LA QUINTA FATICA OVVERO LE BURLE DI RE BALERION

Non con la crudeltà Re Balerion, sovrano di Cyberia, opprimeva il suo popolo, bensì con l’eccessiva voglia di divertirsi. E, in realtà, non erano lunghi banchetti o estenuanti orge notturne a rallegrare il cuore di Sua Maestà, ma trastulli ben più innocenti: il gioco della pulce, il mercante in fiera, tappo e rubamazzetto, nei quali amava indulgere fino all’alba, nonché cavalluccio, saltamartino, moscacieca e la settimana, con cui si dilettava durante il giorno, ma soprattutto gli piaceva giocare a nascondino.

Ogni volta che c’era un’importante decisione da prendere, un documento di stato da firmare, un ambasciatore interstellare da ricevere o un commodoro che chiedeva udienza, il Re si nascondeva, e i ministri dovevano trovarlo, oppure rassegnarsi a terribili punizioni.

Così si vedeva l’intera corte andare avanti e indietro per il palazzo, controllare i sotterranei e cercare sotto il ponte levatoio, ispezionare torri e bastioni, battere sulle pareti, mettere sottosopra il trono per guardarvi dentro, e spesso queste ricerche duravano molto a lungo.

Una volta, una guerra importantissima non venne dichiarata, e questo perché il Re, rivestito di prismi e di gocce di cristallo molato, era rimasto appeso per tre giorni al soffitto della sala principale — scambiato da tutti per un lampadario — facendo una grande fatica per non ridere dei ministri che correvano freneticamente sotto di lui e non sapevano che pesci pigliare.

Chiunque scoprisse il nascondiglio del Re riceveva il titolo di Scopritore Reale: a corte ce n’erano già settecento e trentasei. Ma per entrare seriamente nei favori regali occorreva insegnargli qualche nuovo gioco, uno che Re Balerion non conoscesse.

E non era certo facile, considerato che era straordinariamente ferrato sull’argomento. Conosceva tutti i giochi antichi, come gli astragali, il pari e caffo, la lippa, il tric-trac, e tutti quelli moderni, come il saltaelettrone e la mosca quantizzata, e amava ripetere che tutto era gioco, compresa la sua Corona, o, se lo si preferiva, che l’intero universo era burla.

Queste parole spensierate e sciocche erano un insulto per i venerabili membri del Consiglio della Corona. In particolare, il Primo Ministro., Sua Signoria Papagaster della grande famiglia dei Pentaperieli, ne era profondamente indignato, e aveva detto che per il Re non c’era niente di sacro e che Sua Maestà osava persino esporre al ridicolo la sua Sublime Persona.

Inoltre, quando il Re annunciava che la riunione del Consiglio era finita e che era arrivato il momento degli indovinelli, il terrore si impadroniva di tutti i presenti. Re Balerion aveva sempre avuto la passione degli enigmi; una volta, nel bel mezzo della cerimonia dell’incoronazione, aveva confuso il Grande Cancelliere con la domanda: «Che differenza c’è tra l’antimateria e la bomba anticarro?»

Non dovette passare molto tempo perché il Re comprendesse che i suoi cortigiani non dedicavano i giusti sforzi alla soluzione dei quesiti da lui posti. Rispondevano a casaccio, dicevano la prima cosa che gli frullasse per la mente, e questo lo faceva infuriare. Tuttavia, non appena Re Balerion cominciò a basare tutte le cariche e le promozioni sulle risposte ai suoi indovinelli, le cose migliorarono in modo stupefacente.

Decorazioni e licenziamenti facevano in fretta ad arrivare, e l’intera corte, volente o nolente, dovette partecipare onestamente al gioco del sovrano.

Purtroppo, molti dignitari tentavano di ingannare il Re, il quale, benché di natura fondamentalmente affabile, non tollerava gli imbrogli. Il Custode del Gran Sigillo venne mandato in esilio perché aveva consultato un bignamino — nascosto sotto la corazza alla Presenza Reale; non sarebbe stato scoperto se un suo nemico, un certo generale, non avesse fatto la spia al Re.

Lo stesso Papagaster aveva dovuto lasciare il suo alto incarico, perché non aveva saputo rispondere alla domanda: «Qual è il punto più buio dello spazio interplanetario?»

Dopo qualche tempo, il Consiglio della Corona finì per essere costituito dai migliori solutori di parole incrociate, rebus e crittografie del paese, e i ministri non muovevano più un passo senza avere con sé l’enciclopedia.

Presto i cortigiani divennero così abili da poter dare le risposte giuste prima ancora che il Re finisse di porre la domanda, cosa che tuttavia era meno sorprendente di quanto parrebbe a prima vista, dato che tutti erano divenuti accaniti lettori della Gazzetta Ufficiale, nella quale, invece di un noioso elenco di leggi e di decisioni amministrative, figuravano soltanto rompicapi, enigmi e giochi di società.

