Non era stata comunque la delusione a mettere la parola fine alle vigilanze notturne di Roger. La notte che i sarriani misero alla prova le armature ci fu effettivamente l’ultima delle sue uscite; ma questo per motivi non certo dipendenti dalla volontà del ragazzo. Quando Roger scese al piano di sotto, l’indomani mattina, suo padre si alzò ad accoglierlo e lo accompagnò fuori. Là giunti, gli indicò certe impronte di piedi. Poi salirono insieme fino alla stanza di Roger, e saltò fuori anche la corda. Wing padre concluse l’istruttoria con la richiesta di una spiegazione.
«Non pensare che qualcuno abbia parlato» concluse. «Anzi, non so neppure se tu faccia delle confidenze a qualcuno. Ma tua madre e io abbiamo notato che la maggior parte del tuo riposo te lo fai durante il giorno. Allora, cos’è successo?»
Roger non ebbe neppure per un momento la tentazione di mentire. La convenzione di famiglia di dovere dimostrare, dietro richiesta, le affermazioni poco convincenti aveva insegnato a lui e ai fratelli a riconoscere i fatti e a evitare le negazioni inutili. L’unico dubbio era se dire tutto oppure no. Sapeva che se si fosse rifiutato di raccontare la sua storia, nessuno lo avrebbe punito; ma non avrebbe ricevuto dal padre alcun aiuto per risolvere un problema che si era dimostrato superiore alle sue capacità, e non avrebbe potuto riprendere i suoi itinerari notturni alla ricerca di veicoli spaziali.
Riferì perciò quanto gli era successo, con tutti i particolari che la sua memoria di ragazzo, quasi perfetta, poteva ricordare. Quando finì, suo padre rimase in silenzio per qualche momento.
«Lasciamo perdere il fatto di avere seguito me e Don» disse infine. «Non ti è mai stato vietato espressamente di farlo, e la curiosità è una caratteristica positiva. Naturalmente ti sei fatto cogliere alla sprovvista nella foresta, di notte, senza cibo, acqua, e luce, e questa è una faccenda più grave, anche perché queste cose dovresti saperle. Comunque, visto che la tua storia è molto interessante, lasciamo in sospeso la punizione per questa colpa.»
Roger sorrise. «In che cosa consisteva la punizione?» domandò.
«La punizione logica consisteva nel vietarti l’uscita dal cerchio di un chilometro di raggio intorno alla casa, per una settimana o due. Del resto ti sei comportato come un bambino di sei anni. Diciamo che la punizione resta sospesa sulla tua testa, e passiamo a questioni più urgenti. Suppongo che Edie sappia tutto.»
«Sa quello che è successo quella notte» disse Roger. «Non sa che sono uscito le notti seguenti.»
«Benissimo. Quando avrete fatto colazione, prendi tua sorella e venite con me. Dobbiamo discutere di varie cose.»
Alla riunione, comunque, prese parte anche Don. Si recarono a parlare in un piccolo anfiteatro naturale, qualche decina di metri al di sopra della casa, dove molto tempo prima avevano messo delle panchine di tronchi d’albero. Wing padre non perse tempo, e riferì ai due figli più giovani la stessa storia che aveva raccontato a Don qualche giorno prima.
Poi Roger ripeté il suo racconto, soprattutto a beneficio del fratello Don che, ovviamente, aveva già avuto modo di vedere una sonda sarriana, allorché era stato «consegnato» il primo carico di sigarette, qualche giorno prima; e non parevano esserci dubbi che l’oggetto incontrato da Roger avesse la stessa origine.
«Non capisco perché dopo tutti questi anni vogliano spostare la loro base di operazione» disse Wing padre, perplesso. «Sono sempre scesi accanto a quella loro macchina, che secondo noi è un trasmettitore direzionale. Ogni estate, fin da prima della nascita di Don.»
«Non sappiamo se siano davvero scesi solo in questo posto» osservò Don. «L’unica cosa che è successa con certezza è che Roger si è imbattuto in una delle loro sonde. Potrebbero averne inviate molte altre, in qualsiasi punto della Terra.»
«Questo è vero, certo» disse Wing padre. «Roger, hai trovato altre tracce di atterraggio, nel corso delle tue escursioni notturne?»
