5 Scritti

Gawyn si affrettò per i corridoi della Torre Bianca, i tonfi dei suoi stivali che risuonavano su un tappeto blu intenso sopra un pavimento a piastrelle cremisi e bianche. Lampade su sostegni con specchi riflettevano la luce, ciascuna una sentinella lungo quella strada.

Sleete camminava rapido accanto a lui. Malgrado l’illuminazione delle lampade, la faccia dell’uomo sembrava parzialmente avvolta dalle ombre. Forse era la barba di due giorni sulla sua mascella — una stranezza per un Custode — oppure i capelli lunghi, puliti ma non spuntati. O forse erano le sue fattezze. Irregolari, come un disegno non finito, con linee brusche, una fossetta nel mento, il naso rotto a uncino, zigomi sporgenti.

Aveva i movimenti fluidi di un Custode, ma rispetto a molti altri, i suoi davano una sensazione più primitiva. Invece del cacciatore che si muoveva tra i boschi, lui era il silenzioso predatore in agguato nelle ombre che la preda non vedeva finché non scintillavano i denti.

Raggiunsero un’intersezione dove diverse delle guardie di Chubain erano di piantone lungo uno dei corridoi. Avevano spade al loro fianco e indossavano tabarri bianchi decorati con la Fiamma di Tar Valon. Uno di loro alzò una mano.

«Ho il permesso di entrare» disse Gawyn. «L’Amyrlin...»

«Le Sorelle non hanno ancora terminato» replicò la guardia in tono ostile.

Gawyn digrignò i denti, ma non c’era nulla da fare al riguardo. Lui e Sleete indietreggiarono e attesero finché — finalmente — tre Aes Sedai uscirono da una stanza sorvegliata. Parevano turbate. Si allontanarono, seguite da un paio di soldati che portavano qualcosa avvolto in una stoffa bianca. Il corpo.

Alla fine, le due guardie si fecero da parte con riluttanza e lasciarono passare Gawyn e Sleete. Si affrettarono lungo il corridoio ed entrarono in una piccola stanza di lettura. Gawyn esitò accanto alla porta, lanciando di nuovo un’occhiata lungo il corridoio. Poté vedere alcune Ammesse fare capolino attorno a un angolo, sussurrando.

Con questo omicidio le Sorelle uccise diventavano quattro. Egwene era impegnatissima a cercare di impedire che le Ajah tornassero al clima di sfiducia le une verso le altre. Aveva avvertito tutti di stare in allerta e aveva detto alle Sorelle di non andare in giro da sole. L’Ajah Nera conosceva bene la Torre Bianca, dato che i loro membri avevano vissuto lì per anni. Con dei passaggi, potevano insinuarsi nei corridoi e commettere omicidi.

Almeno, quella era la spiegazione ufficiale per quelle morti. Gawyn non ne era così sicuro. Si infilò nella stanza, seguito da Sleete.

Chubain stesso era lì. Quell’uomo piacente lanciò un’occhiata a Gawyn e le sue labbra si incurvarono all’ingiù. «Lord Trakand.»

«Capitano» rispose Gawyn, esaminando la stanza. Era circa tre passi quadrati, con un’unica scrivania addossata alla parete opposta e un braciere a carbone spento. Una lampada in bronzo su un sostegno ardeva nell’angolo e un tappeto circolare riempiva quasi l’intero pavimento. Quel tappeto era macchiato con un liquido scuro sotto la scrivania.

«Pensi davvero che troverai qualcosa che le Sorelle non hanno trovato, Trakand?» chiese Chubain, incrociando le braccia.

«Sto cercando cose diverse» disse Gawyn, venendo avanti. Si inginocchiò per ispezionare il tappeto.

Chubain tirò su col naso, poi usci in corridoio. La Guardia della Torre avrebbe sorvegliato la zona finché i servitori non fossero venuti a ripulire. Gawyn aveva pochi minuti.

Sleete si diresse da una delle guardie appena all’interno della soglia. Erano ostili verso di lui come tendevano a esserlo verso Gawyn. Ancora non aveva capito perché avevano quell’atteggiamento con lui.

«Lei era sola?» chiese Sleete all’uomo con la sua voce roca.

«Sì» disse la guardia, scuotendo il capo. «Non avrebbe dovuto ignorare il consiglio dell’Amyrlin.»

«Chi era?»

«Kateri Nepvue, dell’Ajah Bianca. Una Sorella da vent’anni.»

Gawyn grugnì mentre continuava a strisciare per il pavimento, esaminando il tappeto. Quattro Sorelle da quattro Ajah differenti. Due avevano sostenuto Egwene, una aveva sostenuto Elaida e una era stata neutrale ed era tornata solo di recente. Tutte erano state uccise su piani diversi della Torre a diverse ore del giorno.

Di certo sembrava opera dell’Ajah Nera. Non stavano cercando bersagli specifici, solo comodi. Ma Gawyn provava una sensazione sbagliata. Perché non Viaggiare negli alloggi delle Sorelle di notte e ucciderle nel sonno? Perché nessuno aveva percepito incanalare dai posti dove le donne erano state uccise?

Sleete ispezionò la porta e la serratura con occhio attento. Quando Egwene aveva detto a Gawyn che poteva visitare le scene dei delitti, se voleva, lui aveva chiesto se poteva portare Sleete con sé. Nelle precedenti interazioni che Gawyn aveva avuto con il Custode, Sleete si era rivelato non solo meticoloso, ma anche discreto.

Gawyn continuò a cercare. Egwene era nervosa per qualcosa, lui ne era certo. Non aveva detto tutto su questi delitti. Gawyn non trovò fenditure nel tappeto o nelle mattonelle, niente tagli nei mobili della stanza angusta.

Egwene affermava che gli assassini arrivavano tramite un passaggio, ma lui non ne aveva trovato alcuna prova. Certo, lui non sapeva ancora molto dei passaggi, e si diceva che potessero essere creati staccati da terra in modo che non tagliassero nulla. Ma perché l’Ajah Nera se ne sarebbe curata? Inoltre, questa stanza era così piccola che a lui sembrava molto difficile entrare senza lasciare alcuna traccia.

«Gawyn, vieni qui» disse Sleete. L’uomo più basso era ancora in ginocchio accanto alla soglia.

