Fenner apri un occhio quando le eleganti curve di Paula Dolan e la sua vaporosa testolina fecero capolino dalla porta dell'ufficio. La contemplo con sguardo vago, e poi si sistemo meglio sulla sedia. Aveva appoggiato i suoi enormi piedi sull'immacolato sottomano della scrivania e la sedia girevole era pericolosamente inclinata all'indietro. Borbotto assonnato: «Fila via, Dizzy, giocheremo dopo. Adesso sto pensando.»
Le curve riempirono la porta semiaperta e Paula si avvicino alla scrivania. «Svegliati, Morfeo» disse. «Ti cercano.»
Fenner grugni. «Mandali via. Di' che abbiamo chiuso l'ufficio. Devo pur dormire anch'io, qualche volta, no?»
«Ma a che cosa ti serve il letto?» ribatte Paula, stizzita.
«Non fare certe domande» bofonchio Fenner, scivolando ancora di piu sulla sedia.
«Scuotiti, Dave» imploro la ragazza. «C'e una madonna addolorata di la, e pare che voglia dividere con te un grave peso.»
Di nuovo Fenner apri un occhio. «Cos'hai detto che e?» chiese. «Magari cerca l'elemosina.»
Paula si sedette sull'orlo della scrivania. «Ci sono volte in cui mi domando perche lasci quella targa fuori dalla porta. Non vuoi trovar lavoro?»
Fenner scosse il capo. «No, se appena posso» rispose. «Siamo al verde?
Be', pigliatela comoda.»
«Stai rinunciando a un bel bocconcino. Comunque, se la pensi cosi…»
Paula scivolo dalla scrivania.
«Ehi, un minuto» Fenner si drizzo sulla sedia e scosto il cappello dagli occhi. «E davvero una madonna addolorata?»
Paula annui. «Deve essersi cacciata in qualche imbroglio, Dave.»
«Va bene, va bene, falla entrare, falla entrare.»
Paula apri la porta. Disse: «Volete accomodarvi, prego?»
Una voce rispose: «Grazie» e una giovane donna entro. Passo davanti a Paula lentamente, guardando Fenner coi grandi occhioni azzurri sgranati per la curiosita.
Era un tantino piu alta della media, snella e flessuosa. Aveva gambe lunghe, mani e piedi piccoli, e il corpo molto eretto. I capelli, appuntati sotto il grazioso cappellino, erano neri come l'ebano. Portava un severo tailleur, e appariva molto giovane e molto spaventata.
Paula l'incoraggio con un sorriso e usci, chiudendosi gentilmente la porta alle spalle.
Fenner tolse i piedi dalla scrivania e si alzo. «Sedetevi» disse «e ditemi cosa posso fare per voi.» Le indico la poltrona accanto alla scrivania.
Lei scosse il capo. «Preferisco restare in piedi» mormoro senza fiato.
«Forse non potro fermarmi a lungo.»
Fenner si rimise a sedere. «Potete fare quello che vi pare» ribatte conciliante. «Tutti sono come a casa propria, qui.»
Rimasero a guardarsi l'un l'altra per un lungo minuto. Poi Fenner riprese:
«Sara meglio che vi sediate. Dovete raccontarmi tante cose e sembrate stanca.»
Vedeva che la donna non aveva paura di lui, era spaventata da qualcosa di cui non sapeva niente. Lei si guardava attorno come se fosse pronta a scappar fuori dalla porta.
Ancora una volta, la donna scosse il capo. «Dovete cercare mia sorella» disse, ansante. «Sono cosi preoccupata per mia sorella! Quanto costera?
Voglio dire, quali sono le vostre tariffe?»
Fenner lancio un'occhiata furtiva al calamaio che aveva a portata di mano. «Non preoccupatevi per le spese. Pensate soltanto a rilassarvi, e a raccontarmi tutto» rispose. «Ditemi chi siete, tanto per cominciare.»
Squillo il telefono, al suo fianco. La reazione della ragazza fu impressionante. Scatto indietro con una mossa aggraziata, mentre gli occhi le si dilatavano, appannandosi.
Fenner le sorrise. «Fa anche a me lo stesso effetto» osservo tranquillo, allungando la mano verso il ricevitore. «Quando mi addormento e squilla il telefono, e come se mi sparassero addosso.»
Lei rimase immobile, tesa, accanto alla porta, e lo guardava.
Fenner disse: «Scusatemi» mentre alzava il ricevitore. «Si?»
La linea era disturbata. Poi qualcuno chiese con un accento indefinibile:
«Parla Fenner?»
«Si.»
«C'e una ragazza che dovrebbe venire da un momento all'altro a trovarvi.
Non lasciatela scappare, finche non arrivo io. Vengo subito al vostro ufficio. D'accordo?»
Fenner lascio cadere gli occhi sulla ragazza, e le sorrise rassicurante.
«Non capisco» disse al telefono.
«Statemi a sentire, basta che capiate questo. Verra una ragazza da voi e vi raccontera qualcosa su una sorella che non si trova piu. Ebbene, tenetela li, per conto mio. Si e ammalata in seguito a delle delusioni. E scappata ieri da un manicomio, e so che sta venendo da voi. Trattenetela, e basta.»
Fenner abbasso il cappello fin sull'arco del naso. «Chi diavolo siete?» chiese.
Ci furono altri disturbi sulla linea. «Ve lo spieghero appena arrivo. Vengo subito. Sarete pagato profumatamente, se mi aiutate.»
Fenner rispose: «Va bene, vi aspetto.»
La ragazza chiese: «Vi ha detto che sono pazza?» La mano che non reggeva la borsetta tormentava la cucitura della gonna.
Fenner rimise a posto il ricevitore. Fece un breve cenno d'assenso.
La ragazza chiuse gli occhi per un secondo, poi le palpebre si sollevarono come quelle di una bambola messa a sedere. Disse, disperata: «E cosi difficile non credergli.» Poi appoggio la borsa sulla scrivania, si tolse i guanti e si strappo via la giacca. Fenner rimase perfettamente immobile, la mano sul telefono, guardandola. Lei sospiro e poi, con mani tremanti, comincio a slacciarsi la camicetta.
Fenner si mosse. «Non occorre niente del genere» disse, imbarazzato.
«Mi interessa il vostro caso senza alcuna dimostrazione.»
Ancora una volta lei prese fiato con un sospiro e poi gli volse le spalle.
Si tolse la camicetta. Fenner allungo la mano verso il campanello. Forse questa madamigella era pazza davvero e voleva incriminarlo per aggressione. Poi si irrigidi e ritiro la mano. Sulla schiena della ragazza c'erano dei lividi bluastri, molto evidenti, che spiccavano sulla pelle bianca. Alcuni di essi avevano la forma di impronte digitali. Lei si rimise la camicetta, l'abbottono, e poi infilo la giacca. Infine si volto e i suoi occhioni, piu grandi che mai, si spalancarono su Fenner.
«Adesso ci credete, che sono nei pasticci?» chiese.
Fenner scosse il capo. «Non c'era bisogno di farlo» rispose. «Siete venuta da me a cercare aiuto. Vi aiutero, perche preoccuparsi? Non dovete avere paura.»
Lei resto in piedi a torturarsi il labbro inferiore coi denti brillanti. Poi apri la borsetta e ne tolse un rotolo di biglietti di banca. Li depose sulla scrivania.
«Bastano per assicurarmi il vostro impegno?» disse.
Fenner tocco il rotolo con dita impacciate. Senza contarli non poteva esserne sicuro, ma era pronto a scommettere che c'erano almeno seimila cucuzze in quel rotolo. Scatto in piedi, prese il danaro e ando alla porta.
«Restate qui» disse, e usci.
Nella stanza accanto, Paula era seduta alla macchina da scrivere, le mani in grembo, gli occhi ansiosi.
«Metti il cappello e porta quella bambola al Baltimora Hotel» le ordino Fenner. «Trovale una stanza e dille di chiudersi dentro a chiave. Prendi anche questi, e quando l'hai sistemata, portali in banca. Cerca di sapere tutto quello che puoi sul suo conto. Dille che mi pigliero cura di lei. Falle il discorso del non-preoccuparti-sei-in-buone-mani. Un bel discorso, lungo, convincente. La ragazza ha i nervi a pezzi, e in una brutta situazione ed e ancora abbastanza giovane da aver bisogno di una madre.»
Ritorno nel suo ufficio. «Come vi chiamate?» chiese.
La ragazza giunse le mani. «Portatemi via da qui» prego.