«Non ne sono sicuro, papà. C’è una piccola macchia di rovi, un po isolata, in cima a una collinetta poco distante, e mi sono accorto che è completamente bruciata. Non ho trovato alcun segno di bivacchi, e non ci sono stati fulmini. Ho pensato che forse, da una di quelle macchine, è caduto qualcosa di simile alla scatola con cui mi sono bruciato la mano, e che così sia iniziato il fuoco; ma non ho trovato niente del genere. Non saprei davvero dire che cosa ha provocato l’incendio.»
«Capisco. Allora, riassumendo, noi abbiamo da molto tempo rapporti commerciali con creature che non sono del nostro pianeta; forse siamo gli unici, forse non lo siamo; e gli alieni, per la prima volta, hanno mandato una navicella che non aveva scopi direttamente commerciali.»
«A meno che la luce vista da Roger non avesse lo scopo di attirare l’attenzione, come in effetti è successo» osservò Donald.
«In tal caso, l’oro non sarebbe stato così caldo da non poter essere toccato. Inoltre, io ho sempre rifiutato l’oro… i regolari cercatori costituiscono già un fastidio sufficiente, e non volevo scatenare una corsa all’oro anche da parte dei dilettanti.»
«Forse le altre persone che commerciano con loro, ammesso che esistano, hanno altre preferenze» disse Donald. «Credo però che tu abbia ragione per quanto riguarda la temperatura. Probabilmente stavano conducendo qualche loro esperimento, e l’offerta di fare uno scambio dev’essere stata una sorta di ripensamento, quando hanno udito la voce di Roger.»
«È stato uno sporco scherzo» brontolò Roger.
«Non penso che ne avessero l’intenzione» disse Wing padre. «La loro conoscenza della nostra lingua è molto limitata, e a quanto pare non riescono a vedere cosa succede attorno a una delle loro sonde. O non hanno il concetto della televisione, o non possono montare su quelle loro navicelle un trasmettitore video. Inoltre, se tu sei piombato su di loro senza che se lo aspettassero, possono essersi dimenticati, nell’eccitazione del momento, del fatto che l’oro era caldo. Hai detto che la luce giungeva da un altro contenitore. Comunque, è una cosa sulla quale potremmo discutere all’infinito.
«Non intendevo fare questo passo finché Roger ed Edie non fossero cresciuti ancora un po, e avessero conoscenze tecniche sufficienti a renderli più utili; ma sotto questo aspetto pare che le cose mi siano sfuggite di mano. Quello che intendo fare, e per farlo mi occorre la collaborazione di tutti voi, è scoprire da dove provengono quelle navicelle, che tipo di esseri le inviano, e, se possibile, il loro funzionamento.
«Non devo dirvi quanto potrebbe essere importante saperlo. Non ho mai cercato di affidare questo lavoro a esperti estranei, perché, come dicevo a Don, temevo che dimenticassero la prudenza per soddisfare la loro curiosità. Non voglio che quelle navette fuggano via, spaventate da qualche azione sconsiderata. Tanto per dirne una, sono troppo vecchio per imparare un altro mestiere.»
«Sciocchezze!» esclamò Edie. Era il suo primo contributo alla conversazione, anche se aveva ascoltato con attenzione tutto quello che era stato detto fino a quel momento.
«Che cosa dobbiamo fare?» domandò Roger, più pratico.
«Per prima cosa, voi due verrete con noi, la prossima volta che andremo a consegnare un carico. Potrei portare anche i piccoli, ma temo che sarebbe una camminata troppo lunga per loro. Potrete ascoltare, guardare, seguire di persona l’intero svolgimento. E a questo punto, mi aspetto che tiriate fuori delle idee. Speravo che tu, Roger, fossi già un esperto di elettronica, il giorno in cui ti avrei mostrato tutto questo. Comunque, faremo quello che potremo.»
«Potremmo cercare di sfruttare i miei guai dell’altra notte» suggerì Roger. «Se gli occorre il tabacco così disperatamente da pagarlo in platino e iridio, potrebbero sentire il desiderio di farci delle scuse.»
«Ammesso che sappiano di averti fatto del male, e ammesso che trovino il modo di comunicare le loro scuse. Non rifiuterò qualche pepita in più, se avranno voglia di mandarla, ma non credo che le pepite ci darebbero molte informazioni.»
