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Dal punto di vista balistico, Temi era un incubo.

Nessuno aveva mai tentato di mettere in orbita un corpo toroidale. Temi aveva un diametro di 1.300 chilometri e una profondità di soli 250 chilometri. Il toro era piatto lungo i margini, e alto 175 chilometri. La densità del toro variava in modo estremo, dal che si poteva dedurre che era composto di uno spesso strato esterno, di un’atmosfera, e di una sottile volta interna che imprigionava l’atmosfera.

Poi c’erano i sei raggi, lunghi 420 chilometri. In sezione trasversale apparivano ellittici, con l’asse maggiore di 100 chilometri e quello minore di 50, tranne vicino alla base, dove si svasavano per raggiungere il toro. Al centro si trovava il mozzo, più massiccio dei raggi: 160 chilometri di diametro con un buco di 100 chilometri al centro.

Un corpo del genere poteva procurare l’esaurimento nervoso al computer della nave, nonché a Bill, che doveva costruire un modello credibile per il computer.

L’orbita più facile sarebbe stata quella sul piano equatoriale di Saturno, perché avrebbero potuto usufruire della velocità che avevano già. Ma non era possibile. L’asse di rotazione di Temi era parallelo al piano equatoriale. Siccome l’asse passava per il buco al centro di Temi, un’orbita sull’equatore di Saturno avrebbe significato per il Ringmaster l’attraversamento di zone in cui l’attrazione gravitazionale sarebbe stata estremamente fluttuante.

L’unica possibilità era un’orbita sul piano equatoriale di Temi. Avrebbe richiesto un dispendio enorme di quantità di moto angolare, però offriva il vantaggio di essere stabile, una volta raggiunta.

La manovra iniziò prima che arrivassero a Saturno. L’ultimo giorno di avvicinamento rifecero i calcoli dell’orbita. Cirocco e Bill avevano a disposizione i computer terrestri, nonché le postazioni di Marte e Giove. Sullo schermo del modulo di comando, nel quale s’erano costretti a vivere, Saturno era sempre più grande. Poi accesero i razzi di correzione.

Durante una pausa, Cirocco accese la telecamera del modulo di comando. Gaby la guardò con un’espressione strana.

— Rocky, non puoi far nulla per questa vibrazione?

— Gaby, il funzionamento del motore è, come dicono loro, nella norma. Ci sta solo scrollando un po’, tutto qui.

— Il miglior momento per osservare le cose di tutto il fottuto viaggio — mormorò Gaby. Bill, seduto dietro Cirocco, scoppiò a ridere.

— Ancora cinque minuti, Gaby — disse. — Credo che dovremo lasciarli accesi un po’ di più di quanto avevamo pianificato. Si esaurirà da solo in tutta tranquillità così.

Quando i razzi si spensero, controllarono per un’ultima volta di trovarsi nella posizione prestabilita.

— Qui è il Ringmaster. Parla il Comandante Jones. Siamo giunti in orbita attorno a Saturno alle milletrecentoquarantuno punto quattrocentocinquantatré, Tempo Universale. Opereremo una correzione di rotta quando riemergeremo da questa faccia del pianeta. Nel frattempo, chiudo questo canale. Azionò con una pacca un interruttore.

— Se volete dare un’occhiata fuori fatelo subito, non avrete altre possibilità.

Anche se era stretto, Agosto, Aprile, Gene e Calvin si affollarono nel modulo di comando. Dopo aver controllato con Gaby, Cirocco fece ruotare la nave di novanta gradi.

Saturno era un foro grigio scuro, ampio diciassette gradi, mille volte più grande della Luna vista dalla terra. Gli anelli avevano un’inclinazione di quaranta gradi e sembravano fatti di metallo solido, brillante.

Il Ringmaster si trovava a nord dell’equatore, per cui avevano davanti la parte superiore degli anelli che splendeva vividamente. Il Sole era un punto di luce brillante a un angolo minimo da Saturno, e si avvicinava sempre di più.