Con il passare del tempo, però, il Re perse progressivamente la voglia di scervellarsi sui giochi enigmistici, e gradualmente ritornò al suo primo e massimo amore: il nascondino. Un giorno, in una disposizione di spirito particolarmente giocosa, offrì un premio eccezionale a chi fosse stato in grado di trovargli il miglior nascondiglio del mondo. Il premio era nientemeno che il Diadema Reale della Dinastia dei Cyberanidi, adorno di gemme dal valore — nel vero senso della parola — inestimabile. Da secoli nessuno aveva più potuto posare lo sguardo su quella meraviglia, perché era chiusa in cassaforte nei Caveau Reali.

Ora, accadde che Trurl e Klapaucius capitassero su Cyberia nel corso di uno dei loro viaggi. La notizia del proclama del Re, che si era rapidamente sparsa per tutto il regno, arrivò anche all’orecchio dei Nostri; l’appresero da alcuni abitanti della città, nella locanda dove si erano fermati per la notte.

L’indomani mattina si affrettarono a recarsi a Palazzo, per annunciare che conoscevano un nascondiglio superiore a qualunque altro. Purtroppo, erano così tanti coloro che si erano recati laggiù nella speranza di guadagnarsi il premio, che era quasi impossibile oltrepassare la folla che attendeva davanti al cancello. Trurl e Klapaucius, perciò, ritornarono alla locanda e decisero di riprovare l’’ndomani.

Il secondo giorno, però, non si affidarono semplicemente alla buona sorte: prudenti come il fante di quadri, i due costruttori si erano preparati alla bisogna. A ogni guardia che sbarrava loro il passaggio e a ogni funzionario di corte che chiedeva loro dove andassero, Trurl passava silenziosamente qualche moneta e, se la cosa non funzionava, rincarava la dose: così facendo, in meno di cinque minuti furono davanti al trono di Sua Altezza Reale.

Il Re, naturalmente, era felice di sapere che due famosi sapienti avevano percorso tanta strada al solo scopo di fargli conoscere il nascondiglio perfetto. Occorse del tempo per spiegare a Re Balerion come funzionasse la cosa, ma la sua mente, abituata fin dall’infanzia a ogni trucco e indovinello, alla fine afferrò l’idea.

Pieno di ardore, il Re balzò a terra, assicurò ai due amici la sua gratitudine eterna, promise che avrebbero ricevuto sicuramente il premio… a patto che gli lasciassero provare subito il loro metodo segreto.

Klapaucius, su quel punto, aveva alcune riserve, e brontolò tra sé che prima si sarebbe dovuto firmare un regolare contratto, con pergamena, ceralacca, nastri; ma il Re insisteva tanto, supplicava con tale veemenza, giurando solennemente che il premio era già loro, che i costruttori finirono per cedere.

Trurl aprì la valigetta che aveva portato con sé, prelevò il marchingegno occorrente e lo mostrò al Re. L’invenzione, in realtà, non aveva niente a che vedere con il gioco del nascondino, ma vi si poteva applicare in modo mirabile. Si trattava di un trasferitore bilatero di personalità, completamente reversibile, com’è naturale. Servendosi di esso, due individui potevano, in un battibaleno, scambiarsi l’intera mente.

Lo strumento si portava sulla testa e assomigliava a un paio di corna; quando le due corna toccavano la fronte della persona con cui si voleva effettuare lo scambio, bastava una piccola pressione perché il congegno si attivasse ed emettesse due serie di impulsi uguali e contrari. Lia uno dei corni usciva la psiche del portatore ed entrava nel cervello dell’altro; contemporaneamente, dall’altro corno passava la mente della seconda persona. Istantaneamente si de-energizzava la memoria dell’uno e al suo posto si energizzava quella dell’altro. Trurl s’era infilato in testa l’apparecchio per mostrare al Re come si dovesse usare e stava spiegando l’intera procedura, quando il sovrano, portata l’augusta testa in prossimità dei corni, d’impulso diede un colpo di fronte su di essi, sufficiente ad accendere il meccanismo ed effettuare il cambiamento di personalità.

Tutto accadde così in fretta che Trurl, il quale non aveva mai provato su se stesso lo strumento, non si accorse di nulla. Né se ne accorse Klapaucius, che era fermo accanto alla coppia; semplicemente, gli parve un po’ strano che Trurl si bloccasse bruscamente a metà di una frase e fosse il Re a continuare dal punto in cui si era fermato, con parole come «i potenziali corrispondenti alla conversione non lineare dei quanti sub-mnemonici» e «il differenziale di flusso adiabatico dell’Id».

Il Re andò avanti per quasi un minuto, con la sua voce un po’ chioccia, prima che Klapaucius capisse che doveva essere successo qualcosa. Re Balerion, non appena si era trovato nel corpo di Trurl, aveva smesso di ascoltare la lezioncina e muoveva le dita delle mani e dei piedi per stare più comodo nella nuova forma, che adesso osservava con il massimo interesse.