Gawyn si unì a lui. Sleete mise il chiavistello più volte nel suo alloggiamento. «La porta potrebbe essere stata forzata» disse piano. «Vedi il graffio qui sul chiavistello? Puoi far scattare questo tipo di serratura facendo scivolare una punta sottile e spingendo contro il chiavistello, facendo pressione sulla maniglia. Può essere fatto in maniera molto silenziosa.»

«Perché mai l’Ajah Nera avrebbe bisogno di forzare una porta?» chiese Gawyn.

«Forse hanno Viaggiato nel corridoio, poi hanno camminato fino a vedere una luce sotto una porta» disse Sleete.

«Perché non creare un passaggio dall’altra parte?»

«Incanalare avrebbe potuto allertare la donna all’interno» disse Sleete.

«Questo è vero» disse Gawyn. Guardò verso la chiazza di sangue. La scrivania era disposta in modo che l’occupante desse le spalle alla porta. Quella disposizione fece prudere le scapole a Gawyn. Chi avrebbe messo una scrivania a quel modo? Una Aes Sedai che pensasse di essere completamente al sicuro e che voleva sedere lontano dalle distrazioni all’esterno. Le Aes Sedai, nonostante tutta la loro scaltrezza, a volte parevano avere un senso di autoconservazione notevolmente sottosviluppato.

O forse semplicemente non pensavano come soldati. I loro Custodi si occupavano di quel genere di pensieri. «Aveva un Custode?»

«No» disse Sleete. «L’ho incontrata prima. Non ne aveva uno.» Esitò. «Nessuna delle Sorelle assassinate aveva un Custode.»

Gawyn guardò Sleete con un sopracciglio sollevato.

«Ha senso» disse Sleete. «Chiunque stia commettendo questi omicidi non voleva allertare i Custodi.»

«Ma perché uccidere con un coltello?» disse Gawyn. Tutte e quattro erano state uccise a quel modo. «L’Ajah Nera non deve obbedire ai Tre Giuramenti. Avrebbero potuto usare il Potere per uccidere. Molto più diretto, più facile.»

«Ma in tal modo avrebbero corso il rischio di allertare la vittima o la gente nei paraggi» fece notare Sleete.

Un’altra buona osservazione. Eppure qualcosa in questi omicidi non sembrava tornare.

O forse si stava solo arrampicando sugli specchi, sforzandosi di trovare qualcosa che lui potesse fare per aiutare. Una parte di lui pensava che, se avesse potuto aiutare Egwene con questo, forse lei si sarebbe ammorbidita nei suoi confronti. Forse l’avrebbe perdonato per averla portata via dalla Torre durante l’attacco dei Seanchan.

Chubain entrò un momento più tardi. «Confido che vossignoria abbia avuto tempo a sufficienza» disse in tono rigido. «Il personale è qui per pulire.»

Uomo insopportabile!, pensò Gawyn. Deve proprio essere così sprezzante verso di me? Dovrei...

No. Gawyn si costrinse a mantenere sotto controllo la sua collera. Una volta non era stato così difficile.

Perché Chubain era così ostile verso di lui? Gawyn si ritrovò a domandarsi come avrebbe gestito sua madre un uomo del genere. Gawyn non pensava spesso a lei, dal momento che farlo riportava alla sua mente al’Thor. A quell’assassino era stato permesso di allontanarsi dalla Torre Bianca stessa! Egwene ce l’aveva avuto in mano e l’aveva lasciato andare.

Vero, al’Thor era il Drago Rinato. Ma nel suo cuore, Gawyn voleva incontrare al’Thor con la spada in mano e trapassarlo con l’acciaio, Drago Rinato o no.

Al’Thor ti farebbe a pezzi con l’Unico Potere, si disse. È solo un’idea sciocca, Gawyn Trakand.

Il suo odio per al’Thor continuava a ribollire comunque.

Una delle guardie di Chubain andò da lui, parlando e indicando la porta. Chubain parve irritato che loro non avessero notato la serratura forzata. La Guardia della Torre non era una forza di polizia: le Sorelle non avevano bisogno di quello, e comunque loro stesse erano più efficaci in questo genere di indagini. Ma Gawyn poteva capire che Chubain desiderava poter essere in grado di fermare gli omicidi. Proteggere la Torre e i suoi occupanti era parte del suo compito.

Perciò lui e Gawyn lavoravano per la stessa causa. Ma Chubain si comportava come se fosse una contesa personale tra loro. Anche se il suo schieramento, a tutti gli effetti, è stato sconfitto da quello di Bryne nella divisione della Torre, pensò Gawyn. E, per quanto ne sa lui, io sono uno degli uomini preferiti di Bryne.

Gawyn non era un Custode, tuttavia era un amico dell’Amyrlin. Cenava con Bryne. Come sarebbe apparso a Chubain, in particolare ora che a Gawyn era stato concesso di investigare sugli omicidi?

Luce!, pensò Gawyn mentre Chubain gli scoccava un’occhiata ostile. Pensa che io stia cercando di prendere il suo posto. Pensa che voglia essere gran capitano della Guardia della Torre!

L’idea era risibile. Gawyn sarebbe potuto essere Primo Principe della Spada — sarebbe dovuto essere Primo Principe della Spada — a capo delle armate dell’Andor e protettore della regina. Era figlio di Morgase Trakand, una delle governanti più potenti e influenti che l’Andor avesse mai conosciuto. Non aveva alcun desiderio per la posizione di quest’uomo.

A Chubain non sarebbe sembrato così. Caduto in disgrazia dal distruttivo attacco dei Seanchan, doveva avere l’impressione che la sua posizione fosse in pericolo.

«Capitano,» disse Gawyn «posso parlare con te in privato?»

Chubain guardò Gawyn con sospetto, poi annuì verso il corridoio. I due si appartarono. Dei servitori della Torre aspettavano nervosi lì fuori, pronti a pulir via il sangue.

Chubain incrociò le braccia e squadrò Gawyn. «Cos’è che vuoi da me, mio lord?»

Enfatizzava spesso il titolo. Calma, pensò Gawyn. Provava ancora la vergogna del modo prepotente in cui si era fatto strada nel campo di Bryne. Lui era migliore di così. Vivere con i Cuccioli, sopportare la confusione e poi la vergogna degli eventi relativi alla frattura della Torre lo aveva cambiato. Non poteva continuare lungo quella strada.