Nessuno disse niente quando il Sole formò l’eclissi. Videro l’ombra di Saturno cadere sulla parte di anelli più vicina a loro, tagliandoli come la lama di un rasoio.

Il tramonto durò quindici secondi. I colori erano profondi e cambiavano in fretta: dal rosso vivo al giallo al blu e al nero. Simili a quelli che si possono vedere da un aereo nella stratosfera.

Nel modulo ci fu un coro di sospiri. Il vetro si depolarizzò e tutti boccheggiarono di nuovo quando gli anelli tornarono a splendere sullo sfondo del blu scuro che circondava l’emisfero nord. Sulla superficie del pianeta apparvero striature grigie, illuminate dallo scintillio degli anelli: sulla superficie c’erano tempeste grandi quanto la Terra.

Quando si decise a distogliere lo sguardo, Cirocco fissò lo schermo alla sua sinistra. Per tutto quel tempo Gaby era rimasta nel modulo scientifico, senza degnare Saturno di un’occhiata.

— Non vuoi venire a goderti lo spettacolo? — le chiese Cirocco.

La vide scrollare la testa. Stava analizzando i numeri che scorrevano sullo schermo.

— Fossi matta. Rilievi come questi non potrò farne mai più.


Entrarono in una lunga orbita ellittica, col punto minimo a 200 chilometri al di sopra del raggio teorico di Temi. Si trattava di un’astrazione matematica perché l’orbita era inclinata di trenta gradi rispetto all’equatore di Temi, il che li metteva al di sopra del lato oscuro. Oltrepassarono il toroide, emersero sul lato chiaro. Temi, adesso, era sotto i loro occhi.

Non che ci fosse molto da vedere. Anche illuminato dal Sole, Temi era nero come lo spazio. Cirocco studiò l’enorme massa della ruota, le grandi vele ad assorbimento solare che raccoglievano le radiazioni luminose e le trasformavano in calore.

Il Ringmaster passò sopra l’interno della ruota. Divennero visibili i raggi e i riflettori solari. Sembravano bui quanto il resto di Temi, tranne quei momenti in cui riflettevano una stella molto brillante.

Il problema che ancora tormentava Cirocco era la mancanza di un’entrata. Dalla Terra li incitavano ad atterrare, e anche lei, per quanto impaurita, lo desiderava.

Doveva esistere una via d’attracco. Nessuno dubitava più che Temi fosse un corpo artificiale. Si discuteva solo se si trattasse di un veicolo interstellare o di un mondo artificiale, come O’Neil Uno. Le differenze stavano nel metodo di propulsione e nelle origini. Un’astronave doveva possedere un motore, che poteva trovarsi nel mozzo. Una colonia poteva essere stata costruita solo da qualcuno che si trovasse nelle vicinanze. Già da tempo si parlava di altre razze intelligenti nel sistema solare. Cirocco non credeva a quei discorsi, ma ormai le sue idee personali non importavano affatto. Nave o colonia, Temi era stato costruito da qualcuno e doveva esistere un punto d’accesso.

Il posto più naturale in cui cercarlo era il mozzo, ma le leggi della balistica la costringevano a stare lontana da questo il più possibile.


Il Ringmaster si inserì in un’orbita circolare, 400 chilometri al di sopra dell’equatore. Stavano viaggiando nella direzione dell’orbita, ma Temi ruotava più in fretta della loro velocità orbitale. Dalla finestra del modulo di comando si vedeva solo una superficie buia. A intervalli regolari uno dei pannelli solari passava sotto i loro occhi, simile all’aula di un mostruoso pipistrello.