Intanto Trurl, abbigliato con una lunga veste color porpora, agitava le braccia per spiegare l’inversione entropica dei sistemi mutuamente trasformati, quando si accorse pian piano che qualcosa lo impacciava nei movimenti; allora si guardò la mano e scoprì con stupore di impugnare uno scettro.

Stava per fare un commento, ma il Re scoppiò a ridere e corse via. Trurl fece per inseguirlo, ma inciampò nel manto regale e cadde a terra. Il movimento richiamò l’attenzione delle guardie del corpo, che si gettarono immediatamente su Klapaucius, convinte che avesse attaccato il Re. Prima che Trurl riuscisse a sollevare da terra la sua persona regale e a convincere le guardie che non correva pericoli, Re Balerion era già lontano, a divertirsi chissà dove, nel corpo di Trurl.

Trurl cercò di inseguirlo, ma i cortigiani non glielo permisero, e quando il costruttore protestò di non essere affatto il Re, che c’era stato un trasferimento di personalità, pensarono che l’esorbitante almanaccare enigmistico avesse definitivamente scombussolato la Ragione Reale, ed educatamente, ma non meno fermamente, lo chiusero nella regia camera da letto e mandarono a chiamare l’archiatra di corte, mentre il sovrano continuava a vociare e a picchiare sulla porta.

Intanto Klapaucius, che era stato allontanato da palazzo senza tanti complimenti, ritornò alla locanda, riflettendo — con una certa preoccupazione — sulle complicazioni che potevano nascere da un fatto come quello appena successo. «Senza dubbio» pensò «se mi fossi trovato nei panni di Trurl, la mia grande presenza di spirito avrebbe risolto immediatamente la situazione. Invece di fare una scena e di farneticare di trasferimenti telepatici, con il solo risultato di far sorgere sospetti sulla mia sanità mentale, avrei approfittato della mia presenza nel corpo del Re e ordinato alle guardie di prendere immediatamente in custodia Trurl, ossia Balerion, che adesso, invece, vaga libero per la città, chissà dove. Inoltre avrei ordinato all’altro costruttore di rimanere al mio fianco, come consigliere speciale. Ma quell’idiota… — (con queste parole si riferiva a Trurl) — …ha perso completamente la testa, e adesso dovrò fare appello a tutta la mia capacità tattica, perché questa faccenda rischia di finire male».

Cercò di ricordare tutto quel che sapeva del trasferitore di personalità, che non era certamente poco. Il massimo pericolo, secondo lui, era che Re Balerion, correndo spensieratamente di qua e di là, nel corpo di Trurl, inciampasse e colpisse con le corna qualche oggetto inanimato. In tal caso, la coscienza di Re Balerion si sarebbe immediatamente trasferita in quell’oggetto e, poiché le cose inanimate non possedevano coscienza, l’oggetto non avrebbe dato al trasferitore una coscienza da restituire, e di conseguenza il corpo di Trurl sarebbe caduto a terra privo di vita; quanto al Re, sarebbe rimasto intrappolato per l’eternità in una pietra, o in un lampione, o in una scarpa vecchia.

Inquieto, Klapaucius accelerò il passo, e non lontano dalla taverna sentì alcuni cittadini discutere animatamente tra loro. Interrogandoli, venne a sapere che il suo collega, Trurl, era uscito di corsa dal palazzo reale — come se il diavolo si fosse impadronito di lui — e che, scendendo per i lunghi, alti scalini che portavano alle banchine, era incespicato e si era rotto una gamba.

L’incidente l’aveva spinto a una strana frenesia; mentre giaceva a terra, si era messo a gridare di essere Re Balerion Medesimo, aveva ordinato di far accorrere l’archiatra reale, una barella con cuscini di piume, balsami ed essenze profumate; e, mentre la gente rideva per la sua follia, si era messo a strisciare sul lastricato, imprecando in modo spaventoso e stracciandosi le vesti, finché un misericordioso passante non aveva provato pietà e si era chinato ad aiutarlo. Allora il costruttore si era tolto il cappello, rivelando — c’erano dei testimoni disposti a ripeterlo sotto giuramento — le corna del diavolo.

Il racconto proseguiva dicendo che con quelle corna il costruttore aveva colpito in testa il buon samaritano, poi era caduto a terra, rigido ed esanime, e si era messo a gemere debolmente, mentre il buon samaritano era improvvisamente cambiato — come se uno spirito malvagio si fosse impadronito di lui — e danzando, saltellando, allontanando a spintoni chiunque fosse sulla sua strada, si era lanciato al galoppo per gli scalini che scendevano al porto.

