13. Vista dall’alto

Tre uomini sedevano attorno al fuoco.

La notte era fredda. Il burocrate fumava hashish nero tagliato con anfetamina affinché l’effetto non risultasse troppo soporifero. Gregorian gli teneva la pipa fra le labbra, esortandolo a inspirare profondamente e a tenere il fumo nei polmoni più a lungo possibile. Il fumo fece ronzare il cervello del burocrate. I suoi piedi erano incredibilmente distanti, ad almeno un giorno di cammino lungo l’autostrada delle sue gambe. Pur essendo ormai arenato sulla montagna, per quanto strano potesse apparire, si sentiva incredibilmente calmo e attento, sintonizzato al telegrafo celestiale in contatto diretto con l’antica saggezza sepolta alla base del suo cranio. Perse un attimo il contatto con la realtà esterna, tuffandosi nelle profondità delle caverne sottomarine della percezione come una nave pirata in cerca di bottino. Espirò. Oceani di fumo si liberarono nel mondo.

Ormai la neve aveva smesso da parecchio.

Gregorian finì la pipa, svuotò la brace battendo il fornello sul tacco di uno stivale, quindi pulì lo strumento con cura meticolosa. — Sai come avvenne che Ararat si perse? — domandò. — È una storia molto interessante.

— Racconta — disse il burocrate.

Il loro compare non disse nulla.

— Per capire la storia, devi sapere innanzitutto che le parti più alte della città si innalzano al di sopra del livello massimo dell’alta marea invernale. Certo, quando arrivano le maree del giubileo travolgono tutto, ma la città è stata progettata in modo da reggere all’impatto. Quando la tempesta finisce, la cima di Ararat diventa un’isola. Un luogo piuttosto utile dal punto di vista militare; isolato, facile da fortificare, facile da difendere. La Difesa del Sistema lo usò come centro di pianificazione durante la Terza Unificazione. Fu allora che venne classificata segreta. Probabilmente ci sono un sacco di posti come questo in giro.

Il mago prese un ramo dal fuoco e rigirò le braci, spedendo verso il cielo una serie di scintille impazzite. — La Difesa del Sistema usò una procedura standard, mascherando il proprio coinvolgimento attraverso una organizzazione civile sotto gli auspici nominali della Supervisione Diffusione Culturale, il cui controllo veniva esercitato attraverso un altro fronte civile. Nel corso della riorganizzazione che seguì alla fase violenta dell’Unificazione…

La spiegazione andò avanti. Il burocrate l’ascoltò solo con la superficie del cervello, lasciando che le parole lo oltrepassassero come onde di suono mentre studiava il suo avversario. Accovacciato com’era accanto al fuoco, Gregorian sembrava più un animale che un uomo. Le fiamme proiettavano ombre rosse sul suo volto, e la luce fredda e verdastra proveniente dalla finestra alle sue spalle gli accendeva i capelli. A volte la luce gli illuminava i denti, accendendo il suo sorriso. Ma i suoi occhi erano sempre in ombra.

… passarono i decenni. Le organizzazioni si alternarono, vennero inglobate l’una nell’altra, si assunsero nuove responsabilità, assunsero nuove autorità e si distaccarono dai loro corpi originali. Così, quando l’oceano iniziò a ritirarsi e tornò la grande primavera, Ararat era talmente ingarbugliata nella politica del Sistema che non risultò più possibile declassificarla.

“Pensa che idiozia… e che spreco! Una città intera, il lavoro di mille vite, persa per colpa di stupidi regolamenti burocratici. Eppure questa non è che una piccola frazione dell’invisibile impero di ignoranza che ci viene imposto dai poteri costituiti che stanno lassù”.

La voce di Gregorian sentita di persona era qualcosa di lugubremente familiare, allo stesso modo in cui i suoi lineamenti potevano essere decodificati come una versione più grezza ed espressiva del volto di Korda. — Sembrerebbe una frase di tuo padre — commentò il burocrate.

Gregorian alzò lo sguardo di scatto. — Io non ho bisogno di te! — Indicò la figura immobile seduta dalla parte opposta del fuoco. — Pouffe mi basta e mi avanza come compagnia. Se vuoi morire prima del tuo tempo, posso…

— Era solo un’osservazione!