Ormai si distingueva qualche particolare della superficie esterna. C’erano strutture lunghe e spigolose che convergevano nei pannelli solari; probabilmente coprivano tubi pieni di fluidi o di gas che dovevano essere riscaldati. Distribuiti a caso fra le tenebre si individuavano pochi crateri, alcuni dei quali profondi 400 metri. Attorno non c’erano detriti: sulla superficie di Temi non poteva resistere niente che non fosse ancorata

Cirocco chiuse il suo pannello di controllo. Alle sue spalle Bill, semiaddormentato, annuì dalla cuccetta. Erano due giorni che i due non lasciavano il modulo di comando.

Distrutta, Cirocco diede un’occhiata a Bill, si alzò e passò nello SCIMOD, come in trance. L’idea di un letto e di un cuscino sembrava quasi assurda.

— Rocky, c’è qualcosa di strano.

Cirocco si immobilizzò sul primo gradino della scaletta.

— Come hai detto? — La sua voce, resa acuta dalla stanchezza, fece alzare il capo a Gaby.

— Scusa, sono stanca anch’io. — Gaby spostò un comando e sullo schermo apparve un’immagine.

Era l’orlo esterno di Temi, sempre più vicino, notevolmente ingrossato da un rigonfiamento.

— Ma quello non c’era prima — disse Cirocco, cercando di vincere la stanchezza.

Sentì un suono vago, in lontananza. Per un attimo lei non riuscì a capire di cosa si trattasse, poi l’adrenalina annullò di colpo gli effetti dello stress: era l’allarme radar del modulo di comando.

— Capitano — disse la voce di Bill dall’altoparlante — ricevo dati strani. Noi non ci stiamo avvicinando a Temi, ma c’è qualcosa che si avvicina a noi.

— Arrivo. — Le sembrava di avere le mani di ghiaccio mentre s’afferrava a un pilone per tirarsi in piedi. Distrutta, tornò a guardare lo schermo. La protuberanza esplose. Sembrava un fiore che si schiudesse, e diventava sempre più grande.

— Adesso si vede bene — disse Gaby. — È ancora attaccato a Temi. Sembra un braccio molto lungo o un bocciolo. Penso…

— I meccanismi d’attracco! — urlò Cirocco. — Vogliono prenderci! Bill, accendi il motore, ferma il carosello, tienti pronto a muovere!

— Ma ci vorrà mezz’ora…

— Lo so. Muoviti!

Si precipitò al suo posto nel modulo di comando e afferrò il microfono.

— Emergenza. Allarme di depressurizzazione. Evacuare il carosello. Entriamo in accelerazione. Allacciare le cinture. — Premette il pulsante d’allarme e la sirena cominciò a ululare alle sue spalle.

— Anche tu, Bill. Forza, infilati la tuta.

Bill borbottò un’obiezione, poi schizzò via. Cirocco gli urlò: — Portami la mia tuta!

Adesso l’oggetto, che si avvicinava velocissimo, si vedeva dalla finestra. Cirocco non si era mai sentita così disperata. Riuscì a mettere in funzione in pochi secondi tutti i razzi laterali del Ringmaster, ma non bastò. L’astronave si mosse appena. Dopo di che, non le rimaneva che starsene seduta a seguire sul monitor le sequenze automatiche dei motori, e contare i secondi. Non ce l’avrebbero mai fatta. Quella cosa era enorme e veloce.

Arrivò Bill, già con la tuta, e lei si trasferì di scatto nel modulo per indossarla. Sulle cuccette di accelerazione, cinque figure anonime fissavano lo schermo. Cirocco infilò il casco e sentì il caos.

— Basta! — Il mormorio scomparve. — Voglio silenzio assoluto su questo canale, a meno che non sia io a chiedervi di parlare.

— Ma cosa sta succedendo, Comandante? — chiese Calvin.

— Ho detto di non parlare. Stiamo per essere raccolti da un’apparecchiatura automatica. Dev’essere l’attrezzatura per l’attracco che stavamo cercando.

— A me sembra che ci stia attaccando — mormorò Agosto.

