17° RAPPORTO SUI PROGRESSI

3 ottobre Sto scendendo la china. Pensieri di suicidio per far cessare tutto ora mentre sono ancora padrone di me e conscio del mondo che mi circonda. Ma poi penso a Charlie in attesa alla finestra. Non sono padrone della sua vita per poterla gettar via. L’ho appena avuta in prestito per qualche tempo e ora mi si chiede di restituirla.

Sono la sola persona, devo ricordarlo, alla quale sia accaduto questo. Finché posso, devo continuare a reprimere i miei pensieri e i miei stati d’animo. Questi rapporti sui progressi sono il contributo di Charlie Gordon all’umanità.

Sono diventato nervoso e irritabile. Litigo con inquilini del palazzo perché faccio suonare fino a tarda notte il grammofono ad alta fedeltà. È già accaduto molte volte da quando ho smesso di suonare il pianoforte. Non è giusto farlo funzionare a ogni ora, ma mi serve per tenermi sveglio. So che dovrei dormire ma lesino ogni secondo di veglia; non soltanto a causa degli incubi ma perché ho paura di lasciarmi andare.

Dico a me stesso che ci sarà tutto il tempo in seguito per dormire, quando scenderanno le tenebre. Il signor Vernor, dell’appartamento sotto il mìo, non protestava mai, ma ora non fa che battere colpi sulle tubazioni o sul soffitto di casa sua, per cui io odo i tonfi sotto i piedi. Dapprima l’ho ignorato, ma stanotte è salito da me in vestaglia. Abbiamo litigato e gli ho sbattuto la porta in faccia. Un’ora dopo era di nuovo lì con un poliziotto il quale mi ha detto che non potevo suonare dischi così forte alle quattro del mattino. Il sorriso sulla faccia di Vernor mi ha esasperato a tal punto che mi è costato uno sforzo indicibile non mettergli le mani addosso. Quando se ne sono andati ho fracassato tutti i dischi e l’apparecchio. Avevo voluto illudere me stesso, del resto. Questo genere di musica non mi piace più.


4 ottobre La più strana seduta terapica fino ad ora. Strauss era turbato. Anche lui non si era aspettato alcunché di simile.

Si è trattato di un’esperienza psichica, non oso definirla un ricordo, o di un’allucinazione. Non tenterò di spiegarla ma mi limiterò a esporla.

Ero irascibile quando sono entrato nello studio, ma lui ha finto di non accorgersene. Mi sono disteso immediatamente sul divano e Strauss, come sempre, ha preso posto da un lato e un po’ indietro rispetto a me, in modo che non potessi vederlo, e ha aspettato che incominciassi il rito di riversare tutti i veleni accumulatisi nella mente.

L’ho sbirciato reclinando la testa all’indietro. Sembrava stanco e flaccido e, non so perché, mi ha ricordato Matt seduto sulla sua poltrona da barbiere in attesa di clienti. Ho detto a Strauss dell’associazione di idee e lui ha annuito e aspettato.

«Anche lei aspetta i clienti?» ho domandato. «Dovrebbe far costruire questo divano come una poltrona da barbiere. Allora, quando vuole la libera associazione di idee potrebbe far distendere il paziente come fa il barbiere quando insapona il cliente; poi, una volta trascorsi i cinquanta minuti, potrebbe sollevare la poltrona e dargli uno specchio affinché possa vedere qual è il suo aspetto esteriore dopo che lei gli ha rasato l’io.»

Non ha detto niente, e io, pur vergognandomi di come lo stavo trattando, non sono riuscito a tacere. «In tal caso il suo paziente potrebbe venire a ogni seduta e dire: ’Mi accorci un pochino l’ansia, per piacere’, oppure: ’Non tagli troppo corto il super io. se non le dispiace’. O potrebbe anche venire per uno shampoo all’uovo… voglio dire per uno shampoo all’io. Ah! Ha notato lo strano accostamento, dottore? Se lo segni. Ho detto che volevo uno shampoo all’uovo anziché uno shampoo all’io. Questo significa forse che desidero essere mondato dei miei peccati? Rinascere? È un simbolo del battesimo? Oppure stiamo radendo troppo da presso? E un idiota ha forse un id

Ho aspettato una reazione qualsiasi, ma lui si è limitato a dimenarsi sulla poltrona.

«È sveglio?» ho domandato.

«Ti sto ascoltando, Charlie.»

«Solo ascoltando? Non si arrabbia mai?»

«Perché vuoi che mi arrabbi con te?»

Ho sospirato. «Il flemmatico Strauss… imperturbabile. Le dirò una cosa. Sono stufo marcio di venire qui. A che serve ormai la terapia? Lei sa bene quanto me come andrà a finire.»

«Ma credo che tu non voglia smettere», ha detto lui. «Vuoi continuare, non è vero?»

«È stupido. Una perdita di tempo per entrambi.»

Giacevo lì nella fioca luce e fissavo il disegno a quadrati del soffitto… piastrelle che assorbono i suoni con migliaia di minuscoli forellini i quali si imbevono di ogni parola. I suoni sepolti vivi in piccoli forellini nel soffitto. Ha incominciato a prendermi una sensazione di stordimento. La mia mente era vuota, una cosa insolita perché durante le sedute psicanalitiche ho sempre avuto molte cose di cui parlare. Sogni… ricordi… associazioni… problemi… Ma ora mi sentivo isolato e vuoto. Soltanto il flemmatico Strauss che respirava dietro di me.

«Mi sento strano», ho detto.

«Vuoi parlarne?»

Oh, quanto era brillante, quanto era sottile! Che diavolo stavo facendo lì, del resto, a lasciare che le mie associazioni di idee venissero assorbite da minuscoli forellini nel soffitto e da fori più grandi nel mio psicanalista?

«Non so se voglio parlarne», ho risposto. «Oggi mi sento insolitamente ostile nei suoi riguardi.» E poi gli ho detto quel che avevo pensato.

Senza vederlo ho intuito che stava annuendo.

«È difficile spiegare», ho detto. »È una sensazione che ho già avuto una o due volte, prima di svenire. Uno stordimento… tutto è intenso… ma il mio corpo è gelido e intorpidito…»

«Continua.» Era eccitato. «Che altro?»