Fenner le appoggio una mano sul braccio. «Vi faccio uscire assieme alla mia segretaria. Ci pensera lei a voi. C'e un tizio che vi cerca e sta venendo qui. Io pensero a lui. Come vi chiamate?»
«Marian Daley» rispose. Poi degluti ed aggiunse in fretta: «Dove devo andare?»
Entro Paula, infilandosi i guanti. Fenner fece un cenno. «Andate con la signorina Dolan» rispose. «Passate dall'uscita di servizio. Ora siete al sicuro. Non abbiate piu paura.»
Marian Daley gli offri un sorrisetto timido. «Sono contenta di essere venuta da voi» dichiaro. «Capite, me la sto vedendo brutta. E mia sorella, dopotutto. Che cosa c'entra lei con quei dodici cinesi?»
Fenner sbuffo. «Che ne so io?» rispose, accompagnandola alla porta.
«Magari le piacciono i cinesi. Capita. State tranquilla, ora, fino a che non verro da voi, stasera.»
Le fece uscire sul pianerottolo e le guardo entrare nell'ascensore. Quando la cabina scomparve al piano di sotto, rientro in ufficio. Chiuse la porta dolcemente dietro di se e ando alla scrivania. Apri il primo cassetto e ne tolse una rivoltella calibro 38, speciale per poliziotti; lavorava senza sapere niente. Infilo la pistola sotto la giacca e si sedette dietro la scrivania. Ci appoggio di nuovo i piedi e chiuse gli occhi.
Rimase cosi per una decina di minuti, la testa piena di congetture. Tre cose lo affascinavano: i seimila dollari, i lividi sulla schiena della ragazza, e quella dozzina di cinesi. Perche tutto quell'anticipo? Perche non gli aveva semplicemente detto che qualcuno l'aveva picchiata, invece di fare uno spogliarello? Perche parlare di dodici cinesi? Perche non dire soltanto:
"Che c'entra lei coi cinesi?". Perche proprio dodici? Si mosse sulla sedia. E poi, quel tizio al telefono. E se fosse vero che era fresca di manicomio? Ne dubitava. Era spaventata a morte, questo si, ma sembrava una ragazza normale. Apri gli occhi e diede un'occhiata al piccolo orologio cromato sopra la scrivania. Se n'era andata da dodici minuti. Quanto ci voleva, a quel tipo, per arrivare?
Mentre pensava, si rese conto che non era concentrato come avrebbe dovuto. Stava ascoltando qualcuno che zufolava nel corridoio. Si mosse irritato e riporto l'attenzione sugli ultimi eventi. Chi era Marian Daley? Ovviamente una ragazza ricca, dei quartieri alti. I vestiti che portava dovevano essere costati parecchio.
Perche quel ragazzo, la fuori, non la smetteva di fischiare? Che canzone era, a proposito? Tese l'orecchio. Poi, dolcemente, prese a canticchiare sottovoce il triste ritornello di Chloe in sintonia con lo zufolatore.
Il ritornello lo perseguitava: smise di canticchiare e ascolto il fischiettio, battendo il tempo con l'indice sul dorso della mano. Poi, improvvisamente, si senti raggelare. Chiunque fosse che fischiava, non si stava muovendo. Il suono, basso, penetrante, continuava sempre allo stesso volume, come se l'uomo stesse fuori dalla porta a fischiare per lui.
Fenner tolse i piedi dalla scrivania, e sposto indietro la sedia, pian piano.
Il lugubre ritornello continuava. Infilo la mano nella giacca e tocco il calcio della 38.
Nella sua stanza, c'era un'uscita secondaria che dava sulla scala di servizio. Era sempre chiusa a chiave. A Fenner pareva che il fischiettio venisse proprio di li.
Si accosto alla porta e giro con precauzione la chiave nella serratura, stando bene attento a non far cadere la propria ombra sul vetro smerigliato.
Mentre abbassava la maniglia e apriva la porta pian piano, il fischio cesso all'improvviso. Usci sul pianerottolo e guardo da una parte e dall'altra. Non c'era nessuno in giro. Con una mossa repentina, si affaccio sulla tromba delle scale e guardo in basso. Non c'era nessuno. Si volto, percorse tutto il corridoio e ando a guardare l'altra rampa di scale. Niente, nemmeno li.
Abbassandosi il cappello sul naso, si fermo tendendo l'orecchio. Sentiva vagamente il rumore del traffico che saliva dalla strada, il ronzio degli ascensori, e l'insistente ticchettio del grande orologio in alto. Rientro lentamente in ufficio e si fermo sulla soglia, coi nervi tesi. Mentre entrava e chiudeva la porta, l'altro riprese a fischiare.
Ando nella prima stanza con in mano la 38. Si fermo sulla porta e grugni. Un ometto con un abituccio nero stava rannicchiato su una delle poltrone imbottite riservate ai clienti. Aveva il cappello cosi calcato sugli occhi, che Fenner non gli vedeva la faccia. Solo a guardarlo, capi che era morto. Mise la pistola in tasca e si avvicino. Guardo le mani piccole, giallastre e ossute, abbandonate in grembo. Poi si chino e sposto il cappello.
Non era piacevole a vedersi. Era un cinese, si. Gli avevano tagliato la gola, cominciando dall'orecchio destro e finendo al sinistro a perfetto semicerchio. La ferita era stata ricucita per benino, ma restava pur sempre una visione da incubo.
Fenner si asciugo il viso col fazzoletto. «Che giornata!» impreco sottovoce.
Mentre se ne stava li, chiedendosi cosa cavolo potesse fare, il telefono comincio a squillare. Si avvicino all'apparecchio, inseri la spina e alzo il ricevitore.
Paula era eccitata. «Se l'e svignata, Dave» ansimo. «Siamo arrivate fino al Baltimora, e poi lei e sparita.»
Fenner diede una gran sbuffata. «Vuoi dire che qualcuno l'ha portata via?»
«No. Mi e semplicemente scappata da sotto gli occhi. Stavo chiedendo una stanza per lei all'albergo, ho girato la testa e l'ho vista infilare la porta di corsa; quando sono arrivata sulla strada, lei era sparita.»
«E il malloppo?» chiese Fenner. «Sparito anche quello?»
«Quello e al sicuro. L'ho appena messo in banca. Ma io che cosa faccio?
Devo tornare?»
Fenner guardo il cinese. «Resta nei paraggi del Baltimora e fa' colazione. Ti raggiungo appena ho finito. Proprio adesso ho un cliente per le mani.»
«Ma Dave, e la ragazza? Non sarebbe meglio che tu venissi subito?»
Fenner era un tipo impaziente per natura. «In questo ufficio, comando io» taglio corto. «Ogni minuto che passa, mi si raffredda il cliente, e non per cattiva volonta, te lo assicuro.» Abbasso il ricevitore e si drizzo sulla schiena. Guardo il cinese senza emozione. «Allora, bello mio» disse «che ne diresti di fare una passeggiata?»
Paula aspetto, seduta nell'ingresso del Baltimora Hotel, fino alle tre. Aveva ormai raggiunto un punto di tensione molto alto, quando, alle tre e un quarto, Fenner attraverso l'ingresso a grandi passi, le sopracciglia che quasi s'incontravano in un severo cipiglio, gli occhi duri e freddi. Disse, dopo aver raccolto la giacca di Paula dalla sedia: «Alzati, piccola, ti devo parlare.»
Paula lo segui nel bar, che era semivuoto. Fenner la condusse a un tavolo in fondo alla sala. Ebbe cura di spostare il tavolino in modo da sedersi di fronte alle porte girevoli.
«Che cosa usi, invece del profumo, la grappa?» domando Fenner alla ragazza, mentre si mettevano a sedere. «Questo ti sembra il luogo piu adatto per sbevazzare?»
«Che belle parole!» replico Paula. «Cos'altro puo fare una ragazza, in un posto come questo? Ho preso solo tre martini. Cosa ti salta in mente? Sono tre ore che sto incollata alla sedia.»
Fenner chiamo un cameriere e ordino due Scotch doppi con soda. Volse le spalle a Paula e stette a osservare il cameriere che eseguiva l'ordinazione e ritornava coi bicchieri e il resto. Quando il cameriere ebbe posato il tutto sul tavolino, Fenner prese uno dei bicchieri con lo Scotch, ne verso il contenuto nell'altro, riempi il bicchiere vuoto con la soda e lo passo a Paula.
«Devi curarti la pelle, Dizzy» spiego, e tracanno una meta dello Scotch, liscio.
Paula sospiro. «Bene. Avanti» disse con impazienza. «Vuota il sacco.
