16

Il Casinò di San Pietro era in fiamme, come l’ultima volta che Lilo c’era stata. Le fiamme si levavano dai bordi inferiori degli arazzi, crepitavano sui pannelli di quercia coperti di bolle. Nella sala, la fila di banchi era un inferno, una tempesta di fuoco che raggiungeva il soffitto. Mobilia distrutta era stata ammucchiata intorno alla Pietà e data alle fiamme; il marmo bianco era coperto di fuliggine. Lilo prese un sandwich e una bevanda dal bar sistemato sull’altare; era rimasta tutta la notte intorno al tavolo dei dadi e le facevano male i piedi. San Pietro la annoiava. Ma era quasi l’ora di chiusura. Presto sarebbe arrivato Gesù.

Tornò nella Cappella Sistina e si fece strada fino ai tavoli, mentre una delle pareti dell’edificio crollava. Il fumo che era rimasto intrappolato nella parte superiore della cappella si diradò abbastanza da permetterle di vedere il soffitto di Michelangelo, ormai rovinato dal tempo. Si erano aperte delle crepe in corrispondenza dei fori per i lampadari di cristallo che sovrastavano ogni tavolo. Al di là della parete crollata si vedeva un Vesuvio infuriato che eruttava fuoco e lava. Qualcuno aveva avuto più senso drammatico che non conoscenze geografiche, pensò Lilo.

«Venti sul quindici,» disse, sedendosi alla sinistra dell’uomo che aveva osservato tutta la notte. Ai dadi aveva perso pesantemente, ed era passato alla roulette nello sforzo disperato di avere più fortuna. La croupier, nel suo vestito bianco e nero, girò la ruota e la pallina rotolò sull’otto. Lilo osservò le sue fiches che venivano raccolte insieme a quelle dell’uomo.

«Scusa,» disse qualcuno alla sua sinistra. «Sei disponibile?» Lei lo guardò. I suoi occhi erano vitrei e l’alito aveva l’odore dolce dello zongo, un potente afrodisiaco. Era chiaro che non aveva ingerito solo .quello, e Lilo si chiese cosa vedesse mentre la guardava. Ma quando abbassò gli occhi le venne da ridere. I suoi genitali avevano subito delle modifiche radicali, in base ai dettami di qualche nuova moda.

«Vai via!» gli disse bruscamente. «A cosa mi servirebbe un affare del genere?»

«Non importa,» disse l’uomo con voce strascicata, cadendole quasi addosso. «Ho un adattatore.» Brandì una cosa rosa e tenera che sembrava respirare. Lilo lo spinse e lui barcollò fra le braccia di un buttafuori.

«Ehi! Mi hai portato fortuna!» gridò l’uomo accanto a lei. La croupier stava spingendo un’alta pila di fiches nella sua direzione.

«Cosa ho fatto?»

«Mi hai urtato il braccio. Stavo per puntare sul ventisei, tu mi hai urtato ed è andata sul ventotto. L’ho lasciata lì. Diavolo! Non mi poteva andare peggio di come mi è andata finora, no?»

Se il piccolo uomo aggressivo fosse stato ancora lì, Lilo l’avrebbe baciato. Era tutta la notte che il cercatore di buchi neri ignorava i suoi tentativi di conversazione.

«Pensi di smettere, ora che vinci?» gli chiese.

«Che vinco? Non lo so. Tu sei fortunata, cosa pensi?»

«Non credo che ci sia molta scelta. Sta arrivando Gesù Cristo.»

E in effetti arrivava. Insanguinata, nuda, con una corona di spine, la figura barbuta stava cacciando i cambiavalute dal tempio prima di cominciare a ricostruirlo.

«San Pietro rimarrà nel limbo per un’ora, figli miei!» gridò. «Non dovete andarvene, ma dovete uscire dalle sale da gioco mentre ripuliamo. Bevande vengono servite nella Biblioteca di Papa Agnese, al piano di sopra. Tornate, e portate dei soldi.» Azionò un interruttore a muro e tutto cambiò. La metà degli avventori svanì, con quasi tutta la cattedrale. C’era un basso soffitto bianco con luci nude. Alcuni inservienti robot cominciarono a pulire i corridoi, suonando rabbiosamente quando incontravano i piedi degli avventori più lenti.

«Che ne dici?» esclamò Lilo. «Non sei stanco di essere imbrogliato?»

Lui rise. «Forse dovrei uscire, almeno per un po’. Mi hai portato fortuna. Sono a tua disposizione.»

«D’accordo. Penso che un bagno farebbe bene a tutti e due. Quant’è che sei qui?»

