5 Entra Chalk, poi Aoudad

Da tre giorni Duncan Chalk esaminava le registrazioni, dedicando la propria attenzione quasi esclusivamente a quell’iniziativa. Ora gli pareva di conoscere Minner Burris e Lona Kelvin meglio di chiunque. Gli pareva anche che l’idea di appaiarli fosse buona.

L’aveva saputo, intuitivamente, fin dall’inizio. Ma, per quanta fiducia avesse nei giudizi del proprio intuito, raramente passava all’azione solo su tale base, senza aspettare di avere effettuato una ricognizione più metodica. Ora l’aveva fatta. Aoudad e Nikolaides, ai quali aveva delegato le fasi preliminari dell’impresa, avevano presentato la loro selezione di registrazioni al monitor. Chalk non si era basato esclusivamente sul loro giudizio.

Aveva fatto visionare le registrazioni anche da altri, incaricati di preparare a loro volta un’antologia degli episodi più rivelatori. Era soddisfatto perché le scelte coincidevano. Ciò giustificava la fiducia accordata ad Aoudad e a Nikolaides. Dei buoni dipendenti.

Dondolando un poco avanti e indietro nella poltrona pneumatica, Chalk, in mezzo alla vita affaccendata e ronzante dell’organizzazione da lui creata, indugiò a considerare la situazione.

Un’iniziativa. Un’impresa. La riunione di due esseri umani che soffrivano. Ma erano umani? Lo erano stati. Una volta. Un impulso genetico. Un neonato che piange. E sin qui va bene. Un bambino, una bambina, lastre da conio vergini, per l’impronta della vita. Su questi due l’impronta si era abbattuta duramente.

Minner Burris. Astronauta. Intelligente, vigoroso, istruito. Catturato su un altro mondo e trasformato suo malgrado in un essere mostruoso. Per quel che gli era successo, Burris era angustiato. Naturale! Un uomo da meno sarebbe andato a pezzi. Burris si era solo piegato. Chalk sapeva che agli occhi del pubblico ciò sarebbe apparso interessante e ammirevole. Inoltre, Burris soffriva. E questo era interessante agli occhi di Chalk.

Lona Kelvin. Ragazza. Rimasta orfana in tenera età; affidata alle cure dello Stato. Non bella; ma era ancora in età acerba e forse sarebbe maturata. Insicura, orientata male nei confronti degli uomini, e non molto intelligente. (Oppure, si chiese Chalk, era più intelligente di quanto non osasse mostrare?) Aveva con Burris una cosa in comune. Anche lei era stata preda degli scienziati. Che non erano, però, degli esseri sinistri di un altro mondo, bensì delle astrazioni d’alto livello, spassionate, benevole, gentili, in camici da laboratorio. Senza danneggiare Lona in alcun modo, avevano solo prelevato alcuni oggetti superflui immagazzinati nel suo corpo, per servirsene a scopo sperimentale. Ecco tutto. E adesso i cento bambini di Lona germogliavano nei lucenti grembi di plastica. Avevano germogliato? Sì. Erano già nati. Lasciando un certo vuoto dentro Lona. Che soffriva.

Duncan Chalk giunse alla conclusione che, favorendo l’unione di quei due esseri sofferenti, si sarebbe compiuto un atto caritatevole.

— Fammi venire Bart — disse alla sua poltrona.

Bart entrò subito, come se camminasse su rotelle, come se fosse stato ad aspettare ansiosamente, in anticamera, proprio questa chiamata. Era gradevole che fosse ansioso. Un tempo Aoudad possedeva autonomia e agilità emotiva; ma Chalk sapeva che, alla lunga, aveva ceduto allo sforzo. Ne era un indizio la frenesia di andare a femmine. Tuttavia, a guardarlo, si vedeva una simulazione di forza. Occhi freddi, labbra decise. Sotto la superficie, Chalk percepiva le emanazioni della paura e del nervosismo. Aoudad aspettava.

Chalk disse: — Bart, puoi portare subito Burris da me?

— Sono settimane che non esce dalla sua camera.

— Lo so. Ma che io vada da lui è futile. Bisogna indurlo a riapparire in pubblico. Ho deciso di mandare avanti l’iniziativa.

Aoudad irradiò una specie di terrore. — Andrò a trovarlo, signore. Già da un po’ ho predisposto delle tecniche per prendere contatto. Offrirò degli incentivi. Verrà.

— Non parlargli ancora della ragazza.

— No, certamente no.