«Capitano,» disse Gawyn «apprezzo il fatto che mi lasciate ispezionare la stanza.»

«Non avevo molta scelta.»

«Me ne rendo conto. Ma hai comunque i miei ringraziamenti. Per me è importante che l’Amyrlin mi veda aiutare. Se trovo qualcosa che alle Sorelle è sfuggito, per me potrebbe voler dire parecchio.»

«Sì» disse Chubain, stringendo gli occhi. «Sospetto che possa essere così.»

«Forse lei mi prenderà finalmente come suo Custode.»

Chubain sbatte le palpebre. «Suo... Custode?»

«Sì. Una volta sembrava certo che avrebbe preso me, ma ora... be’, se riesco ad aiutarti con questa indagine, forse raffredderà la sua rabbia verso di me.» Sollevò una mano, stringendo la spalla di Chubain. «Ricorderò il tuo aiuto. Tu mi chiami lord, ma il mio titolo per me non ha il minimo significato ora. Tutto quello che voglio è essere il Custode di Egwene, proteggerla.»

La fronte di Chubain si corrugò. Poi lui annuì e parve rilassarsi. «Ti ho sentito parlare. Stai cercando segni di passaggi. Perché?»

«Non penso che questo sia opera dell’Ajah Nera» disse Gawyn. «Penso che possa trattarsi di un Uomo Grigio o qualche altro tipo di assassino. Un Amico delle Tenebre tra il personale della Torre, forse? Voglio dire, guarda come vengono uccise le donne. Coltelli.»

Chubain annuì. «C’erano anche dei segni di colluttazione. Le Sorelle che stavano indagando l’hanno menzionato. I libri spazzati via dal tavolo. Pensavano che fosse stata la donna che si era dibattuta mentre moriva.»

«Curioso» disse Gawyn. «Se io fossi una Sorella Nera, userei l’Unico Potere, a prescindere dal fatto che altri possano percepirlo. Le donne incanalano tutto il tempo nella Torre; questo non sarebbe sospetto. Immobilizzerei la mia vittima con dei flussi, la ucciderei con il Potere, poi fuggirei prima che qualcuno pensasse che sta accadendo qualcosa di strano. Nessuna lotta.»

«Forse» disse Chubain. «Ma l’Amyrlin pare fiduciosa che sia opera di Sorelle Nere.»

«Le parlerò e vedrò perché» disse Gawyn. «Per ora, forse dovresti proporre a quelle che si occupano delle indagini che sarebbe saggio interrogare i servitori della Torre? Fornire questo ragionamento?»

«Sì... penso di poterlo fare.» L’uomo annuì, sembrando meno minacciato.

I due si spostarono, con Chubain che faceva cenno ai servitori di entrare per pulire. Sleete uscì con aria pensierosa. Teneva una mano sollevata, con qualcosa stretto tra le dita. «Seta nera» disse. «Non c’è modo di sapere se provenga dall’assalitore.»

Chubain prese le fibre. «Strano.»

«Non sembra probabile che una Sorella Nera si annunci indossando il nero» disse Gawyn. «Un assassino più ordinario, però, potrebbe aver bisogno di colori scuri per nascondersi.»

Chubain avvolse le fibre in un fazzoletto e se le mise in tasca. «Porterò queste a Seaine Sedai.» Pareva impressionato.

Gawyn annuì a Sleete e i due si allontanarono.

«La Torre Bianca è in fermento in questi giorni con Sorelle che tornano e nuovi Custodi» disse Sleete piano. «In che modo qualcuno — per quanto furtivo — potrebbe arrivare ai piani superiori vestito di nero senza attirare l’attenzione?»

«Si suppone che gli Uomini Grigi siano in grado di passare inosservati» disse Gawyn. «Penso che questa sia una prova ulteriore. Voglio dire, pare strano che nessuno abbia effettivamente visto queste Sorelle Nere. Stiamo facendo parecchie supposizioni.»

Sleete annuì, fissando un terzetto di novizie che si erano radunate per guardare inebetite le guardie. Videro Sleete osservarle e pigolarono tra loro prima di zampettare via.

«Egwene sa più di quello che sta dicendo» disse Gawyn. «Parlerò con lei.»

«Sempre che ti riceva» disse Sleete.

Gawyn grugnì dall’irritazione. Scesero per una serie di rampe fino al livello dello studio dell’Amyrlin. Sleete rimase con lui: la sua Aes Sedai, una Verde di nome Hattori, di rado aveva dei compiti per lui. Aveva ancora gli occhi su Gawyn come Custode; il comportamento di Egwene lo faceva infuriare così tanto che Gawyn aveva una mezza idea di lasciarsi vincolare da Hattori.

No. No, non per davvero. Amava Egwene, anche se era frustrato da lei. Non era stato facile decidere di abbandonare l’Andor — per non parlare dei Cuccioli — per lei. Eppure lei si rifiutava ancora di vincolarlo.

Raggiunse il suo studio e si avvicinò a Silviana. La donna sedeva alla sua scrivania linda e ordinata, nell’anticamera davanti allo studio di Egwene. La donna esaminò Gawyn, i suoi occhi indecifrabili dietro la sua maschera da Aes Sedai. Lui sospettava di non piacerle.

«L’Amyrlin sta redigendo una lettera di una certa importanza» disse Silviana. «Puoi aspettare.»

Gawyn aprì la bocca.

«Ha chiesto di non essere interrotta» disse Silviana, tornando a voltarsi verso il foglio che stava leggendo. «Puoi aspettare.»

Gawyn sospirò, ma annuì. Mentre lo faceva, Sleete intercettò il suo sguardo e fece cenno che se ne stava andando. Perché allora aveva accompagnato Gawyn quaggiù? Era un uomo strano. Gawyn lo salutò con la mano e Sleete scomparve nel corridoio.

L’anticamera era una stanza sontuosa con un tappeto rosso intenso e modanature lignee alle pareti di pietra. Sapeva per esperienza che nessuna delle sedie era comoda, ma c’era un’unica finestra. Gawyn vi si accostò per prendere una boccata d’aria e appoggiò il braccio sulla rientranza della pietra, lasciando spaziare lo sguardo sui terreni della Torre Bianca. Così in alto, l’aria pareva più frizzante, più fresca.

