IV

La piccola creatura color mattone doveva sentirsi più a disagio di quanto il suo comportamento tradiva. La temperatura ambientale era stata accuratamente regolata in base alle sue esigenze, il che faceva grondar di sudore i suoi compagni umani, nonostante avessero le camicie sbottonate.

La sua voce sottile risuonò, sillabando con cura: «È molto umido ma non insopportabile, a una temperatura così bassa».

Antyok sorrise: «È stato cortese da parte sua venire. Avevo progettato di farle visita, ma anche un breve tragitto nella vostra atmosfera, là fuori…» Il suo sorriso prese una piega dolente.

«Oh, non importa. Voi abitanti di altri mondi avete fatto per noi molto più di quanto saremmo stati capaci di fare per noi stessi. Al confronto, è ben piccolo il disagio che qui mi trovo doverosamente a sopportare». Il suo linguaggio era sempre circonvoluto, come se l’etichetta gli vietasse di esprimersi con franchezza».

Gustiv Bannerd, seduto in un angolo della stanza, le lunghe gambe incrociate, buttò giù alcuni rapidi appunti e chiese: «Non le dispiace se registro tutto quello che vien detto?»

Il cefeide non-umano fissò per un attimo il giornalista: «Non ho nessuna obiezione».

Antyok, sempre con l’aria di volersi scusare di chissà quale torto, insisté: «Questo non è un puro incontro di cortesia, signore. Non l’avremmo certo costretta a sopportare tanto disagio per una cosa del genere. Vi sono importanti questioni da discutere e lei è il capo del suo popolo».

Il cefeide annui: «La vostra gentilezza è quanto di meglio io possa desiderare. Prego, procedete».

L’amministratore quasi si contorse per la difficoltà che trovò a dar corpo ai propri pensieri: «È una questione delicata», cominciò. «E mai mi sarei permesso di sollevarla se non fosse per la grande importanza del… uh… del problema. Io sono soltanto il portavoce del mio governo…»

«Il mio popolo giudica oltremodo benevolo il governo del vostro mondo».

«Uhm, sì, siamo gentili. E proprio per questo il mio governo è assai turbato perché il suo popolo non genera più».

Antyok fece una pausa, e attese, angosciato, una reazione… che non ci fu. Il volto del cefeide era immobile, salvo per il lieve pulsare del raggrinzimento sopra la sua bocca che era il tubo retrattile, ora sgonfio.

Antyok riprese: «È una domanda che abbiamo esitato a farle a causa della sua natura estremamente personale. Il principio della non-interferenza ispira ogni atto del mio governo, e noi abbiamo fatto del nostro meglio per indagare sul problema con estrema circospezione, senza turbare la sua gente. Ma, ad esser franchi, noi…»

«Avete fallito?» concluse per lui il cefeide.

«Sì. O quanto meno non abbiamo scoperto nessun apprezzabile errore nella scrupolosa riproduzione dell’ambiente del vostro mondo originario, naturalmente con le modifiche indispensabili a renderlo più abitabile. Ora, ci siamo convinti che debbano esserci delle carenze chimiche, e perciò le chiediamo il suo aiuto… volontario, s’intende. Ma se lei non vuole, se decide di non…»

«No, no, io voglio aiutarvi». Il cefeide pareva assai ben disposto. Sul suo cranio glabro, la pelle continuava a raggrinzirsi e a rilassarsi, la risposta aliena all’emozione di un’altra razza. «Nessuno di noi avrebbe immaginato che si trattasse d’una questione che potesse turbare voi, abitanti d’un altro mondo. Il fatto che siate turbati per noi, è un’ulteriore conferma delle vostre intenzioni gentili. Questo nuovo mondo noi lo troviamo congeniale, un paradiso se confrontato col nostro mondo di un tempo. Non gli manca niente. Le sue condizioni ambientali sono quelle che noi abbiamo sempre ricordato nelle nostre leggende dell’Età dell’Oro».

«Be’…»

«Ma c’è qualcosa… qualcosa che forse voi non siete in grado di capire. Non possiamo aspettarci che intelligenze diverse pensino in maniera uguale».

«Cercherò di capire».

La voce del cefeide si fece più sottile e levigata, quasi liquida: «Sul nostro mondo nativo stavamo morendo, ma lottavamo. La nostra scienza sviluppatasi lungo il corso d’una storia più antica della vostra, era perdente… ma non si dava ancora per sconfitta. Forse perché la nostra scienza era intrinsecamente più biologica che fisica, come invece è la vostra. Il vostro popolo ha scoperto nuove forme di energia e ha raggiunto le stelle. La nostra gente aveva scoperto nuove verità psicologiche e psichiatriche, creando una società libera dalle malattie dal crimine.