Il mago tornò a rilassarsi, la sua rabbia scomparsa con la stessa velocità con la quale era arrivata. — Si, è vero. Sì. Be’, naturalmente tutte le informazioni originali venivano da Korda. Era uno dei suoi progetti. Ha passato anni a tentare di declassificare Ararat, combattendo contro fantasmi e mulini a vento. Il vecchio Laocoonte strozzato dal nastro rosso. — Scoppiò in una fragorosa risata. — Ma che importa a noi di tutto ciò? Colpa sua che è stato tanto sciocco da sprecare la sua vita. Immagino che tu non abbia ricordato di portare la mia agendina?

— L’ho lasciata nella valigetta. Nell’aeromobile.

— Ah, be’. Tanto aveva un valore solo sentimentale. Bisogna imparare a rinunciare alle cose.

— Dimmi una cosa — disse il burocrate con una certa cautela. Gregorian annuì con il suo grande capo. — Che cosa ti ha dato l’agente della Terra? Ti ha consegnato della tecnologia bandita, o non ti ha dato nulla?

Gregorian rifletté sulla domanda con un’espressione di scherzosa serietà, quindi parlò come se stesse recitando la battuta finale di una barzelletta particolarmente buona. — Assolutamente nulla. Volevo solo costringere Korda a mandarmi dietro qualcuno una volta che fossi scomparso. Era un’esca, tutto qui.

— Allora me ne posso andare.

Gregorian ridacchiò fra sé. Un’improvvisa ventata spense per un attimo le fiamme del fuoco, stagliando la sua sagoma nera contro la parete illuminata. Il tatuaggio di una cometa prese improvvisamente vita sul suo braccio, si illuminò fino a diventare un piccolo sole, quindi si spense di nuovo, scomparendo lentamente. Un secondo segno si accese, e poi un altro, muovendosi sotto la sua pelle come un verme di brace su un tronco bruciato. — Rimani — disse. — Abbiamo un sacco di cose di cui parlare.

Il mago tornò ad appoggiare la schiena, senza nessuna fretta di entrare nei particolari. Qui la città scendeva rapida verso le terre grigie e argentee che si distendevano verso l’oceano, invisibile all’orizzonte. Giravano strani venti e strani odori. Il cinnamirto e l’isolarco tormentavano il naso.

Il fuoco era stato preparato su un alto terrazzo, all’interno di una decrepita depressione di pietra che Gregorian chiamava una “vasca per balene”. Come nel resto di Ararat, anche qui l’erosione era notevole. Dalle pareti curve spuntavano diversi ganci, i loro scopi ormai perduti nel tempo. Le stanze erano intasate di fango e di corallo. Fra i gusci dei crostacei spuntavano cavi elettrici recisi e ossa di creature marine. Qua e là vi era qualche foglio di adamantino, perfettamente integro e inalterabile. Questi avamposti di Difesa Perimetrale erano però piuttosto rari, intrusioni dissonanti all’interno dell’antica città.

Il burocrate appoggiò la schiena al puntello di fibra di carbonio, facendo tintinnare le catene che lo tenevano legato alla struttura stessa. Girandosi da una parte, poteva vedere l’interno della sala di comando, con le sue casse di provviste alimentari e di equipaggiamento per la sopravvivenza. Dall’altra, poteva guardare fuori, verso il mondo selvaggio e ventoso. Alle spalle sentiva la pressione delle vie deserte, strette e buie, che lo fissavano in continuazione. — Voglio accettare la tua offerta — disse.

Gregorian alzò lo sguardo pigramente. — Di quale offerta parli?

— Voglio diventare il tuo apprendista.

— Oh, quella. No, non è mai stata intesa seriamente. Era mirata a renderti abbastanza tranquillo da venire fino a qui, niente di più.

— Mi piacerebbe lo stesso.

— Non hai assolutamente idea di che cosa comporti, fratellino. Potrei chiederti di fare qualsiasi cosa, come… che so, crocifiggere un cane. O assassinare uno sconosciuto. È un processo che ti cambia. Potrei addirittura ordinarti di scoparti il vecchio Pouffe. Saresti disposto a farlo? Qui e subito?