Sotto poteva vedere i nuovi terreni di addestramento dei Custodi. Quelli vecchi si erano trovati dove Elaida aveva cominciato la costruzione del suo palazzo. Nessuno era sicuro di cosa avrebbe finito per fare Egwene con quell’edificio.

I terreni di addestramento erano pieni di attività, con un trambusto di figure che si allenavano combattendo, correndo e tirando di scherma. Con l’afflusso di profughi, soldati e spade prezzolate, c’erano molti che presumevano di avere i requisiti per diventare dei Custodi. Egwene aveva aperto quei terreni a chiunque volesse addestrarsi e cercare di dar prova di sé, dal momento che intendeva spingere per innalzare tutte quelle donne che fossero pronte nel corso delle settimane successive.

Gawyn aveva trascorso alcuni giorni ad allenarsi, ma i fantasmi di uomini che aveva ucciso parevano più presenti laggiù. I terreni erano una parte della sua vita passata, un tempo prima che tutto fosse andato male. Altri Cuccioli erano facilmente — e felicemente — tornati a quella vita. Jisao, Rajar, Durrent e molti degli altri suoi ufficiali erano già stati scelti come Custodi. Non sarebbe passato molto tempo prima che non restasse nulla della sua banda. Tranne per Gawyn stesso.

La porta interna scattò, seguita da voci sommesse. Gawyn si voltò e trovò Egwene, vestita in verde e giallo, che si dirigeva verso Silviana per parlare con lei. La Custode degli Annali gli lanciò un’occhiata e a lui parve di cogliere una traccia di cipiglio sul suo volto.

Egwene lo vide. Mantenne la sua faccia serena come una Aes Sedai — era diventata brava così in fretta in quello — e lui si ritrovò a sentirsi in imbarazzo.

«C’è stata un’altra morte stamane» disse Gawyn piano, dirigendosi verso di lei.

«Tecnicamente,» disse Egwene «è stato la scorsa notte.»

«Ho bisogno di parlare con te» disse Gawyn senza riflettere.

Egwene e Silviana si scambiarono un’occhiata. «Molto bene» disse Egwene, scivolando di nuovo nel suo studio.

Gawyn la seguì, non guardando la Custode degli Annali. Lo studio dell’Amyrlin era una delle stanze più sontuose della Torre. Le pareti avevano pannelli di legno striato, intarsiato per mostrare scene fantastiche, meravigliosamente dettagliate. Il focolare era di marmo, il pavimento fatto di pietra rosso intenso intagliata in blocchi a diamante. La grande scrivania intarsiata di Egwene ospitava due lampade. Avevano la forma di due donne che alzavano le mani in aria, delle fiamme che bruciavano tra ogni paio di palmi.

Una parete aveva delle librerie piene di volumi disposti — pareva — per colore e dimensioni piuttosto che per argomento. Erano ornamentali, portati lì per decorare lo studio dell’Amyrlin finché Egwene non avesse fatto la propria selezione.

«Cos’è che ritieni così necessario discutere?» disse Egwene, sedendosi alla sua scrivania.

«Gli omicidi» disse Gawyn.

«E cosa in particolare?»

Gawyn chiuse la porta. «Che io sia folgorato, Egwene. Devi mostrarmi l’Amyrlin ogni volta che parliamo? Una volta ogni tanto non posso vedere Egwene?»

«Io ti mostro l’Amyrlin» disse Egwene «perché tu rifiuti di accettarla. Una volta che l’avrai fatto, forse potremo passare oltre.»

«Luce! Hai imparato a parlare come una di loro.»

«Questo perché io sono una di loro» disse lei. «La tua scelta di parole ti tradisce. L’Amyrlin non può essere servita da coloro che rifiutano di vedere la sua autorità.»

«Io ti accetto» disse Gawyn. «Io lo faccio, Egwene. Ma non è importante avere persone che ti conoscono per quello che sei e non per il titolo?»

«Finché sanno che c’è un momento per l’obbedienza.» Il suo volto si addolcì. «Non sei ancora pronto, Gawyn. Sono spiacente.»

Lui si diede un contegno. Non lasciarti trasportare, si disse. «Molto bene. Allora, sugli omicidi. Ci siamo resi conto che nessuna delle donne uccise aveva un Custode.»

«Sì, mi è stato dato un rapporto su questo» disse Egwene.

«Comunque sia,» disse lui «questo porta i miei pensieri a un problema più vasto. Non abbiamo abbastanza Custodi.»

Egwene si accigliò.

«Ci stiamo preparando per l’Ultima Battaglia, Egwene» disse Gawyn. «Eppure ci sono Sorelle senza Custodi. Parecchie Sorelle. Alcune ne avevano uno, ma non ne hanno preso un altro dopo che è morto. Altre non ne hanno mai voluto uno. Non penso che tu possa permetterti questo.»

«Cosa vorresti che facessi?» disse lei, incrociando le braccia. «Che ordinassi alle donne di prendere dei Custodi?»

«Sì.»

Lei rise. «Gawyn, l’Amyrlin non ha quel genere di potere.»

«Allora fallo fare al Consiglio.»

«Tu non sai cosa stai dicendo. La scelta e il mantenimento di un Custode è una decisione molto intima e personale. Nessuna donna dovrebbe essere costretta a farlo.»

«Bene,» disse Gawyn, rifiutando di lasciarsi intimidire «la scelta di andare in guerra è molto 'personale’ e anche 'intima’... eppure in ogni territorio gli uomini sono chiamati a farlo. A volte i sentimenti non sono importanti quanto la sopravvivenza.

«I Custodi tengono in vita le Sorelle, e presto ogni Aes Sedai sarà di vitale importanza. Ci saranno legioni e legioni di Trolloc. Ogni Sorella sul campo sarà più preziosa di cento soldati, e ogni Sorella che Guarisce sarà in grado di salvare dozzine di vite. Le Aes Sedai sono risorse che appartengono all’umanità. Tu non puoi permetterti di lasciarle andare in giro indifese.»

