18

Cinque giorni dopo si stava ancora preparando alla partenza. C’era il problema di cosa e chi portare con sé.

Bill era fuori discussione, anche se lui non la pensava così. Lo stesso valeva per Agosto, che ormai parlava solo a monosillabi e passava tutto il suo tempo alle porte della città. Forse mettersi in viaggio le sarebbe servito, ma una sua crisi poteva compromettere l’esito della missione.

Calvin era da escludere perché aveva promesso di restare con Bill finché non si fosse ripreso completamente; poi sarebbe ripartito.

Gene doveva andare con lóro. Cirocco voleva tenerlo sotto controllo, lontano dai titanidi.

Restava Gaby.

— Non puoi lasciarmi qui — disse lei a Cirocco, con decisione. — Io ti seguirò.

— Non ci penso nemmeno a lasciarti, anche se ti sei infatuata di me e io non lo merito. Mi hai salvato la vita, e vorrei farti capire che non lo dimenticherò mai, anche se magari non ti ho ancora ringraziata.

— Non mi interessano i tuoi ringraziamenti. Voglio il tuo amore.

— Questo non posso dartelo, mi spiace. Il fatto è che per i primi cinquanta chilometri ci serviremo di Finefischio. Devi decidere tu.

Gaby impallidì, ma non si perse d’animo. — Ho deciso di venire.

Cirocco annuì. — È una tua libera scelta. Calvin dice che può portarci a livello della zona di tramonto. Gli aerostati non si spingono più in alto perché gli angeli non li hanno in simpatia.

— Allora siamo tu, io e Gene?

— Sì. Sono contenta che tu venga.


Avevano bisogno di parecchie cose, e Cirocco non sapeva esattamente come ottenerle. I titanidi usavano un sistema di baratto, ma i prezzi si basavano su una formula complessa in cui entravano i rapporti di parentela, la posizione in seno alla comunità, e il bisogno puro e semplice. Nessuno moriva di fame, ma gli individui del ceto sociale più basso ricevevano solo cibo, un tetto, e il minimo di ornamenti per il corpo, che i titanidi ritenevano solo leggermente meno importanti del cibo.

C’era pure un sistema di credito e in questo Maestrocantore l’aiutò molto, alzando arbitrariamente il suo livello sociale. Disse che la riteneva sua figlia posteriore spirituale; sostenne addirittura che la città doveva adottarla, data la natura della sua missione.

I titanidi si lasciarono coinvolgere. Prepararono sacchi modellati sul corpo umano. Poi tutti vennero a offrirle le cose migliori che possedevano.

Cirocco aveva deciso che ognuno di loro dovesse portare una massa di cinquanta chili. Le dimensioni erano rilevanti, ma nella gravità di Gea il peso si riduceva a venti chili, e sarebbe diminuito ulteriormente avvicinandosi al mozzo. Gaby disse che lì l’accelerazione centrifuga sarebbe stata pari a un quarantesimo di gravità.

In primo luogo, le corde. I titanidi coltivavano piante da cui ottenevano ottime corde, leggere e robuste. Ognuno di loro poteva portarne un rotolo lungo cento metri.

I titanidi erano ottimi arrampicatori, anche se la loro attività era confinata alle piante. Cirocco discusse con i fonditori per farsi costruire chiodi da roccia e quelli fecero del loro meglio anche se i titanidi non conoscevano l’acciaio. Gene diede un’occhiata ai chiodi e ai moschettoni e scosse la testa.

— È quanto di meglio sono riusciti a fare — disse Cirocco. — Li hanno temperati secondo le mie istruzioni.

— Non è ancora sufficiente. Comunque non preoccuparti — le disse Gaby. — All’interno dei raggi, quali che siano le insidie che nascondono, non può esserci roccia. La roccia non resisterebbe mai alle pressioni che minacciano di fare a pezzi questo mondo. A dire il vero, non conosco nessun materiale abbastanza robusto.

— Il che significa che chi ha costruito Gea sa cose che noi ignoriamo.

Cirocco non era preoccupata. Gli angeli vivevano nei raggi. A meno che non passassero tutta la loro esistenza a volare, dovevano avere qualcosa su cui posarsi, e loro l’avrebbero sfruttata per arrampicarsi.

Ebbero martelli per piantare i chiodi, i più leggeri e robusti che i titanidi fossero riusciti a costruire. Poi accette e coltelli, e coti per affilarli.

Finefischio fornì tre paracadute.

— Vestiti — disse Cirocco. — Che vestiti dobbiamo portare?

Maestrocantore li guardava costernato.

— Noi non ne abbiamo bisogno, come potete vedere — cantò. — Alcuni di noi, quelli a pelo raso, come siete voi, li indossano quando fa freddo. Comunque potremo prepararvi quanto vi serve.

E così i titanidi li rifornirono di vestiti di ogni tipo, tessuti con una stoffa che sembrava seta. Ebbero anche maglioni e pantaloni pesanti di pelo, e mocassini robustissimi. I vestiti occupavano un sacco di spazio, ma Cirocco non fece obiezioni: dovevano essere preparati a qualsiasi evenienza.

