Gli uccelli neri si scagliarono contro Harker, ma la costrizione che li guidava si spense troppo presto. Le felci e i rampicanti vibrarono convulsi, poi s’immobilizzarono. Gli uccelli neri volarono via con pesanti battiti delle ali. Matt Harker si alzò in piedi. Era probabile che il popolo dei fiori mantenesse un contatto mentale molto intimo, ma forse non avrebbero notato l’assenza di Fiordaliso per un po’. Forse non sbirciavano nei suoi pensieri perché lui era il giocattolo di Fiordaliso. Forse…
Cominciò a correre verso le rupi, verso il punto dov’era il termine. Si tenne quanto più possibile sui tratti aperti, lontano dagli alberi e dai cespugli. Evitò accuratamente di guardare, prima di allontanarsi, ciò che adesso giaceva ai suoi piedi.
Era ormai vicino alla sua destinazione, quando seppe di essere stato individuato. Gli uccelli neri tornarono indietro, sfrecciando verso di lui sulle ali sibilanti. Harker raccolse un ramo secco per respingerli, ma questo gli si sbriciolò tra le mani. Telecinesi. Il potere della mente sulla materia. Una volta Harker aveva letto che si poteva sempre vincere ai dadi, pensando intensamente alla posizione in cui si volevano far cadere. Desiderò poter concepire un fulminatore col pensiero…
Becchi adunchi gli lacerarono le braccia. Si coprì il volto e, afferrato uno degli uccelli per il collo, l’uccise. L’altro urlò, e questa volta Harker non fu altrettanto fortunato. Quand’ebbe infine ucciso anche il secondo, aveva abbondantemente assaggiato i suoi artigli, e aveva le guance incise da solchi sanguinolenti. Riprese a correre.
I cespugli si piegavano di scatto verso di lui mentre passava. Rami spinosi si allungavano. Rampicanti balzavano su come serpenti dall’erba, e ogni filo d’erba puntava come un coltello a trafiggergli i piedi. Ma, ormai aveva raggiunto le rupi: davanti a lui si apriva una distesa brulla, e l’erba e i cespugli mancavano quasi del tutto.
Seppe di esser vicino al termine quando ne sentì l’odore. La fragranza dolciastra dei fiori appassiti, con sotto un acre odore di marcio e di morte. Gridò il nome di McLaren, atterrito all’idea che potesse non esserci nessuna risposta… e quasi si afflosciò per il sollievo quando la risposta vi fu. Scavalcò di corsa alcune rocce franose in direzione di quel suono. Un piccolo rampicante gli attorcigliò intorno a un piede e lo fece cadere. Harker lo strappò, con le radici, dalla fenditura poco profonda da cui sporgeva, e proseguì. Quando si voltò a guardare dietro di sé, vide un sottile velo bianco, una piccola chiazza lontana a mezz’aria, che stava avanzando verso di lui.
Giunse infine al termine.
Era un canyon dalla sezione quadrata, profondo, le pareti a picco, così da assomigliare a un ampio pozzo. In fondo ad esso, i corpi inerti in esso gettati formavano un mucchio spugnoso e secco. Corpi vegetali senza più nessun colore, vizzi e ingrigiti, un’incredibile coacervo in decomposizione.
McLaren giaceva in cima al mucchio, in apparenza illeso. I due zaini erano accanto a lui, con le armi. Sparsi sopra il mucchio, seduti o distesi, che si muovevano appena, c’erano quelli in attesa, come aveva detto Fiordaliso, di fermarsi. Qui c’erano i vecchi, gli sbiaditi e consunti, gli imperfetti e i feriti, gettati in un luogo in cui tali brutture non potevano offendere nessuno. Naturalmente, parevano tutti quasi morti, ormai. Non prestavano nessun attenzione né agli uomini, né ai loro simili. Riuscivano a sopravvivere ancora per un po’ soltanto grazie alle pure energie vegetative, allo stesso modo in cui un geranio resta fiorito ancora un po’, dopo che il suo stelo è stato reciso.