Egwene si ritrasse, forse per il fervore delle sue parole. Poi, inaspettatamente, annuì. «Forse c’è... saggezza in quelle parole, Gawyn.»

«Portalo di fronte al Consiglio» disse Gawyn. «Al nocciolo, Egwene, una Sorella che non vincola un Custode è un atto di egoismo. Il legame rende un uomo un soldato migliore, e noi avremo bisogno di ogni vantaggio che riusciamo a trovare. Questo aiuterà anche a impedire gli omicidi.»

«Vedrò cosa si potrà fare» disse Egwene.

«Potresti farmi vedere i rapporti che stanno fornendo le Sorelle?» disse Gawyn. «Sugli omicidi, intendo?»

«Gawyn,» disse lei «ti ho concesso di essere parte dell’indagine perché pensavo che potesse essere bene avere un diverso paio d’occhi a esaminare le cose. Darti i loro rapporti non farebbe altro che influenzarti a trarre le loro stesse conclusioni.»

«Almeno dimmi questo» replicò lui. «Le Sorelle hanno sollevato la preoccupazione che questo potrebbe non essere opera dell’Ajah Nera? Che l’assassino potrebbe essere un Uomo Grigio o un Amico delle Tenebre?»

«No, non l’hanno fatto» disse Egwene «perché sappiamo che l’assassino non è uno di quei due.»

«Ma la porta della scorsa notte è stata forzata. E le donne vengono uccise con coltelli, non con l’Unico Potere. Non ci sono segni di passaggi o...»

«L’assassino ha accesso all’Unico Potere» disse Egwene, parlando con molta prudenza. «E forse non stanno usando passaggi.»

Gawyn strinse gli occhi. Queste suonavano come le parole di una donna che girava attorno al suo giuramento per non mentire. «Stai serbando dei segreti» disse lui. «Non solo verso di me. Verso l’intera Torre.»

«I segreti sono necessari a volte, Gawyn.»

«Non puoi confidarmeli?» Esitò. «Sono preoccupato che l’assassino proverà a uccidere te, Egwene. Tu non hai un Custode.»

«Senza dubbio lei verrà per me, prima o poi.» Egwene giocherellò con qualcosa sulla sua scrivania. Sembrava una cinghia di cuoio logora, del tipo usato per punire un criminale. Strano.

Lei? «Per favore, Egwene» disse lui. «Cosa sta succedendo?»

Lei lo squadrò, poi sospirò. «Molto bene. Ho detto questo alle donne incaricate dell’indagine. Forse dovrei dirlo anche a te. Una dei Reietti è nella Torre Bianca.»

Gawyn abbassò la mano sulla sua spada. «Cosa? Dove! Ce l’hai prigioniera?»

«No» disse Egwene. «Lei è l’assassina.»

«Tu sai questo?»

«So che Mesaana è qui; ho sognato che è vero. Si nasconde fra noi. Ora, quattro Aes Sedai, morte? È lei, Gawyn. È l’unica cosa sensata.»

Gawyn evitò di fare domande. Sapeva molto poco del Sognare, ma era a conoscenza che lei aveva quel Talento. Si diceva che fosse come la Predizione.

«Non l’ho detto all’intera Torre» continuò Egwene. «Sono preoccupata che, se sapessero che una delle Sorelle attorno a loro è in segreto una dei Reietti, questo ci dividerebbe tutte di nuovo, come sotto Elaida. Saremmo sospettose l’una dell’altra.

«Va già abbastanza male ora, con loro che pensano che delle Sorelle Nere stiano Viaggiando dentro per commettere omicidi, ma almeno non le rende sospettose l’una dell’altra. E forse Mesaana penserà che io non sono al corrente di lei. Ma ecco, questo è il segreto che imploravi di sapere. Non è una Sorella Nera quella a cui diamo la caccia, bensì una dei Reietti.»

Era scoraggiante da considerare... ma non più del Drago Rinato che calcava la terra. Luce, una Reietta nella Torre sembrava più plausibile di Egwene come Amyrlin Seat! «Ce ne occuperemo» disse lui, suonando più fiducioso di quanto si sentiva.

«Ho delle Sorelle che stanno facendo ricerche sulle storie di tutte nella Torre» disse Egwene. «E altre sono in allerta per notare parole o azioni sospette. La troveremo. Ma non vedo come possiamo rendere le donne più sicure senza suscitare un panico ancora più pericoloso.»

«Custodi» disse Gawyn con decisione.

«Ci penserò su, Gawyn. Per ora, ho bisogno di qualcosa da te.»

«Se è in mio potere, Egwene.» Fece un passo verso di lei. «Lo sai.»

«Ma davvero?» chiese lei in tono asciutto. «Molto bene. Voglio che tu smetta di fare la guardia alla mia porta di notte.»

«Cosa? Egwene, no!»

Lei scosse il capo. «Vedi? La tua prima reazione è sfidarmi.»

«È dovere di un Custode esprimere una critica, in privato, dove la sua Aes Sedai è coinvolta!» Era quello che gli aveva insegnato Hammar.

«Tu non sei il mio Custode, Gawyn.»

Questo lo lasciò di sasso.

«Inoltre,» disse Egwene «non potresti fare molto per fermare una dei Reietti. Questa battaglia sarà combattuta da Sorelle, e io sono molto attenta con le protezioni che metto. Voglio che i miei alloggi sembrino invitanti. Se tenta di attaccarmi, forse posso sorprenderla con un’imboscata.»

«Usare te stessa come esca?» Gawyn riuscì a malapena a tirar fuori le parole. «Egwene, questa è follia!»

«No. È disperazione. Gawyn, donne di cui sono responsabile stanno morendo. Assassinate nella notte, in un momento in cui tu stesso hai detto che avremo bisogno di ogni donna.»

Per la prima volta, la sua maschera lasciò trasparire fatica, una stanchezza nel tono e un lieve afflosciarsi delle spalle. Incrociò le mani di fronte a sé, sembrando tutt’a un tratto esausta.

«Ho delle Sorelle che stanno cercando tutto quanto possiamo su Mesaana» continuò Egwene. «Lei non è un guerriero, Gawyn. E un amministratore, una persona che pianifica. Se posso affrontarla, posso sconfiggerla. Ma prima noi dobbiamo trovarla. Espormi è solo uno dei miei piani... e tu hai ragione, è pericoloso. Ma le mie precauzioni sono state ampie.»