«Non sento più il mio corpo. Sono intorpidito. Ho la sensazione che Charlie sia vicino. Ho gli occhi aperti… ne sono sicuro… non è così?»

«Sì, spalancati.»

«Eppure vedo un bagliore bianco-bluastro scaturire dalle pareti e dal soffitto e raccogliersi in una sfera baluginante. Ora è sospeso a mezz’aria. Luce… che mi penetra a forza negli occhi… e nel cervello… Tutto nella stanza arde… ho la sensazione di galleggiare… o piuttosto di espandermi al di fuori e verso l’alto… eppure, senza abbassare gli occhi, so che il mio corpo è ancora qui sul divano…»

È un’allucinazione, questa?

«Charlie, ti senti bene?»

O si tratta delle cose descritte dai mistici?

Odo la sua voce ma non voglio rispondergli. Mi irrita il fatto che sia qui. Devo ignorarlo. Essere passivo e lasciare che questo… qualunque cosa sia… mi riempia di luce e mi assorba in se stesso.

«Che cosa vedi, Charlie? Che cosa c’è?»


Verso l’alto, muovendomi, come una foglia in una corrente ascendente d’aria calda. Dilatandomi, gli atomi del mio corpo si scaraventano lontani gli uni dagli altri. Divento più leggero, meno denso e più grande, più vasto… sempre più vasto… esplodendo all’esterno nel sole. Sono un universo in espansione che sta nuotando all’insù in un mare silenzioso. Dapprima piccolo, sto ora includendo nel mio corpo la stanza, il palazzo, la città, il paese, finché so che, guardando in basso, vedrò la mia ombra cancellare il mondo.

Leggero e senza sensazioni. Andando alla deriva ed espandendomi nel tempo e nello spazio.

E poi, mentre so che sto per perforare la crosta dell’esistenza, mi sento tirare dal basso.

Questo mi irrita. Voglio liberarmi dalla stretta. Mentre sto per fondermi con l’universo odo i bisbigli intorno agli orli della consapevolezza. E quella trazione lievissima mi trattiene al mondo finito.

Lentamente, come indietreggiano le onde, il mio spirito in espansione ritorna alle dimensioni terrene… non volontariamente, poiché preferirei perdermi, ma sono trascinato dal basso di nuovo a quello che ero, in me stesso, per cui, soltanto per un attimo, sono di nuovo sul divano e adatto le dita della coscienza al guanto della carne. E so di poter muovere questo dito e strizzare quell’occhio… se voglio. Ma non voglio muovermi.

Aspetto e mi lascio aperto, passivo a qualsiasi cosa possa significare questa esperienza. Charlie non vuole che perfori il sipario superiore della mente. Charlie non vuole sapere che cosa si trova al di là.

Ha paura di vedere Dio? O di non vedere nulla?

Mentre giaccio lì in attesa, passa il momento durante il quale sono me stesso in me stesso, e di nuovo perdo ogni consapevolezza fisica o sensazione. Charlie mi sta trascinando giù in me stesso. Fisso interiormente al centro del mio occhio cieco la chiazza rossa che si trasforma in un fiore dai molti petali… il fiore baluginante, vorticoso, luminescente che giace in profondità nel nucleo del mio subcosciente. Mi sto contraendo. Non nel senso che gli atomi del mio corpo vadano ravvicinandosi e facendosi più densi, ma nel senso di una fusione… mentre gli atomi di me stesso si fondono in un microcosmo. Vi saranno una gran calura e una luce intollerabile, l’inferno entro l’inferno, ma io non guardo la luce, bensì soltanto il fiore che non si moltiplica e non si divide per tornare dai molti verso l’uno. E per un attimo il fiore baluginante si trasforma nel disco dorato che ruota intorno a uno spago, e poi nella bolla di vorticosi arcobaleni, e infine eccomi di nuovo nella caverna dove tutto è silenzio e oscurità, e io nuoto nel labirinto bagnato cercando qualcuno che mi accolga… che mi abbracci… che mi assorba… in se stesso. Per poter cominciare.

Nel nucleo vedo di nuovo la luce, un’apertura nella più tenebrosa delle caverne, ora minuscola e remota, veduta attraverso un telescopio capovolto, brillante, accecante, scintillante, e una volta di più il fiore dai molti petali (loto vorticoso… che galleggia accanto all’imboccatura dell’inconscio). All’imboccatura di quella caverna troverò la risposta, se oserò tornare indietro e tuffarmi attraverso a essa nella grotta di luce al di là. Non ancora!

Ho paura. Non della vita o della morte o del nulla, ma di sprecare la vita come se non fossi mai esistito. E mentre mi avvio attraverso il varco, sento la pressione intorno a me che mi spinge con moti violenti, simili a onde verso l’imboccatura della caverna.

È troppo piccola! Non posso passare!

E improvvisamente sono scaraventato contro le pareti, ancora e ancora, e costretto attraverso il varco dove la luce minaccia di bruciarmi gli occhi. Di nuovo, so che perforerò la crosta per emergere in quella sacra luce. È più di quanto possa sopportare. Dolore come non l’ho provato mai, e gelo, e nausea, e il gran ronzio che batte sopra il mio capo come migliaia d’ali. Apro gli occhi, accecato dalla luce intensa. E flagello l’aria, e tremo e grido.

Sono emerso dalla cosa in seguito all’insistenza di una mano che mi scrollava energicamente. La mano del dottor Strauss.

«Dio sia ringraziato», ha detto quando l’ho guardato negli occhi. «Mi avevi preoccupato.»

Ho scosso la testa. «Sto benissimo.»

«Credo che per oggi possa bastare.»

Mi sono alzato e ho barcollato mentre ritrovavo la prospettiva. La stanza sembrava piccolissima. «Non soltanto per oggi», ho detto. «Secondo me non dovrei venire ad altre sedute. Non voglio vedere altro.»

Era turbato, ma non ha cercato di dissuadermi. Ho preso cappello e cappotto e me ne sono andato.

