La Karella aveva lasciato l’atmosfera terrestre, ma non era ritornata all’orbita precedente. Era stata ristabilita la comunicazione con Ken… a lui sarebbe piaciuto sapere in che momento era successo… e la sonda che trasportava lo scienziato era di nuovo sotto il controllo di Feth. Il ritorno a bordo si svolse come ogni altra volta. Ken lasciò momentaneamente nella camera di decompressione le due casse dei vegetali, dopo avere regolato i frigoriferi allo stesso livello di potenza usato per il primo vivaio; quanto alle altre due casse, contenevano soltanto campioni di minerali, e le portò con sé. Quando Ken emerse dalla sua crisalide metallica, Drai lo salutò con aria un po acida.
«Siete ritornato, finalmente. Cos’avete combinato, ammesso che abbiate combinato qualcosa?»
Ken lo fissò con uno sguardo che assomigliava, più che in qualsiasi precedente occasione, a un’aria di sfida.
«Ben poco» rispose. «Grazie alla leggera distrazione procurata, a quanto pare, da voi, gli indigeni avevano altro di cui occuparsi, invece di parlare con me.»
«Come potevo sapere che lo scafo della nave avrebbe scatenato una reazione a catena nella vegetazione locale? Pensavo che se poteva succedere, doveva già essere successo molto tempo fa per qualche altro motivo.»
«Mi sembra di avere accennato io stesso al pericolo. E può darsi che sia già successo altre volte. Gli indigeni hanno i loro mezzi per affrontare la situazione, sono organizzati.»
«Allora, il fuoco è spento?»
«Non completamente. È probabile che continui a reagire ancora per qualche ora. Quello che mi dà fastidio, però, è la vostra tendenza a dare per assodato che sono uno sciocco o un bugiardo. Vi ho spiegato cosa è successo alla vegetazione che ho preso in mano; vi ho detto cosa stavo facendo con l’indigeno per imparare la sua lingua. E voi siete stato a sentirmi per buona parte del tempo. Cosa vi è preso, per scendere in quella maniera?»
«Mi è preso che non mi fido delle vostre parole» disse Drai, senza mezzi termini; evidentemente, si sentiva inattaccabile. «Avete detto che tra voi e l’indigeno non si è parlato di tafacco; avete detto che non era lo stesso indigeno con cui avviene il nostro commercio.»
«Ho detto che non ero certo che fosse lo stesso» disse Ken. «Si tratta comunque di un particolare di secondaria importanza… continuate.»
«Il primo giorno, mentre voi eravate sul pianeta a parlare con l’indigeno, è arrivato un segnale dal trasmettitore fisso, per comunicarci che erano pronti per lo scambio.»
«Questa notizia» disse Ken «non fa che confermare le mie parole. Io non ero vicino al trasmettitore. Chiedetelo a Feth… è stato lui a farmi scendere.»
«È quello che ho pensato io… per qualche tempo. Ma oggi, passato il solito intervallo di tempo tra segnale e arrivo della sonda, ho inviato un’altra sonda mentre voi eravate occupato con la vostra «lezione di lingua»… e non è successo niente! Non c’era nessuno!»
«Volete dire che nessuno vi ha dato il tafacco?»
«E che nessuno ha preso il metallo» continuò Drai. «Potrei pensare che cercassero di imbrogliarmi, se il metallo fosse scomparso senza lasciare qualcosa al suo posto; ma la cosa, così com’era successa, non mi quadrava. Ho pensato che dovevate esservi lasciato scappare qualcosa in un momento in cui non ascoltavo, e sono sceso a controllare cosa stavate combinando.»
«Lasciando momentaneamente perdere la questione di come potevo sapere che eravate in ascolto oppure no, non so se rallegrarmi di essere giudicato soltanto stupido, e non disonesto. Ammesso e non concesso che il mio indigeno sia il vostro commerciante, poteva avere intenzione di raggiungere il trasmettitore più tardi, nel corso della giornata, dopo avere parlato con me. Sapeva che non mi fermavo molto. In tal caso, dovete ringraziare soltanto voi stesso, se poi non si è recato all’appuntamento: aveva troppo da fare. Inoltre, due dei piccoli hanno rischiato di rimanere uccisi nella reazione a catena; non credo che sia molto soddisfatto di voi, ora come ora, se ha collegato tra loro il commercio e la nave. Dopotutto, ricordate che già sapeva che le sonde vengono dal Pianeta Uno.»