«Non è qui il caso di discutere su quale dei due angoli di approccio sia stato più apprezzabile, ma non c’è incertezza su quale si sia dimostrato, alla fine, di maggior successo. Sul nostro mondo morente, pur senza mezzi sufficienti per vivere né fonti d’energia, la nostra scienza biologica poteva soltanto renderci più facile la morte.

«Eppure lottammo. Già da molti secoli stavamo avanzando, brancolando, verso i principi basilari dell’energia atomica, e seppure con gran lentezza avevamo visto baluginare davanti a noi la speranza di riuscire un giorno a infrangere i limiti bidimensionali della nostra superficie planetaria, raggiungendo le stelle. Non c’erano altri pianeti nel nostro sistema solare che potessero servirci da trampolino. Niente, soltanto venti anniluce fino alla stella più vicina… e neppure sapevamo se esistessero altri sistemi planetari, semmai tutto stava a indicare il contrario.

«Ma c’è qualcosa, una scintilla in ogni forma di vita che insiste a lottare perfino quando tutto sembra inutile. Negli ultimi giorni, sul nostro mondo eravamo rimasti soltanto in cinquemila. E la nostra prima nave era pronta: solo un modello sperimentale, probabilmente destinato all’insuccesso. Ma tutti i princìpi della propulsione e della navigazione spaziale erano stati da noi elaborati in modo corretto».

Vi fu una lunga pausa, e i piccoli occhi neri del cefeide fissavano il vuoto, all’inseguimento di quel ricordo.

Il giornalista si fece vivo dal suo angolo: «E poi arrivammo noi?»

«E poi arrivaste voi», annui con semplicità il cefeide. «Questo cambiò tutto. L’energia che ci serviva… non dovevamo far altro che chiederla. Un nuovo mondo, un mondo ideale, perfettamente adatto a noi, fu nostro senza che neppure dovessimo chiederlo. Se noi, da lungo tempo, avevamo risolto da soli i nostri problemi sociali, i nostri più difficili problemi ambientali furono risolti da voi in modo altrettanto completo».

«Allora?» lo sollecitò Antyok.

«Bene… cioè, per qualche motivo non fu un bene. Per secoli i nostri antenati avevano lottato per raggiungere le stelle, e adesso, d’un tratto, scoprivamo che le stelle erano proprietà d’altri. Avevamo lottato per la vita, e questa ci veniva offerta in dono da altri. Non c’era più nessun motivo per lottare. Non c’era più niente a cui mirare. Tutto l’universo è proprietà della vostra specie».

«Questo mondo è vostro», disse Antyok, gentilmente.

«Per compassione… È un dono. Non è nostro di diritto».

«Io credo che ve lo siate guadagnato».

Ora gli occhi del cefeide si appuntarono su di lui: «Le vostre intenzioni sono buone, ma dubito che comprendiate. Non abbiamo nessun posto dove andare, salvo questo mondo donatoci. Siamo in un vicolo cieco. La funzione basilare della vita è la lotta, e questa ci è stata tolta. La vita non ha più interesse per noi. Non abbiamo più figli… di nostra volontà. È il nostro modo di toglierci dalla vostra strada».


Distrattamente Antyok aveva tolto il globo fluorescente dal davanzale della finestra e lo stava facendo roteare sul supporto. La liscia sfera di circa un metro di diametro irradiò luce, mentre sembrava ondeggiare con grazia incongrua, senza peso, a mezz’aria.

Antyok chiese: «È questa la vostra soluzione? La sterilità?»

«Potremmo fuggire ancora», mormorò il cefeide. «Ma dove mai nella Galassia esiste un posto per noi? È tutta vostra».

«Sì, non c’è posto per voi più vicino delle Nubi di Magellano, se desiderate l’indipendenza. Le Nubi di Magellano…»

«E voi non ci lascereste partire. Le vostre intenzioni sono buone, lo so».

«Sì, le nostre intenzioni sono buone… e non potremmo mai lasciarvi andare».

«È una gentilezza… sbagliata».

«Forse. Ma non c’è altro modo di riconciliarvi con voi stessi? Avete tutto un mondo per voi».