— Devono averlo già fatto, in passato. Sapranno senz’altro come procedere. — Le sarebbe piaciuto crederci. Ma non servì a rinfrancare la sua credulità quando la nave cominciò a vibrare.

— Contatto — disse Bill. — Ci ha presi.

Cirocco tornò nel modulo di comando, ma non fece in tempo a vedere la cosa che li stava afferrando. La nave sussultò di nuovo, fra rumori atroci provenienti da poppa.

— Che aspetto aveva?

— Sembravano tentacoli di un polpo gigantesco, ma senza ventose. — Bill era scosso. — Ce n’erano a centinaia che ondeggiavano attorno a noi.

La nave emise un gemito ancora più forte. Altri allarmi cominciarono a suonare. Luci rosse lampeggiavano su tutti i comandi.

— Un guasto nell’apparecchiatura esterna — disse Cirocco, con una calma che non provava. — Perdiamo aria dal condotto centrale. Chiudo le porte a pressione quattordici e quindici. — Le sue mani si mossero automaticamente sul pannello di controllo. Pulsanti e indicatori le sembravano lontanissimi, fuori dalla sua portata, come visti dalla parte opposta di un telescopio. L’indice dell’acceleratore scattò in avanti, poi lei si sentì spingere violentemente di lato e andò a finire addosso a Bill.

Mentre tentava di rimettersi sulla sua poltroncina, la nave fece un altro scatto in avanti, peggiore del primo. Qualcosa entrò dal portello alle sue spalle e colpì le paratie, che scricchiolarono coprendosi di una raggiera di screpolature.

Cirocco penzolava sulla poltroncina, tenuta ferma solo dalla cintura. Le passò davanti agli occhi una bombola d’ossigeno. Il vetro della finestra si ruppe; frammenti argentei si misero a volteggiare davanti a lei. Nel modulo di comando, tutto quello che non era fissato volò nell’enorme bocca che fino a poco prima era la finestra panoramica sullo spazio.

Il sangue le pulsava alle tempie. Sotto di lei c’era un gigantesco pozzo nero senza fondo. Oggetti mastodontici volteggiavano pigramente nel chiarore del Sole. Fra gli altri il motore del modulo di discesa del Ringmaster, che non avrebbe dovuto affatto trovarsi lì. Stava andando tutto in pezzi; qualcosa stava distruggendo la sua nave.

— Oh, merda — disse, e di colpo ricordò vividamente la registrazione della conversazione di un pilota di linea con la torre di controllo. Quella era stata l’ultima parola che il pilota aveva mormorato pochi attimi prima dell’impatto, quando lui ormai sapeva che sarebbe morto. Anche lei lo sapeva, e il pensiero la disgustava.

Terrorizzata, restò a guardare quei tentacoli alieni che si protendevano sui motori. Un serbatoio di carburante si ruppe in silenzio. Il suo mondo stava morendo senza un solo urlo. Una nube di gas compresso si disperse subito, e la cosa coi tentacoli parve non accorgersene nemmeno.

Altri tentacoli stringevano altre parti della nave. L’antenna ad alto rendimento sembrò fluttuare via, si muoveva con estrema lentezza mentre colpiva il pavimento sotto lei.

— È vivo — sussurrò Cirocco. — È vivo.

— Cos’hai detto? — Bill cercava di reggersi in equilibrio puntando le mani sul pannello di comando. Era ancora legato alla poltroncina, ma le viti che la fissavano al pavimento erano saltate.

La nave sussultò di nuovo, la poltroncina di Cirocco venne divelta. Lo spigolo del pannello la colpì alle cosce. Lei urlò, cercando di liberarsi.

— Rocky, sta andando tutto in pezzi. — Non era sicura di chi avesse parlato, ma la paura la contagiò. Si spinse all’indietro, riuscì a slacciare la cintura con una mano mentre con l’altra si teneva lontana dal pannello. Rotolò di fianco. La poltroncina venne risucchiata fuori, nello spazio.