Lilo sapeva bene che era nel casinò da trentasette ore. Gliel’avevano detto Vaffa e Cathay, che l’avevano tenuto d’occhio. Sapeva anche come si chiamava — Quince — ma non glielo disse. Era un cercatore di buchi neri, e per di più un po’ particolare, il che solleticava il suo interesse.

Erano sei giorni che Lilo lavorava duramente, da quando Vaffa le aveva concesso una certa libertà. Vaffa aveva deciso che sarebbe stata Lilo a tentare da sola; infatti, sebbene in realtà non si fidasse di nessuno dei due, di Cathay si fidava ancora meno. Ma era stata una decisione difficile, che le dava ancora i sudori freddi.

Non era una cosa semplice, neppure senza Vaffa. Finora Quince era sembrato la migliore possibilità. Apparentemente il problema consisteva nel fatto che i cercatori che possedevano una nave non mostravano il minimo interesse per noleggiarla. Un cercatore di buchi neri cerca buchi neri, come le era stato detto molte volte, con grande sdegno. Erano i tassisti a portare in giro i pochi cercatori attivi che si trovavano su Plutone in attesa che le navi venissero revisionate, e non volevano assolutamente fermarsi alla Linea Calda.

Quince era un po’ diverso. L’avevano trovato grazie alle ricerche di Vaffa. Aveva fatto tre viaggi, tutti di una trentina d’anni. La prima volta era stato fortunato ed era rientrato molto ricco. Con quel denaro aveva finanziato il secondo e il terzo viaggio, e nessuna delle due volte aveva trovato un buco nero. Se un cercatore torna a mani vuote, di solito cade nelle grinfie di un tribunale fallimentare che ne divide i beni rimasti. Quince però possedeva ancora la nave. Gli restava anche un po’ di soldi, ma non abbastanza per organizzare un quarto viaggio. Non aveva avuto fortuna nella ricerca di finanziatori; gli speculatori tendono a essere superstiziosi e non sono propensi a sostenere uno che abbia fallito due volte. Così ormai da un anno cercava di vincere al gioco abbastanza per mettersi di nuovo in volo.

San Pietro era al diciottesimo livello del complesso di locali da divertimento sotto lo spazioporto. Presero un ascensore per risalire in superficie e dopo poco trovarono un bagno pubblico. Si spogliarono e si immersero dentro la vasca. Lilo galleggiava sulla schiena e l’ascoltava lamentarsi della sfortuna tremenda che aveva avuto. Di tanto in tanto gli esprimeva la propria solidarietà, e a poco a poco cominciò a parlare di sé. Con lui era più facile intrecciare una conversazione che non con la maggior parte dei cercatori che aveva incontrato. Molto probabilmente perché era a terra da tanto tempo.

Passarono alla sauna e non dissero niente mentre il calore gli cuoceva i corpi. Poi ci fu un rapido tuffo nell’acqua gelata e una seduta più piacevole nella bassa piscina, mentre il vapore li avvolgeva. Lilo introdusse l’argomento del viaggio mentre gli strofinava la schiena.

«In nessun luogo?» esclamò lui. «Per quale motivo?» Non aveva mancato di notare le pile di moneta lunare che aveva gettato via quando le era seduta gomito a gomito. Lilo era «una ricca turista lunare».

«Nessun motivo. Sarebbe divertente. Potrei raccontare ai miei amici quanto sono andata lontana. Tutti sono stati su Plutone.»

«Quanto pensavi di andar lontano?»

«Oh, non lo so. Deciderei dopo.» Si sedette sul bordo della piscina, mentre lui le insaponava i piedi e le gambe. «Ma non sembra che ti interessi.»

Lui non disse niente, e lei non voleva insistere. Mentre attraversavano un piccolo giardino tropicale dove spruzzi e cascate gli tolsero di dosso il sapone, lui sembrava preoccupato. Si fermarono su un ponticello di legno, appoggiandosi alla spalletta. C’era un’altra coppia che luccicava visibilmente dietro il velo di una cascata. Lilo gli mise un braccio intorno alla vita e lo accarezzò mentre continuavano a guardare, ma lui non rispose. Passarono in un corridoio con getti d’aria calda e di talco. Lilo comprò una spazzola a un distributore e si sedette su un cuscino a pettinarsi i peli delle gambe.

«Quanto saresti disposta a pagare per un viaggio del genere?»

«Ah, non saprei. Quanto pensi che costerebbe?» Ci fu un altro silenzio minaccioso; lei decise di dargli lo spunto. «Immagino… be’, le tue spese, naturalmente. Quello che ci vuole per arrivare lassù. Più un compenso.»

Passarono alle lampade e si stesero su un lungo tavolo sul quale c’era già una dozzina di altre persone allineate come fette bianche e rosa di pancetta su una griglia. Dopo dieci minuti si voltarono.