Mi sono tolta dalla circolazione per tre ore.»
Fenner accese una sigaretta e si appoggio allo schienale della sedia. «Sei proprio sicura che la Daley ti e scappata via di sua spontanea volonta?»
Paula annui. «E andata come ti ho detto. Ero al banco dell'albergo e ho chiesto una stanza. Lei era dietro di me. Mi sono tolta il guanto per firmare il libro e mi son sentita, come dire, sola. Ho girato la testa e ho visto la ragazza che stava infilando la porta. Era completamente sola e aveva una gran fretta. Quando sono finalmente riuscita a passare dalla porta girevole, lei era sparita. Non ti dico, Dave, e stato un brutto colpo. Cio che mi spaventava di piu era che avevo tutti quei soldi con me. Hai fatto una sciocchezza a darmeli.»
Fenner le ghigno in faccia con cattiveria. «Non sai ancora quanto io sia stato furbo, piccola» fece. «E stata un'idea geniale mandarti fuori con il malloppo. Comunque, continua.»
«Rientrata in albergo, ho chiesto una busta, ci ho infilato i soldi e l'ho consegnata al cassiere, in deposito. Poi mi sono precipitata in strada e ho dato nuovamente un'occhiata in giro; non ho scoperto niente di nuovo e cosi ti ho telefonato.»
Fenner annui. «Bene. Se sei sicura che nessuno l'ha costretta a scappare, lasciamo pure che se ne vada, per il momento.»
Paula dichiaro: «Sono sicurissima!»
«Adesso ti racconto io qualcosa. Non mi piace questa faccenda. Qualcuno ha depositato un cinese, gia cadavere, nella prima stanza del nostro ufficio dopo che tu te ne sei andata, e ha informato la polizia.»
Paula s'irrigidi. «Un cinese… morto?»
Fenner sorrise lugubre. «Gia. Aveva la gola tagliata ed era morto da un po'. In ogni caso, avrei dovuto spiegare perche era li. Appena l'ho visto, mi sono chiesto il perche. O avevano lasciato il morto come una minaccia, oppure era una trappola. Non avevo intenzione di perdere tempo; l'ho trascinato fuori e l'ho scaricato in un ufficio, vuoto, in fondo al corridoio. Ebbene, avevo visto giusto. Era una trappola. Non erano passati dieci minuti che tre poliziotti hanno fatto irruzione nell'ufficio. Cercavano il cinese e, credimi, c'e mancato poco che non scoppiassi a ridergli in faccia.»
«Ma perche?» chiese Paula, con gli occhi sgranati.
«Immaginati se l'avessero trovato. Sarei stato portato alla polizia e trattenuto. Ecco che cosa volevano. Togliermi di mezzo per un po', in modo che loro potessero riacciuffare la ragazza. I tre cani mastini si sono raddolciti parecchio, quando non hanno trovato niente da annusare, ma hanno buttato all'aria le due stanze. Tenevo le dita incrociate. Se avessero trovato quei seimila dollari, avrebbero certo voluto saperne la provenienza.»
«Ma che cosa significa tutto questo?» replico Paula.
«Lo chiedi a me? Lo trovo soltanto divertente; ma non significa ancora niente. Che cosa hai cavato dalla Daley?»
Paula scosse il capo. «Non parlava. Le ho rivolte le solite domande per i nostri registri, ma lei mi ha risposto che avrebbe parlato solo con te.»
Fenner fini lo Scotch e spense la sigaretta. «L'indagine pare arrivata a un punto morto» concluse. «Abbiamo seimila dollari al sicuro, e niente da fare.»
«Ma non vorrai star seduto a far niente?»
«Perche no? Me l'ha dato lei, il malloppo, non e vero? Poi, quando io la voglio sistemare in modo che lei possa parlare in tutta tranquillita, scompare. Perche dovrei preoccuparmene? Se vorra qualche consiglio, si fara viva.»
Un uomo anziano dalla faccia onesta, tutto mento e naso, entro nel bar e si sedette a pochi tavoli da loro. Paula lo guardo incuriosita. Dagli occhi, sembrava che avesse pianto. Si chiese perche. Fenner interruppe i suoi pensieri.
«Che cosa pensi della Daley?» chiese.
Paula sapeva cosa voleva Fenner. «Ha ricevuto una buona educazione.
Portava vestiti di classe che costano parecchio. E terrorizzata da qualcosa.
Potrei indovinare la sua eta, ma probabilmente farei uno sbaglio. Diciamo che ha ventiquattro anni. Ma potrebbe averne sei di meno, o sei di piu. Deve essere una brava ragazza, o e una gran brava attrice. Porta un trucco leggero e deve aver vissuto a lungo in posti assolati. E riservata…»
Fenner annuiva. «Mi aspettavo proprio questo. Certo, e un tipo riservato.
Allora, perche si e tolta la camicetta per mostrarmi i lividi?»
Paula abbasso il bicchiere e lo fisso. «Questa e nuova» esclamo.
«Oh, scopriro tutto, prima o poi.» Fenner agito il bicchiere verso il cameriere. «Tu non sai nemmeno del tizio che mi ha telefonato mentre stavo parlando con lei e mi ha detto che e pazza. E allora lei ha fatto lo spogliarello. E questo che non capisco. Non collima con il suo tipo. Si e semplicemente tolta la giacca e la camicetta ed e rimasta in piedi, in mezzo alla stanza, col reggiseno. Non tornano i conti.»
«L'avevano picchiata?»
«Altro che picchiata! I lividi che aveva sulla schiena sembravano dipinti, tanto erano neri.»
Paula ci penso su per un momento. «Forse aveva paura che tu la credessi davvero pazza e soltanto quei lividi potevano dimostrarti che si era cacciata in un imbroglio.»
Fenner annui. «Puo darsi che sia andata cosi, ma non mi piace.»
Mentre il cameriere portava un altro Scotch, Paula riprese a guardare l'uomo anziano. Disse a Fenner: «Non guardarlo adesso, ma c'e un uomo poco lontano che dimostra un grande interesse per te.»
«Ebbe'?» replico Fenner, sgarbato. «Gli piacera la mia faccia.»
«No, non questo. Forse crede che tu sia il tipo adatto per fare l'attore.»
L'uomo in questione si alzo bruscamente e si avvicino. Era incerto, e aveva un aspetto cosi triste che Paula lo incoraggio con un sorriso. Lui si rivolse a Fenner.
«Scusatemi» fece «ma siete voi il signor Fenner?»
«In persona» rispose Fenner senza entusiasmo.
«Mi chiamo Lindsay. Andrew Lindsay. Ho bisogno del vostro aiuto.»
Fenner si mosse, inquieto. «Piacere di conoscervi, signor Lindsay» rispose «ma non posso aiutarvi.»
Lindsay parve sconcertato. Vago con gli occhi verso Paula e poi ancora verso Fenner.
«Perche non vi sedete, signor Lindsay?» l'invito Paula.
Fenner la fulmino con un'occhiataccia, ma lei fece finta di niente.
Lindsay esito, e poi si mise a sedere.
Paula continuo, con una tale ostentazione di belle maniere, che quasi imbarazzarono Fenner. «Il signor Fenner e un uomo molto occupato, ma non l'ho mai visto chiudere la porta in faccia a nessuno che avesse bisogno di aiuto.»
Fenner penso tra se: "Devo dare una lezione a questa piccola impertinente, appena saremo soli". Annui a Lindsay perche v'era costretto. «Certo» confermo. «Che cosa vi angoscia?»
«Signor Fenner, ho letto sui giornali di come avete ritrovato la Blandish quando venne rapita. Io sono nelle stesse condizioni. La mia bambina e sparita ieri.» Due lacrime scivolarono lungo il viso affilato. Fenner distolse gli occhi. «Signor Fenner, vi sto chiedendo di aiutarmi a trovarla. Era tutto quello che avevo, e Dio solo sa che cosa le e successo.»
Fenner fini il whisky e appoggio il bicchiere sul tavolo con un rumore secco. «Avete avvertito la polizia?» chiese di punto in bianco.
Lindsay fece cenno di si.
«Rapire un bambino e contro la legge federale. Non posso fare meglio dell'F.B.I. Dovete essere paziente. Ve la troveranno.»
«Ma signor Fenner…»
Fenner scosse il capo. Si alzo in piedi. «Mi dispiace, ma non posso accettare.»
Il viso di Lindsay si corruccio come quello di un bambino deluso. Tese una mano e afferro la manica di Fenner.