Ricevettero sacchi a pelo per la notte, fiammiferi, e una lampada a olio a testa. L’olio di scorta non sarebbe certo durato per tutto il viaggio, ma non sarebbero durati nemmeno il cibo e l’acqua.

— L’acqua — disse Cirocco crucciata. — Quella sarà un grosso problema.

— Be’, lassù ci vivono gli angeli — disse Gaby. — Dovranno pur bere anche loro. — E continuò imperterrita a impaccare il materiale: erano al quinto giorno di preparativi.

— Ma questo non significa che sarà facile trovare sorgenti o pozzi.

— Senti, se cominciamo a preoccuparci di tutto, è inutile partire.

Presero otri sufficienti per una decina di giorni, poi tutto il cibo essiccato possibile. La loro speranza era di riuscire a mangiare quello di cui si nutrivano gli angeli.

Il sesto giorno, tutto era pronto. Le restava soltanto da affrontare Bill. Era depressa pensando alla necessità di dover fare ricorso alla sua autorità ma sapeva anche che avrebbe dovuto farlo se fosse stato necessario.


— Sei pazza — disse Bill, battendo la mano sul letto. — Non hai idea di cosa potresti trovarti di fronte. Credi sul serio di riuscire a scalare una corda lunga quattrocento chilometri?

— Vogliamo vedere se è possibile.

— Finirai con l’ucciderti. Precipiterai giù a mille chilometri l’ora.

— In questa gravità la velocità massima dovrebbe essere di duecento chilometri orari. Bill, se stai cercando di farmi coraggio ci riesci proprio male. — Non lo aveva mai visto così, e non le piaceva.

— Dovremmo restare uniti, e lo sai. Tu continui a voler fare l’eroina solo perché hai perso il Ringmaster.

Quella frase le fece male perché conteneva almeno una parte di verità. Lo sapeva benissimo anche lei, ed era un pensiero che l’aveva tenuta sveglia a lungo.

— E l’aria? Se non ci fosse aria?

— Non vogliamo suicidarci. Se è impossibile, accetteremo la realtà dei fatti. Inutile perdersi in discussioni inutili.

Gli occhi di lui erano imploranti.

— Rocky, ti chiedo solo di aspettarmi. Non ti ho mai chiesto niente, ma adesso te lo chiedo.

Lei sospirò, fece cenno a Gene e Gaby perché li lasciassero soli. Quando loro furono usciti, sedette sull’orlo del letto e cercò di prendergli una mano. Lui la ritirò. Cirocco si alzò di scatto, furiosa con se stessa per aver tentato quell’approccio e con lui per averlo rifiutato.

— Non ti conosco più, Bill — disse piano. — Eppure credevo di conoscerti. Mi sei stato di conforto nei momenti peggiori, e speravo, col tempo, di arrivare ad amarti. Io non mi innamoro facilmente. Forse sono troppo sospettosa, non so. Prima o poi tutti mi chiedono di essere quello che vogliono loro, e tu lo stai facendo ora. Mi verrebbe voglia di urlare.

— Vorrei che lo facessi.

— E perché? Per farmi rientrare nella tua idea di donna? Senti, quando mi hai conosciuta ero il tuo capitano. Non credevo che per te questo fosse così importante.

— Ma di cosa stai parlando?

— Sto parlando del fatto che se io parto, fra noi tutto è finito, perché non aspetterò che tu mi protegga come sempre.

— Non capisco proprio di cosa…

Allora urlò, e si sentì benissimo. Poi riuscì persino a ridere. Bill era sbalordito. Gaby infilò un attimo la testa sulla stanza, poi scomparve quando si rese conto che Cirocco non gradiva presenze estranee.

— D’accordo. Reagisco da isterica. Tutto perché ho perso la mia nave e quindi devo ricoprirmi di gloria per compensazione. Sono frustrata perché non sono riuscita a riunire l’equipaggio e farlo funzionare a dovere, tanto che l’unico uomo che credevo rispettasse le mie decisioni si permette di rimbeccarmi e di dirmi cosa dovrei fare. Sono un tipo strano, lo so. Forse capisco troppo bene quante cose cambierebbe se fossi un uomo. È inevitabile accorgersene, in una posizione come la mia. Diventi molto sensibile quando cose del genere ti succedono in continuazione e ti rendi conto che qualsiasi cosa tu voglia fare devi farla due volte meglio degli altri perché qualcuno le accetti. — Fece una pausa; poi continuò, più calma: — Tu non accetti che io parta. Mi hai fatto presente le tue obiezioni. Mi hai detto che mi ami. Adesso credo che tu non mi ami più, e mi spiace moltissimo che sia finita così. Però ti ordino di aspettarmi qui fino al mio ritorno e di non parlare più con me dell’argomento. La bocca di Bill era tesa in una smorfia dura.

— È perché ti amo che non voglio lasciarti partire.