Klapaucius si sentì svenire, quando venne a conoscenza di tutto questo, perché capì che Re Balerion, dopo aver danneggiato il corpo di Trurl (e dopo averlo usato per così poco tempo) l’aveva astutamente scambiato con quello di uno sconosciuto.

«A questo punto» si disse, inorridito «come trovare Re Balerion, nascosto in un corpo che io non conosco? Dove iniziare a cercarlo?»

Tentò di farsi rivelare dai presenti chi fosse il passante che con tanta nobiltà di spirito si era accostato allo pseudo-Trurl ferito, e anche quel che era successo ai due corni del costruttore. Del buon samaritano si sapeva soltanto che, a giudicare dai vestiti, doveva essere un forestiero: un marinaio, sceso da qualche nave giunta da lontani pianeti; quanto ai corni, nessuno sapeva che dire al costruttore.

Poi, per fortuna, un certo mendicante dalle gambe completamente arrugginite (era vedovo, e non aveva nessuno che gliele tenesse lucide e impermeabili), costretto dunque a muoversi su quattro rotelline fissate ai fianchi — cosa che, naturalmente, gli dava un ottimo punto di vista su tutto quel che traspariva a livello del suolo — riferì a Klapaucius che il degno marinaio aveva strappato le corna dalla testa del costruttore (mentre questi era prono sul terreno), con una tale rapidità che soltanto lui se n’era accorto.

Così, a quanto pareva, Re Balerion era di nuovo in possesso del trasferitore e poteva continuare la sua pericolosa attività di balzare da un corpo all’altro.

La notizia che adesso la sua mente occupava il corpo di un marinaio era particolarmente sgradevole.

«Tra tutti, proprio un marinaio doveva scegliere!» gemeva Klapaucius, tra sé. «Scaduto il suo permesso di sbarco, non trovandolo a bordo (e come potrebbe trovarsi sulla nave, non sapendo qual è?) il capitano denuncerà il fatto alle autorità portuali, che arresteranno il disertore, e Nostra Altezza si troverà in gattabuia! E se mai dovesse, per la disperazione, battere la testa contro il muro, senza preventivamente essersi tolto le corna… che il Cielo ci protegga!»

Le possibilità di rintracciare il marinaio che era Re Balerion erano poche o nessuna, ma Klapaucius si affrettò a raggiungere il porto. La fortuna, però, pareva essere dalla sua, perché subito scorse una ragguardevole folla e, con un certo presentimento di trovarsi sulla giusta traccia, si mescolò tra la gente e presto venne a sapere, da quel che sentì dire qua e là, che si era verificato quanto temeva.

Pochi minuti prima, un rispettabile comandante di nave, padrone di un’intera flottiglia di mercantili, aveva riconosciuto un suo marinaio, persona fidatissima ed estremamente morigerata; eppure, proprio in quel momento, il fidatissimo individuo era intento a insultare chi gli passava davanti; a coloro che gli consigliavano di smettere prima che arrivasse la polizia, il marinaio gridava di poter diventare chiunque volesse, e che nel «chiunque» era compreso l’intero corpo di polizia della nazione.

Scandalizzato da quel comportamento, il comandante aveva rampognato il suo marinaio, che, come tutta risposta, gli aveva dato una bastonata.

Poi era arrivata sulla scena una squadra di poliziotti, che perlustrava regolarmente il porto — luogo dove liti e disordini erano prevedibilmente frequenti — e il caso aveva voluto che ne fosse a capo il Commissario di quartiere.

Questi, nel vedere che il marinaio riottoso si rifiutava di ritornare alla ragione, aveva ordinato di imprigionarlo seduta stante. Ma, mentre gli agenti effettuavano l’arresto, il marinaio si era scagliato all’improvviso contro il Commissario, a testa in avanti, come se il demonio si fosse impossessato di lui, e lo aveva colpito con quelli che sembravano due corni. Subito dopo, aveva cominciato a urlare di essere un poliziotto, e non un poliziotto qualsiasi, ma il comandante delle forze di polizia portuali, mentre il Commissario, invece di incollerirsi per quelle farneticazioni insolenti, aveva riso come se si trattasse di una divertente burla. Poi, però, aveva ordinato ai suoi subalterni di accompagnare in prigione il disturbatore senza perdere altro tempo, e di non risparmiare i colpi di mano e di sfollagente.

Cosi, in meno di un’ora, Re Balerion era riuscito a cambiare per ben tre volte la sua residenza corporea, e attualmente si trovava nel corpo di un Commissario di polizia, il quale, anche se Dio sapeva quanto fosse innocente, era finito in qualche cella buia e umida e si trovava nei guai.

Sospirando, Klapaucius si recò al comando di polizia: un grosso edificio di pietra, situato sulla costa. Nessuno gli sbarrò la strada; il costruttore proseguì per tre o quattro stanze vuote, finché non si trovò davanti a un vero gigante, in un’uniforme da ufficiale di polizia parecchie taglie più piccola, e armato fino ai denti.