«Già. Comunque, andrò a controllare meglio sia la zona dove ho visto la sonda, sia quella dove svolgete i vostri traffici, e ci andrò di giorno. Se sono scesi di nuovo in mezzo agli alberi, me ne accorgerò certamente… dove li ho visti io, hanno rotto un mucchio di rami, e hanno lasciato sul terreno una depressione che aveva la forma della loro navetta.»
«Se pensi che ne valga la pena» disse Don. «Per che motivo dovrebbero essere di nuovo scesi nella stessa zona? La Terra è abbastanza grande.»
«Eppure l’hanno già fatto una volta, e scommetto di saperne il motivo!» lo rimbeccò Roger. «Perché hanno il trasmettitore in questa zona! Se tu dovessi esplorare un nuovo mondo, o anche solo un nuovo paese, scenderesti una volta qui e una là, a mille chilometri di distanza? No, non lo faresti. Prima cercheresti di conoscere bene una zona, e stabiliresti laggiù un avamposto, e poi lo useresti come base per allargarti.»
Cadde per alcuni secondi il silenzio, mentre gli altri assimilavano queste considerazioni.
«Tu quindi supponi» disse infine Wing padre «che dopo vent’anni di semplice commercio, all’improvviso hanno preso la decisione di esplorare il nostro pianeta? Perché non l’hanno fatto prima?»
«La tua domanda è poco sportiva.»
«Giusto. D’accordo, possiamo usarla come ipotesi di lavoro. Puoi continuare la tua esplorazione… e può farlo anche Edie, se lo vuole. La tua idea non mi convince del tutto; almeno, non fino al punto di spingermi a fare delle ricerche di persona, ma tra un giorno o due invierò il segnale che fa scendere un’altra sonda. Questo vi darà il tempo necessario per fare le vostre esplorazioni, spero.»
«Be…» Le attività cartografiche dei giorni precedenti avevano dato a Roger un’idea molto più chiara di cosa significasse esaminare anche un solo chilometro quadro di foresta. «Possiamo cominciare a farlo, comunque. Parto subito, se nessuno ha da suggerire altre idee. Vieni anche tu, Edie?» La ragazza si alzò in piedi, senza parlare, e lo seguì fino alla casa. Per qualche istante, il padre li guardò allontanarsi, divertito.
«La cosa continua a preoccuparmi» disse poi all’improvviso a Donald. «Mi riferisco all’ipotesi di Roger. Potrebbe avere ragione… quelle creature potrebbero essersi stancate di pagare il tabacco che gli mando, e certo conoscono le scienze fisiche meglio di noi.»
«Avranno da divertirsi, se cercheranno piante di tabacco selvatiche in questa zona» commentò Donald. «Faranno meglio a restare con noi in termini amichevoli.»
«Vaglielo a dire…» commentò Wing padre.
Roger e la sorella non persero tempo. Questa volta non ci furono sbagli per quanto riguardava le vettovaglie; prepararono in fretta alcuni sandwich… la loro madre ormai si era rassegnata al fatto che le incursioni nella dispensa erano inseparabili dalle regole fondamentali della vita nei boschi… e con una borraccia d’acqua ciascuno si diressero verso est.
Billy e Marge giocavano da qualche parte, fuori vista, e quindi non sorse il problema di lasciarli a casa. Le indicazioni date loro dal padre erano abbastanza chiare; non incontrarono difficoltà a trovare il trasmettitore sarriano, e da quel punto i due ragazzi cominciarono la loro ricerca. Dietro suggerimento di Edie, si divisero la zona: lei esaminò i pendii posti a sud, lungo il cammino che portava alla loro casa, e Roger quelli a nord.
Di comune accordo, decisero di tenersi quanto più in alto possibile, e così facendo riuscirono a restare quasi sempre a contatto di voce.
Nel limitato tempo disponibile non potevano cercare tracce sotto gli alberi, ma dall’alto era possibile scorgere sia eventuali zone bruciate come quella che Roger aveva visto, sia zone dove erano rotti i rami più alti. Soprattutto, si poteva controllare più territorio. Nessuno dei due ragazzi aveva mai avuto dubbi se fosse preferibile conoscere bene un’area piccola oppure controllarne superficialmente una grande.
Al momento della discesa di Ken, né Roger né Edith si trovavano sulla montagna dove era sceso. La natura aveva fatto in modo che fossero nelle vicinanze, ma la coincidenza si rifiutò d’intervenire ulteriormente. Tuttavia, la natura aveva in serbo ancora una carta.