«Non mi piace affatto.»

«La tua approvazione non è richiesta.» Lei lo fissò. «Dovrai fidarti di me.»

«Io mi fido di te» disse lui.

«Tutto quello che chiedo è che per una volta tu lo dimostri.»

Gawyn digrignò i denti. Poi le rivolse un inchino e lasciò lo studio, cercando — senza successo — di non far sbattere la porta troppo forte quando la chiuse. Silviana gli scoccò un’occhiata di disapprovazione quando le passò davanti.

Da lì, Gawyn si diresse ai terreni di addestramento, nonostante il disagio che provava verso di essi. Aveva bisogno di un po’ di allenamento con la spada.


Egwene esalò un lungo sospiro, rilassandosi e chiudendo gli occhi. Perché era così difficile tenere sotto controllo le sue emozioni quando aveva a che fare con Gawyn? Non si era mai sentita così poco Aes Sedai come quando parlava con lui.

Così tante emozioni mulinavano dentro di lei, come diversi tipi di vino che si versavano e si mischiavano assieme: rabbia per la sua testardaggine, un desiderio bruciante di essere fra le sue braccia, confusione per la propria incapacità di mettere una di quelle sensazioni prima dell’altra.

Gawyn aveva una capacità di penetrare attraverso la sua pelle fin nel suo cuore. Quella sua passione era incantevole. Lei era preoccupata che, se lo avesse vincolato, questa l’avrebbe infettata. Era così che funzionava? Che sensazione dava l’essere vincolati, percepire le emozioni di un’altra persona?

Lei voleva questo con lui, la connessione che le altre avevano. Ed era importante che lei avesse persone su cui poteva contare perché la contraddicessero, in privato. Persone che la conoscevano come Egwene, piuttosto che come l’Amyrlin.

Ma Gawyn era troppo altalenante, troppo privo di fiducia, ancora.

Egwene rilesse la sua lettera per il nuovo re di Tear, che spiegava che Rand stava minacciando di rompere i sigilli. Il suo piano per fermarlo sarebbe dipeso dal raccogliere il sostegno delle persone di cui lui si fidava. Egwene aveva rapporti contraddittori su Darlin Sisnera. Alcuni dicevano che era uno dei più grandi sostenitori di Rand, mentre altri affermavano che era uno dei suoi più grandi detrattori.

Mise da parte la lettera per il momento, poi scrisse alcuni pensieri su come presentare al Consiglio la questione dei Custodi. Gawyn aveva avanzato un’argomentazione eccellente, anche se si era spinto troppo oltre e aveva presunto troppo. Avanzare una supplica alle donne che non avevano nessun Custode perché ne scegliessero uno, spiegando tutti i vantaggi ed evidenziando come questo avrebbe potuto salvare vite e aiutare a sconfiggere l’Ombra... questo sarebbe stato appropriato.

Si versò del tè alla menta dalla teiera sul lato della sua scrivania. Stranamente non si era guastato così spesso di recente, e questa tazza aveva un sapore piuttosto buono. Lei non aveva detto a Gawyn dell’altro motivo per cui gli aveva chiesto di lasciare la sua porta di notte. Aveva problemi a dormire, sapendo che lui era lì fuori, solo a pochi passi di distanza. Era preoccupata di poter scivolare fuori e andare da lui.

La cinghia di Silviana non era mai riuscita a spezzare la sua volontà, ma Gawyn Trakand... lui stava arrivando pericolosamente vicino a farlo.


Graendal aveva previsto l’arrivo del messaggero. Perfino qui, nel più segreto dei suoi nascondigli, il suo arrivo non era inatteso. La Prescelta non poteva nascondersi dal Signore Supremo.

Il nascondiglio non era un palazzo, una baita elegante o un’antica fortezza. Era una caverna su un’isola di cui a nessuno importava nulla, in un’area dell’Oceano Aryth che nessuno visitava mai. A quanto ne sapeva, non c’era nulla degno di nota o interesse lì vicino.

Le sistemazioni erano decisamente terribili. Sei dei suoi preferiti minori si prendevano cura di quel posto, che consisteva appena di tre camere. Lei aveva coperto l’ingresso con della pietra, e l’unico modo per entrare o uscire era tramite passaggio. Acqua fresca proveniva da una fonte naturale, il cibo da scorte che lei aveva portato lì in precedenza, e l’aria attraverso fessure. Era umido, ed era modesto.

In altre parole, era precisamente il genere di posto dove nessuno si sarebbe aspettato di trovarla. Tutti sapevano che Graendal non poteva sopportare una mancanza di lusso. Quello era vero. Ma la parte migliore sull’essere prevedibili era che ti consentiva di fare l’inaspettato.

Sfortunatamente, nulla di questo si applicava al Signore Supremo. Graendal osservò il passaggio aperto davanti a lei mentre si rilassava su un divanetto di seta gialla e blu. Il messaggero era un uomo dalle fattezze piatte e pelle dall’abbronzatura intensa, che indossava rosso e nero. Lui non aveva bisogno di parlare: la sua presenza era il messaggio. Una dei suoi favoriti — una bellissima donna dai capelli neri con grandi occhi castani che una volta era stata una Somma Signora tarenese — fissò il passaggio. Pareva spaventata. Graendal si sentiva quasi allo stesso modo.

Chiuse la copia rilegata in legno di: "In fiamme nella neve" che aveva tra le mani e si alzò in piedi, con indosso un sottile abito di seta nera con nastri di streith che correvano giù per il vestito. Attraversò il passaggio, attenta a trasmettere un’aria di fiducia in sé stessa.

Moridin era in piedi dentro il suo palazzo di pietra nera. La stanza non aveva mobilio; soltanto il camino, con un fuoco che ardeva. Signore Supremo! Un fuoco, in una giornata così calda? Graendal mantenne la sua compostezza e non iniziò a sudare.

Moridin si voltò verso di lei, i puntini neri dei saa che galleggiavano nei suoi occhi. «Sai perché ti ho convocato.» Non era una domanda.

«Lo so.»