Quella montagna di individuo guardò con ira Klapaucius e fece un passo avanti, come per cacciarlo via di peso… ma all’improvviso gli strizzò l’occhio (anche se Klapaucius era certo di non averlo mai visto in precedenza) e scoppiò a ridere. Aveva la voce roca, e senza dubbio era una voce da poliziotto abituato a gridare, ma la risata — e in particolare la strizzata d’occhi — facevano pensare a Re Balerion. E infatti si trattava del Re, anche se ovviamente non era presente di persona!

«Ti ho riconosciuto subito» disse Re Balerion il poliziotto. «Eri a palazzo, hai accompagnato quello che aveva l’apparecchio. Che cosa te ne pare? Non è un nascondiglio favoloso? Non riusciranno mai a trovarmi, lo sai, nemmeno in un milione di anni! Inoltre, è così divertente essere un poliziotto grosso e forte. Guarda!»

E calò il pugno sul tavolo, con tale forza che il mobile si spaccò in due… ma anche sulla mano comparve una crepa. Re Balerion fece una smorfia e disse: «Ahi! Si deve essere rotto qualcosa. Ma non fa nulla. All’occorrenza, posso sempre trasformarmi… in te, per esempio!»

Klapaucius indietreggiò verso la porta, ma il poliziotto gli bloccò l’uscita con la sua colossale corporatura e proseguì: «Non che abbia qualcosa di personale contro di te, intendiamoci. Ma sai troppe cose, vecchio mio. Perciò, penso che sia meglio metterti dentro. Sì, in galera!» Rise con cattiveria. «In questo modo, quando mi congederò dalla polizia, nessuno, nemmeno tu, avrà la più pallida idea di dove sono, o meglio, di chi sono! Ah, ah!»

«Maestà!» protestò Klapaucius. «Non conoscete i pericoli di quello strumento. Supponete di entrare nel corpo di qualcuno con una malattia mortale, o di un criminale ricercato…»

«Nessun problema» rispose il Re. «L’importante è che mi ricordi di una cosa: dopo ogni trasferimento, riprendere le corna!»

E indicò la scrivania rotta, nel cui cassetto, aperto, si scorgeva lo strumento.

«Ogni volta» disse «lo toglierò dalla testa della persona da cui provengo, e cercherò di non perderlo. Basterà questo perché non mi capiti niente di male».

Klapaucius fece del suo meglio per convincere il Re ad abbandonare l’idea di nuovi trasferimenti della personalità, ma tutto fu inutile; questi si limitò a ridere e a scherzare, e infine disse, chiaramente divertito: «Non ritornerò a palazzo… puoi scordartelo! Anzi, ti dico quello che intendo fare: vedo davanti a me un lungo itinerario, un viaggio da un corpo all’altro dei miei fedeli sudditi, cosa che, del resto, è pienamente in linea con le mie convinzioni democratiche. E poi, come ciliegina sulla torta, per così dire, il corpo di qualche bella ragazza — dovrebbe essere un’esperienza assai istruttiva, non ti pare? Ah, ah!»

Con un braccio enorme, aprì una porta e chiamò i suoi subordinati. Klapaucius — compreso che l’avrebbero imprigionato se non fosse passato immediatamente all’azione — afferrò un calamaio e scagliò l’inchiostro in faccia al Re. Poi, nella confusione, scavalcò il davanzale della finestra e balzò in strada. Per un colpo di fortuna non c’erano testimoni, e Klapaucius riuscì ad arrivare a una piazza affollata e a confondersi tra la gente prima che dal comando di polizia cominciassero a uscire gli agenti, che con una mano si raddrizzavano il chepì e con l’altra brandivano la pistola.

Rimuginando pensieri tutt’altro che allegri, Klapaucius si allontanò dal porto.

«Sarebbe meglio, in realtà» diceva a se stesso «lasciare al suo destino quell’incorreggibile Re Balerion, recarsi all’ospedale dove hanno ricoverato il corpo di Trurl, che adesso è occupato dall’onesto marinaio, e portarlo a palazzo, in modo che il mio amico possa ritornare in se stesso corpo e anima.

«E’ vero che, così facendo, il marinaio sarebbe Re al posto di Balerion… ma è proprio quello che si merita quel malfattore!»

Forse non era un cattivo piano, ma era inattuabile per la mancanza di un piccolo ma necessario particolare: nella fattispecie il trasferitore con le corna, che al momento si trovava in un cassetto, al commissariato di polizia.

Per un istante, Klapaucius pensò alla possibilità di costruire un altro strumento come quello, ma non ne aveva il tempo, e neppure i mezzi.

«Idea» pensò. «Posso andare da Trurl, che adesso è il Re e che ormai avrà certamente ripreso il senno, e gli dirò di ordinare all’esercito di circondare la stazione di polizia del porto. Così recupereremo lo strumento e Trurl potrà ritornare alla sua vecchia personalità!»