«Signor Fenner, fatelo per me. Non ve ne pentirete. Potete chiedermi qualsiasi cifra. Voi potreste trovare la mia bambina prima di chiunque altro. Ne sono sicuro. Signor Fenner, vi prego, accettate.»
Gli occhi di Fenner erano dei pezzetti di ghiaccio. Stacco la mano di Lindsay dal suo braccio con gentilezza, ma deciso. «Statemi a sentire» disse. «Io lavoro per me stesso, e per nessun altro. Se voglio accettare un incarico, l'accetto. Altrimenti, lo rifiuto. Ne ho appena trovato uno che mi da parecchio da pensare. Mi dispiace per la vostra bambina, ma io non ci posso fare niente. L'F.B.I. e abbastanza potente per pensare a lei e ad altre centinaia di bambine. Mi dispiace, ma non accetto.»
Fece un cenno con il capo a Paula e usci dal bar. Lindsay lascio ricadere le mani, disperato, e comincio a piangere sommessamente. Paula gli strinse il braccio. Poi si alzo e usci. Fenner l'aspettava fuori. Le disse, furioso, mentre si avvicinava: «Cominci a seccarmi. Cosa credi, che dirigiamo un istituto di beneficenza?»
Paula lo guardo con cattiveria. «Quel pover'uomo ha perso la figlia; non ti fa pena?»
«Mi fa prudere il collo, ecco che cosa mi fa» replico Fenner. «Torniamo in ufficio. C'e da lavorare.»
«Ci sono volte in cui penso che tu sia un grand'uomo» disse Paula amaramente, mentre attraversavano l'ingresso dell'albergo. «Ma in questo momento mi sembra che un verme valga piu di te.»
Un giovanotto scese da uno sgabello del bar e raggiunse Fenner. «Sono Grosset, della polizia. Devo parlarvi.»
Fenner grugni. «Ho da fare adesso, amico» rispose. «Telefonami in ufficio domani, quando non ci sono.»
Come per scusarsi, Grosset indico un paio di poliziotti in borghese che aspettavano un po' discosti. «Preferite parlare qui o nel mio ufficio?» chiese garbatamente.
Fenner sogghigno. «In questo caso… Va bene, parliamo qui, ma sbrighiamoci.»
«Ho dimenticato una cosa. Torno subito» disse Paula. Li lascio e ritorno al bar. Lindsay era ancora la, seduto. Lei gli si sedette accanto. «Non dovete credere che il signor Fenner sia una persona sgarbata» disse con dolcezza. «Ha un caso per le mani che lo preoccupa. Fa sempre cosi. Non e cattivo.»
Lindsay alzo il capo e la guardo. «Non avrei dovuto chiederglielo» replico, disperato «ma ci tengo troppo alla mia bambina.»
Paula apri la borsetta e ne trasse un libretto di appunti.
«Ditemi i fatti» disse. «Non posso promettervi niente, ma cerchero di persuaderlo.»
Gli occhi incavati si accesero di un filo di speranza. «Si» fece l'uomo con ansia. «Che fatti volete?»
Intanto, nell'ingresso, Fenner aveva seguito Grosset in un angolo e si era seduto assieme a lui. Stava all'erta, sospettoso.
Grosset era gentile, troppo. Fece scattare un portasigarette d'oro, offri a Fenner e poi accese le due sigarette con un accendino pure d'oro.
«Vi trattano bene, a quel che vedo» constato Fenner.
«Non credo che ci siamo mai incontrati prima» replico Grosset e incrocio le gambe, mostrando i calzini a scacchi, bianchi e neri. «Ho dato uno sguardo alla vostra licenza. Voi siete quello che ha fatto un sacco di soldi con il rapimento della Blandish. Vi capito quando eravate ancora un pivellino, come investigatore. Avete avuto la fortuna di fare un buon colpo, avete lasciato il Kansas e vi siete sistemato qui. Dico giusto?»
Fenner emise una lunga boccata di fumo dalle narici. «Siete voi a raccontare la storia» rispose «per il momento, va bene.»
Grosset aveva l'espressione di chi la sa lunga. «Siete a New York da sei mesi. Non mi pare che abbiate fatto molto in tutto questo tempo.»
Fenner sbadiglio. «Raccolgo e scelgo» disse indifferente.
«Stamattina ci hanno soffiato qualcosa di piuttosto pesante sul vostro conto.»
Fenner gli ghigno in faccia divertito. «Davvero? Cosi pesante che avete mandato dei mastini ad abbaiarmi contro, dopodiche se ne sono andati via con la coda fra le gambe.»
Grosset sorrise. «In seguito, abbiamo perlustrato tutto l'edificio» disse.
«Abbiamo trovato un cinese assassinato in un ufficio vuoto, accanto al vostro.»
Fenner inarco le sopracciglia. «Di che cosa vi lamentate? Volete che vi trovi chi l'ha ucciso?»
«La soffiata di stamattina era per un cinese morto che dovevamo trovare nel vostro ufficio.»
«Che caso triste! Com'e successo? L'hanno depositato nell'ufficio sbagliato?»
Grosset fece cadere la cenere della sigaretta in un portacenere.
«Statemi a sentire, Fenner, voi ed io non dobbiamo litigare. Mettero le mie carte in tavola. Quel cinese e morto da trentasei ore. La soffiata era assurda, si capiva che era una trappola, ma dovevamo controllare. In conclusione, questo cinese ci interessa. Vogliamo vederci chiaro. Perche non ci dite il vostro punto di vista su questa storia?»
Fenner si gratto il naso.
«Fratello» rispose «sarei disposto a battere il tamburo dell'Esercito della Salvezza, dopo un simile fervorino. Se sapessi qualcosa, ve lo direi. Se quel cinese significava qualcosa per me, ve lo farei sapere subito, ma non e cosi. Non ho mai avuto quel cinese nel mio ufficio. Non ho mai messo gli occhi sul vostro cinese e prego Dio di non doverlo fare.»
Grosset lo guardo, pensoso. «Me l'avevano detto che eravate un tipo cosi» disse tristemente. «Preferite lavorare per conto vostro e poi buttarci tutto tra le braccia, appena avete la matassa bell'e sbrogliata. E va bene, se vi piace questo gioco, fate pure. Se potremo aiutarvi, lo faremo, ma se vi troverete nei guai, vi saremo addosso con tanta forza che crederete che l'Empire State Building vi stia crollando addosso.»
Fenner sogghigno e si alzo. «Tutto a posto?» chiese. «Se avete finito, ho del lavoro da sbrigare.»
Grosset annui. «Restate nei paraggi, Fenner. Ci rivedremo tra non molto.» Scrollo la testa verso i due cani da guardia, e poi i tre uscirono dall'albergo.
Paula apparve sulla soglia del bar e raggiunse Fenner che si dirigeva verso l'uscita. «Dove sei andata?» chiese.
«Stammi a sentire, Dave» rispose lei «ho parlato con il signor Lindsay.
Ho preso nota di quel che e successo a sua figlia. Perche non gli dai un'occhiata?»
Fenner la squadro con un'occhiata gelida. «Ce l'hai la corazza?»
«Che te ne importa?»
«Solo perche quando saremo tornati in ufficio te le suono, piccola, e ti giuro che non ti potrai sedere per due settimane, dopo la lezione che ti avro dato. E stammi a sentire, non un'altra parola su Lindsay e su sua figlia.
Non mi interessa, non mi ha mai interessato, e non mi interessera mai. Ho abbastanza grane per la testa da bastarmi per tutta la vita.»
«Con un cervello come il tuo, non c'e da stupirsene» replico Paula, freddamente, e lo segui in strada.
Tornato in ufficio, Fenner ando dritto alla sua scrivania e si sedette. Si accese una sigaretta e urlo a Paula: «Vieni qui, Dizzy.»
Paula scivolo attraverso la porta e si sedette al suo fianco, la penna sopra il libro degli appunti. Fenner scosse il capo. «Non voglio dettarti niente» disse. «Voglio che tu mi faccia compagnia.»
Paula incrocio le mani in grembo. «Bene» disse «ti faro da spalla.»
Fenner rimuginava. «Potrei scoprire qualcosa, se consegnassi quei quattrini alla polizia perche facciano delle ricerche. Ma in tal caso, dovrei permettere loro di ficcare il naso in questa faccenda. Il cinese preoccupa Grosset, che mi tiene d'occhio. Dovunque andro avro alle calcagna quell'intelligentone.»
«Perche no? Potrebbe trovarla lui, la ragazza, se gliene dai la possibilita.»
Fenner scosse il capo. «Sto ancora andando a naso» rispose. «Qualcosa mi dice che e meglio che la polizia resti fuori da questa storia.»