«Ancora non mi hai detto dove vuoi andare.»

«Che ne dici della Linea Calda?» Poteva sentire gli ingranaggi del suo cervello che calcolavano i costi e il tempo. Sapeva esattamente quali sarebbero state le sue spese, date le dimensioni e l’accelerazione della nave. «Mi piacerebbe davvero andare laggiù ad ascoltare. Pensa, a migliaia di anni luce di distanza, persone che parlano a me

«Diciassette anni luce,» disse meccanicamente Quince. «E non puoi davvero…» Sembrò cambiare parere. «Potrebbe piacerti,» concluse.

Si sciacquarono un’altra volta, poi vennero asciugati e cosparsi di talco. Fecero a meno del massaggio, si rivestirono e tornarono in strada. Quince continuava a meditare sulla decisione da prendere, così Lilo lo lasciò in pace. Lo guidò in un bar e ordinò da bere per tutti e due. Trovarono un angolo isolato con la luce bassa. Lilo guardò nervosamente i numeri che brillavano sul polsino della sua camicia; era tardi. Vaffa l’aveva seguita i primi due giórni che era potuta uscire da sola, lo sapeva. Ora doveva essere puntuale. Fra poco Vaffa avrebbe cominciato a cercarla, e Lilo non sapeva cosa sarebbe successo se l’avesse trovata. Aveva paura che li aggredisse rovinando tutto, perciò decise di dargli un’altra spinta.

«D’accordo, pagherò le spese, più…» disse una cifra superiore del cinquanta per cento a quello di cui Quince avrebbe avuto bisogno per attrezzare e rifornire la nave per un viaggio di ricerca. Con tono pensoso, lui contrappose una cifra più alta. Era sempre la metà di quanto Lilo era stata autorizzata a pagare.

«Va bene.» Gli tese la mano. Lui gliela strinse e Lilo si sentì molto sollevata. Vaffa non poteva certo rimproverarla per aver fatto tardi, visto che doveva concludere l’affare.

«Ti darò il denaro non appena mi arriverà dalla mia banca sulla Luna. Mi chiamerai non appena sei pronto a partire.» Trattenne per un attimo il fiato, poi si buttò. Doveva andar bene. Doveva. «Ah, c’è un’altra cosa. In modo che tu possa calcolare i pesi, le masse, e tutto il resto, verranno anche mio marito e mia moglie.»

«Siete in tre?»

Non era una domanda, ma il modo per dire che non se ne faceva più niente.


«Dove sei stata?»

Vaffa aspettava da mezz’ora vicino al Parco del Centro, cercando di decidere a che punto il ritardo avrebbe significato diserzione. Adesso afferrò il polso di Lilo quasi spezzandoglielo, per tirarla dentro al parco. Presero un ascensore di vimini e salirono al livello dei trecento metri di uno dei grandi alberi. A Lilo avrebbe fatto piacere bere qualcos’altro, ma anziché entrare Vaffa la portò su un ramo. In breve furono fra le foglie e le piante rampicanti che le nascondevano alla vista.

«Non mi piace il panorama da quassù,» disse Lilo, guardando in basso.

«Hai ragione. Perché se non mi dai un’ottima giustificazione per il ritardo, fili di sotto. Ti ho detto che non avrei tollerato…»

«Basta. Basta! Se vuoi puoi buttarmi giù, non sono più disposta ad ascoltare le tue minacce. Maledizione, sto facendo del mio meglio, e voglio essere trattata come un essere umano!» Aspettò. Vaffa le lasciò lentamente la mano. Sembrò che le costasse un grande sforzo.

«Grazie. Avevamo fatto un patto. Parlo di quello che ti ho promesso venendo qui. O ti fidi di me, o non ti fidi. E se non ti fidi, a che servono i patti?»

«Non so quanto posso fidarmi di te. L’istinto mi dice poco.»

Lilo alzò le spalle. «Il tuo istinto ha ragione. Ma il momento si presenterà dopo, immagino. Comunque verrò con te alla Linea Calda, l’ho già deciso.»

«Questo significa che…»

«Aspetta, non ho ancora finito.» Lilo respirava pesantemente. Non poteva contrastare Vaffa fisicamente, dunque sarebbe stata una lotta verbale. Si sentiva un po’ esaltata; aveva risposto a Vaffa e non le era successo niente.

«Mi fai diventare pazza, lo sai? Non siamo bene assortite e tuttavia stiamo sempre insieme. Onestamente, quando ti ho fatto quella promessa non sapevo se l’avrei mantenuta. Ma adesso ne capisco il valore, se tu la rispetti con me.»