Roger, fino a quella mattina, aveva dato più o meno per scontato che le future visite della sonda si sarebbero verificate di notte, come la prima. Il racconto di suo padre era venuto a smentire quella convinzione; e da quando lo aveva ascoltato, tre o quattro ore prima, continuava a dare frequenti occhiate al cielo. Niente di strano, dunque, che vedesse la sonda durante la discesa.
Era ancora a un paio di chilometri sopra di lui, e Roger non riusciva a distinguerne i particolari; ma certamente non si trattava di un uccello. L’irregolarità causata dalla forma penzolante di Ken dava soltanto l’impressione di qualcosa di strano, vista da quella distanza. Che i particolari fossero visibili o no, comunque, Roger non ebbe alcun dubbio sulla natura dell’oggetto che vedeva nel cielo, e con un grido che, per quello che interessava a lui, poteva raggiungere oppure no la sorella, si precipitò giù per la discesa a rotta di collo.
Per breve tempo riuscì a mantenere una notevole velocità, e le irregolarità della roccia non presentarono ostacoli che non riuscisse a superare grazie agli occhi attenti e alle gambe agili. Raggiunta la foresta, la sua andatura cominciò a rallentare: per una breve distanza continuò alla velocità con cui era partito; poi, comprendendo che doveva attraversare almeno una montagna e salire su quella successiva, rallentò un poco.
Aveva i piedi bagnati, le gambe graffiate e il fiato decisamente corto quando raggiunse la vetta su cui aveva visto scendere la sonda, circa tre quarti d’ora prima. Non aveva visto segno di Edith… anzi, in effetti si era totalmente scordato di lei. Forse stava per tornargli in mente quando si fermò sulla cima della bassa montagna per riprendere fiato e per cercare il suo obiettivo; ma caso volle che la sonda fosse in vista, sull’altro versante della valle, poco al di sotto della sua quota. E così era in vista Sallman Ken.
Roger aveva già visto fotografie degli scafandri per altissime pressioni che ogni tanto venivano costruiti per esplorare i fondali marini. La figura di Ken, pertanto, non lo sorprese molto: certo sarebbe rimasto più sorpreso se avesse visto un sarriano senza armatura. La corazza indossata dallo scienziato umanizzava notevolmente il suo aspetto, dato che un uomo vi sarebbe potuto entrare senza dover subire troppe distorsioni.
Le gambe, per motivi di costruzione, avevano un solo ginocchio, corrispondente all’articolazione superiore dell’arto sarriano; il corpo aveva dimensione pari, o quasi a quella del torace dell’uomo, e aveva forma cilindrica; gli arti superiori erano soltanto due. Erano più flessibili di quelli che sarebbero stati necessari a un essere umano in una tuta come quella, ma non lasciavano capire che la creatura all’interno li muoveva con due tentacoli per braccio. I manipolatori collocati alle estremità avevano un aspetto abbastanza naturale, anche se erano più complicati dei dispositivi simili a uncini che il ragazzo aveva visto nelle fotografie degli scafandri.
Da quella distanza, non poteva vedere chiaramente che cosa c’era dietro la finestrella trasparente dell’elmetto; e fu così che, nei primi momenti, non riuscì a comprendere quanto fosse diversa dall’uomo la creatura che indossava quella goffa copertura.
Per una ventina di secondi, Roger non poté fare altro che fissare a bocca aperta la creatura; poi lanciò il grido che interruppe l’«imbarco» di Ken. Lo scienziato, fino a quel momento, aveva dedicato tutta la sua attenzione al lavoro, e non si era accorto della presenza di Roger finché questi non aveva gridato; da quel momento in poi, non ebbe occhi per altro.
Ken non era rivolto nella direzione da cui era giunto il grido, ma lo era una delle finestrelle trasparenti del casco, e lui era troppo interessato agli indigeni del pianeta per dedicare la sua attenzione a qualcosa di così prosaico come girare da quella parte l’armatura, dopo la prima occhiata da lui data all’essere che piombava su di lui alla carica. Rimase fermo dov’era, e si limitò a osservare con l’unico occhio che riuscì a portare in quella direzione. Non gli venne in mente neppure per un attimo che quella creatura potesse essere ostile.