E ora… le parole di Platone mi scherniscono:

«…gli uomini della caverna direbbero di lui che in alto è salito e in basso è disceso senza gli occhi…»


5 ottobre Mettermi a sedere per battere a macchina questi rapporti è difficile, e io non so pensare senza il registratore in funzione. Continuo a rimandare per quasi tutto il giorno, ma so quale importanza riveste la cosa e devo farlo. Ho detto a me stesso che non cenerò finché non mi sarò messo a tavolino per scrivere qualcosa… qualsiasi cosa.

Il professor Nemur mi ha mandato di nuovo a chiamare stamane. Mi voleva al laboratorio per alcuni test, quelli che facevo un tempo. A tutta prima mi son detto ch’era giusto, perché continuano a pagarmi ed è importante che la documentazione sia completa, ma quando sono arrivato alla Beekman e ho cominciato a sottopormi alle prove con Burt, mi sono reso conto che sarebbe stato troppo per me.

Anzitutto si è trattato del labirinto con il foglio di carta e la matita. Ricordavo come andavano le cose quando avevo imparato a percorrerlo rapidamente e quando gareggiavo con Algernon. Mi sono reso subito conto che adesso mi occorreva molto più tempo per percorrere il labirinto. Burt aveva già teso la mano per ritirare il foglio, ma io l’ho strappato, invece, e ho gettato i pezzi nel cestino della carta straccia.

«Basta. Sono stufo di percorrere il labirinto. Mi trovo in un vicolo cieco, e non c’è altro da dire.»

Temeva che me ne andassi, e allora mi ha calmato. «D’accordo, Charlie. Soltanto, sta’ tranquillo.»

«Che significa ’sta’ tranquillo? Lei non lo sa.»

«No, ma posso immaginarlo. Siamo tutti molto turbati.»

«Se la tenga, la sua comprensione. Mi lasci in pace e basta.»

Era imbarazzato, e allora mi sono reso conto che la colpa non era sua e che mi stavo comportando malissimo nei suoi riguardi. «Mi scusi lo scatto», ho detto. «Come le vanno le cose? Ha terminato la tesi?»

Ha annuito. «La sto facendo ribattere a macchina. Mi laureerò in febbraio.»

«Bravo.» Gli ho battuto la mano sulla spalla per dimostrargli che non ce l’avevo con lui. «Insista. Non c’è niente che possa paragonarsi alla cultura. Senta, dimentichi quello che ho detto prima. Farò tutto quello che vuole; soltanto, non più labirinti, ecco.»

«Be’, Nemur vuole una prova di Rorschach.»

«Per sapere che cosa sta accadendo nel profondo? Che cosa si aspetta di trovare?»

Dovevo avere l’aria sconvolta perché ha cominciato a fare marcia indietro.

«Non è indispensabile. Ti trovi qui volontariamente. Se non vuoi…»

«Va bene, va bene. Faccia pure. Distribuisca le schede. Ma non mi dica che cosa accerterà.»

Non era necessario.

Conoscevo abbastanza la prova di Rorschach per sapere che non contava quel che si vedeva nelle schede ma il modo di reagire a esse.

«La prova non è valida», ho detto. «So quello che lei sta cercando. Conosco il tipo di reazioni che dovrei avere per creare un certo quadro di quello che è la mia mente. Non devo fare altro che…»

Ha alzato gli occhi su di me, in attesa.

«Non devo fare altro…»

Ma poi mi ha colpito come un pugno su un lato della testa la consapevolezza che non ricordavo che cosa dovevo fare. Era come se avessi guardato l’intera cosa con chiarezza sulla lavagna della mia mente ma. ora che mi apprestavo a leggerla, in parte era stata cancellata e il resto non aveva alcun senso.

A tutta prima mi sono rifiutato di crederci. Ho esaminato le schede in preda al panico, così in fretta da non riuscire a parlare. Avrei voluto lacerare le macchie d’inchiostro per far sì che si rivelassero. In qualche punto di quelle macchie d’inchiostro v’erano risposte che avevo saputo soltanto pochi momenti prima. Non proprio nelle macchie di inchiostro, ma in quella parte della mia mente che avrebbe dato loro una forma e un significato e proiettato la mia impronta su di esse. Non ne ero capace. Tutto era scomparso.

«Questa è una donna…» ho detto, «…inginocchiata e intenta a lavare pavimenti. Cioè, no… è un uomo che impugna un coltello». E nel momento stesso in cui pronunciavo queste parole mi sono reso conto di quel che dicevo e, interrompendomi, sono partito in un’altra direzione. «Due persone che si contendono qualcosa… una bambola, per esempio… ed entrambe stanno tirando, per cui sembra che la romperanno in due e… no!… sono piuttosto due facce che si fissano attraverso la finestra e…»

Ho spazzato via le schede dal tavolo e mi sono alzato.

«Non più prove. Basta con le altre prove.»

«Sta bene, Charlie. Per oggi basta.»

«Non soltanto per oggi. Qui non ci tornerò più. Qualsiasi cosa rimanga in me che possa esserle utile, la troverà nei rapporti sui progressi. Ho finito di percorrere il labirinto. Non sono più una cavia. Ho tatto abbastanza. Adesso voglio essere lasciato in pace.»

«Va bene, Charlie, Capisco.»

«No, non capisce, perché non sta succedendo a lei e nessuno può capire tranne me. Non gliene voglio. Lei ha il suo lavoro da sbrigare e la sua laurea da prendere, e… oh, sì, non me lo dica, so che ha preso parte a questo esperimento soprattutto per amore dell’umanità, ma in ogni modo ha ancora la sua vita da vivere, e il caso vuole che non siamo alla stessa altezza. Io ho superato il suo piano salendo, e ora me lo lascio indietro scendendo, e non credo che riprenderò ancora questo ascensore. Pertanto, salutiamoci.»

«Non credi che dovresti parlare con il dottor…»

«Saluti tutti per me, vuole? Non me la sento di affrontare di nuovo nessuno di loro.»

Prima che avesse potuto aggiungere qualche altra cosa, sono uscito dal laboratorio, ho preso l’ascensore e sono uscito dalla Beekman per l’ultima volta.


7 ottobre Strauss ha cercato di parlarmi ancora stamane, ma non gli ho aperto la porta. Voglio essere lasciato in pace, adesso.