«Aran’gar è morta, perduta per noi... e dopo che il Signore Supremo ha trasmigrato la sua anima l’ultima volta. Si potrebbe pensare che tu stia facendo l’abitudine a questo genere di cose, Graendal.»

«Io vivo per servire, Nae’blis» disse lei. Fiducia! Doveva sembrare fiduciosa.

Lui esitò appena un poco. Bene. «Di sicuro non stai insinuando che Aran’gar abbia tradito.»

«Cosa?» disse Graendal. «No, certo che no.»

«Allora in che modo quello che hai fatto è un servizio

Graendal assunse un’espressione di confusione preoccupata sulla sua faccia. «Be’, stavo solo eseguendo l’ordine che mi era stato dato. Non sono qui per ricevere un elogio?»

«Tutt’altro» disse Moridin in tono secco. «La tua confusione simulata non funzionerà con me, donna.»

«Non è simulata» disse Graendal, preparando la sua menzogna. «Per quanto non mi aspetti che il Signore Supremo sia compiaciuto di perdere una dei Prescelti, il guadagno valeva ovviamente la perdita.»

«Quale guadagno?» ringhiò Moridin. «Ti sei lasciata cogliere di sorpresa e hai scioccamente perso la vita di una dei Prescelti! Avremmo dovuto poter contare su di te, più di chiunque altro, per evitare di incappare in al’Thor.»

Lui non sapeva che lei aveva legato Aran’gar e l’aveva lasciata morire; pensava che questo fosse un errore. Bene. «Colta di sorpresa?» disse lei, suonando mortificata. «Io non ho mai... Moridin, come hai potuto pensare che avrei lasciato che mi trovasse per caso!»

«Tu hai fatto questo di proposito

«Ma certo» disse Graendal. «L’ho praticamente guidato per mano a Collina di Natrin. Lews Therin non è mai stato bravo a vedere i fatti proprio di fronte al suo naso. Moridin, non capisci? Come reagirà Lews Therin a quello che ha fatto? Distruggere un’intera fortezza, una città in miniatura, con centinaia di occupanti? Uccidere innocenti per raggiungere il suo scopo? Questo come peserà dentro di lui?»

Moridin esitò. No, non aveva considerato questo. Graendal sorrise dentro di sé. Per lui, le azioni di al’Thor avrebbero avuto perfettamente senso. Erano i mezzi più logici, pertanto più sensati, per raggiungere un obiettivo.

Ma al’Thor stesso... la sua mente era piena di fantasticherie su onore e virtù. Questo evento avrebbe pesato dentro di lui, e parlare di lui come Lews Therin a Moridin avrebbe corroborato ciò. Queste azioni avrebbero lacerato al’Thor, avrebbero squarciato la sua anima, avrebbero sferzato il suo cuore lasciandolo scorticato e sanguinante. Avrebbe avuto incubi, avrebbe portato la sua colpa sulle spalle come il giogo di un carretto stracarico.

Graendal riusciva vagamente a ricordare com’era stato intraprendere quei primi passi verso l’Ombra. Aveva mai provato quello sciocco dolore? Sì, purtroppo. Non era successo a tutti i Prescelti. Semirhage era stata corrotta fino al midollo fin dall’inizio. Ma altri avevano preso strade differenti per l’Ombra, incluso Ishamael.

Lei poteva vedere i ricordi, così distanti, negli occhi di Moridin. Una volta non era stata certa di chi fosse quest’uomo, ma adesso lo era. Il volto era differente, ma l’anima era la stessa. Sì, lui sapeva con esattezza cosa stava provando al’Thor.

«Tu mi hai detto di causargli dolore» disse Graendal. «Tu mi hai detto di provocargli angoscia. Questo era il modo migliore. Aran’gar mi ha aiutato, anche se non è fuggita quando l’ho suggerito. Quella ha sempre affrontato i suoi problemi in maniera troppo aggressiva. Ma sono certa che il Signore Supremo può trovare altri strumenti. Abbiamo corso un rischio, e non è stato senza un prezzo. Ma il guadagno... Oltre a questo, Lews Therin ora pensa che io sia morta. Questo è un grosso vantaggio.»

Graendal sorrise. Non troppo piacere. Solo un po’ di soddisfazione. Moridin si accigliò, poi esitò, guardando di lato. Verso il nulla. «Ti lascerò senza punizione, per ora» disse infine, anche se non ne suonava lieto.

Quella era stata una comunicazione direttamente dal Signore Supremo? Per quanto ne sapeva lei, tutti i Prescelti in quest’Epoca erano andati da lui a Shayol Ghul per ricevere i loro ordini. O almeno avevano dovuto sopportare una visita da parte di quell’orribile creatura nota come Shaidar Haran. Ora pareva che il Signore Supremo stesse parlando al Nae’blis direttamente. Interessante. E preoccupante.

Significava che la fine era molto vicina. Non sarebbe rimasto molto tempo per posizionarsi. Lei avrebbe fatto in modo di diventare Nae’blis e governare questo mondo come suo una volta che l’Ultima Battaglia fosse terminata.

«Penso» disse Graendal «che dovrei...»

«Tu devi stare lontano da al’Thor» disse Moridin. «Non sei da punire, ma non vedo nemmeno motivo per elogiarti. Sì, al’Thor può essere stato ferito, ma hai comunque mandato all’aria il tuo piano, costandoci uno strumento utile.»

«Ma certo» disse Graendal in tono pacato. «Servirò come compiace al Signore Supremo. Non avevo comunque intenzione di suggerire che io muovessi contro al’Thor. Lui mi ritiene morta, perciò è meglio lasciare che rimanga nella sua ignoranza mentre io lavoro altrove, per ora.»

«Altrove?»

Graendal aveva bisogno di una vittoria, una decisiva. Vagliò i diversi piani che aveva escogitato, selezionando quelli che era più probabile che andassero a buon fine. Non poteva muovere contro al’Thor? Molto bene. Avrebbe portato al Signore Supremo qualcosa che aveva desiderato da lungo tempo.

«Perrin Aybara» disse Graendal. Si sentiva esposta, dovendo rivelare le sue intenzioni a Moridin. Preferiva mantenere i suoi piani per sé. Comunque, dubitava che avrebbe potuto lasciare questo incontro senza dirglielo. «Ti porterò la sua testa.»