«Matt», disse McLaren, «oh, Dio, Matt… sono contento di vederti!»
«Stai bene?»
«Sicuro. Anche la mia gamba sta molto meglio. Puoi tirarmi fuori?»
«Lancia quassù quegli zaini».
McLaren obbedi. Anche lui si trovò contagiato dalla febbrile urgenza di Harker, e soprattutto alla vista del sangue che colava giù dal viso dilaniato dell’amico, che faceva presagire qualcosa di brutto. Harker gli spiegò in fretta l’accaduto, mentre tirava fuori una delle corde, usandola subito dopo per tirar fuori McLaren, di peso, dal pozzo. Adesso la nebbia bianca si era fatta vicina… troppo vicina.
«Riesci a camminare?» gli chiese Harker.
McLaren fissò la nube lanuginosa. Harker gli aveva detto cos’era. «Ce la faccio», annuì. «Ce la farei a correre come il demonio».
Harker gli porse la corda. «Vai sul lato opposto del pozzo proprio sul lato opposto, hai capito?» Aiutò McLaren a infilarsi lo zaino. «Tienti sulla roccia spoglia… e stai pronto a tirarmi su con la corda».
McLaren si allontanò. Zoppicava molto e aveva il volto contorto dal dolore. Harker imprecò. Ora la nube era così vicina che riusciva a distinguere i milioni di semi che galleggiavano sulle loro ali seriche, lanugine di cardo guidata dalle menti del popolo dei fiori, giù nella valle. Si affibbiò le cinghie dello zaino e cominciò ad avvolgere bende e ciuffi d’erba morta intorno alla punta d’osso d’una delle lance che aveva recuperato. L’orlo della nube gli era quasi addosso quando fece scoccare una scintilla dentro la torcia improvvisata, per poi balzare dentro al mucchio di creature-fiore morte, nel pozzo.
Sprofondò dentro quella superficie traditrice, lottando per passarvi attraverso, mentre appiccava il fuoco con la torcia. La materia appassita, secca, s’incendiò. Harker continuò ad allargare la cortina di fiamme fino all’opposta parete rocciosa, poi si guardò alle spalle. Le creature morenti non si erano mosse, neppure quando il fuoco le aveva avvolte. Sopra la sua testa, l’orlo della nuvola di semi avvampava crepitando, agitandosi alla cieca sopra il fuoco. Vi fu un pallido lampo di luce, e la nube comparve in uno sbuffo di fumo.
«Rory!» urlò Harker. «Rory!»
Per un lungo minuto rimase là sotto, tossendo, soffocando in mezzo al fumo, sentendo la vampa delle fiamme tutt’intorno, che gli arrostiva la pelle. Poi, quand’era quasi troppo tardi, il volto sudato di McLaren comparve sopra di lui, e la corda scese giù come un serpente. Lingue di fuoco gli lambirono rabbiose la schiena, mentre si arrampicava rapido come una scimmia lungo la parete a picco.
Si allontanarono dal pozzo, salendo ancor più in alto sul terreno roccioso, colpendo di tanto in tanto coi coltelli gli arbusti e i rampicanti che non riuscivano ad evitare. McLaren rabbrividì.
«Ma è impossibile…» esclamò. «Come ci riescono?»
«Sono cugini di sangue. O forse dovrei dire di linfa. Credo che sia più o meno come un collegamento radio: basta trasmettere sulla frequenza giusta. Ecco, fermiamoci qui per un attimo».
McLaren si lasciò cadere al suolo con un sospiro di sollievo. Il sangue filtrava attraverso le bende ben strette, là dove Harker gli aveva inciso il gonfiore prodotto dalla ferita. Harker tornò a guardarsi indietro, verso la valle.