Mi sono alzato, ho chiuso gli occhi e ho veduto Charlie, me stesso, a sei o sette anni seduto alla tavola da pranzo con un libro di scuola, mentre imparava a leggere e ripeteva più e più volte le parole con mia madre seduta accanto a lui, accanto a me…

«Riprova.»

«Guarda Jack. Guarda Jack correre. Guarda Jack guarda.»

«No! Non Guarda Jack guarda! C’è scritto Corri Jack corri.» Indica le parole con il dito duro e calloso.

«Guarda Jack. Guarda Jack correre. Corri Jack guarda.»

«No! Non ti stai applicando. Riprova!»

Riprova… riprova… riprova…

«Lascia in pace il bambino. Lo hai atterrito.»

«Deve imparare. È troppo pigro per concentrarsi.»

Corri Jack corri… corri Jack corri… corri Jack corri… corri Jack corri…

«È più tardo degli altri bambini. Dàgli tempo.»

«È normale. Non c’è niente che non sia a posto in lui. È soltanto pigro. Dovrà imparare.»

Corri Jack corri… corri Jack corri… corri Jack corri… corri Jack corri…

E poi, nell’alzare gli occhi dalla tavola, mi è parso di aver veduto me stesso, attraverso gli occhi di Charlie, tenere in mano Il paradiso perduto e mi sono accorto che stavo spezzando la rilegatura con la pressione di entrambe le mani, come se avessi voluto strappare in due il libro. Ne ho lacerato il dorso, ho strappato una manciata di pagine e le ho gettate insieme al resto nell’angolo opposto della stanza dove si trovano i dischi rotti.

Devo tentare di avvinghiarmi ad alcune delle cose che ho imparato. Ti prego, Dio, non togliermi tutto.


10 ottobre Di solito, una volta scesa la notte, vado a fare passeggiate, vagabondo per la città. Non so perché. Per vedere facce, suppongo. Ieri sera non mi è riuscito di ricordare dove abito. Un poliziotto mi ha accompagnato a casa. Ho la strana sensazione che tutto questo mi sia già accaduto… molto tempo fa. Non voglio scriverlo, ma seguito a ricordare a me stesso che sono il solo al mondo in grado di descrivere quello che accade quando le cose vanno in questo modo.

Invece di camminare galleggiavo nello spazio, non nitido e ben definito, ma con una pellicola grigia dappertutto. So quello che mi sta accadendo, ma non posso farci niente. Cammino oppure mi limito a restare ritto sul marciapiede e a guardar passare ia gente. Alcuni mi sbirciano e altri no, ma nessuno mi dice nulla… tranne un tale che si è avvicinato una notte e mi ha domandato se volevo una donna. Mi ha accompagnato in un posto. Voleva dieci dollari anticipati e glieli ho dati, ma non è più tornato.

E allora ho ricordato quanto ero stato stupido.


11 ottobre Quando sono rientrato nel mio appartamento, stamane, vi ho trovato Alice addormentata sul divano. Tutto era stato riordinato e dapprima ho creduto di avere sbagliato porta, ma poi ho visto che non aveva toccato i dischi rotti o i libri lacerati. Il pavimento cigolava e lei si è destata e mi ha guardato. «Ciao», ha riso. «Mi sembri un barbagianni.» «Non un barbagianni. Un dodo, piuttosto. Uno stupido dodo. Come sei entrata qui dentro?»

«Passando per la scala antincendio. Dall’appartamento di Fay. Sono stata da lei per avere tue notizie e mi ha detto che era preoccupata… Sembra che ti stia comportando in modo strano… che disturbi i vicini. Così ho deciso di farmi viva. Ho riordinato un po’. Mi son detta che non ti sarebbe dispiaciuto.»

«Mi dispiace… moltissimo. Voglio che non venga nessuno qui a compatirmi.»

È andata allo specchio a pettinarsi. «Non mi trovo qui per compatirti. Ma perché compatisco me stessa.»

«Che cosa vorresti dire?»

«Le mie parole non vogliono dire nulla», ha alzato le spalle. «Sono, semplicemente… come una poesia. Volevo parlarti.»

«Che cosa è successo al giardino zoologico?»

«Oh, smettila, Charlie. Niente schermaglie con me. Ho aspettato anche troppo che tu ti decidessi a venire da me. Ho deciso di venire io da te.»

«Perché?»

«Perché c’è ancora tempo. E voglio passarlo con te.»

«Che cos’è? Una canzonetta?»

«Charlie, non ridere di me.»

«Non sto ridendo. Ma non posso permettermi di passare il tempo con qualcuno… ne rimane appena a sufficienza per me.»

«Non posso credere che tu voglia rimanere completamente solo.»

«È così.»

«Siamo stati ben poco insieme prima di perderci di vista. Avevamo cose di cui parlare e cose da fare insieme. Non è durato molto a lungo, ma è stato qualcosa. Sta’ a sentire, lo sapevamo che questo sarebbe potuto accadere. Non era un segreto. Io non me ne sono andata, Charlie, ho soltanto aspettato. Tu ti trovi di nuovo al mio livello di intelligenza, vero?»

Ho iniziato un andirivieni nell’appartamento, tempestando. «Ma questa è una pazzia. Non c’è nulla in cui sperare nell’avvenire. Io non oso consentire a me stesso di pensare al futuro… ma soltanto al passato. Tra pochi mesi o settimane o giorni tornerò alla Warren. Tu non potrai seguirmi laggiù.»

«No», ha riconosciuto, «e probabilmente non verrò neppure a trovarti. Quando sarai alla Warren farò del mio meglio per dimenticarti; non intendo fingere che sarà diversamente. Ma fino al momento in cui vi andrai non c’è motivo per cui dobbiamo restare soli».

Senza darmi il tempo di obiettare mi ha baciato. Ho atteso, mentre mi sedeva accanto sul divano, il capo appoggiato al mio petto, ma il panico non è sopraggiunto.

Pervaso dal sollievo nel rendermi conto di aver superato una crisi, ho sospirato perché non v’era più nulla a trattenermi. Non era quello il momento di temere o di fingere, poiché non si sarebbe potuto ripetere mai più con nessun’altra. Tutti gli ostacoli erano scomparsi. Ero uscito dal labirinto. L’ho amata con più che con il mio corpo.