Neanche Roger pensò mai a quella possibilità. La sua mente rassomigliava troppo a quella di Ken, nonostante le enormi differenze fisiche. Rimasero fermi l’uno davanti all’altro… Ken si decise finalmente a girare l’armatura nella nuova direzione, in modo da usare entrambi gli occhi… e in silenzio assorbirono tutti i particolari concessi loro dai rispettivi sistemi ottici.
Ciascuno dei due aveva un vantaggio sull’altro: Roger per il fatto che la luce era per lui normale, Ken perché il ragazzo non era nascosto dentro una settantina di chili di metallo. Roger poteva adesso vedere la faccia del sarriano, e tutta la sua attenzione era rivolta ai grandi occhi che potevano muoversi indipendentemente, allo spazio vuoto dove si sarebbe dovuto trovare il naso, alla bocca larga, dalle labbra sottili, che aveva un aspetto straordinariamente umano. Il silenzio si prolungò.
Venne poi rotto da Feth, la cui ansia era andata aumentando di secondo in secondo dopo il grido di Roger.
«Cosa succede?» domandò il meccanico. «C’è qualcosa che non va? State bene, Ken?»
Lo scienziato ritrovò la voce. «Tutto a posto» disse. «Abbiamo compagnia, come forse avevate già capito.» Cominciò a descrivere Roger nel modo più dettagliato possibile, ma dopo qualche istante venne interrotto dal meccanico.
«Non si può continuare così. Dobbiamo portare sul pianeta una telecamera o una macchina fotografica, anche a costo di inventare qualche nuovo sistema. Lasciate perdere la descrizione della creatura… guardate se riuscite a parlare con essa!»
Roger non aveva udito questo dialogo, perché Feth non aveva dato energia all’altoparlante collocato sulla sonda. Ora il meccanico rimediò a questa mancanza, e le successive parole di Ken giunsero chiaramente al ragazzo.
«Ma che cosa posso dirgli, per la Galassia? Supponiamo che questo indigeno sia venuto a conoscenza del nostro errore dell’altra, notte… anzi, supponiamo che si tratti addirittura dello stesso individuo! Se pronunciassi la parola «Oro», si metterebbe a scappare, oppure diventerebbe ostile. Non ho paura per me, ma certo la cosa non lo spingerebbe alla collaborazione.»
«Be, avete appena pronunciato la parola fatidica. Che reazioni ha avuto? Ho collegato l’altoparlante esterno.» Ken, che lo scopriva soltanto adesso, lanciò un’occhiata stupita in direzione di Roger.
Il ragazzo, naturalmente, aveva capito solo la parola «Oro». Probabilmente non l’avrebbe notata, se Ken non l’avesse pronunciata in un tono un po particolare, come si fa con le parole straniere; ma stando così le cose, si fece l’idea che la precedente conversazione fosse stata indirizzata a lui. Non si era accorto che le voci erano due; inoltre, i suoni provenivano sempre dalla sonda, che era ferma nell’aria al di sopra della testa di Ken.
«Non voglio il vostro oro… soprattutto se è come quello dell’altra volta!» Anche ora, gli ascoltatori capirono una parola sola. Ken sentì crescere le sue speranze. Forse la creatura non era al corrente, o forse lui e Feth avevano completamente frainteso i suoni uditi durante il test dell’atmosfera.
«Oro?» domandò.
«No!» esclamò Roger, scuotendo negativamente la testa e facendo un passo indietro per dare particolare intensità alla sua risposta. Agli occhi del sarriano che lo osservava, il primo gesto non significava niente, ma il secondo era abbastanza chiaro.
«Avete registrato questo suono, Feth?» domandò Ken. «A giudicare dalle azioni, nel suo linguaggio corrisponde alla negazione.» Oro, no! «disse poi, dopo una breve pausa. Roger si tranquillizzò, ma continuò a parlare a voce molto alta.»
«Oro, no, platino, no… io no tabacco» disse il ragazzo. Allargò le mani per far veder che erano vuote e rovesciò le tasche, dando così allo scienziato sarriano il suggerimento che attendeva da tempo per capire fino a che punto fosse artificiale la copertura che portava.
«Indicate delle cose, e dite il loro nome!» li interruppe Feth, dall’alto. «In che altro modo volete imparare una lingua? Queste vostre chiacchiere sono la cosa più stupida che io abbia mai udito!»