Il popolo dei fiori si era sparpagliato per un ampio tratto, in un ampio schieramento curvo, le vivide teste multicolori si stagliavano con chiarezza contro il verde del pianoro. Harker immaginò che avrebbero tenuto il passo sotto stretta sorveglianza. Immaginò che avessero saputo tutto quello che gli era passato per la mente, allo stesso modo in cui l’aveva saputo Fiordaliso. Una sorta di comunismo, una mente per tutti e tutti per una mente. Si rese subito conto che, anche senza la menomazione di McLaren, non ce l’avrebbero mai fatta ad arrivare al passo. Neppure un sorcio ce l’avrebbe fatta.
Harker si chiese quanto tempo ci sarebbe voluto prima che arrivasse la prossima nube di semi.
«Cosa possiamo fare, Matt? C’è qualche modo…» McLaren non stava pensando a se stesso. Stava guardando la valle allo stesso modo in cui Lucifero avrebbe occhieggiato con bramosia verso il Paradiso, e stava pensando a Viki… non a Viki soltanto, ma a Viki come simbolo di tremilaottocento nomadi umani sulla superficie di Venere.
«Non so», Harker rispose. «Il passo è da escludere, e la galleria del fiume anche… Ehi! Non ricordi quando abbiamo combattuto contro quelle bestiacce lì al fiume, e tu quasi hai provocato un crollo scagliando pezzi di roccia? Là c’era una faglia, proprio sopra il bordo del lago. Una lunga fessura causata da un terremoto. Se soltanto potessimo arrivarci da sopra e farla precipitar giù…»
Ci volle un minuto prima che McLaren capisse. Sgranò gli occhi. «Una frana che sbarrasse il lago…»
«Se il livello s’innalzasse abbastanza, i nuotatori potrebbero uscir fuori». Harker fissò gli occhi brucianti sulle teste oscillanti del popolo dei fiori, là in fondo alla valle.
«Ma, Matt, se la valle verrà allagata e quelle bestiacce prenderanno il sopravvento, che vantaggio ne trarranno i nostri?»
«Non ci sarà poi una gran frana, non credo. La roccia è solida su entrambi i lati della faglia. E, in ogni caso, il peso della gran massa di acqua trattenuta quassù spingerebbe via qualunque cosa, perfino una diga di cemento armato, nel giro d’un paio di settimane». Harker studiò con attenzione il profilo della valle. «Vedi laggiù com’è il pendio? Anche se la frana non venisse spazzata via dall’acqua, un po’ di scavi basterebbero a scaricare l’inondazione giù per il passo. Non faremmo altro che creare un nuovo fiume… anzi, una nuova cascata».
«Forse», annui McLaren. «Anzi, sì, immagino di si. Ma rimarranno pur sempre i nuotatori, i pianni. Non credo che sarebbero molto più disposti di queste maledette creature-fiori a rinunciare a questa terra». Il tono della sua voce diceva chiaramente che avrebbe preferito di gran lunga combattere contro la gente di Fiordaliso, piuttosto che con le creature della caverna.
La bocca di Harker si torse in un lento sogghigno. «Rory, i nuotatori sono creature acquatiche. Anfibie. Inoltre hanno vissuto sottoterra nella più totale oscurità, Dio sa per quanto tempo. Sai bene cosa succede a un verme per pescatori quando lo tiri fuori alla luce. Sai cosa succede a un fungo che cresce al buio». Si passò le dita, quasi con reverenza, sulla pelle. «Hai notato niente su di te, Rory? Oppure sei stato troppo occupato?»
McLaren lo fissò. Si sfregò la pelle e sussultò; se la sfregò di nuovo, notando come sulla sua pelle si formassero dei lividi bianchi che sparivano subito.
«Il sole mi ha scottato», esclamò, pieno di meraviglia. «Mio Dio, il sole mi ha scottato!»
Harker si alzò in piedi: «Andiamo a dare un’occhiata». Là sotto le teste dei fiori erano in preda a una viva agitazione. «Non gli piace questo pensiero, Rory. Forse si può fare… e loro lo sanno».