«Questo non posso crederlo. È impossibile che lo sapesse. Anzi, è un altro motivo che mi fa pensare che volete coprire delle vostre indiscrezioni. Come sapete che due indigeni sono stati minacciati dal fuoco?»
«Perché li ho visti. Anzi, li ho salvati… li ho portati via dalla zona pericolosa servendomi della sonda. Ho passato del tempo a studiare l’incendio, anche perché non avevo più niente da fare, dopo che voi l’avete iniziato. Posso dimostrarlo: ho dei campioni di residui di vegetali che possono darci altre informazioni sul pianeta.»
Drai lo fissò per alcuni istanti, senza parlare. «Non mi avete ancora convinto» disse poi «e farete bene a convincermi prima che arrivi la vostra prossima crisi di astinenza. Se smetteranno il commercio, io smetterò di distribuire campioni gratuiti.»
Dalle retrovie, Feth si lasciò scappare un rumore incontrollabile che era l’equivalente di un «oh!» di stupore; Ken si concesse per un istante di mostrare un’espressione d’ansia. Aveva già sperimentato una breve crisi di astinenza, e non intendeva sperimentarne una più lunga. Drai vide la sua espressione e gli rivolse un cenno d’assenso. «Sì» disse «la scorta non è molto grande, e se dev’essere l’ultima, intendo venderla bene. Ma il vostro racconto mi ha fatto venire un’idea. Se è vera questa storia che avete salvato due indigeni, evitando loro la morte per eccesso di riscaldamento, potete scendere sul pianeta e fare leva sulla loro gratitudine. Potete spiegare che voi volete comprare da loro il tafacco. Certo verranno incontro ai desideri dell’eroe che li ha salvati da una morte terribile. Soprattutto se lui, l’eroe, spiegherà loro che andrà incontro a dei grossi guai se non riuscirà a procurarsi il tafacco. Scendete immediatamente; ormai la vostra armatura si è riscaldata abbastanza. Non abbiamo ancora fatto risalire l’altra sonda; non appena passerete ai comandi manuali, là sotto, vi manderemo l’altra sonda con il metallo per lo scambio, e sarete libero di mercanteggiare quanto volete.»
Drai tacque, ma sulla faccia gli rimase una smorfia di derisione.
«Il fatto che la mia conoscenza della lingua sia ancora frammentaria non vi preoccupa?» domandò Ken.
«No. Secondo me, voi la sapete più lunga di quanto volete ammettere.»
«E invece il fatto che ci sono, al momento, numerosi altri indigeni sulla scena dell’incendio? Quando sono arrivati, mi sono nascosto in mezzo agli alberi per non farmi vedere, ma non posso stare nascosto e portare avanti il commercio allo stesso tempo. Volete che faccia tutto all’aperto? Per qualche tempo, tutti gli indigeni saranno occupati a spegnere il fuoco, ma suppongo che in seguito vorranno il metallo.» Fece una pausa. «Non vedo come possano essere tutti l’indigeno con cui commerciavate voi. Ma penso che non vi disturbi aprire nuove trattative anche con gli altri…»
Laj Drai lo interruppe. «Aspettate.»
«Oh, basterebbero pochi carichi di metallo per accontentarli tutti, ne sono certo.»
«Dicevo di aspettare.» Drai, probabilmente, si accorse dell’espressione soddisfatta che era comparsa sulla faccia dello scienziato, perché continuò: «Ho un’altra idea. La Karella scenderà con voi; osserveremo e ascolteremo. Tutt’al più, se l’indigeno facesse delle storie, si potrebbe accendere un altro fuoco.»
«Adesso desiderate che gli indigeni diano una buona occhiata a una nave spaziale vera e propria. Non v’importa niente della legge, vero?»
«Voi cosa ne dite? Inoltre, ormai l’hanno già vista. Comunque, noi aspetteremo… per un poco. Potremmo posarci a poca distanza dalla zona dell’incendio, per poi avvicinarci quando sarà spento. In questo modo» fissò entrambi gli occhi su Ken «sapremo sempre chi parla, e per quanto tempo.»
Ciò detto, si voltò, fece forza coi tentacoli contro una parete e sparì veleggiando lungo il corridoio. Feth l’osservò con aria preoccupata.