Moridin si voltò verso il fuoco, serrando le mani dietro la schiena. Osservò le fiamme.

Con sua sorpresa, lei avvertì del sudore colarle dalla fronte. Cosa? Lei era capace di evitare caldo e freddo. Cosa c’era che non andava? Manteneva la sua concentrazione... non funzionava e basta. Non qui. Non vicino a lui.

Questo la turbava profondamente.

«Lui è importante» disse Graendal. «Le profezie...»

«Conosco le profezie» disse Moridin piano. Non si voltò. «Come lo faresti?»

«Le mie spie hanno individuato il suo esercito» disse Graendal. «Ho già in moto alcuni piani che lo riguardano, per ogni eventualità. Mantengo il gruppo di Progenie dell’Ombra che mi è stato dato per provocare il caos e ho pronta una trappola. Se perderà Aybara, al’Thor sarà spezzato, devastato.»

«Farà più di questo» disse Moridin piano. «Ma tu non ci riuscirai mai. I suoi uomini hanno passaggi. Ti sfuggirà.»

«Io...»

«Lui ti sfuggirà» disse Moridin piano.

Il sudore le colò giù per la guancia, poi sul mento. Se lo asciugò con noncuranza, ma la sua fronte continuò a imperlarsi.

«Vieni» disse Moridin, allontanandosi a grandi passi dal focolare, diretto al corridoio di fuori.

Graendal lo seguì, curiosa ma spaventata. Moridin la condusse a una porta vicina, posta nelle stesse mura di pietra nera. La aprì con una spinta.

Graendal lo seguì dentro. La stanza angusta era fiancheggiata da scaffali. E su di essi c’erano dozzine — forse centinaia — di oggetti di Potere. Per l’oscurità, pensò lei. Dove ne ha presi così tanti?

Moridin procedette fino al termine della stanza, dove passò in rassegna degli oggetti su uno scaffale. Graendal entrò, impressionata. «Quella è una lancia fulminante?» chiese, indicando un pezzo di metallo lungo e sottile. «Tre verghe vincolanti? Un rema’kar? Quei pezzi di un...»

«Non ha importanza» disse lui, selezionando un oggetto.

«Se solo potessi...»

«Sei vicina al perdere favore, Graendal» disse lui, voltandosi e impugnando un lungo pezzo di metallo simile a un grosso chiodo, argenteo e sormontato da una grossa testa di metallo con un intarsio dorato. «Ho trovato solo due di questi. L’altro sta venendo messo a frutto. Tu puoi usare questo.»

«Un onirichiodo?» disse lei, sgranando gli occhi. Cosa avrebbe dato per avere uno di questi! «Ne hai trovati due

Lui picchiettò la sommità dell’onirichiodo e questo scomparve dalla sua mano. «Saprai dove trovarlo?»

«Sì» disse lei, sempre più bramosa. Questo era un oggetto di enorme Potere. Utile in molti modi diversi.

Moridin venne avanti, intrappolando gli occhi di Graendal nei suoi. «Graendal» disse piano, in tono pericoloso. «Io conosco la chiave per questo. Non sarà usato contro di me, o altri dei Prescelti. Il Signore Supremo saprà se lo farai. Non desidero che tu indulga ulteriormente nella tua apparente abitudine, non finché Aybara non sarà morto.»

«Io... sì, ma certo.» Tutt’a un tratto sentì freddo. Come poteva sentire freddo qui? E mentre stava ancora sudando?

«Aybara può muoversi nel Mondo dei Sogni» disse Moridin. «Ti presterò un altro strumento, l’uomo con due anime. Ma lui è mio, proprio come il chiodo è mio. Proprio come tu sei mia. Capisci?»

Lei annuì. Non poteva farne a meno. Pareva che la stanza fosse diventata più buia. Quella sua voce... suonava, solo vagamente, come quella del Signore Supremo.

«Lascia che ti dica questo, però» continuò Moridin, protendendo la mano destra e avvolgendogliela attorno al mento. «Se avrai successo, il Signore Supremo sarà compiaciuto. Molto compiaciuto. Di quello che ti è stato concesso in scarsità sarai ricoperta nella gloria.»

Graendal si umettò labbra asciutte. Di fronte a lei, l’espressione di Moridin si fece distante.

«Moridin?» chiese con esitazione.

Lui la ignorò, lasciandole andare il mento e dirigendosi all’altro capo della stanza. Da un tavolo, prese un tomo voluminoso avvolto in una pelle marroncino pallido. Lo sfogliò fino a una certa pagina e lo studiò per un momento. Poi le fece cenno di avvicinarsi.

Lei lo fece, cauta. Quando lesse cosa c’era sulla pagina, si ritrovò sconcertata.

Per l’oscurità! «Cos’è questo libro?» riuscì infine a dire Graendal. «Da dove vengono queste profezie?»

«Mi sono note da lungo tempo» disse Moridin piano, ancora studiando il libro. «Ma non a molti altri, nemmeno ai Prescelti. Le donne e gli uomini che hanno pronunciato queste sono stati isolati e tenuti segregati. La Luce non deve mai sapere di queste parole. Noi sappiamo delle loro profezie, ma loro non sapranno mai di tutte le nostre.»

«Ma questo...» disse lei, rileggendo il passaggio. «Questo dice che Aybara morirà.»

«Possono esserci molte interpretazioni di qualunque profezia» replicò Moridin. «Ma sì. Questa Predizione promette che Aybara morirà per mano tua. Tu mi porterai la testa di questo lupo, Graendal. E quando lo farai, qualunque cosa chiederai sarà tua.» Chiuse il libro di colpo. «Ma fa’ attenzione alle mie parole. Se fallirai, perderai tutto quello che hai guadagnato. E molto di più.»

Moridin aprì un portale per lei con un gesto della mano; la debole abilità di Graendal di toccare il Vero Potere — che non le era stata tolta — le permise di vedere dei flussi contorti pugnalare l’aria e lacerarla, squarciando un buco nel tessuto del Disegno. L’aria scintillava lì. L’avrebbe condotta di nuovo nella caverna nascosta, lei lo sapeva.

L’attraversò senza una parola. Non era sicura, se avesse parlato, di poter impedire alla sua voce di tremare.

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