— Dio, Bill, non voglio un amore del genere. E il peggio è che proprio tu ti stai comportando così. Se non mi accetti per quello che sono, una donna capace di decidere e di badare a se stessa, non mi avrai affatto.

— E tu che amore desideri?

Lei aveva voglia di piangere. — Vorrei saperlo. Forse in una coppia uno dei due deve sempre prendersi cura dell’altro, e allora sarà meglio che mi metta a cercare un uomo che possa dipendere da me, perché è l’unica cosa che posso accettare. Non è possibile fare diversamente? Aiutarsi a vicenda nei momenti in cui si è deboli?

— Tu ti comporti come se non avessi mai debolezze. Hai appena detto che sai badare a te stessa.

— Tutti dovrebbero riuscirci. Ma se credi che io non sia debole, non mi conosci. Adesso sono come una bambina, e sto qui a chiedermi se mi lascerai partire senza darmi un bacio, senza augurarmi buona fortuna.

Le scappò una lacrima, e l’asciugò in fretta. Non voleva che Bill l’accusasse di mettersi a piangere per ricattarlo. "Come faccio a cacciarmi in situazioni come questa?" si chiese. Forte o debole che si sentisse, era sempre sulla difensiva con lui.

Poi Bill si sciolse tanto da darle un bacio. Quando si separarono, sembrava che non avessero più altro da dirsi. Cirocco non capiva quali fossero i suoi sentimenti guardandolo negli occhi. Sapeva che era offeso ma forse lo era più di quanto lei pensasse?

— Torna appena puoi.

— Certo. Non preoccuparti. Sono una pellaccia troppo dura perché riescano a uccidermi.

— Lo so, lo so.


— Due ore, Gaby.

— Lo so, lo so. Non ricordarmelo, vuoi?

Finefischio, immobile sulla pianura a est di Titantown, sembrava ancora più enorme del solito. In genere non scendeva mai più in basso del livello degli alberi. Per convincerlo ad atterrare avevano dovuto spegnere tutti i fuochi in città.

Bill era venuto a salutarla in barella. Agitò le braccia, e lei gli rispose.

— Sto male, Rocky — disse Gaby, battendo i denti. — Parlami.

— Calma, ragazza. E apri gli occhi, se non vedi dove vai. Ehi!

Una decina di animali sbucarono fuori dal ventre di Finefischio, come pendolari impazienti di scendere dal treno. Travolsero Gaby, gettandola a terra.

— Rocky, aiutami! — Gaby era disperata.

— Certo. — Passò il suo sacco a Calvin, che era già salito con Gene, e sollevò Gaby. Era così leggera, e così fredda.

— Due ore — le disse. — Solo due ore.

Si udì uno scalpitio di zoccoli, e al loro fianco apparve Cornamusa, che afferrò il braccio di Gaby.

— Ecco, piccola amica — cantò. — Ti aiuterà a vincere i tuoi problemi. — Il titanide mise una fiaschetta di vino in mano a Gaby.

— Ma come… — disse Cirocco.

— Ho visto la paura nei suoi occhi e ho ricordato l’aiuto che lei ha dato a me. Ho fatto bene?

— Hai fatto meravigliosamente bene, figlia mia. Ti ringrazio a nome suo. — Non le disse che aveva già predisposto una fiasca per intontire Gaby.

— Non vi bacerò, dal momento che volete tornare. Buona fortuna a voi, e che Gea vi rimandi qui.

— Arrivederci. — L’apertura si richiuse silenziosamente.

— Cosa ha detto? — chiese Gaby, quando furono a bordo.

— Vuole che ti ubriachi.

— Ho già bevuto parecchio, ma dato che ci sono…

Cirocco restò con lei mentre Gaby si riempiva di vino fin quasi a perdere i sensi. Quando fu sicura che Gaby fosse ormai partita, raggiunse gli altri nella navicella.

Si stavano già alzando. Una cascata d’acqua scendeva da un foro vicino al naso di Finefischio.

Si sollevarono seguendo il cavo. Guardando giù, Cirocco vide alberi e zone erbose. Grandi superfici del cavo erano completamente ricoperte di vegetazione. Era così grande che sembrava di guardare una pianura. Non ci sarebbe stato pericolo di cadere finché non avessero raggiunto la cima.

La luce cominciò a svanire lentamente. Nel giro di dieci minuti si trovarono in un crepuscolo arancione, diretti verso il buio eterno. A Cirocco dispiacque veder sparire la luce. Era monotona, onnipresente; ma per lo meno era luce. Chissà se l’avrebbe mai rivista.

— Fine del viaggio — disse Calvin. — Adesso ci abbassiamo un po’ per farvi atterrare sul cavo. Buona fortuna, branco di matti. Vi aspetterò.

Gene aiutò Cirocco a infilare Gaby nel paracadute, poi si lanciò per primo per afferrarla quando toccava terra. Cirocco attese finché fosse atterrato, poi diede un bacio beneaugurante a Calvin. Si sistemò il paracadute e lasciò penzolare i piedi oltre l’apertura. Poi scese verso la zona di tramonto.

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