«D’accordo… ma tenete presente un particolare. Io posso vedere, oltre che ascoltare, e la cosa è molto diversa. Se volete che ottenga dei risultati, cercate di stare tranquillo; altrimenti, questa creatura come può capire chi le sta parlando? Tutte le voci arrivano dallo stesso altoparlante. Vi chiamerò io, quando avrò bisogno di voi.»
L’osservazione di Ken era giusta, e Feth non parlò più; dopo avere atteso un istante, Ken cominciò a seguire il suggerimento del meccanico.
Dato che aveva pensato pressappoco alla stessa cosa, Roger afferrò subito il concetto, e di conseguenza il sarriano cominciò a pensare che l’intelligenza dei terrestri fosse un tantino superiore a quanto gli aveva fatto credere in precedenza Laj Drai. Le parole inglesi per dire roccia, albero, cespuglio, montagna, nuvola, e i numeri da uno a dieci vennero imparati in poco tempo. Alcuni verbi vennero comunicati senza difficoltà. A questo punto pareva probabile che le operazioni venissero sospese, e Roger si sentì un po sollevato quando un lontano richiamo gli fece cambiare argomento.
«Dio mio! Mi sono dimenticato di Edie! Crederà che sono cascato in un burrone o qualcosa di simile!» Si voltò nella direzione da cui pareva giungere la debole voce, e mise nel grido di risposta tutto il fiato che aveva in corpo. La sorella udì il grido e gli rispose a sua volta; poi, con un quarto d’ora di corsa tra i boschi, la ragazza arrivò sulla scena. Con grande sorpresa di Roger, non pareva molto intenzionata ad avvicinarsi a Ken.
«Cos’hai?» le chiese il fratello. «Vuole solo parlare, a quanto mi pare di capire.»
«Non ti sei di nuovo scottato?»
«No. Perché dovrei essermi scottato?»
«Non ti accorgi di com’è caldo?»
Stranamente, Roger non se n’era accorto. Non si era mai avvicinato a meno di quattro metri dallo scienziato. Il calore irradiato dall’armatura si poteva percepire già a quella distanza senza provare alcun fastidio, ma lui non se n’era neppure accorto, tanto forte era l’attrazione per il resto. Per Edith, invece, che pensava agli alieni soprattutto basandosi sull’esperienza vissuta dal fratello qualche sera prima, il calore era la principale caratteristica della creatura che le stava davanti.
Adesso che la sorella gli aveva fatto notare quel particolare, Roger si avvicinò maggiormente all’alieno e tese una mano verso il metallo, con cautela. Ma si fermò a una trentina di centimetri di distanza.
«Dio mio, scotta veramente!» esclamò. «Forse è questo, il motivo del guaio. Non hanno mai pensato che potessi bruciarmi con quell’oro. Cosa ne dici?»
«Può darsi. Però, mi piacerebbe sapere come fa a vivere, con tutto quel calore. E piacerebbe anche a papà. Dovrebbe venire lui, comunque. Vado ad avvertirlo, mentre tu lo tieni ancora qui con te?»
«Non so come potrei tenerlo» disse il fratello. «Inoltre, comincerebbe a essere un po troppo tardi, se aspettassimo l’arrivo di papà. Cerchiamo di darci un appuntamento per domani.» E tornò a rivolgersi verso Ken senza attendere la logica domanda della sorella: «Come?».
In realtà, il «come» non risultò molto difficile. Il tempo è una quantità astratta, ma, quando viene misurato in base a fenomeni come il moto apparente del sole, se ne può parlare con i segni, con una precisione più che sufficiente ai fini pratici. Quando Roger ebbe finito di roteare le braccia, Ken aveva capito senza difficoltà che i due indigeni intendevano ritornare in quello stesso luogo poco più tardi del levar del sole, il giorno seguente.
Anche lo scienziato era lieto di aggiornare all’indomani quelle loro conversazioni, perché aveva ormai i piedi insensibili a causa del freddo. Tornò a dedicarsi al compito di legarsi alla sonda che si librava nell’aria sopra di lui, e i ragazzi, voltandosi per dare un’ultima occhiata quando raggiunsero gli alberi, scorsero lo strano connubio di sonda e corazza salire nel cielo con velocità sempre crescente. L’osservarono finché non si ridusse a un minuscolo puntolino e svanì; poi, di comune accordo, si diressero verso casa.