Non pretendo di capire il mistero dell’amore, ma questa volta è stato più del puro sesso. Mi sono sentito sollevare dalla oscura cella della mia mente e sono divenuto parte di qualcos’altro, la stessa esperienza di quel giorno sul divano durante la seduta psicanalitica. È stato il primo passo all’esterno verso l’universo, al di là dell’universo, poiché in esso e con esso ci siamo fusi per ricreare e perpetuare lo spirito umano. Espandendoci ed esplodendo all’esterno, e contraendoci e formandoci all’interno, era il ritmo dell’essere, del respiro, del battito cardiaco, del giorno e della notte, e il ritmo dei nostri corpi ha fatto nascere un’eco nella mia mente. Così era stato prima in quella strana visione. La grigia melma si è sollevata dalla mia mente, e attraverso a essa la luce è penetrata nel mio cervello (come è strano che la luce possa accecare!) e il mio corpo è stato riassorbito in un gran mare di spazio, lavato in uno strano battesimo. Ha sussultato, il mio corpo, donando, e ha sussultato, il corpo di lei, accettando.

Così ci siamo amati, e poi la notte si è tramutata in un tacito giorno. E mentre giacevo là con lei ho potuto capire quanto importante fosse l’amore fisico, quanto necessario fosse per noi trovarci l’uno nelle braccia dell’altra, donando e accogliendo. L’universo esplodeva, ciascuna particella lontana da quella adiacente, ci scaraventava in uno spazio oscuro e solitario, strappandoci eternamente l’uno dall’altro… il bambino dall’utero, l’amico dall’amico, allontanandoci l’uno dall’altro, ciascuno lungo il suo itinerario, verso la cassetta, metà di una morte solitaria.

Ma questo era il contrappeso, l’atto di legare e di tenere. Come quando gli uomini, per non essere spazzati in mare dalla tempesta, si tengono per mano evitando la separazione violenta, così i nostri corpi fondevano un anello della catena umana che ci impediva di essere spazzati via nel nulla.

E nell’attimo prima di essere inghiottito dal sonno, ho ricordato com’era stata la cosa tra Fay e me. Non potevo meravigliarmi di averla trovata facile. Era soltanto fisica. Questo con Alice era un mistero.

Mi, sono proteso a baciarle gli occhi.

Alice sa tutto di me ormai, e accetta il fatto che possiamo stare insieme soltanto per breve tempo. Ha accettato di andarsene quando io glielo dirò. È penoso pensarci, ma ciò che abbiamo, io sospetto, è più di quel che trova la maggior parte degli individui in una intera vita.


14 ottobre Mi desto al mattino e non so dove mi trovo né che cosa sto facendo qui, poi la vedo accanto a me e ricordo. Ella intuisce tutto ogni volta che mi accade qualcosa e si aggira silenziosa nell’appartamento.

Questa sera siamo andati a un concerto, ma mi sono annoiato e abbiamo finito con l’uscire prima della fine. Sembra che non possa più ascoltare con molta attenzione.

L’unico inconveniente dell’avere Alice qui con me sta nel fatto che ora vorrei lottare, opporre resistenza. Vorrei fermare il tempo, congelare me stesso a questo livello e non lasciarla mai andar via.


17 ottobre Perché non riesco a ricordare? Devo cercare di resistere a questa fiacchezza. Alice mi dice che resto a letto per giorni e giorni e sembro non sapere chi sono o dove sono. Poi tutto ritorna, e io la riconosco e ricordo quello che sta accadendo. Fughe di amnesia. Sintomi della seconda infanzia… come la chiamano? senilità? La vedo sopraggiungere.

È tutto così crudelmente logico, la conseguenza dell’aver accelerato ogni processo mentale. Ho imparato tanto troppo in fretta, e ora la mia mente va deteriorandosi con rapidità. E se lottassi? Penso a quegli individui alla Warren e ai loro sorrisi vacui.

Il piccolo Charlie Gonion mi sta fissando attraverso la finestra, in attesa. Per piacere, non di nuovo questo.


18 ottobre Sto dimenticando cose imparate di recente. A quanto pare il processo segue l’andamento classico, le cose imparate per ultime sono le prime a essere dimenticate. Ma è poi questo l’andamento?

Ho riletto la mia relazione sull’Effetto Algernon-Gordon e anche se so di esserne l’autore continuo a provare la sensazione che sia stata scritta da qualcun altro. Non riesco neppure a capirne la maggior parte.

Ma perché sono così irritabile? Specie con Alice che è tanto buona con me? Tiene lindo e pulito l’appartamento, ripone sempre le mie cose e lava i piatti e lucida i pavimenti. Non avrei dovuto sbraitare con lei come è accaduto stamane, perché l’ho fatta piangere é non volevo che questo succedesse. Ma lei non avrebbe dovuto raccattare i dischi rotti e la musica e il libro e metter via ogni cosa in bell’ordine in una scatola. Mi ha reso furente. Nessuno deve toccare queste cose. Voglio vederle ammonticchiarsi. Voglio che mi ricordino quel che lascio dietro di me. Ho sferrato un calcio alla scatola, ho sparpagliato tutto sul pavimento e le ho detto di lasciare stare ogni cosa dov’era.

Un comportamento stupido. Del tutto ingiustificato. Credo di essermi adirato perché sapevo che secondo lei è sciocco conservare quella roba, ma si era ben guardata dal dirmelo. Si limitava a fingere che fosse perfettamente normale. Mi sta assecondando. E nel vedere quella scatola ho ricordato il ragazzo della clinica Warren e l’orribile lampada che aveva costruito e come tutti fingessero che avesse fatto qualcosa di meraviglioso, mentre non era affatto vero.

Alice si comportava nello stesso modo con me, e io non ho potuto sopportarlo.

Quando è andata in camera da letto e si è messa a piangere, mi è dispiaciuto e le ho detto che la colpa era tutta mia. Non merito una creatura buona come lei. Perché non so dominarmi quanto basta per continuare ad amarla? Solo quel tanto che basta.