«È qualcosa che va più in là delle migliori spiegazioni. La vostra mente è diversa. Non potremmo mai riconciliarci con noi stessi. E io credo, amministratore, che lei abbia già analizzato a fondo ogni aspetto della situazione. Il concetto del vicolo cieco in cui ci troviamo intrappolati non le è nuovo».

Antyok alzò gli occhi, sorpreso. Con una mano arrestò la rotazione del globo fluorescente. «Può leggermi il pensiero?»

«È soltanto una congettura. Anche se buona, credo».

«Sì… ma può leggermi nella mente? Voglio dire, nella mente degli umani in generale? È un punto di grande interesse per noi. I nostri scienziati dicono che non potete, ma a volte mi chiedo se non sia soltanto perché non volete farlo. Può rispondermi? Ma forse la sto forzando indebitamente…»

«No, no…» Il piccolo cefeide si strinse ancora di più addosso l’indumento che l’avvolgeva e affondò il viso per un attimo nell’imbottitura del collare riscaldato a elettricità. «Voi, di altri mondi, parlate di leggere il pensiero. Non è affatto così, ma è certo un’impresa disperata spiegarlo».

Antyok bofonchiò l’antico proverbio: «Non si può spiegare la vista a chi è cieco dalla nascita».

«Sì. Proprio così. Questo senso che voi chiamate "lettura del pensiero" in maniera del tutto erronea, non può essere applicato a noi. Non è che noi non possiamo ricevere le giuste sensazioni, ma la vostra gente non le trasmette, e noi non abbiamo nessun modo per spiegarvi come dovreste fare».

«Uhmmmmm…»

«Vi sono naturalmente momenti di forte concentrazione e tensione emotiva da parte d’un abitante d’altri mondi, in cui qualcuno di noi, tra i più esperti nell’uso di questo senso, dotati d’un occhio più acuto per così dire, avverte vagamente qualcosa. Ma è molto vago; eppure io stesso mi sono a volte chiesto…»

Cautamente, Antyok riprese a far girare il globo fluorescente. Il suo volto roseo era assorto, i suoi occhi fissi sul cefeide. Gustiv Bannerd stiracchiò le dita e rilesse i suoi appunti, muovendo silenziosamente le labbra.

Il globo fluorescente ruotò, e un po’ per volta anche il cefeide parve diventare più teso, man mano i suoi occhi seguivano il colorato vorticare della liscia superficie del globo.

Il cefeide chiese: «Cos’è?»

Antyok trasalì. Il suo volto si distese del tutto, acquistando una placidità quasi ilare. «Questo? Una moda galattica di tre anni fa, il che significa che oggi è una reliquia fuori moda senza più nessuna speranza di successo. È un congegno del tutto inutile, ma grazioso. Bannerd, potrebbe opacizzare le finestre?»

Si udì un lieve click, e le finestre divennero chiazze di oscurità, mentre al centro della stanza il globo divenne, d’un tratto, il punto focale d’un roseo fulgore che parve scagliare verso l’esterno un turbinio di stelle filanti. Antyok, una figura scarlatta in una stanza scarlatta, l’appoggiò sul tavolo e continuò a farlo girare con una mano che grondava di rosso. Mentre il globo girava, i colori cambiarono con crescente rapidità, per poi fondersi e scindersi di nuovo in una serie di contrasti ancora più estremi.

Antyok stava parlando immerso in quello che sembrava un arcobaleno liquido, in continuo cambiamento: «La superficie è costituita da una sostanza che emana una fluorescenza variabile. È quasi senza peso, d’una fragilità estrema, ma giroscopicamente equilibrato, così basta un minimo di attenzione perché non cada mai a terra. È piuttosto grazioso, no?»

Da qualche punto della stanza giunse la voce del cefeide: «Estremamente grazioso».

«Ma ha superato l’epoca in cui era il benvenuto. È vissuto più di quanto la moda gli permettesse di esistere».

La voce del cefeide risuonò ancora, più vaga e astratta: «È molto grazioso».

Bannerd con un gesto riaccese le luci e i colori svanirono.

Il cefeide commentò: «È qualcosa che piacerebbe alla mia gente». Fissò il globo affascinato.

Ora Antyok si alzò: «Farà meglio ad andare, adesso. Se si fermerà più a lungo, quest’atmosfera potrebbe avere degli effetti nocivi su di lei. La ringrazio umilmente per la sua gentilezza».

«Ed io per la sua». Il cefeide si alzò a sua volta.