McLaren si alzò, appoggiandosi a una delle corte lance come a un bastone. «Matt, non ce lo lasceranno fare».
Harker corrugò la fronte. «Fiordaliso ha detto che c’erano altri modi oltre ai semi…» Si girò di scatto. «Non serve a niente star qui a preoccuparsi».
Ripresero l’arrampicata, molto lenta, a causa di McLaren. Harker cercò di calcolare il punto in cui si trovavano, rispetto alla caverna sottostante. Il fiume costituiva una buona traccia. Qui le rocce erano quasi prive di vegetazione, il che era una benedizione. Tornò a guardare, ma non vide niente di minaccioso che stesse arrivando dalla valle. Adesso il popolo dei fiori era ridotto a lontani punti di colore, immobili.
D’un tratto la formazione rocciosa cambiò. Antichi terremoti avevano lasciato cicatrici in forma di strati contorti, grandi lastre di granito inclinate, in precario equilibrio come danzatori, e fessure che sprofondavano nel buio.
Harker si fermò. «Ecco, ci siamo. Ascolta, Rory. Voglio che tu vada lassù, in alto, fuori dall’area pericolosa…»
«Matt, io…»
«Chiudi il becco. Uno di noi deve restar vivo per informare le navi, non appena sarà riuscito a uscir fuori dalla valle. Non c’è molta fretta, e ce la farai ad arrivare in tre… o quattro giorni. Tu…»
«Ma perché io? Tu sei molto più bravo di me, qui in montagna…»
«Tu sei sposato», l’interruppe Matt, brusco. «Basterà uno soltanto di noi a spinger giù un paio di quei grossi lastroni. Praticamente, sono lì pronti a cader giù sotto il loro stesso peso. Forse non accadrà nulla. Forse ne uscirò vivo. Ma sarebbe davvero sciocco se corressimo tutti e due il rischio, non trovi?»
«Sì. Ma, Matt…»
«Ascolta, figliolo». La voce di Harker si era fatta stranamente gentile. «So quello che sto facendo. Porta i miei saluti a Viki e…»
S’interruppe con un acuto grido di dolore. Abbassò gli occhi, incredulo, e vide il proprio corpo coperto da tante esitanti fiammelle, che guizzavano, si spegnevano, ma lasciavano le loro rosse impronte.
McLaren stava sperimentando la stessa cosa.
Si guardarono negli occhi. Un terrore impotente afferrò Harker alla gola. Di nuovo la telecinesi. Il popolo dei fiori ora li aggrediva con la loro stessa arma. Avevano visto il fuoco e ciò che faceva, e stavano copiando il processo nella loro mente, concentrando tutti insieme l’intera forza mentale della colonia sui due umani. Harker capiva perfino perché la stavano concentrando sulla pelle: avevano colto il pensiero della bruciatura solare, e l’avevano applicato alla lettera.
Il fuoco. Combustione spontanea. Una reazione semplice e facile, se si conosceva il trucco. C’era qualcosa a proposito d’un roveto che bruciava…
L’attacco si ripeté, e con più forza. Adesso il popolo dei fiori stava prendendoci mano. Faceva male. Oh, Dio, se faceva male! McLaren urlò. Il suo perizoma e le bende cominciavano a fumare.
Cosa fare? pensò Harker, frenetico, presto, dimmi cosa fare…
Il popolo dei fiori riusciva a mettersi a fuoco sugli umani attraverso la loro mente cosciente. Forse non potevano arrivare con altrettanta facilità al subconscio, ai suoi simboli, alle sue immagini troppo vaghe. Forse, se Rory non avesse più pensato secondo un pensiero cosciente, non avrebbero più potuto concentrarsi su di lui…
Un’altra vampata di dolore bruciante, straziante. Fra un attimo avrebbero raggiunto una mortale efficacia, rinnovando i loro attacchi fino a quando…
Senza preavviso, Harker colpi con violenza McLaren alla mascella, e lo trascinò più in alto, là dove la roccia era solida, compatta. Fece tutto questo con rapidità ed energia stupefacenti. Non c’era nessun bisogno che salvasse se stesso. Non avrebbe avuto bisogno di se stesso ancor per molto.