19 ottobre Attività motoria menomata. Seguito a incespicare e a far cadere oggetti. A tutta prima non ho pensato che dipendesse da me; ho creduto che fosse lei a cambiar posto alle cose. Il cestino della carta straccia veniva a trovarmisi tra i piedi, e così le sedie, e credevo che fosse stata Alice a spostarle. Ora mi rendo conto di essere incapace di coordinazione.

Devo muovermi adagio per far bene le cose. E mi riesce sempre più difficile battere a macchina. Perché continuo a incolpare Alice? E perché lei non si difende? Questo mi irrita più che mai, perché scorgo la compassione sul suo viso.

La sola cosa che mi dia piacere, ormai, è il televisore. Passo quasi tutta la giornata seguendo tutti i programmi. Seguo persino la breve predica prima del segnale di chiusura e la marcia militare, e infine il monoscopio che mi fissa con il suo occhio sempre aperto dal piccolo schermo rettangolare… Perché continuo a contemplare la vita attraverso una finestra?

E quando le trasmissioni sono finite mi prende la nausea di me stesso perché mi rimane così poco tempo per leggere, scrivere e pensare, e perché dovrei essere abbastanza intelligente per non narcotizzarmi la mente con questi spettacoli insinceri che mirano al bambino in me. La cosa è tanto più grave nel mio caso, in quanto il bambino che esiste in me sta impossessandosi della mia mente. So benissimo tutto ciò, ma quando Alice mi dice che non dovrei perdere tempo mi arrabbio e le rispondo invitandola a lasciarmi in pace.

Guardo la televisione, credo, per non pensare, non ricordare. Non voglio più ricordare il passato.

Oggi ho provato uno spavento terribile. Ho preso la copia di un articolo del quale mi ero servito per le mie ricerche, Über Psychische Ganzheit, di Krueger, per vedere se mi avrebbe aiutato a capire la mia relazione e le conclusioni alle quali sono pervenuto. Dapprima ho creduto di non vederci più bene. Poi mi sono reso conto che non sapevo più leggere il tedesco. Anche le altre lingue. Ho dimenticato tutto.


21 ottobre Alice se n’è andata. Vediamo se riesco a ricordare. La cosa è cominciata quando lei ha detto che non avremmo potuto continuare a vivere in questo modo, con libri strappati, pezzi di carta e dischi disseminati dappertutto sul pavimento.

«Lascia stare tutto com’è», l’ho avvertita.

«Perché vuoi vivere in questo modo?»

«Voglio che tutto rimanga dove l’ho messo. Voglio vedere tutto lì. Tu non sai che cosa significa sentirti succedere dentro qualcosa, qualcosa di invisibile, e sapere che tutto ti sta scivolando via di tra le dita.»

«Hai ragione. Non ho mai detto di poter capire quello che ti sta accadendo. Né quando diventasti troppo intelligente per me né adesso. Ma ti dirò una cosa. Prima di essere sottoposto all’operazione non eri così. Non ti voltolavi nella tua sporcizia e nel tuo autocompatimento, non inquinavi la tua mente stando seduto giorno e notte davanti al televisore, non ringhiavi e non scattavi inferocito contro la gente. V’era qualcosa in te che ci induceva a rispettarti… sì, anche nelle condizioni in cui ti trovavi.»

«Non mi pento dell’esperimento.»

«Neppure io, ma hai perduto qualcosa che prima possedevi. Avevi un sorriso…»

«Un sorriso ebete e vuoto.»

«No, un vero, caldo sorriso, perché volevi piacere alla gente.»

«E la gente mi prendeva in giro e rideva di me.»

«Sì, ma anche se tu non capivi perché gli altri stessero ridendo, intuivi che se potevano ridere di te ti trovavano simpatico. E volevi riuscire simpatico.»

«Non mi va di ridere di me stesso in questo momento, se non ti dispiace.»

Alice si stava sforzando di non piangere. Io invece volevo farla piangere, credo. «Forse per questo è stato tanto importante per me imparare. Credevo di poter piacere alla gente in questo modo. Credevo che mi sarei fatto degli amici. È una cosa ridicola, vero?»

«C’è qualcosa di più importante dell’avere semplicemente un alto quoziente di intelligenza.»

Questo mi ha fatto arrabbiare. Probabilmente perché non ho capito bene a che cosa mirasse.

«Credo sia ora che te ne vada.»

Si è imporporata in viso. «Non ancora, Charlie. Non è ancora il momento. Non mandarmi via.»

«Mi stai rendendo la situazione più difficile. Continui a fingere ch’io faccia e capisca cose le quali sono ormai molto al di là delle mie capacità di comprensione. Stai esercitando una pressione su di me. Proprio come mia madre…»

«Questo non è vero!»

«Tutto quello che fai lo dice. Il modo che hai di riordinare e di pulire, l’abitudine di lasciare in giro libri che secondo te possono interessarmi e indurmi di nuovo a leggere, la mania di tenermi al corrente di tutte le novità per costringermi a pensare. Dici che la cosa non ha importanza, ma tutto quello che fai dimostra quanto è importante. Sempre la maestra. Non voglio far nulla che mi costringa ad affaticarmi per pensare alla vita o a me stesso.»

«Charlie…»

«Lasciami in pace e basta. Non sono più io. Sto andando in pezzi e non ti voglio qui.»

Si è messa a piangere. Oggi nel pomeriggio se n’è andata. L’appartamento sembra vuoto, adesso.


25 ottobre Il deterioramento continua. Ho rinunciato a servirmi della macchina per scrivere. Coordinazione pessima. D’ora in poi dovrò scrivere.

Ho pensato molto alle cose che diceva Alice, e poi mi è venuto in mente che se continuassi a leggere e a imparare cose nuove, anche mentre sto dimenticando quelle di prima, riuscirei a conservare una parte della mia intelligenza. È come se mi trovassi su una scala mobile, adesso. Rimanendo immobile arriverei fino in fondo, ma se mi mettessi a correre verso l’alto, forse riuscirei a restare per lo meno nello stesso punto. L’importante è continuare a spostarsi verso l’alto.

Così sono andato in biblioteca e ho preso molti libri da leggere. Sto leggendo molto. Quasi tutti i libri sono troppo difficili per me, ma non me ne importa. Finché continuerò a leggere imparerò cose nuove e non disimparerò a leggere. Questo è l’essenziale.