Però, Klapaucius non riuscì a farsi ammettere all’interno del palazzo. I medici, gli dissero le sentinelle, avevano messo il Re sotto potenti sedativi elettrostatici e per almeno ventotto ore avrebbe dormito come un ghiro.

«Non ci mancava che questa!» gemette Klapaucius, e si diresse all’ospedale dove era ricoverato il corpo di Trurl, perché temeva che potesse già essere stato dimesso e che si fosse perduto irrimediabilmente nel labirinto della grande città.

All’ospedale si presentò come un parente del ricoverato con la gamba rotta; il nome lo lesse nel registro dei pazienti. Gli riferirono che la ferita non era grave — solo una brutta slogatura e non una frattura — ma che il paziente doveva rimanere in trazione per alcuni giorni.

Klapaucius, naturalmente, non aveva intenzione di far visita al paziente — sarebbe soltanto riuscito a far scoprire che non si conoscevano. Rassicurato sul fatto che, almeno per qualche giorno, il corpo di Trurl non sarebbe sparito, lasciò l’ospedale e prese a vagare per le strade della città, profondamente assorto nei suoi pensieri.

Chissà come, finì per trovarsi in prossimità del porto e notò che la zona pullulava di poliziotti: le pattuglie fermavano tutti i passanti e li controllavano minuziosamente, confrontando i loro connotati con la descrizione di un ricercato, scritta su un foglio.

Klapaucius comprese subito che era opera di Re Balerion, il quale lo voleva incarcerare a tutti i costi. Proprio in quel momento c’era una pattuglia che si avvicinava a lui, e due guardie, alle sue spalle, gli bloccavano la ritirata. Klapaucius si consegnò alle guardie senza opporre resistenza, e chiese di essere portato subito dal Commissario, perché aveva notizie importanti, che riguardavano un orribile crimine.

Gli agenti lo arrestarono e lo ammanettarono a un robusto poliziotto; al comando di polizia, il Commissario — Re Balerion — lo accolse con un brontolio di soddisfazione e un luccichio maligno nello sguardo. Ma Klapaucius stava già esclamando, in una voce contraffatta che non era la sua: «Eccellenzia! Esaltissimo Ser Poliziotto! Io stato ciapato da Polizei, io stato detto tu sei Klapaucius, ma io non lui, nonriò, nemmanco chi è Klapaucius, io so! Forse il Klapaucius che cercate il bandito è? Quello che ha sulla testa le corna per colpire, il grande Zauberer… il grande mago di magia nera, che diverso da me mi ha fatto diventare, che ha messo mia testa in altra testa, ha ciapato le corna, è scappato via, o Grande Signore della Polizia! Aiuto ti chiedo!»

E con queste parole, l’astuto Klapaucius cadde in ginocchio, agitando la testa e mormorando tra sé in un’incomprensibile lingua straniera.

Re Balerion, che era seduto dietro la scrivania con indosso un’uniforme dalle enormi spalline dorate, batté gli occhi sorpreso, non appena comprese il significato di quelle parole; diede un’occhiata più attenta al presunto Klapaucius inginocchiato, e annuì tra sé — ignaro del fatto che il costruttore, durante il tragitto verso il commissariato, si era servito della mano libera per farsi due piccoli se

gni sulla fronte, uguali a quelli prodotti dal dispositivo di Trurl.

Balerion ordinò ai suoi uomini di liberare Klapaucius e di lasciarlo solo con lui; quando tutti se ne furono andati, gli chiese di raccontargli con esattezza che cosa fosse successo, senza tralasciare alcun particolare.

Come risposta, Klapaucius gli raccontò una lunga storia, riferendo di essere un ricco straniero, e di essere arrivato quel giorno stesso, con una nave contenente duecento dei migliori puzzle di legno che fossero mai stati escogitati e trenta fanciulle fiore automatiche, da portare in dono a Re Balerion. Si trattava di un omaggio dell’Imperatore Proscidiolo, che intendeva così esprimere la sua sconfinata ammirazione per la grande Casata di Cyberia.

Tuttavia, dopo essere atterrato, aveva pensato di fare un giro del porto, per sgranchirsi le gambe dopo il lungo viaggio, e mentre passeggiava tranquillamente lungo il molo, una persona, che assomigliava esattamente a questa (qui, Klapaucius indicò se stesso) e che aveva già destato i suoi sospetti perché osservava con avidità i suoi splendidi abiti stranieri… quella persona, per farla breve, si era scagliata su di lui come un pazzo, come se volesse gettarlo a terra, ma all’ultimo minuto si era tolto il cappello e l’aveva colpito in fronte con un paio di corna; a quel punto c’era stato uno straordinario scambio di menti.