«Ken» disse poi «non dovreste usare con lui quel tono di voce. So che vi sta antipatico… sta antipatico a tutti… ma ricordate quello che può fare. Pensavo che dopo averne avuto un assaggio, vi foste un poco calmato. Ma adesso quasi sicuramente vi toglierà la vostra dose per il solo gusto di farlo.»
«Lo so… mi spiace di avere messo nei guai anche voi» rispose lo scienziato. «Ma quando si arrabbia mi fa meno paura. Adesso, mentre lui non c’è, dobbiamo dirci in fretta delle cose. C’è del lavoro da fare. Prima di tutto, diceva la verità, quando ha detto che le scorte di tafacco sono limitate? Le tiene tutte in quella cassaforte frigorifera da cui prende le nostre dosi?»
«Sì, e probabilmente ha detto la verità; la maggior parte della droga raggiunge il sistema sarriano alla fine della stagione, e lui non ne tiene una grossa quantità con sé.»
«Quanto è una dose? Non ho mai potuto dare un’occhiata a ciò che c’era all’interno del mattoncino di aria congelata.»
«Un piccolo cilindro di questa dimensione.» Feth gli fece vedere. «Ci arriva già in quella forma, ma in bastoncini più lunghi. Lui li taglia in dieci parti, e ne fa dieci dosi separate.»
«Benissimo. Desideravo esserne certo. Adesso, che potenza hanno i piccoli frigoriferi che abbiamo installato nei vivai? Sono in grado di congelare la nostra aria?»
«Sì. Perché?»
«Lo vedrete. Al momento, penso di dovere fare un altro viaggio; non credo che Drai rinuncerà a scendere sulla superficie di Tre, come promesso.» Senza fornire altre spiegazioni, Ken si avviò verso la cabina di comando della nave interstellare.
Aveva ragione; l’impaziente spacciatore di droga aveva già ordinato al pilota di scendere nuovamente. Lee questa volta non aveva fatto obiezioni, ma la sua espressione non era certo soddisfatta. La discesa non ebbe storia, e fu praticamente la ripetizione di quella precedente, a parte il fatto che si diressero verso il trasmettitore fisso, e di conseguenza si trovarono a una decina di chilometri di distanza dal loro precedente punto di atterraggio. Si fermarono a tre chilometri d’altezza al di sopra delle montagne, e si guardarono attorno per scorgere la nube di fumo. Con un certo fastidio, Drai infine la scorse; anche gli occhi dei sarriani riuscivano a distinguerla senza difficoltà, in mezzo alle normali nuvole.
«Sembra che bruci ancora» commentò Ken, con aria innocente. «Continuiamo a galleggiare qui in piena vista finché non l’avranno spento?»
«No. Scenderemo e ci nasconderemo.»
«Tra le piante? Non funziona molto bene, come metodo per nascondere questa nave…» Drai fissò lo scienziato per alcuni istanti. Chiaramente, era al limite della sopportazione.
«Mi sto già occupando io della cosa, grazie. La vegetazione non cresce dappertutto, come dovreste essere in grado di vedere anche voi. Laggiù, per esempio.»
Indicò una zona a sud. In quella direzione si stendeva una spianata triangolare che rifletteva la luce del cielo come una lastra di metallo. Era una di quelle che Ken aveva notato nel corso della sua prima discesa.
«Daremo un’occhiata laggiù» disse Drai. «Pare più bassa del territorio circostante e può costituire un ottimo nascondiglio. Se poi è come le aree dove vivono gli abitanti delle pianure azzurre, può darsi che questi indigeni delle montagne si tengano alla larga. Cosa ne dite, scienziato?»
«La cosa potrebbe avere una sua logica» rispose Ken. Drai non rispose; si limitò a fare un gesto a Lee, e il pilota, obbediente, diresse la nave verso il liscio bassopiano.
Quando l’altimetro radar segnalò una distanza di centocinquanta metri, Ken cominciò a esaminare attentamente l’area. Era più grande di quanto gli fosse parsa da lontano, e non riuscì a capire la sua natura. Su quel pianeta c’erano degli strani minerali, certo; se n’era accorto dalla breve occhiata che aveva potuto dare ai campioni che aveva portato con sé. Direttamente sotto la nave non riusciva a scorgere alcun particolare; ma ai bordi dell’area si riflettevano gli alberi che crescevano tutt’attorno a essa.