— Manovrerai bene questa faccenda, Bart. Posso fidarmi di te. Lo sai. La posta in gioco è grossa; ma, come al solito, farai un buon lavoro.

Chalk sorrise. Aoudad sorrise. Il sorriso dell’uno era un’arma. Quello dell’altro, una difesa. Chalk percepì le emanazioni. Nel suo profondo, delle ghiandole endocrine ne furono eccitate, ed egli reagì all’inquietudine di Aoudad con un sussulto di godimento. Dietro gli occhi freddi e grigi di Aoudad roteavano le incertezze. Eppure Chalk aveva detto la verità: aveva fiducia nell’abilità di Aoudad, per quella faccenda. Era invece Aoudad a non averne, e perciò le assicurazioni di Chalk giravano un pochino il coltello nella piaga. Da gran tempo Chalk aveva imparato tali tattiche.

Disse: — Dov’è Nick?

— Fuori. Credo che tenga d’occhio quella ragazza.

— Per poco non ha fatto un grosso sbaglio, iersera. La ragazza è andata al Portico e non era debitamente protetta. Uno sciocco le ha messo le mani addosso. Per fortuna di Nick, la ragazza ha resistito. La sto tenendo in serbo.

— Sì. certo.

— Naturalmente, nessuno l’ha riconosciuta. È dimenticata. Il suo grande anno è stato l’anno scorso. Oggi, è nessuno. Tuttavia — disse Chalk — c’è da ricavare da lei, sapendo fare, una buona storia. Se si lascia insozzare da qualche sporcaccione ignorante, ciò rovinerebbe la storia, Nick deve stare più attento. Glielo dirò. Tu, provvedi a Burris.

Aoudad uscì svelto dalla stanza. Chalk se ne rimase seduto, canticchiando fra sé oziosamente, e godendosela. Quell’affare avrebbe funzionato. Sarebbe di sicuro piaciuto moltissimo al pubblico, quando fosse sbocciata la storia d’amore. Ci sarebbe stato da rastrellare denaro a palate. Beninteso, Chalk non aveva bisogno di fare altri soldi.

Questi costituivano lo stimolo, un tempo; ma ora non più. Neppure la prospettiva di un accrescimento di potere lo allettava un gran che. A dispetto delle teorie comuni, Chalk aveva conseguito un grado di potere sufficiente e, se fosse stato certo di poter conservare quel che aveva, sarebbe anche stato disposto a cessare di espanderlo. Ma un’altra cosa, più intima, guidava ora le sue decisioni. Quando l’amore del denaro e l’amore del potere si sono saziati, rimane sempre l’amore dell’amore. Chalk non trovava l’amore là dove gli altri possono trovarlo; ma aveva anche lui i suoi bisogni. Forse Minner Burris e Lona Kelvin avrebbero potuto appagarli. Catalisi. Sinergia. Poi, si vedrà.

Chiuse gli occhi.

Vide se stesso, galleggiante nudo in un mare verde azzurro. Alte onde gli schiaffeggiavano i fianchi bianchi e lisci. La sua gran massa si muoveva agevolmente, perché lì era senza peso, sostenuta in seno all’oceano, con le ossa che una volta tanto non si flettevano sotto la forza di gravità. Lì Chalk era rapido.

Volteggiava avanti e indietro, sfoggiando la sua agilità nell’acqua. Scherzavano intorno a lui le lampughe, i cefalopodi, i marlin. Al suo fianco si muoveva la massa verticale, stupida e solenne di un ortagorisco, il pesce luna che, quanto a mole, non è cosa da poco, neanche lui, eppure sembrava un’inezia accanto alla sua candida immensità.

Chalk vide delle imbarcazioni sull’orizzonte. Uomini che si avvicinavano, ergendosi, truci. Era lui, adesso, la preda. Rise con riso tonante. All’avvicinarsi delle imbarcazioni, si voltò e nuotò verso di loro, provocandoli, invitandoli a fare il peggio. Stava affiorando, con bianchi bagliori nella luce del mezzodì. Falde d’acqua grondavano a cascata dal suo dorso.

Ora le imbarcazioni erano vicine. Chalk girò su se stesso. Le pale di una coda potente frustarono l’acqua. Un’imbarcazione rimbalzò in aria, frantumata, rovesciando nella spuma il suo carico gesticolante di uomini. Un impeto muscolare lo allontanò dai suoi inseguitori. Soffiò fuori un grande zampillo, per celebrare il suo trionfo. Poi si immerse, sprofondando gioiosamente verso l’abisso e in pochi istanti la sua bianchezza svanì nel regno in cui la luce non penetra mai.

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