Klapaucius fece ricorso a tutta la sua capacità di convinzione, per rendere credibile la sua storia. Parlò diffusamente del corpo che aveva perso, magnificandone la bellezza, e nello stesso tempo non lesinò insulti alla schifezza di corpo in cui era finito (per esser più convincente, giunse perfino a prendersi a schiaffi e a sputarsi sulle braccia e sulle gambe).

Parlò dei tesori che aveva con sé, a bordo della sua nave, e li descrisse minuziosamente, soffermandosi in particolare sulle fanciulle fiore automatiche; poi, abbandonandosi alle reminiscenze, parlò della famiglia che s’era lasciata alle spalle, dei figli, del cane, e della moglie, una donna su un milione, che faceva un elettrolito speziato addirittura superiore a quello che dava lustro alla mensa imperiale; e presto, sopraffatto dalla commozione, lasciò perfino trapelare davanti al Commissario il suo più grande segreto, ossia l’accordo con il suo comandante: i doni dovevano essere consegnati al rappresentante di Re Balerion che si fosse presentato al comandante pronunciando una parola d’ordine.

Re Balerion ascoltò avidamente tutta la storia, perché gli pareva logico che Klapaucius, desideroso di sfuggire alla polizia, avesse scelto di entrare nel corpo di un forestiero, e non di uno qualsiasi, ma di uno abbigliato con vesti magnifiche, che gli avrebbe dato accesso a grandi ricchezze, una volta effettuato il trasferimento. Era chiaro, del resto, che anche Re Balerion aveva pensato a un piano analogo. Astutamente, il Re cercò di farsi svelare la parola d’ordine dal falso forestiero, il quale, in realtà, non ebbe bisogno di molte spinte per dargliela, perché subito gliela sussurrò all’orecchio: «Oniterc». A quel punto, il costruttore era ormai convinto che Balerion avesse abboccato: amava a tal punto i puzzle da non sopportare l’idea che finissero in mano al Re, dato che il Re, adesso, non era più lui; ed essendo disposto a credere a tutto, aveva immediatamente creduto che Klapaucius possedesse un secondo apparecchio per il trasferimento. Del resto, non aveva alcuna ragione di credere il contrario.

Per qualche tempo, tutt’e due rimasero in silenzio; si aveva quasi l’impressione di veder girare gli ingranaggi nel cervello di Re Balerion. Con un’aria indifferente, il finto Commissario cominciò a interrogare lo straniero sulla posizione della sua nave, sul nome del capitano e così via. Klapaucius rispose a tutte le domande, speculando sulla cupidigia del Re — e giustamente — perché all’improvviso

questi si alzò in piedi, disse di dover controllare le informazioni che gli erano state fornite dallo straniero e di corsa lasciò la stanza, chiudendo a chiave la porta.

Klapaucius poi sentì che Balerion — evidentemente ammaestrato da quel che gli era successo in precedenza — ordinava, prima di uscire, di far piantonare la finestra.

Naturalmente, il Re non avrebbe trovato nulla, perché non c’erano né astronave, né tesoro, né fanciulle fiore. Ma proprio su questo faceva perno il piano di Klapaucius, perché, non appena il Re se ne fu andato, il costruttore corse alla scrivania, recuperò lo strumento chiuso nel cassetto e in fretta se lo mise sulla testa.

Poi attese pazientemente il ritorno del Re, e non dovette passare molto tempo perché gli giungessero, dal corridoio, passi pesanti e imprecazioni. Infine, la chiave girò nella toppa… e il Commissario fece il suo ingresso, urlando: «Imbroglione, dove sono la nave, il tesoro, i miei puzzle?»

Ma non riuscì a dire altro, perché Klapaucius balzò fuori dal suo nascondiglio dietro la porta e si gettò su di lui come un montone infuriato, colpendolo in piena fronte. Poi, prima che Re Balerion avesse il tempo di orientarsi all’interno del corpo di Klapaucius, lo stesso Klapaucius, che adesso era il Commissario, gridò alle guardie di sbatterlo subito in galera e di tenerlo d’occhio.

Stordito dal brusco rovesciamento della situazione, Re Balerion, di primo acchito, non capì quanto fosse stato vergognosamente ingannato; ma quando alla fine comprese di avere sempre trattato con l’astuto costruttore, e che non c’era mai stato un ricco forestiero venuto a fare da ambasciatore, Re Balerion riempì di minacce e di bestemmie terribili — ma innocue, dato che ormai era privo dell’apparecchio — il suo buio carcere.

Klapaucius, d’altra parte, pur avendo provvisoriamente perso il corpo a cui era abituato, era riuscito a recuperare il trasferitore di personalità. S’infilò l’uniforme più elegante e si diresse senza indugio al palazzo reale.