«Lee! Fermatevi!» gridò, e il pilota obbedì senza pensare, colpito dal suo tono allarmato.
«Cosa c’è?» Questa volta, nella voce di Drai non c’era l’eterna sfumatura di sospetto.
«È un liquido! Guardate ai bordi, il riflesso degli oggetti… come trema alle correnti d’aria!»
«E allora?»
«L’unico liquido che ho incontrato su questo pianeta» spiegò Ken «si comportava come quello strano ossido che abbiamo trovato su Quattro… quello che per poco non mi congelava i piedi. Ne ho già visto una certa quantità anche su questo pianeta, e ho provato a toccarla con un manipolatore; la sostanza si è vaporizzata immediatamente, e ho dovuto aspettare parecchi minuti prima di poter di nuovo infilare il tentacolo nella manica. Credo che sia quel composto che assorbe il calore… protossido d’idrogeno.»
«Perché non me lo avete detto prima?» chiese Drai. La sua voce era di nuovo carica di sospetto.
«Non ne ho avuto il tempo. Inoltre, se voi volete rimanere su questo pianeta sotto forma di statua congelata, la cosa non mi riguarda… vi ho avvertito solo per il fatto che in questo momento ci sono anch’io qui con voi. Se non volete credermi, provate prima con una delle sonde. Ne avete a disposizione quante ne volete.»
Neppure Drai poté trovare qualcosa da ridire sul suggerimento di Ken, e rivolse pertanto un’occhiata a Feth, perché eseguisse. Il meccanico, dopo avere dato a Ken un’occhiataccia, raggiunse il quadro di comando delle sonde e fece partire un’altra delle navicelle, senza fare commenti. Era disponibile anche quella usata da Ken, ma era l’unica su cui erano installati i comandi manuali, e Feth non voleva rischiare di perderla. Era convinto che l’ipotesi di Ken fosse sostanzialmente corretta.
La navetta affusolata si fermò per un istante davanti all’oblò della cabina di comando, poi cominciò a scendere con leggerezza verso la superficie del lago. Il suo scafo era ancora caldo perché era rimasta fino a quel momento all’interno della nave; e il contatto con la superficie liquida fu contrassegnato dall’innalzarsi di una spessa nube di vapore. Feth si affrettò a sollevare la sonda, e attese che si raffreddasse.
«Prova poco significativa» commentò. «Si è raffreddata troppo in fretta. Qualche suo sistema potrebbe cedere.»
Quando giudicò che si fosse sufficientemente raffreddata, Feth fece riabbassare la sonda. Questa volta, sul punto di contatto col liquido, si videro soltanto delle increspature. Molto lentamente, Feth fece scendere la sonda ancora di più, mentre gli altri osservavano senza parlare. A quanto pareva, il freddo non influiva sul funzionamento di quella macchina.
Il freddo no, ma qualcosa d’altro influì. Tutt’a un tratto si levò un’altra nube di vapore, e sul punto dove si era trovata la sonda si allargò un’onda considerevole. Si era trovata è la giusta espressione, perché non ci fu risposta quando il meccanico mosse i comandi per farla sollevare. Dopo un poco, Feth staccò gli occhi dal quadro di comando.
«Purtroppo, soltanto i vani di carico di quelle sonde sono a tenuta d’aria» disse. «A quanto pare, il liquido danneggia le macchine elettriche. Probabilmente scioglie l’isolante.»
Laj Drai aveva la faccia di chi ha appena visto un fantasma; non rispose direttamente alle parole del meccanico.
«Ken!» disse tutt’a un tratto, con aria preoccupata. «Quando ci avete descritto per la prima volta questa distesa, avete detto che il suo aspetto vi faceva venire in mente le pianure azzurre. Esatto?»
«Esatto.» Ken capì subito dove volesse andare a parare il trafficante di droga.
«Vi sembra… vi sembra possibile che un pianeta contenga una tale quantità di liquido da coprire tre quarti della sua superficie?»
«Non posso certamente dire che sia impossibile» rispose Ken. «Confesso però che è una cosa difficile da immaginare. Qualsiasi liquido… e soprattutto uno come questo, che sul nostro pianeta è così raro. Comunque, questo pianeta ha un diametro superiore a quello di Sarr, e quindi la sua velocità di fuga è più alta; inoltre è più freddo, quindi la velocità media delle molecole deve essere inferiore… vediamo…»
S’interruppe per fare mentalmente alcuni calcoli. Poi riprese: «Sì, il pianeta potrebbe trattenere senza difficoltà quei gas; e ossigeno e idrogeno sono tra gli elementi più comuni dell’universo. Temo che la cosa sia perfettamente possibile, Drai.»