Paula getto un'occhiata all'orologio. Erano quasi le cinque. «Ho del lavoro da finire» disse. «Non puoi approdare a nulla, per ora.»
«Sta' qui, sta' qui. Sono sempre io che ti passo lo stipendio, no?»
Paula si mise piu comoda. Quando era di quell'umore, era meglio assecondarlo.
«Se quella ragazza non si mette in contatto con me, il caso si arena. Non ho una traccia su cui lavorare. Non so chi sia. Chissa da dove veniva. Tutto quello che so e che sua sorella ha a che fare con dodici cinesi. Se quello morto era uno, ora ne son rimasti undici. Perche darmi tutto quel malloppo e poi svignarsela cosi?»
«Metti che abbia visto qualcuno che conosceva, si sia spaventata, e abbia perso la testa» suggeri Paula, con dolcezza.
Fenner ci penso sopra. «Hai visto qualcuno che poteva spaventarla?»
Paula scosse il capo. «Sai benissimo com'e l'ingresso del Baltimora Hotel, a quell'ora.»
«Gia. Puo essere un'idea» Fenner si alzo in piedi e prese a camminare avanti e indietro sul tappeto dai vivaci colori. «Se e andata cosi, allora ci conviene stare attaccati al telefono ed aspettare che lei ci richiami. Magari non telefona, ma se lo facesse, preferirei saperlo subito.»
Paula gemette.
«Si. Ti conviene correre a casa, far la valigia e trasferirti qui. Puoi dormire sul divano» continuo Fenner.
Paula si alzo in piedi. «Mentre tu vai a casa e dormi nel tuo lettuccio caldo, vero?»
«Cio che faccio io non t'interessa. Ti faro sapere dove rintracciarmi.»
«Se il portinaio viene a sapere che dormo qui, chissa cosa pensera» disse Paula e indosso cappello e giacca.
«Lascia perdere. Sa che sono un tipo strano. Non ne fara uno scandalo.»
Paula infilo la porta e la richiuse dietro di se, con uno scatto deciso.
Fenner ebbe un mezzo sorriso e poi afferro il telefono. Compose un numero.
«La polizia? Datemi Grosset, per favore. Ditegli che lo vuole Fenner.»
Grosset si mise in linea dopo aver lasciato gracchiare il telefono per qualche istante. «Salve, Fenner. Avete cambiato idea e volete parlare?»
Fenner ghigno nel ricevitore.
«Non ancora, amico» rispose. «Voglio che parliate voi, invece. Di quel cinese che avete trovato. Scoperto niente di interessante su di lui?»
«Perdio, Fenner! Avete del fegato. Non vi aspetterete informazioni da me, spero?» scoppio a ridere Grosset.
«Statemi a sentire, Grosset» disse, serio, Fenner «questo caso non ha ancora avuto uno sbocco. Una specie di sesto senso mi dice che quando lo avra, ci sara chi ci lascera la pelle. Io intendo impedire che trovi uno sbocco.»
«Vi avverto Fenner, se mi tacete qualcosa, mal ve ne verra. Se succede qualcosa che io avrei potuto evitare, e scopro che voi lo sapevate, vi distruggero.»
Fenner si mosse sulla sedia.
«Lasciamo stare, capo» replico stizzito. «Sapete benissimo che e nel mio diritto coprire il cliente. Se vi va di essere gentile e darmi qualche informazione adesso, vi ricambiero con gli interessi appena cominciano le grane. Che ve ne pare?»
«Siete un bel tipo, voi» disse Grosset, dubbioso. «Comunque, quello che so io non vi aiutera molto. Non abbiamo scoperto niente.»
«Come l'hanno portato lassu?»
«Non e stato difficile. L'hanno messo in una cesta della biancheria, sono passati per l'entrata di servizio e l'hanno tirato fuori in un ufficio deserto, prima di scaraventarlo nel vostro.»
«Non scherziamo» replico Fenner. «Non l'hanno portato da me. L'hanno lasciato nell'ufficio vuoto.»
Grosset emise un suono simile allo strappo di una tela di cotone.
«Nessuno ha visto chi l'ha portato?»
«No.»
«Bene, grazie, amico. Vi rendero il favore un giorno. Nient'altro? Niente di strano?»
«Be', no, non credo. Gli hanno tagliato la gola e gliel'hanno ricucita… e abbastanza strano, mi pare.»
«Gia, capisco. Nient'altro, uhm?»
«Credo di no.»
Fenner riabbasso il ricevitore. Rimase a fissare l'apparecchio per parecchi minuti, un'espressione vuota sul viso e lo sguardo perplesso.
Quando Paula torno, un paio d'ore piu tardi, lo trovo sbracato sulla sedia, i piedi sulla scrivania, la cenere della sigaretta sparsa sulla giacca, e la stessa perplessita dipinta sul volto. Deposito una valigetta nell'ingresso e si tolse la giacca e il cappello. «Niente di nuovo?»
Fenner scosse il capo. «Se non fosse per quel cinese morto, chiuderei la partita. Non avrebbero corso il rischio di trascinare il cadavere fin quassu, se non fossero stati fin troppo ansiosi di togliermi di mezzo.»
Paula apri la valigetta e ne tolse un libro. «Io ho gia cenato» disse, sedendosi sulla poltrona accanto alla scrivania. «Sono a posto. Puoi anche andare.»
Fenner fece un cenno d'assenso. Si alzo e si spazzolo la giacca con la mano. «Bene. Torno tra poco. Se telefona, dille che ho assolutamente bisogno di vederla. Fatti dare il suo indirizzo e ripetile il solito discorsino.
Voglio metter le mani su quella damigella.»
«Lo sospettavo» mormoro Paula, ma Fenner si diresse alla porta senza darle retta. Sulla porta, trovo due uomini, spalla a spalla, vestiti di nero.
Sembravano messicani, ma non lo erano. Entrambi tenevano la mano destra nella tasca della giacca attillata. Erano vestiti nello stesso modo: abito nero, feltro nero, camicie bianche e cravatte sgargianti. Sembravano delle comparse di una commedia lacrimosa, solo guardandoli negli occhi si cominciava a pensare ai serpenti e ad altri esseri striscianti.
«Cercate me?» chiese Fenner. Senza che glielo dicessero, sapeva di avere due rivoltelle puntate contro il ventre. Non c'era da sbagliarsi, con quelle tasche gonfie.
«Si, pensavamo di farti una visitina» replico il piu basso dei due.
Fenner rientro in ufficio. Paula apri il cassetto della scrivania e mise la mano sulla 38 di Fenner. Il piu basso fece: «Ferma!» Parlava tra i denti, e dava un tono molto convincente a cio che diceva.
Paula si appoggio allo schienale e incrocio le mani in grembo.
Il piccoletto passo nella seconda stanza e si guardo in giro. Sembrava perplesso. Si avvicino al grande armadio dove Paula teneva le carte dell'ufficio e ci guardo dentro. Poi grugni.
«Se non vi dispiace aspettare, possiamo offrirvi la cena e un letto. Vorremmo che vi sentiste come a casa vostra» disse Fenner.
Il piccoletto raccolse un pesante portacenere che aveva a portata di mano, lo soppeso e, con quello, colpi violentemente Fenner al viso. L'investigatore tento di voltare la testa, ma non fu abbastanza svelto. Le punte sbalzate del portacenere lo presero di striscio al viso.
L'altro tolse dalla tasca un'automatica a canna corta e la pianto nel fianco di Paula. Lo fece con tanta violenza che la ragazza strillo.
«Una mossa, e ti facciamo correre le budella sul pavimento» fece il piccoletto.
Fenner si tolse il fazzoletto dal taschino e se lo passo sul viso. Cosi facendo, il sangue gli colo sulla mano e macchio il polsino della camicia.
«Ci rivedremo» disse tra i denti.
«Spalle al muro. Voglio frugare le stanze» replico il piccoletto. «Sbrigati, se non vuoi che te ne arrivi un altro.»
Improvvisamente, Fenner capi che erano cubani. Erano il tipo di persone che si incontra nell'ambiente del porto di una qualsiasi citta costiera, andando verso sud. Fenner si mise con le spalle al muro, le mani alzate. Era cosi furioso che avrebbe colto l'occasione per fargliela pagare a quei due, se non fosse stato per Paula. Si rendeva conto che erano un po' troppo violenti, per correre rischi.
Il cubano basso frugo Fenner. «Togliti la giacca e dammela» gli disse.