Il dottor Strauss è venuto il giorno dopo che Alice se n’era andata; suppongo pertanto ch’ella gli abbia detto tutto di me. Ha finto di volere soltanto i rapporti sui progressi, ma io ho detto che glieli avrei spediti. Non voglio che venga qui. Gli ho detto che non deve preoccuparsi per me, perché quando riterrò di non poter più badare a me stesso tornerò alla Warren.

Ho cercato di parlare con Fay, ma vedo che ha paura di me. Immagina, credo, che sia impazzito. Ieri sera è tornata a casa con un uomo molto giovane.

Stamane la padrona di casa, la signora Mooney, è salita da me con una scodella di brodo di pollo caldo e con un po’ di pollo. Ha detto che aveva pensato di venire a darmi un’occhiata per vedere se me la cavassi bene. Le ho fatto osservare che avevo molta roba da mangiare, ma lei ha lasciato ugualmente il brodo e il pollo, ed erano ottimi. Ha finto di essere venuta di sua iniziativa, ma Alice o Strauss devono averle detto di occuparsi di me e di accertarsi che io stia bene. Non ha importanza. È una simpatica signora con l’accento irlandese e ama parlare di tutti gli inquilini del palazzo. Quando ha veduto tutte le cose sparse sul pavimento di casa mia non ha detto nulla.


1 novembre È trascorsa una settimana da quando ho osato scrivere ancora. Non so dove vada a finire il tempo. È domenica. Credo di essere rimasto a letto per tutta la settimana, ma ricordo che la signora Mooney mi ha portato da mangiare alcune volte e mi ha domandato se fossi malato.

Che cosa sarà di me? Non posso rimaner qui tutto solo a guardar fuori della finestra. Devo farmi forza e riprendere in pugno me stesso. Seguito a dirmi che devo fare qualcosa, ma poi me ne dimentico.

Ho ancora alcuni libri della biblioteca, ma sono quasi tutti troppo difficili per me. Leggo ora molti libri gialli e volumi su re e regine del passato. Continuo a leggere e a imparare cose nuove ogni giorno e so che mi sarà utile.

So che prima di questo avrei dovuto scrivere altri rapporti sui progressi, in modo che essi possano sapere quanto mi sta accadendo. Ma scrivere diventa sempre più difficile. Ormai devo cercare sul dizionario anche le parole semplici.


2 novembre Nel rapporto di ieri ho dimenticato di scrivere della donna che abita nel palazzo all’altro lato del vicolo, un piano più in basso. La settimana scorsa l’ho veduta dalla finestra della cucina. Non so come si chiami e neppure che aspetto abbia la sua metà superiore ma ogni sera verso le undici fa il bagno. Non abbassa mai la veneziana e attraverso la mia finestra quando spengo la luce posso vederla dal collo in giù quando esce dalla vasca per asciugarsi.

La cosa mi eccita, ma non appena la signora spegne la luce mi sento deluso e solo. Vorrei poter vedere che aspetto ha, qualche volta, se è carina o no. So che non è bello guardare una donna quando è nuda, ma non posso farci niente. In ogni modo, che differenza fa per lei se non sa che la sto guardando?

Adesso sono quasi le undici. È l’ora del suo bagno. Meglio che vada a vedere…


5 novembre La signora Mooney è molto crucciata a causa mia. Dice che per come me ne sto sdraiato tutto il giorno senza far niente le ricordo suo figlio prima che lei lo scacciasse di casa. Dice che non le piacciono gli oziosi. Se sono malato è un conto, ma se sono un ozioso è tutt’un altro paio di maniche. Le ho risposto che credo d’essere malato.

Cerco di leggere un pochino ogni giorno, quasi sempre romanzi, ma a volte devo leggere la stessa frase più e più volte perché non so che cosa significa. E scrivere è faticoso. So che dovrei cercare tutte le parole nel dizionario, ma sono sempre così stanco.

Allora mi è venuta un’idea: servirmi soltanto delle parole facili invece di quelle lunghe e difficili. Così risparmio tempo. Fuori si comincia a gelare, ma continuo a portare fiori sulla tomba di Algernon. Secondo la signora Mooney sono stupido a mettere fiori sulla tomba di un topo, ma io le ho detto che Algernon era un topo speciale.

Sono andato a far visita a Fay. Ma lei mi ha detto di andarmene e di non tornare più.


9 novembre. Di nuovo a casa. Non ho niente da fare per tenermi occupato ora che il televisore è guasto e continuo a dimenticare di farlo riparare. Credo di aver perduto l’assegno mandatomi questo mese dall’università. Non ricordo. Ho mal di testa spaventosi e l’aspirina non giova molto. La signora Mooney si è convinta adesso che sono veramente malato e mi compatisce molto.

La mia dirimpetaia adesso abbassa la veneziana, e così non posso più guardarla. La mia iella schifosa.


10 novembre La signora Mooney ha fatto venire un dottore sconosciuto a visitarmi. Temeva che stavo per morire. Ho detto al dottore che non sono poi così malato e che soltanto a volte dimentico le cose. Mha domandato se avvevo amici o parenti e ho risposto di no, che non ne ho. Gli ho detto che una volta avevo un amico a nome Algernon, ma era un topolino e garegiavamo insieme. Mha guardato con un’aria strana, come se mi credeva matto. Ha sorriso cuando ci ho detto che un tempo ero un gennio.

Mha parlato come se fossi stato un bambino e ha strizzato l’occhio alla signora Mooney. Sono andato su tutte le furie perché si burlava di me e rideva e l’ho scacciato e ho chiuso la porta a chiave.

Credo di sapere perché sto avvendo sfortuna. Perché ho perduto la zampa di conillio e il fero da cavallo. Bisognerà che mi proccuri al più presto una zampa di conillio.


11 novembre Il dottor Strauss è venuto da me oggi e anke Alice ma non li ho lasciati entrare. Ho detto loro che non voglio visite da nessuno. Voglio essere lasciato in pace. Più tardi la signora Mooney è salita a portarmi da mangiare e mi ha detto che hanno pagato l’affitto e le hanno dato soldi per comprare provviste e tutto quello che può servirmi. Le ho risposto che non voglio più spendere il loro denaro. Lei ha detto i soldi sono soldi e qualcuno deve pagare alrimenti la metto fuori. Poi ha aggiunto perché non si trova un impiego invece di ozziare.