L’altro non rispose; tutti capivano cos’avesse in mente. Quando riprese a parlare, Ken si sentì molto intelligente… aveva previsto con esattezza cosa avrebbe detto lo spacciatore.
«Ma gli abitanti delle pianure» disse infatti Drai «riescono a vivere in questa sostanza?… O forse non sono mai esistiti; dev’essere stato il liquido a distruggere le sonde… Eppure, i loro radar? Li abbiamo intercettati!» Fissò Ken, come se avesse trovato l’argomento che tagliava la testa al toro.
Ken aveva seguito il suo ragionamento perfettamente. Rispose: «Non avete nessuna prova che quei radar non appartengano alla razza con cui commerciate. Ho già fatto notare che hanno delle precise conoscenze astronomiche. Credo che negli ultimi venti anni vi siate costruito sul loro conto, un pezzo alla volta, una bella serie di fantasie, anche se ammetto di non esserne ancora sicuro al cento per cento.»
Continuando a tenere un occhio sul misterioso liquido che si stendeva al di sotto della nave, Drai guardò con l’altro occhio il pilota.
«Lee» disse «salite a una quota di una quindicina di chilometri, e fate andare avanti la nave. La direzione non ha importanza, penso.»
Il pilota fece come ordinato, senza parlare. Non seguì la rotta più breve verso l’oceano, ma la velocità della nave, anche all’interno dell’atmosfera, era tale che pochi minuti più tardi si trovarono sopra una di quelle favoleggiate «pianure azzurre»: in venti anni sarriani, nessuno di loro aveva mai osato portarsi così vicino a esse.
Senza dire niente, il trafficante fece segno di scendere, e poco più tardi la nave si fermò a poche decine di metri al di sopra delle onde. Drai osservò a lungo la superficie che si stendeva sotto di lui, poi disse a Ken tre sole parole: «Voglio un campione.»
Lo scienziato rifletté un momento; poi recuperò la piccola bomba calorimetrica che aveva utilizzato per prelevare i campioni di ghiaccio del Pianeta Quattro, la svuotò dell’aria e chiuse la valvola. Si infilò l’armatura ed entrò nella camera di decompressione, dopo avere avvertito Lee di tenere quanto più ferma possibile la nave. Legò un filo alla bomba e un altro filo al comando della valvola; poi aprì il portello esterno e calò lentamente la bomba finché la differenza di peso non gli disse che ormai era immersa nel liquido. A questo punto Ken tirò il filo della valvola, attese un momento, recuperò la bomba, serrò ermeticamente la valvola e chiuse il portello esterno.
Naturalmente, la bomba esplose con violenza dopo pochi secondi, quando il solfo cessò di condensarsi sulla sua superficie. Ken ringraziò di non essersi tolto l’armatura… alcuni pezzi della bomba colpirono il metallo… e dopo qualche riflessione decise di fare un secondo tentativo. Questa volta calò una minuscola spugna di lana di vetro, sperando che il liquido misterioso avesse una sufficiente tensione superficiale. Infilò la spugna in un’altra bomba, e, con lo stesso metodo seguito per il campione marziano, determinò il peso molecolare della sostanza. Era più alto del precedente, ma poi notò i depositi di sali sulla spugna, e sottrasse dal calcolo il loro peso. Questa volta, il risultato non lasciava dubbi: la sostanza era davvero protossido d’idrogeno.
Per qualche istante, abbassò gli occhi sulla mobile distesa azzurra, chiedendosi quanto era profonda e che effetti avesse sulle condizioni del Pianeta dei Ghiacci. Poi si voltò, uscì dall’armatura… era rimasto al suo interno per l’intera durata dell’esperimento, dopo la prima esplosione… e andò a fare rapporto a Drai.
Il trafficante lo ascoltò in silenzio. Era ancora scosso dal crollo delle sue radicate convinzioni. Trascorsero alcuni minuti prima che parlasse, e quando lo fece, si limitò a dire: «Riportateci sul Pianeta Uno, Lee. Devo riflettere.»
Ken e Feth si guardarono negli occhi, cercando di non mostrare alcuna emozione.