Pouffe era seduto davanti a loro, con le spalle verso le paludi. Il suo volto era paffuto ed esangue alla luce della finestra. I suoi occhi erano come due stelle poco luminose, immobili. Il burocrate ebbe un attimo di esitazione. — Se necessario…

— Non sei nemmeno bravo a mentire. No, devi rimanere lì dove sei, incatenato a quel puntello. Devi rimanerci finché non verranno le maree. Dopodiché, morirai. Non c’è via d’uscita. Solo io posso liberarti, e la mia volontà è ferrea. Piombò il silenzio. Il burocrate immaginò di poter sentire l’oceano, il suo sussurro dolce e distante.

— Dimmi — disse Gregorian — pensi che gli spettri siano sopravvissuti fino alla nostra epoca attuale?

Il burocrate rispose con tono sorpreso. — Ma non hai appena mandato una testa di spettro a tuo padre?

— Quella? Non è altro che un trucchetto da quattro soldi che sono riuscito a mettere in piedi con i vecchi alambicchi da laboratorio di Korda. Avevo a disposizione questi cadaveri di vecchi ricchi che mi sono avanzati da una delle mie imprese mirate a guadagnare soldi, e mi è sembrato che fosse un buon modo per utilizzarne uno. Ma tu… mi dicono che hai parlato con uno spettro dalla testa di volpe a Cobbs Creek. Che ne pensi? Era veramente uno spettro? Sii sincero ora, non hai alcun motivo per non esserlo.

— Mi hanno detto che si trattava di uno spirito della natura…

— Bah!

— Ma… be’, se non era uno dei tuoi mascherato, non riesco proprio a immaginare che altro potesse essere. A parte un vero e proprio spettro. Era un essere vivente, di questo ne sono certo, solido come me e te.

— Ahhh. — Il grugnito di Gregorian era difficile da interpretare, a metà strada fra un verso soddisfatto e uno di sofferenza. Poi, con fare casuale, il mago sfilò dalla cintura un coltello enorme. La lama era di acciaio brunito, e il manico di osso di fata. — Ora sarà pronto.

Gregorian si alzò e si incamminò verso Pouffe. Si accovacciò davanti a lui, quindi tagliò una lunga striscia di carne dalla fronte del vecchio negoziante. Uscì pochissimo sangue, quasi niente. La striscia era leggermente luminosa, non vivida e brillante come la pelle di Undine trattata con idrobatteri, ma fosforescente di fioca luminosità verdastra. Il mago se la infilò in bocca e prese a masticare rumorosamente. La luminosità verdastra si intravedeva fra i suoi denti.

— Ora i febbricianti sono al picco massimo. Dieci minuti prima sarebbero stati ancora infetti. Fra un’oretta, le tossine inizieranno a scindersi. — Sputò la striscia di carne sul proprio palmo, quindi la tagliò in due con il coltello. — Ecco. — Prese una metà e la portò alle labbra del burocrate. — Prendi. Mangia.

Il burocrate scostò il capo, disgustato.

— Mangia! — La carne non aveva alcun odore particolarmente forte, forse era stato soffocato dal fumo della legna. — Ti ho portato qui perché questo sacramento funziona molto meglio quando è condiviso. Se non prendi parte al rituale, non so proprio che cosa farmene di te. — Il burocrate non rispose. — Pensaci. Finché rimani in vita, hai speranza. Potrei essere colpito a morte da un meteorite. Potrebbe arrivare Korda con un distaccamento di marines. Chi può dirlo? Potrei anche cambiare idea. Quel che è certo è che con la morte si annulla qualsiasi possibilità. Apri la bocca.

Il burocrate ubbidì. La carne fredda venne premuta sulla sua lingua. Era gommosa. — Mastica. Mastica e non mandare giù niente finché non scompare da sola. — Il burocrate sentì salire un rigurgito di vomito, ma lo tenne a freno. La carne era poco saporita, ma quel poco sapore che aveva era decisamente caratteristico. Avrebbe sentito quel sapore in bocca per il resto della vita.

Gregorian gli diede una pacca amichevole sul ginocchio e tornò a sedersi.