Antyok riprese: «A proposito, la maggior parte della sua gente ha accettato la nostra offerta di studiare la struttura e il funzionamento delle nostre moderne astronavi. Suppongo che lei capisca che il nostro scopo era quello di studiare le reazioni della sua gente alla nostra tecnologia. Confido che ciò soddisfi il vostro senso di correttezza».

«Non deve scusarsi. Anche se non ho la costituzione fisica e mentale di un pilota umano, ho trovato la cosa molto interessante. Mi ha riportato alla memoria i nostri sforzi d’un tempo, facendomi ricordare quanto fossimo vicini alla giusta soluzione».

Il cefeide se ne andò. Antyok restò seduto, corrugando la fronte.

«Bene», disse infine, rivolgendosi un po’ bruscamente a Bannerd. «Lei ricorda il nostro accordo, spero. Questo colloquio non dev’essere pubblicato».

Bannerd scrollò le spalle: «D’accordo».

Antyok era sempre seduto, e stava giocherellando con una statuina di metallo sul tavolo. «Cosa ne pensa di tutto ciò, Bannerd?»

«Mi spiace per loro. Credo di capire ciò che provano. Dobbiamo educarli, aiutarli a dimenticare. La Filosofia può farlo».

«Lo pensa davvero?»

«Si».

«Non possiamo lasciarli andare, naturalmente».

«Oh, no. È fuori questione. Abbiamo troppo da imparare da loro. Questa loro frustrazione è soltanto uno stadio passeggero. La penseranno in maniera del tutto diversa in seguito, specialmente quando avremo concesso loro la piena indipendenza».

«Forse. Cosa pensa dei globi fluorescenti, Bannerd? Gli sono piaciuti. Potrebbe essere un gesto indovinato ordinarne qualche migliaio per loro. Lo sa la Galassia che razza di palla al piede sono oggi questi globi per i nostri mercati. Potremo averli per prezzi stracciati».

«Mi sembra una buona idea», disse Bannerd.

«Tuttavia l’Ufficio non lo consentirebbe mai, li conosco fin troppo bene».

Il giornalista socchiuse gli occhi: «Ma potrebbe esser proprio quello che stiamo cercando. Hanno bisogno di nuovi interessi».

«Sì? Be’, potremmo far qualcosa. Potrei includere la sua trascrizione di questo colloquio come parte d’un rapporto, e calcare un po’ la mano sulla faccenda dei globi. Dopotutto, lei è membro della Filosofia e potrebbe avere influenza su qualche persona importante, il cui intervento sull’Ufficio potrebbe avere un effetto assai maggiore del mio. Mi capisce, Bannerd?…»

«Sì», rifletté Bannerd. «Sì».


Da: QGAm-Cef 18.

A: UfProEs.

Oggetto: Progetto Province Esterne 2910, Parte II; Ritmo di nascita di non-umani su Cefeo 18, Ricerche su.

Riferimenti:

(a) UfProEs lett. Cef-N-CM/car, 115097, data 223/977 LG.

Allegato:

1. Trascrizione della conversazione fra L. Antyok di QGAm-Cef 18 e Ni-San, Gran Giudice dei non-umani su Cefeo 18.


1. Allegato 1 viene qui incluso a informazione dell’UfProEs.

2. Le ricerche relative al progetto in oggetto intraprese in risposta all’autorizzazione del riferimento (a) vengono proseguite secondo le nuove direttive indicate nell’Allegato 1. Si assicura l’UfProEs che ogni mezzo possibile verrà impiegato per combattere il dannoso atteggiamento psicologico che al momento prevale fra i non-umani.

3. Si fa notare che il Gran Giudice dei non-umani su Cefeo 18 ha manifestato interesse per i globi fluorescenti. Si è dato inizio a una ricerca preliminare su questa manifestazione di psicologia non-umana.

L. Antyok, Superv. QGAm-Cef 18

272/977 LG.


Da: UfProEs.

A: QGAm-Cef 18.

Oggetto: Progetto Province Esterne 2910; Ritmo di nascita di nonumani su Cefeo 18, Ricerche su.

Riferimento:

(a) QGAm-Cef 18 lett. AA-LA/mn, data 272/977 LG.


1. Con riferimento all’Allegato 1 del riferimento (a), cinquemila globi fluorescenti sono stati acquistati per venire spediti su Cefeo 18, dall’Ufficio Commerciale.

2. Si danno istruzioni perchè QGAm-Cef 18 applichi ogni possibile metodo per placare l’insoddisfazione dei non-umani, in accordo con i proclami imperiali.

C. Morily, Capo UfProEs

283/977 LG.

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