Fenner gliela getto. Il cubano si sedette sull'orlo della scrivania e frugo nella fodera molto attentamente. Tolse il libretto di appunti di Fenner e l'esamino. Poi butto la giacca per terra. Si accosto a Fenner e lo frugo ancora una volta. Fenner sentiva l'odore del cibo abbondantemente condito di spezie che quello doveva aver appena mangiato. Gli prudevano le mani dalla voglia di prenderlo per il collo.
Il cubano fece un passo indietro, grugnendo. Poi volse il capo. «Tu, vieni qui.»
Con la bocca tirata, Paula avanzo di un passo. «Non toccarmi con le tue sporche mani» disse con voce piana.
Il cubano parlo in spagnolo con il compare, che fece un cenno a Fenner.
«Vieni qui.»
Fenner attraverso la stanza e, mentre gli passava accanto, il cubano piu basso lo colpi alla nuca con il calcio della pistola. Fenner cadde sulle ginocchia, stordito, mettendo avanti le mani. Il cubano gli diede un calcio con la scarpa dalla punta quadra, colpendolo poco sopra il collo della camicia, sotto l'orecchio. Era un calcio molto violento e Fenner si rovescio sull'altro lato.
Paula apri la bocca per gridare, ma l'altro cubano le ficco la canna della rivoltella nello stomaco. Invece di gridare, lei trattenne il fiato dal dolore e si piego sulle ginocchia.
Il cubano la prese per le ascelle e la tenne dritta. Il piccoletto la frugo.
Non trovo cio che cercava, e in un accesso di rabbia, le picchio il viso con la mano aperta. L'altro la butto sul divano e poi si sedette sull'orlo del tavolo.
Il piccoletto perquisi l'ufficio. Non mise niente in disordine, si muoveva come se avesse fatto quel mestiere mille altre volte. Poi ando nell'altra stanza e frugo anche quella.
Fenner lo sentiva muoversi, ma non riusciva a muovere un muscolo.
Cerco di alzarsi, ma non riusci a muovere un dito, nonostante i suoi sforzi disperati. Una nebbia rossa, di rabbia e di dolore, gli copriva gli occhi.
Solo quando se ne furono andati, sbattendo la porta, riusci a tirarsi in piedi. Si appoggio alla scrivania con una mano e si guardo in giro, furioso.
Paula stava rannicchiata sul divano. Singhiozzava di rabbia. «Non guardarmi, maledizione!» esclamo. «Non guardarmi!»
Fenner barcollo verso l'altra stanza e ando nel gabinetto. Fece scorrere l'acqua fredda nel lavabo e si lavo il viso con cura. Quando ebbe finito, l'acqua era rossa. Con un passo leggermente piu sicuro, ando all'armadio e trovo una mezza bottiglia di Scotch e due bicchieri. Ne verso una buona dose. Gli doleva il capo maledettamente. Il whisky gli brucio le budella, ma lo rimise in sesto. Ne verso altre due dita nell'altro bicchiere e torno da Paula.
Questa si era raddrizzata. Stava ancora piangendo, sommessamente.
Fenner appoggio il bicchiere di whisky sull'orlo della scrivania, accanto a lei.
«Butta giu questo, piccola» disse. «Ne hai bisogno.»
Lei guardo lui, e poi lo Scotch. Allungo la mano e gli strappo il bicchiere. Aveva gli occhi che scintillavano, sul viso pallido. Gli butto il whisky in faccia.
Fenner non mosse un dito, si tolse il fazzoletto di tasca e si asciugo. Paula si prese il viso tra le mani e scoppio a piangere. Fenner si sedette dietro la scrivania.
Rimasero cosi per parecchi minuti, il silenzio rotto unicamente dagli amari singhiozzi di Paula. Fenner stava da cani. La nuca minacciava di aprirsi in due. Il viso gli doleva e la ferita pulsava. L'escoriazione bluastra sul collo bruciava per il whisky. Si prese una sigaretta dal pacchetto con dita che tremavano.
Paula smise di piangere. «Ti credi di essere un duro, eh» disse, senza staccare il viso dalle mani. «Credi di essere bravo? Tu lasci che due scagnozzi entrino e ci trattino a questo modo? Dio mio, Dave! Ti sei rammollito e hai paura. Mi sono messa con te perche pensavo che tu sapessi badare a te stesso e potessi badare a me, ma mi sbagliavo. Te ne stai seduto e ti rammollisci… mi senti? Hai paura e ti rammollisci! E poi che cosa hai fatto? Li hai lasciati uscire e ti sei attaccato alla bottiglia. Ebbene, Dave Fenner, ne ho avuto abbastanza.»
Picchio il cuscino coi pugni chiusi e ricomincio a singhiozzare. Poi disse:
«Oh, Dave, Dave… come hai potuto permettere che mi trattassero cosi?»
Mentre parlava, Fenner era rimasto seduto, impietrito. Gli occhi semichiusi sembravano schegge di ghiaccio. Quando lei ebbe finito, disse: «Hai ragione, Dizzy, sono rimasto seduto per troppo tempo.» Si alzo in piedi.
«Non corrermi dietro, ora. Pigliatela calma, per un giorno o due. Chiudi l'ufficio. Io ho da fare.» Spalanco il cassetto, afferro la rivoltella, la ficco nella cintola dei pantaloni e si aggiusto la giacca in modo da coprirne il calcio. Poi usci come una furia, chiudendosi la porta alle spalle.
Un'ora dopo, Fenner, ripulito e con un altro abito, fermo un tassi e diede un indirizzo del centro. Mentre il tassi sfrecciava veloce nell'intenso traffico della sera, Fenner teneva lo sguardo fisso davanti a se, cupo. Soltanto i pugni stretti sulle ginocchia tradivano la natura dei suoi sentimenti.
Il tassi lascio la Settima Strada e si ritrovo in una rumorosa viuzza secondaria. Un minuto dopo si fermo, e Fenner salto fuori. Getto un dollaro all'autista e attraverso il marciapiede, evitando il gruppo dei ragazzini che schiamazzavano li attorno.
Sali di corsa la lunga rampa di scale e suono il campanello. Poco dopo la porta si apri e una vecchia lo guardo strizzando gli occhi.
«C'e Ike?» chiese lui, secco.
«Chi lo vuole?»
«Ditegli Fenner.»
La vecchia fece scorrere la catena e apri la porta. «Fate attenzione a salire, giovanotto» disse. «Ike e cattivo, stasera.»
Fenner la scanso e sali le scale buie.
La puzza di cibo cotto, di stantio e di sporcizia gli fece arricciare il naso.
Al primo piano, busso a una porta. Udi un mormorio di voci, e poi un improvviso silenzio. La porta venne aperta lentamente e un ragazzo sottile e muscoloso, con il mento aguzzo come quello di un cane, lo squadro.
«Si?» disse.
«Di' ad Ike che gli voglio parlare. Sono Fenner.»
Il ragazzo richiuse la porta. Fenner lo senti dire qualcosa, poi riapri la porta e gli fece cenno col capo. «Entrate» disse.
Ike Bush era seduto a un tavolo con quattro altri: giocavano a poker.
Fenner entro e si fermo proprio dietro a Bush. Gli altri lo guardarono biecamente, ma continuarono a giocare. Bush studiava le carte, pensoso.
Era un omaccione con la faccia rossa e le sopracciglia folte. Nelle sue grasse dita le carte sembravano pedine da domino.
Fenner lo guardo giocare per qualche minuto. Poi si chino e sussurro all'orecchio di Bush: «E una mano sbagliata. Ci rimetterai.»
Bush continuo a studiare le carte, si schiari la gola, e sputo per terra.
Butto le carte sul tavolo con disgusto. Scosto la sedia, si alzo e porto Fenner in fondo alla stanza. «Cosa vuoi?» bofonchio.
«Due cubani» replico Fenner, tranquillo. «Entrambi vestiti di nero. Feltro nero, camicie bianche e cravatte fantasia. Scarpe nere con punta quadra. Tutti e due piccoletti. Tutte e due armati.»
Ike scosse il capo. «Non li conosco» disse «non sono di questa zona.»
Fenner lo guardo freddamente. «E allora scopri chi sono al piu presto.
Voglio ritrovarli subito.»
Ike alzo le spalle. «Cosa ti hanno fatto?» chiese. «Voglio continuare a giocare…»
Fenner piego leggermente il capo da una parte e mostro il taglio sullo zigomo. «Quei due scagnozzi sono saliti da me, mi hanno lasciato questo come ricordo… e poi sono spariti.»