— Dovresti essere grato. Ti ho appena insegnato una lezione importante. Non tutti hanno la possibilità di imparare che cosa sarebbero disposti a fare pur di rimanere in vita.

Il burocrate continuò a masticare. Sentiva la bocca intorpidita e gli girava la testa. — Mi sento strano.

— Hai mai odiato qualcuno? Intendo odiato veramente, fino al punto che la tua felicità e la tua stessa vita non hanno alcun valore, fino al punto che l’unico tuo scopo è di rovinare la vita di quella persona?

Ora stavano masticando in sincronia, all’unisono, in maniera rumorosa e umida. — No — sentì dire il burocrate. Era la sua stessa voce. Per qualche motivo indefinibile, ciò era alquanto strano. Stava perdendo completamente il senso del luogo; la sua consapevolezza si stava allargando su una zona sempre più vasta, tanto che non si sentiva specificamente lì dove era, ma si limitava a prendere parte a diversi livelli di possibilità. — Io invece sì — disse con la voce del mago.

Esterrefatto, aprì gli occhi, e si ritrovò a guardare il suo stesso volto.

Lo choc di quella rivelazione lo riportò di colpo nel suo corpo legittimo. — E chi odiavi così tanto? — riuscì ad annaspare. Di nuovo stava perdendo la sua identità. Sentì la risata di Gregorian, una risata selvaggia e malata, quasi disperata, e si rese conto che veniva da lui quanto dal mago. — Me stesso — disse, la sua voce profonda come un rombo alla base dello stomaco. — Me stesso, Dio, Korda, in proporzioni più o meno identiche. Non sono mai riuscito a operare una divisione precisa fra questi tre.

Il mago continuò a parlare. Costretto dall’effetto della droga, il burocrate sprofondò nelle sue parole fino al punto che l’ultima traccia di se stesso si sciolse e si dissipò completamente. L’individuazione si aprì a ventaglio sotto di lui.

Divenne Gregorian, si trasformò nel giovane mago molti anni prima, e si trovò in piedi davanti al suo padre di clonazione in una stanza poco illuminata del distretto ad alta gravità di Laputa.


Era teso sull’attenti, e si sentiva a disagio. Era arrivato in ritardo perché si era perso più di una volta per strada. Non possedeva le conoscenze di tutti gli altri per muoversi attraverso quel labirinto tri-dimensionale di corridoi con i suoi ampi viali che si dissolvevano in grovigli insensati e le sue rampe e scalinate che terminavano improvvisamente davanti a pareti lisce. L’ufficio in cui si trovava ora era tetro e opprimente, disseminato di inquietanti strutture monolitiche di pietra, e il giovane Gregorian era stupito dal fatto che i fuorimondo pagassero fior di quattrini per vivere in luoghi simili. Aveva qualcosa a che fare con l’inaccessibilità. Korda era incastonato in una scrivania davanti a lui.

Una scuola di pesci di mercurio attraversò la stanza, ma non erano altro che semplici proiezioni dei febbricianti, quindi li ignorò. Con l’angolo dell’occhio, osservò gli scaffali di luminosi fiori di vetro. In un campo gravitazionale come quello, sarebbe bastato sfiorarli per ridurli in polvere. Orchidee di un rosa acceso spuntavano da buchi praticati nel soffitto, il loro profumo simile a quello della carne marcescente.

Gregorian mantenne un atteggiamento rigidamente casuale, il suo volto una maschera sardonica. Ma in verità la figura di Korda lo intimidiva non poco. Gregorian era più giovane, più atletico, più forte e aveva riflessi assai più pronti di quanto non avesse mai avuto il suo predecessore. Ma quell’uomo grasso lo conosceva troppo bene, sia dentro che fuori.

— Una volta ho mangiato merda — disse Gregorian.

Korda stava scribacchiando qualcosa sulla sua scrivania. Emise un grugnito.

Nella stanza vi era anche una terza presenza, un surrogato permanente con indosso una tonaca denebiana e una maschera di ceramica bianca. Si chiamava Vasli, ed era presente nella funzione di consulente finanziario. Gregorian non amava quella creatura, poiché la sua aurea era nulla; non lasciava alcuna impronta emotiva nell’aria. Ogniqualvolta scostava lo sguardo, Vasli tendeva a scomparire nella mobilia.