Non so fare nessun lavoro tranne quello che facevo una volta alla panetteria. Non voglio tornare lagiù perché tutti mi conoscevano cuandero intelligente e forse ridderanno di me. Ma non so che altro fare per procurarmi soldi. E voglio pagare tutto per mio conto. Sono robusto e posso lavvorare. Se non riuscirò a provedere a me stesso andrò alla Warren.


15 novembre Stavo esaminando alcuni miei rapporti sui progressi ed è stranissimo, ma non so più leggere quel che scrissi. Distinguo alcune parole, ma non hanno senso. Credo di averle scritte io ma non ricordo tanto bene. Mi stanco prestissimo quando cerco di leggere alcuni libri che ho komprato all’emporio. Trane cuelli con fottografie di belle donne. Mi piace guardarle ma faccio sogni buffi su di loro. Non è bello. Non li comprerò più.


16 novembre Alice è venuta di nuovo fino alla porta dell’appartamento ma io ho detto vattene non voglio vederti. Ha pianto e pianto ma non lo voluta far entrare perché non vollevo che rideva di me. Le ho detto che non mi piace più e che non voglio più essere inteligiente. Questo non è vero ma. Lamo ancora e ancora voglio essere inteligiente ma ho dovvuto dircelo perché se n’andase.

Per piacere… per piacere… non farmi dimenticare come si legge e si skrive…


18 novembre Il signor Donner è stato molto gientile quando sono tornato e gli ho kiesto di riavvere il lavoro di prima alla paneteria. Prima sé in sospetito ma io gli ho detto quel che me succiesso e alora lui sé ratristato molto e ma messo la mano su la spalla e ha detto Charlie hai del fegato.

Tutti manno guardato cuando sono disceso e ho cominciato a lavvorare pulendo i gabinetti come sempre. Mi son detto Charlie se ti prendono in giro non arabiarti perché devi ricordare che non sono tanto inteligienti come tu un tempo credevi ke fosero. E a parte cuesto una volta erano amici tuoi e se riddevano di te cuesto non sinnificava niente perché ti volevano bene.

Più tardi Gimpy è venuto zopicando e a detto Charlie se cualcuno ti fastidisce o cierca di profitarsi kiama me o Joe o Frank e lo metiamo a posto. Volliamo tutti ke riccordi ke ai amici cui e non dimmenticartene. O detto grazie Gimpy. Cuesto mi fa sentir mellio.

È bello avvere amici…


21 novembre O fato na cosa stuppida ogi o dimenticato ke non ero più ne la clase di Miss Kinnian al centro addulti come un tempo. O entrato e mi o sedduto al solito banco in fondo a laula e lei ma guardato con unaria bufa e mà detto Charlie dove sei stato. Così o risposto salve Miss Kinnian sono pronto per la lezzione ogi sol tanto sono perduto il libro ke addoperavo.

Sè mesa a piangere e a uscita di corsa da laula e tuti mi guardavano e sono visto che molti non erano più li stesi di prima.

Poi tutaun trato o riccordato alqune cose de loperazzione e di me diventanto inteligiente e sono deto santo cielo cuesta volta nai proprio combinata una a la Charlie Gordon. O andato via prima ke lei tornasse ne laula.

Ecco pe rké me ne vado di cui per sempre ala squola dela Klinica Warren. Non vollio più fare na cosa simmile. Non vollio che Miss Kinnian mi kom patisca. So ke tutti anno kom pasione di me ala paneteria e non vollio né pure cuesto e così me nandrò in un posto dove ci sono tantaltri come me e a nesuno importa se Charlie Gordon un tempo era un gegno e ora non sa né pure legere un libro o skrivvere bene.

Porterò con me un paio di libbri e anke se non sapprò legierli meserciterò tanto e forse divventerò anke un pokino più inteligiente di comero prima de loperazzione senza operazzione. O una nuova zampa di conillio e una monnetina porta fortuna e persino un po di quella polvere magika e forse maiuterano.

Semmai legierà cuesto Miss Kinnian non mi kom patisca. Sono contento davvere una secconda posibilità nela vita desere inteligiente perké sono mparato molte kose ke non avvevo mai saputo esistevano al mondo e sono grato davver visto tutto per un po’. E o contento daver sapputo tutto dela mia famillia e di me. È stato come se non avvevo mai avvuto una famillia finké lo rikordati e visti e ora so kavvevo una famillia e ero una persona come tutti.

Non so perké sono tonto di nuovo o cosa sono fatto di male. Forse perké non o tentato a bastanza o forse cualcuno mà fatto il malokio. Ma se facio del mio mellio e ce la meto tuta forse divventerò un po’ più inteligiente e sapprò cosa sinnificano tutte le parole. Riccordo un pokino che piaccere mi dava il libro blu che legievo con la coppertina strapata. E quando kiudo gli okki penso a luomo cha strapato il libro e sommilia a me sol tanto a un aspeto divverso e parla divverso ma non credo ke sono io perké mi piace guardarlo da la finnestra.

In onni modo ecco perké continnuerò a ciercare di divventare inteligiente per potter provvare di nuovo cuella sensazione. È belo sappere le cose e esere inteligienti e io vorei sappere tutto di tutto il mondo. Vorei poter esere di nuovo inteligiente in cuesto momento. Se fose posibile mi meterei a sedere e legierei continnuamente.

In onni modo scommeto desere il primo defficiente al mondo cha scopperto cualcosa dimportante per la sienza. Sono fatto cualcosa ma non riccordo che cosa. Cuindi supongo daverlo fato per tuti i defficienti come me a la Warren e in tuto il mondo.

A rivvederla Miss Kinnian e dotor Strauss e tuti…


PS per piaccere dikano al porfesor Nemur di non esere così per malloso cuando la giente ride di lui e averebe più amici. È faccile avere ammici se si lassia che la giente ride di noi. Dove che vado avvrò tanti ammici.


PS per piaccere se posono metano cualke fiore su la tomba di Algernon nel kortile.


FINE
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