è un fattore che limita la trasmissione di materia: deve avvenire in un campo planetario, deve avere una centrale d’energia, deve avere piattaforme costruite con materiale non-trasmettibile, e deve…

— Non insegnare a me come funziona il transplat! — sbottò lei. — Supponiamo che si possa costruire un’apparecchiatura basata su un principio diverso: una pompa d’energia che attragga invece di spingere, come uno specchio che assorba invece di riflettere.

— Ma è una legge fisica che non esiste. Non capisci che io lo so?

— In tal caso tieni gli occhi bene aperti perché quella dannata macchina tu stai per vederla! — La donna andò all’angolo più interno della piccola stanza e colpì con un calcetto una piastra a livello del pavimento. L’intera parete si sollevò rientrando nel soffitto, rapida e silenziosa. Si accesero delle intense luci bianche.

Il locale che era apparso sembrò a Roan un laboratorio. C’erano apparecchi che aveva visto soltanto in certe fabbriche e ce n’erano altri che non aveva mai visto. Per lo sbalordimento i suoi pensieri andarono in stallo.

La donna scese alcuni gradini e andò alla parete più lontana. Buona parte di essa era composta da pannelli indicatori, e al centro campeggiava una consolle di comando. Sopra le file di cursori c’era un largo schermo video insolitamente ricurvo. Nonnina (ora stentava a darle quell’appellativo) vi batté sopra un dito.

— Visione tridimensionale. C’è un servo-robot identico a questo su una collina, a quaranta miglia da qui. Si lavora in duplex — disse.

Roan le si avvicinò, esterrefatto. La vide sedersi ai comandi di fronte allo schermo e cominciare a regolare cursori stranamente elaborati.

— Ti spiego come funziona — disse la donna in tono astratto, controllando l’accensione degli indicatori. — In parole semplici la teoria è questa: fai partire una linea da questa apparecchiatura e una linea dall’altra. Dove si intersecano c’è il tuo punto di trasmissione. Poi traccia altre due linee, facendole intersecare dove vuoi, e quello è il punto di arrivo. Quando hai prestabilito i due punti, visionandoli sullo schermo, dai energia e il trasferimento avviene all’istante. La differenza con il transplat è che la materia non viaggia sotto forma di energia, bensì cessa di esistere al punto di partenza, e per la legge della conservazione riappare a quello di arrivo. Oppure puoi dire che lo spazio fra i due punti è stato annullato.

— Mostrami come funziona — sussurrò Roan.

— Va bene. Nomina un oggetto che vuoi ricevere qui.

— Il mio vecchio portafoglio. Nella scrivania dell’ufficio, cassetto in alto a sinistra. Uh… il cassetto è chiuso.

— Qual è la matrice?

Lui le diede le coordinate dell’indirizzo. La donna le batté su una pulsantiera e lo schermo si accese. Ciò che vi apparve era un’unità abitativa della Stasi vista dall’esterno. Mosse poi due cursori e la visione si avvicinò, i muri svanirono, alcuni locali parvero venire assorbiti l’uno dietro l’altro e infine fu inquadrata una scrivania.

— È la tua?

— Sì — disse raucamente lui. — Bello davvero come raggio-spia. Tu…

— Ancora non hai visto niente — lo interruppe lei. Premette un interruttore e Roan sentì i quieti rumori ben noti degli uffici. Mosse poi un diverso cursore, e all’improvviso la visione penetrò all’interno del cassetto. Il buio lasciò il posto a una luce azzurrina, e il portafoglio fu inquadrato in un reticolo che lo centrava. La donna passò poi a un’altra serie di comandi e la scena scomparve.

— Ora localizziamo il punto di ricezione — mormorò. Sullo schermo sfilarono immagini confuse, un garbuglio di linee colorate e poi d’un tratto ci fu la stanza in cui loro si trovavano, vista da un punto a livello del soffitto e così nitida che Roan trasalì. D’istinto alzò gli occhi in cerca dell’obiettivo che lo inquadrava, ma non vide niente.

— Protendi la tua sciocca mano — ordinò Nonnina.

Roan ubbidì. La scena inquadrata si abbassò finché la sua mano fu al centro di un altro reticolo in primo piano. Agitò le dita, senza però percepire nulla di palpabile. La donna riportò sullo schermo l’immagine precedente, ma sovrapposta a quella, e nell’attimo in cui i reticoli combaciarono premette un pulsante.

Il portafoglio cadde in mano a Roan.

Lei spense l’apparecchio e si girò a guardarlo. — Ebbene?

— Fantastico — borbottò lui. — Ma perché mi hai mostrato tutto questo?

— Che vuoi dire?

— Non è così che funziona la telecinesi. Certo, ho avuto il mio portafoglio, ma non con quel sistema, come avevi detto tu.

— Ah, no? Sentiamo, secondo te come hai avuto il portafoglio?

Lui esaminò il macchinario con attenzione. — È una specie di amplificatore… sì, un elaborato ricercatore d’immagini, ma nient’altro. È il paravento dietro cui si nasconde il tuo amico TC, vero?

— Pensi sul serio che io abbia un telecinetico nascosto qui attorno, e che lui abbia lavorato su delle immagini video?

— Tu sei la TC!

Lei s’appoggiò alla consolle, rassegnata. — Be’… se non puoi vincerli fatteli amici, dicevano gli antichi Romani. E se tu dici che è così, ragazzo, allora sia pure così.

— E perché non mi hai detto che eri così fin dall’inizio? — borbottò lui, controllando l’orologio. — Allora, adesso che facciamo?

— Aspetta un momento… io ho quello che fa per noi. — Si alzò e gli fece un sorriso. — Sacrificherò il modello pilota; sei abbastanza robusto da riuscire a portartelo dietro.

Andò ad aprire un largo sportello a muro e ne trasse fuori l’estremità di una cassa metallica. Roan lo aiutò a sollevarla e la piazzò su un bancone. Era un’apparecchiatura massiccia e poco complicata.

— Lo userò soltanto per localizzarti — disse lei. S’avviò verso la consolle, e nel camminare si tolse l’enorme accappatoio azzurro. — Basta che tu la metta verticalmente e… cos’hai da guardarmi così? Oh! — Abbassò gli occhi sui pantaloncini a mezza gamba che portava, si tirò giù l’orlo della maglietta e rise. — Be’, ti ho detto che fa caldo, qui.

Roan fu costretto a notare che l’età le aveva lasciato addosso il suo marchio, ma la donna aveva ancora un corpo robusto e si portava i suoi due secoli con notevole disinvoltura. Venne a sedersi sullo sgabello del bancone e inarcò un sopracciglio.

— Una cosa devi imparare delle donne quando comincerai a conoscerle, Roan… le parti che si possono esporre fra la gente decorosa sono, ahimé, quelle che invecchiano per prime. La mia faccia era già vecchia cent’anni fa, ma il resto terrà duro per altri cento. — Cominciò a regolare l’apparecchio portatile. — Forse è meglio così, forse no… chi può dirlo? Passami quel misuratore di flusso, per favore.

Dopo un poco il lavoro di lei sulle attrezzature aveva assorbito totalmente l’attenzione di Roan. — Sono certo che non hai bisogno di questi oggetti — borbottò comunque, porgendole un utensile.

— Lo pensi davvero? — chiese lei senza interrompere quel che stava facendo.

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