Ike fece tanto d'occhi. «Aspetta» disse. Ando al telefono che stava sopra un tavolino, dall'altro lato della stanza. Dopo una lunga conversazione tutta sussurri, riappese e fece un cenno col capo a Fenner.
Fenner gli si accosto. «Trovati?»
«Si.» Ike si frego la faccia sudaticcia con il rovescio della mano. «Sono in citta da cinque giorni. Nessuno sa chi diavolo siano. Sono alloggiati sulla strada per Brooklyn. Questo e l'indirizzo. Pare che abbiano preso una casa ammobiliata. Sono due duri, ma nessuno sa per chi lavorano.»
Fenner tese la mano e prese il pezzo di carta dove Ike aveva scritto l'indirizzo.
Ike lo guardo. «Entri in azione?» domando per curiosita. «Vuoi un paio di ragazzi?»
Fenner gli mostro i denti in un sorriso senza simpatia. «Mi arrangio da solo» rispose secco.
Ike allungo una mano e afferro una bottiglia senza etichetta. Guardo Fenner con aria interrogativa. «Un bicchierino prima di andare?» chiese.
Fenner scosse il capo. Batte una mano sulla spalla di Ike e usci. Il tassi stava ancora aspettando. L'autista si sporse, quando Fenner scese gli scalini. «Non mi e parso che fosse casa vostra» disse con un sorriso «e sono rimasto nei paraggi. Dove vogliamo andare?»
Fenner spalanco la portiera. «Farete carriera» rispose. «Avete imparato il mestiere per corrispondenza?»
L'autista rispose, serio: «Le cose vanno male di questi tempi. Uno deve usare il cervello. Dove volete andare, signore?»
«Lasciatemi dopo il ponte di Brooklyn. Da li proseguiro a piedi.»
Il tassi si stacco dal marciapiede e si diresse verso le luci della Settima Strada.
«Vi hanno malmenato?» chiese il tassista, curioso.
«No» ruggi Fenner. «Ho una zietta che si diverte a far la punta ai denti.»
«Una zietta cattiva, eh?» replico il tassista, ma poi tacque.
Era quasi sera quando raggiunse il ponte di Brooklyn. Fenner pago il tassi e si diresse al bar piu vicino. Ordino un panino gigante e tre dita di whisky. Mentre divorava il panino, chiese alla cameriera dov'era la strada che cercava. Lei dovette cercarla sulla pianta. Fenner pago il conto e usci.
Camminando di buon passo, arrivo a destinazione in dieci minuti. Trovo la strada senza sbagliare e senza chiedere informazioni. La percorse, guardando attentamente ogni ombra. La casa che cercava era d'angolo. Era un piccolo edificio a due piani. Non c'erano luci accese alle finestre. Fenner spalanco il cancello e prese il sentiero, leggermente in salita. Con gli occhi scrutava le finestre scure, cercando un segno di vita. Non si fermo davanti all'ingresso principale, ma fece il giro della casa. Non c'erano luci accese nemmeno sul retro. Trovo una finestra che era abbassata di appena pochi centimetri e fece lampeggiare la torcia nella stanza. Era completamente vuota. Vedeva la polvere sul pavimento. In pochi minuti, apri del tutto la finestra ed entro. Stava attento a non fare alcun rumore e camminava sulle assi del pavimento con circospezione.
Silenziosamente provo la maniglia della porta, l'apri e si trovo in un piccolo ingresso. La luce della torcia illumino un tappeto e un grande armadio. Di fronte c'erano le scale. Fenner rimase in ascolto, ma non gli giunse alcun rumore, eccetto il vago ronzio del traffico della strada.
Sali le scale con la 38 in mano. Aveva la bocca tirata verso il basso, e i muscoli della faccia tesi. Sul corridoio si fermo un'altra volta, in ascolto.
C'era una strana puzza che gli era vagamente familiare. Arriccio il naso, chiedendosi cosa poteva essere.
Aveva tre porte di fronte. Scelse quella centrale. Giro la maniglia dolcemente e apri. La puzza era piu forte ora. Gli ricordava l'odore che c'e in una macelleria. Quando ebbe aperto la porta a meta, si fermo e tese l'orecchio, poi entro e si chiuse la porta alle spalle. Con la torcia, trovo l'interruttore e lo premette.
Guardo la camera da letto bene ammobiliata, con il dito che fremeva sul grilletto della pistola. Non c'era nessuno. Si volto e giro la chiave nella serratura. Non voleva correre rischi. Poi contemplo la stanza, pensoso.
Era la camera di una donna. Sulla toeletta, le solite cianfrusaglie. Il letto era piccolo, e un porta-camicia-da notte a forma di bambola dai capelli bianchi, giaceva sul cuscino.
Fenner ando al guardaroba e vi guardo dentro. C'era un solo abito appeso. Nient'altro: era l'abito che Marian Daley indossava quando era andata da lui.
Fenner lo tocco, assorto, mentre cercava di ricordare Marian Daley. Tolse l'abito dal guardaroba e lo butto sul letto. C'era piu slancio nelle sue gambe, mentre si accostava alla cassettiera. Nel primo cassetto c'era un grazioso cappellino. Butto anche quello sul letto. In un altro cassetto trovo un mucchietto di biancheria intima, un reggicalze, un paio di calze e un paio di scarpe. Butto tutto sul letto. Poi ando alla toeletta e apri il cassettino sotto lo specchio. Ficcata dentro, c'era la borsetta. La tiro fuori a fatica, e con quella in mano si porto in mezzo alla stanza. Si sedette sul letto, picchiando la borsetta contro il palmo della mano aperta e fissando il tappeto con rabbia. Non gli piaceva tutta questa storia.
Apri la borsetta e ne rovescio il contenuto sul letto. Le solite cose che porta con se una ragazza si rovesciarono in un piccolo, quasi patetico, mucchietto. Smosse il mucchietto con le dita, e poi guardo ancora nella borsetta. Non c'era nient'altro ma ficco ugualmente dentro due dita e strappo la fodera. Spiegazzato sul fondo, nascosto o magari soltanto scivolato attraverso la fodera, c'era un pezzo di carta. L'apri e lo lesse. Era un biglietto scritto con una grafia trasandata e larga.
"Key West
"Cara Marian, non preoccuparti. Noolen ha promesso di aiutarmi. Pio non sa ancora niente. Vedrai che tutto si aggiustera, ora."
Fenner piego il pezzo di carta con cura e l'infilo nel portasigarette. Si sedette sul letto, pensando. Key West era in Florida… i due erano cubani. I conti cominciavano a quadrare. Si rialzo e compi una perquisizione sistematica della stanza, ma non trovo altro. Poi fece scattare la serratura della porta, spense la luce e passo nel corridoio.
Ando verso l'uscio a sinistra: C'era una stanza da bagno, piuttosto grande. Assicuratosi che la tapparella della finestra fosse abbassata, cerco l'interruttore. La puzza che stagnava li dentro gli dava la nausea. Sapeva che cos'era, ma si fece forza e accese la luce.
La stanza sembrava un mattatoio dopo una giornata di pieno lavoro. La vasca accanto al muro era coperta di lenzuola bagnate di sangue. La parete aveva ovunque macchie rosse. Il pavimento, accanto alla vasca, era pure rosso. Si avvicino e sposto le lenzuola.
Fenner era un duro. Aveva lavorato nell'ambiente giornalistico per anni, e una morte violenta non lo impressionava molto. Si era abituato all'idea che la violenza significasse semplicemente una testata diversa del giornale, ma questa volta ne fu scosso. Ne fu scosso perche conosceva la vittima.
Era la sua cliente, e soltanto poche ore prima quella era stata una ragazza giovane, piena di vita.
Non c'era da sbagliarsi su quello che vedeva nella vasca. I segni bluastri ancora deturpavano il suo corpo.
Fenner fece ricadere il lenzuolo e usci dalla stanza. Chiuse la porta gentilmente e ci si appoggio. Avrebbe dato chissa che cosa per un whisky.
Rimase immobile, la mente vuota, finche la prima impressione non fu passata. Poi si asciugo il viso con un fazzoletto e si diresse verso le scale.
Grosset doveva essere avvertito subito. Bisognava metter le mani sui due cubani al piu presto. Si fermo, meditabondo. Il cadavere era stato fatto a pezzi. Mancavano le gambe e un braccio. Mancava anche la testa. Due uomini potevano portare i pezzi in una valigia senza destare sospetti. Ecco!
La stavano scaricando da qualche parte e presto sarebbero stati di ritorno a ritirare il resto del corpo.
Gli occhi di Fenner si rimpicciolirono. Tutto quello che gli restava da fare, era di aspettarli, e poi fargliela pagare.