Si allontanò più o meno d’un trentina di metri, sempre con gli occhi fissi su McLaren. Un terzo attacco lo colpi: si sentì stordito e nauseato, e quasi cadde al suolo. Rory McLaren, questa volta, non era stato toccato.
Harker sorrise. Si girò e tornò indietro di corsa verso il punto franoso in mezzo ai dirupi. Una parte del suo pensiero cosciente si era concentrato su quell’idea con tale intensità che il suo corpo gli obbedì automaticamente, senza fermarsi neppure quando le fiamme investirono ancora, e ancora, la sua pelle, ravvivandosi, crescendo, rafforzandosi sempre più man mano le energie mentali del popolo di Fiordaliso si fondevano insieme sempre meglio, in forma sempre più completa. Abbatté un tentennante colosso di pietra, e l’urto ne smosse un altro. Harker ne raggiunse barcollando un terzo, appoggiato su un letto scivoloso di scisto, spinse con tutte le sue forze e anche di più, e anch’esso crollò con un fragore di tuono.
Harker cadde. L’universo si dissolse in un caos ruggente, al di là d’un vivido velo di fiamma e all’acre odore di carne bruciata. A quel punto, una cosa soltanto era chiara nella mente di Harker, un’immagine prodotta dalla seconda porzione della sua coscienza, collegata alla prima e perfino più forte di questa.
L’immagine che portò con sé nella morte era un’alta montagna incappucciata di candida neve che risplendeva, abbacinante, al sole.
Era notte. Rory McLaren giaceva prono su una sporgenza sopra la valle. Sotto di lui, la valle scompariva in un’immensa distesa d’ombra color indaco, ma c’era un nuovo, lontano fragore: un rabbioso, fremente turbinio dell’acqua.
E c’era anche nuova vita. Cavalcava la cresta delle acque inondanti, ardendo dorata nerazzurro cupo della notte, risplendenti giganti che ritornavano, vendicativi, al loro antico luogo d’origine. Grandi chiazze di avvampante fosforescenza, dalla sfumatura di gioielli, punteggiavano le acque: i fiori cacciatori, scatenati all’inseguimento delle prede. E fra essi, nelle mille evoluzioni d’un gioco mortale, guizzavano i piccoli dei nuotatori. McLaren contemplò la caccia al popolo della foresta. Per tutta la notte guardò, tremando per la paura, mentre i titani dorati riscuotevano il pagamento delle molte epoche trascorse nel buio. All’alba era tutto finito. E poi, durante il giorno successivo, vide morire i nuotatori.
Il fiume, ripiegatosi su se stesso, gl’impediva di far ritorno alle caverne. E l’intensa, vivida luce esterna li abbatteva. Dapprima i nuotatori si rivolsero ad essa, salutandola con patetica gioia. Poi si resero conto…
McLaren guardò altrove. Aspettò, riposando, fino a quando, come Harker aveva predetto, la barriera rocciosa fu spazzata via dal tremento peso dell’acqua accumulata, e il grande lago che aveva invaso la valle tornò a vuotarsi, e il fiume riprese a scorrere normalmente. Quando McLaren raggiunse il passo tra le rocce, la valle già si stava prosciugando.
McLaren alzò lo sguardo verso le montagne e respirò il vento fresco e salubre, e provò una grande vergogna e umiltà per trovarsi lì, a far questo.
Guardò verso la caverna, dove Sim era morto, e le rupi sovrastanti, che avevano sepolto i resti di Matt Harker. Gli parve di dover dire qualcosa, ma non gli vennero le parole, il suo petto era così gonfio che riusciva appena a respirare. Si voltò, e discese in silenzio il passo roccioso verso il Mare degli Opali Mattutini e i tremilaottocento nomadi che avevano trovato una casa.