Pensava di avere le gambe rotte, ma scoprì di riuscire a muoverle. Con tutte le energie che le restavano tentò di togliere Bill dalla poltroncina. Troppo tardi; aveva gli occhi chiusi, e la fronte e l’interno del casco erano sporchi di sangue. Il corpo di Bill cominciò a scivolare sul pannello di comando. Lei cercò di afferrarlo alla coscia, al polpaccio, allo stivale, ma lui continuò a cadere, in quella tempesta di vetro.


Quando rinvenne, Cirocco si trovò acquattata sotto il pannello. Non riusciva a ricordare come mai fosse finita lì. Però adesso la spinta della decelerazione non era più tanto forte: Temi era riuscito a portare il Ringmaster, o meglio quello che ne restava, alla propria velocità di rotazione.

Nessuno parlava. L’altoparlante del casco le trasmetteva un uragano di respiri, ma nemmeno una parola. Non c’era niente da dire: urla e bestemmie li avevano esauriti. Si alzò in piedi, afferrò l’orlo del boccaporto sopra la sua testa e si avventurò nel caos.

L’illuminazione non funzionava, ma da un ampio squarcio sulla parete del modulo filtrava la luce del Sole.

Cirocco avanzò fra i detriti finché incontrò una figura in tuta. La testa le faceva un male terribile; un occhio si rifiutava di aprirsi.

I danni erano enormi. Ci sarebbe voluto parecchio tempo per ripulire tutto e rimettere la nave in attività.

— Voglio un rapporto completo sui danni dai vari reparti — disse, a nessuno in particolare. — Il Ringmaster non è stato progettato per un trattamento del genere.

Solo tre figure erano in piedi. Qualcuno, inginocchiato in un angolo, stringeva la mano di un compagno sepolto sotto le macerie.

— Non riesco a muovere le gambe. Non ci riesco.

— Chi ha parlato? — urlò Cirocco. Scuotere la testa servì solo a peggiorare il dolore. — Calvin, occupati dei feriti. Io vedo cosa si può fare per la nave.

— Sì, capitano.

Nessuno si mosse, e Cirocco si chiese perché. Stavano tutti guardando lei. Perché?

— Se avete bisogno di me mi trovate in cabina. Non… non mi sento molto bene.

Una delle figure in tuta le si avvicinò. Cirocco, per evitarla, andò a sbattere con il piede contro qualcosa.

— Sta arrivando. È lì. Vedi? Adesso vuole prendere noi.

— Dove?

— Non vedo niente. Oh, Dio. Lo vedo.

— Chi ha parlato? Voglio silenzio su questo canale!

— Attenta! È dietro di te!

— Chi ha parlato? — La faccia le si imperlò di sudore. C’era qualcosa che strisciava alle sue spalle, lo sentiva, ed era una di quelle cose che si insinuano in camera da letto quando le luci sono spente. Non un topo; qualcosa di peggio, qualcosa senza volto, un ammasso di putredine con mani fredde, micidiali, artigliate. Cirocco brancolò in quel buio rossastro, vide un serpente agitarsi davanti a lei, illuminato dal Sole.

C’era tanto silenzio. Perché non si sentiva nemmeno un rumore?

Le sue mani si serrarono su qualcosa di duro. Lo alzò in alto e cominciò a colpire la cosa che si avvicinava.

Ma non moriva. Qualcosa le si avvolse attorno alla vita e cominciò a stringere.

Le figure in tuta si misero a correre nello spazio ristretto, ma i tentacoli le afferrarono tutte, implacabilmente. C’erano tentacoli in ogni angolo. Qualcosa stringeva Cirocco per le gambe, tentava di squarciare il suo corpo. Sentì un dolore che in vita sua non aveva mai provato, ma continuò a colpire e colpire finché non scivolò nell’incoscienza.

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