Il Re era ancora sotto l’effetto del sedativo, gli dissero, ma Klapaucius, nella sua veste di Commissario di Polizia, disse di dover assolutamente vedere Sua Altezza, anche solo per pochi istanti, perché erano successe cose della massima gravità, c’era una crisi, e il destino della nazione rischiava di essere compromesso. Continuò su quella falsariga finché i cortigiani, allarmatissimi, non lo portarono nella camera da letto regale.

Laggiù, conoscendo bene abitudini e particolarità dell’amico, Klapaucius gli sfiorò il calcagno, e Trurl si destò di scatto perché pativa follemente il solletico. Si massaggiò le palpebre e fissò con stupore il gigantesco poliziotto che lo aveva svegliato, ma il gigante si piegò su di lui e sussurrò: «Sono io, Klapaucius, ho dovuto occupare il corpo del Commissario… senza una carica ufficiale, non mi avrebbero lasciato entrare… e ho con me lo strumento, l’ho qui in tasca…»

Trurl si rallegrò nell’udire dello stratagemma di Klapaucius e si alzò dal letto, dichiarando a tutti che si era pienamente ristabilito. Più tardi, vestito di porpora e con in mano l’orbe e lo scettro regali, si sedette sul trono e impartì alcuni ordini.

Per prima cosa fece portare dall’ospedale il proprio corpo, quello con la gamba che Re Balerion si era lussato sui gradini del porto. E quando l’ordine venne eseguito, ingiunse ai medici reali di occuparsi del paziente con tutta la loro capacità e la loro sollecitudine. Infine, dopo una breve conferenza con il suo Commissario, ossia Klapaucius, Trurl proclamò di voler rimettere ordine nel regno e riportare le cose alla normalità.

La sua promessa era più facile a dirsi che a mantenersi, però, perché i torti da raddrizzare erano tanti. I costruttori, comunque, non avevano intenzione di riportare ai loro corpi tutte le personalità trasferite; la loro principale preoccupazione, in realtà, era che Trurl ritornasse Trurl il più presto possibile e Klapaucius Klapaucius. Che rientrassero, insomma, nei rispettivi corpi.

Trurl, di conseguenza, ordinò di prelevare in carcere il prigioniero (Re Balerion nel corpo del suo collega) e di portarlo dinanzi alla Sua Augusta Presenza. Eseguito immediatamente il primo trasferimento di personalità, Klapaucius tornò a essere se stesso, e il Re (ora nel corpo del Commissario di Polizia) dovette mettersi sull’attenti e sorbirsi una ramanzina assai sgradevole, al termine della quale venne assegnato alle carceri di palazzo, con la giustificazione che era caduto in disgrazia per non aver saputo risolvere certi rebus.

L’indomani mattina, il corpo di Trurl si era rimesso a sufficienza perché potesse avere luogo il trasferimento. Rimaneva soltanto un problema: in qualche modo, ai due costruttori non sembrava giusto lasciare il pianeta senza avere risolto la questione della successione al trono.

Liberare Re Balerion dal suo poliziesco corpo, e rimetterlo nuovamente al timone dello stato, sembrava del tutto inconcepibile. Così, ecco cosa fecero: dopo avergli fatto prestare solenne giuramento di segretezza, i due amici riferirono all’onesto marinaio nel corpo di Trurl tutto l’accaduto; constatato poi il grande buon senso che albergava in quell’animo semplice, lo giudicarono degno di regnare; con il trasferimento, perciò, Trurl ritornò Trurl, e il marinaio divenne Re.

Prima, però, Klapaucius ordinò di portare nella reggia un grosso orologio a cucù — da lui avvistato in un negozio della città, quando vagava lungo le strade — e la mente di Re Balerion venne trasmessa nella meccanica del cucù, mentre quella del cucù, a sua volta, occupò il corpo del poliziotto.

Così fu fatta giustizia, perché il Re, da allora in poi, venne obbligato a lavorare con diligenza, giorno e notte, annunciando le ore con un apposito cucù-cucù, come lo spingevano a fare, nei giusti momenti, i denti appuntiti delle ruote dell’orologio: così avrebbe pagato — appeso alla parete della sala delle udienze — per i suoi futili giochi, e per aver messo a repentaglio la vita e la salute dei due famosi costruttori cambiando mente con tanta frequenza.

Quanto al Commissario, questi ritornò al suo lavoro e funzionò in modo ineccepibile, così dimostrando che l’intelligenza di un orologio a cucù era sufficiente per quel lavoro.

I due amici si congedarono infine dal marinaio ch’essi stessi avevano incoronato, raccolsero i loro beni, si scossero dalle scarpe la polvere di quel regno pieno di guai e proseguirono per la loro strada. Si potrebbe solamente aggiungere che l’ultima azione di Trurl nel corpo del Re era stata quella di fare una visita al Caveau Reale e di prendere il Diadema Reale della Dinastia dei Cyberanidi, premio quanto mai meritato, avendo egli scoperto il miglior nascondiglio di tutto quel pianeta.

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