Prima che avesse il tempo di decidere se era meglio cercare un telefono e mettersi in contatto con Grosset, o semplicemente aspettare e cavarsela da solo, senti che una macchina si accostava al marciapiede e si fermava; una portiera venne sbattuta.
Rientro silenziosamente nella camera da letto, mentre la rivoltella gli scivolava in mano. Lascio la porta aperta di pochi centimetri.
Udi la porta dell'ingresso principale che veniva aperta e poi richiusa.
Una luce venne accesa nell'ingresso. Usci dalla stanza e sbircio dalla ringhiera. Erano i due cubani. Stavano sul chi va la, in ascolto. Fenner resto dov'era, senza battere ciglio. Portavano entrambi una grossa valigia. Li vide scambiarsi un'occhiata. Poi il piu basso mormoro qualcosa all'altro, che appoggio la valigia per terra e infilo di corsa le scale. Sali cosi in fretta che Fenner non ebbe il tempo di tirarsi indietro.
Il cubano lo vide mentre passava da una rampa all'altra e infilo la mano nella giacca. Fenner scopri i denti in un sorriso crudele e gli sparo tre volte nel ventre. I colpi parevano tre esplosioni, nella casa silenziosa. Il cubano trattenne il fiato in un rantolo e si piego su se stesso, cadendo. Fenner balzo in avanti, lo tolse di mezzo, spostandolo, e si precipito giu per le scale come se stesse tuffandosi in una piscina.
Il cubano piu basso non ebbe il tempo di tagliare la corda. L'improvviso tuono della rivoltella lo aveva paralizzato sul posto, e sebbene la sua mano fosse inconsciamente scesa ai fianchi, non gli riusci di muovere un dito.
Gli ottantotto chili di Fenner gli piombarono addosso come una granata.
Caddero entrambi sul pavimento. Il cubano si era messo a urlare terrorizzato, vedendo qualche cosa precipitare su di lui, e poi si era trovato Fenner addosso.
Il volo sul pavimento fece girar la testa a Fenner, che per un istante rimase talmente intontito da restar immobile sopra il cubano. La rivoltella gli era sfuggita di mano e mentre lottava con le ginocchia, si rese vagamente conto di un acuto dolore al braccio.
Il cubano non si muoveva. Cautamente, Fenner si rialzo in piedi e lo mosse con il piede. La strana angolatura della testa del cubano gli rivelo cio che voleva sapere. Si era rotto l'osso del collo.
Si piego sulle ginocchia e gli frugo le tasche, ma non trovo niente.
Guardo dentro una valigia, ma era vuota. La puzza di sangue che impregnava la fodera confermo la sua ipotesi: stavano portando via il corpo a pezzi.
Raccolse la rivoltella e sali le scale con circospezione per dare un'occhiata all'altro cubano. Era morto stecchito anche lui. Stava raggomitolato in un angolo, la bocca tirata, i denti scoperti. Fenner penso che sembrava un cane rabbioso. Una frettolosa perquisizione non rivelo niente, e Fenner scese le scale di nuovo. Voleva squagliarsela al piu presto. Spense la luce nell'ingresso, apri la porta e usci nella notte.
Fuori, la macchina stava ancora aspettando. Non c'era nessuno dentro, ma Fenner la lascio li. Percorse la strada tenendosi in ombra, e solo quando ebbe raggiunto la folla di Fulton Street, si rilasso.
Un tassi lo riporto in ufficio. Durante la breve corsa, si decise per un piano d'azione. Prese l'ascensore fino al quarto piano e si affretto verso l'ufficio.
C'era la luce accesa, ed esito un attimo prima di entrare. Poi, tenendo la mano sulla rivoltella, giro la maniglia ed entro.
Paula era seduta sulla poltrona, davanti al telefono. Alzo la testa di scatto come se fosse stata svegliata.
«Perche non sei andata a casa?» chiese Fenner, asciutto.
Paula indico il telefono. «Poteva suonare» rispose tranquilla.
Fenner si sedette accanto a lei, stanco.
«Dave, mi dispiace per…» comincio Paula.
«Lascia perdere» l'interruppe Dave, battendole la mano. «Avevi ragione di esplodere. Qualcosa e successo. Quei due cubani hanno preso la ragazza, l'hanno uccisa e fatta a pezzi. Li ho presi mentre la stavano portando via. Sono morti, li ho uccisi io, tutti e due. Non interrompermi. Lascia che ti spieghi tutto subito. La polizia non ne deve sapere niente. Questa e una partita a due, tra me e chi l'ha iniziata. Quei due scagnozzi da pochi soldi erano solo delle pedine. Dai un'occhiata a questa.» Diede a Paula la lettera che aveva trovato nella borsetta di Marian.
Paula la lesse. Impallidi leggermente, ma per il resto era calma. «Key West?» chiese.
Il sorriso di Fenner era glaciale.
«Ti da da pensare?»
Paula era perplessa.
«Quella ragazza voleva trovare sua sorella. Ha affermato di non sapere dove si trovava. Perche non mi ha detto Key West? Vedi, piccola, sembra una trappola. C'e qualcosa di molto strano in questa faccenda.»
«Chi e Pio?» fece Paula, rileggendo la lettera. «E chi e Noolen?»
Fenner scosse il capo. C'era uno sguardo duro nei suoi occhi. «Non lo so, piccola, ma lo scopriro. Quella ragazza mi ha lasciato seimila dollari, e anche se dovessi impiegarli fino all'ultimo centesimo, lo scopriro.»
Ando al telefono e compose un numero. Mentre aspettava che rispondessero, disse tra se: «Ike si rifara del piatto che gli ho fatto perdere.» Domando, quando alzarono il ricevitore: «Ike?» Tacque, poi continuo: «Ditegli che sono Fenner. Ditegli che se non viene immediatamente al telefono, vengo io da lui e lo prendo a calci nelle gengive.» Aspetto ancora, con la scarpa destra che prendeva a calci la gamba della scrivania, nervosamente.
Il ruggito di Ike arrivo sul filo.
«Va bene, va bene» fece l'investigatore. «Al diavolo la partita. Questo e urgente. Voglio trovare qualcuno con cui mettermi in contatto a Key West.
Conosci qualcuno laggiu? Qualcuno che abbia confidenza con i pezzi grossi?»
«Key West?» bofonchio Ike. «Non conosco nessuno a Key West.»
Fenner mostro i denti. «Allora trova subito chi conosce qualcuno. Ritelefonami subito. Aspetto» butto giu il ricevitore.
«Vai laggiu?» domando Paula.
Fenner annui con un cenno. «E lontano, ma credo che la trovero il bandolo della matassa. Forse mi sbaglio, ma preferisco controllare.»
Paula si alzo in piedi. «Vengo con te?»
«Tu resti da queste parti, piccola. Se vedo che succede qualcosa, ti chiamo. In questo momento, sei piu d'aiuto qui. Bisogna badare a Grosset.
Digli che sono andato fuori citta per qualche giorno, ma che non sai dove.»
«Vado a casa tua a prepararti la valigia.»
Fenner annui. «Si» rispose «vai pure.»
Quando Paula fu uscita, apri un cassetto e controllo l'orario degli aerei della Pan-American. C'era un volo per la Florida alle 0.30. Guardo l'orologio. Erano le ventitre e cinque. Se Ike si sbrigava, avrebbe fatto appena in tempo.
Si sedette dietro la scrivania e accese una sigaretta. Dovette aspettare venti minuti prima che il telefono squillasse. Afferro il ricevitore.
«Il tuo uomo si chiama Usignolo» disse Ike. «Ha le mani in molte faccende, laggiu. Trattalo bene, ha un caratterino…»
«Ce l'ho anch'io» replico Fenner, piccato. «Fissagli un appuntamento con me, Ike. Digli che Dave Ross arrivera con il prossimo volo e vuole conoscerlo. Fammi una bella presentazione. Diro a Paula di mandarti un assegno di cinquecento dollari per il tuo disturbo.»
«Certo, certo» la voce di Ike era molto untuosa. «Gli chiedero un appuntamento» e tronco subito la comunicazione.
Fenner compose un altro numero. «Paula?» fece. «Sbrigati con quella valigia. Piglio il volo delle zero trenta. Ci troviamo all'aeroporto al piu presto possibile.»
Apri un cassetto, ne tolse un libretto degli assegni e ne firmo uno per cinquecento dollari. Infilo cappotto e cappello e diede un'occhiata all'ufficio, pensoso. Poi spense l'interruttore della luce e usci, sbattendo la porta alle spalle.