Vaffa sembrava sotto tortura. Lilo pensò che attribuisse un grande significato al rito del sangue e che si sentisse a disagio nel non fidarsi di qualcuno che vi si era sottoposto insieme a lei.

«Come faccio? Come posso fidarmi di te? Se fossi nella tua posizione credo che penserei solo a scappare.»

«E ci pensavo anch’io, all’inizio. È un pensiero che non mi lascia mai completamente. Ma posso darti due motivi per i quali non fuggirò adesso, e spero che ti convinceranno, altrimenti puoi anche buttarmi di sotto. Innanzitutto sono praticamente certa che non sei il solo agente di Tweed su Plutone. Probabilmente c’è qualcuno, forse due o tre persone, che ci segue di continuo. Anche se non c’è nessuno, Tweed conta sull’ipotesi che io pensi che ci sia. Credo che le due alternative siano ugualmente probabili, anche se forse la prima lo è un po’ di più. In ogni modo, ciò significa che se fuggo non ho più del cinquanta per cento di probabilità di farcela. Quando cercherò di scappare davvero voglio avere molte più possibilità.»

«E il secondo motivo?»

«Non so se a questo ci crederai, quindi è meglio che tu rifletta bene sul primo. Comunque, tanto per informazione, sono preoccupata. Quel messaggio della Linea Calda non mi piace. Non mi piace affatto. Credo che qualcuno dovrebbe studiarlo a fondo, e tanto vale che lo faccia io. Voglio andare ad ascoltarlo di persona.»

Vaffa abbassò per un attimo gli occhi e si passò una mano sulla testa calva. Annuì e si sedette a gambe incrociate sul ramo dell’albero.

«Va bene. Mi… dispiace. Avevo detto che mi sarei fidata di te e d’ora in poi lo farò ma alle stesse condizioni di prima, ricordalo. Se mi tradisci, ti darò la caccia e ti ucciderò.»

«Non chiedo altro.» Lilo le si mise accanto. Si stese, appoggiando la testa sulle braccia.

«Allora, com’è andata col cercatore?» chiese Vaffa.

«Niente da fare. Non ci porterà.»

«Cosa?»

«Calma. È per questo che ho fatto tardi. C’ero quasi riuscita. Stavamo già contrattando il prezzo.»

«Qual è stato il problema?»

«Tu. Oh, non tu personalmente. Tu e Cathay. Si rifiuta assolutamente di trasportare più di un passeggero. Nessuno di noi può andare da solo, per ovvi motivi, quindi non ci siamo potuti mettere d’accordo.»

«Ma perché? Ho controllato. La sua astronave potrebbe facilmente trasportarne quattro a quella distanza.»

Lilo sospirò. «Lo so. Devi cercare di capire come sono fatti questi cercatori. Le persone non gli piacciono. Per lui era già una tortura considerare la possibilità di trasportare me sola. Tre gli hanno fatto così paura che riusciva appena a parlare.»

«Credo di continuare a non capire.»

Lilo tentò di spiegarglielo di nuovo, perché non capiva neppure lei. «Mettiti al posto suo. Ha passato la maggior parte della sua vita solo su quella nave. È quasi diventata parte del suo corpo. Qui su Plutone sta lentamente impazzendo, e lo sa. Per lui dividere la sua nave con qualcuno è repellente come…» agitò le mani incerta, «…non saprei, come dividere con qualcuno lo spazzolino da denti. Scegli tu il paragone che preferisci. Non è disposto a farlo, per nessuna cifra.»

«Quindi siamo al punto di partenza.»

Lilo strinse le labbra, poi si voltò e sorrise.

«In realtà no. L’ho preso come esperto. Gli ho dato quanto basta per una sera al tavolo da gioco e gli ho rivolto la domanda che ci interessa: c’è nessuno che sia disposto a fare quello di cui abbiamo bisogno, a farlo più velocemente di quanto non ci riusciremmo da soli comprando una nave? O è impossibile? Tutti i cercatori avrebbero reagito come lui?»

«Continua. Cos’ha risposto?»

«Mi ha dato un nome. Nessuna promessa, è chiaro. Ma se c’è qualcuno disposto a farlo, questa è lei. È pazza, anche secondo il metro dei cercatori. Vado da lei fra due ore, col prossimo treno.»

«Perché non l’hai detto subito. No, non importa. Immagino che io non potrò venire.»

«No. Non c’è motivo di spaventarla subito con tre persone. È necessario procedere con astuzia.»

«Allora andrai tu, naturalmente.»

Lilo si voltò, per vedere se l’altra donna avesse voluto fare una battuta. Sarebbe stata la prima volta. Ma la faccia di Vaffa era seria come sempre.

«Come si chiama?»

«Javelin.»

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