— Un’altra volta ho mangiato uno skragg crudo. È un roditore, lungo circa due spanne e privo di peli. È quasi brutto quant’è cattivo. Ha denti ricurvi, e una volta che l’hai ucciso devi rompergli la mascella per togliertelo dal…

— Immagino che tu avessi un ottimo motivo per fare una cosa del genere? — domandò Korda con tono indifferente.

— Avevo paura di quei cattivoni.

— Così ne hai ucciso uno e lo hai mangiato per liberarti dalla paura. Capisco. Be’, qui non c’è nessuno skragg. — Alzò lo sguardo. — Oh, ti prego, siediti. Vasli, occupati di questo giovanotto.

Senza muoversi dal suo posto, l’essere proiettò una serie di esili apparecchi metallici dall’apparenza puramente decorativa, che invece si rifoggiarono sotto di lui in una sedia. Gli spinsero in avanti le ginocchia e gli raddrizzarono la schiena, spostando il suo centro di equilibrio e costringendolo a sedersi. La sedia era bassa, di granito. Gregorian si rese conto subito che non sarebbe stato in grado di alzarsi con grazia. — Non è stato così semplice. Ho digiunato per due giorni, ho offerto il sangue alla Dea, poi mi sono somministrato dei febbricianti e…

— A casa mia facciamo le stesse cose nelle cliniche — osservò Vasli. — Ma naturalmente qui si tratta di tecnologia bandita.

— Non aveva niente a che vedere con la vostra maledetta scienza. Io sono un occultista.

— Una semplice distinzione di terminologie. I nostri mezzi possono essere differenti, ma le tecniche che utilizziamo sono identiche. Innanzitutto, bisogna aprire la mente alla suggestione. Noi usiamo la risonanza magnetica, mentre voi usate droghe, rituali, sesso, terrore o qualche combinazione dei suddetti. Dopodiché, quando la mente è suscettibile, si imprimono nuovi schemi di comportamento. Noi usiamo dei virus oloterapeutici come portatori del messaggio; voi mangiate un topo. Infine, si rinforza il nuovo schema nella vita di tutti i giorni. In questo caso, penso che i nostri metodi siano pressoché identici. Si tratta di un’abilità molto antica; la gente veniva riprogrammata già da molto prima che venissero inventate le macchine.

— Abilità! — sbottò Korda con tono sprezzante. — Una volta, soffrivo di una terribile paura di morire annegato. Così, sono andato su Cordelia e mi sono fatto mollare nel Mar di Cristallo, di notte, a tre chilometri dalla costa. È un mare abbastanza salato da far sì che non si vada giù, e non vi sono grossi predatori di superficie. Se una persona non va in panico, non ha problemi. Quella notte soffrii le pene dell’inferno, ma quando giunsi finalmente a riva, mi resi conto che non avrei mai più avuto paura di annegare. E ho fatto tutto senza l’impiego di alcun genere di droga o farmaco. — Rivolse a Gregorian un sorrisetto ironico. — Ti vedo pallido.

“È questo ciò che stai facendo?” bisbigliò una voce proveniente da un altro mondo. “Devo forse morire per mettere fine alla tua paura di annegare? Che cosa futile”. Gregorian la ignorò. — Non credere di poter fare l’accondiscendente con me, vecchio! Ho vissuto delle esperienze che tu non hai nemmeno mai sognato!

— Non ti arrabbiare. Non hai alcun motivo per temermi.

— Io temere te? Tu non sai nulla.

— So tutto ciò che vi è da sapere su di te. Pensi forse che qualche piccola differenza accidentale nell’allevamento e nell’esperienza possano cambiare radicalmente una personalità? Ebbene, non è così. Io sono il tuo alfa e il tuo omega, giovanotto, e tu non sei altro che me stesso più giovane. — Korda allargò le braccia. — Queste vecchie mascelle e queste rughe ti disgustano? Non sono altro che ciò che diventerai tu con il tempo.

— Mai!

— È inevitabile. — Korda abbassò lo sguardo verso la sua scrivania. — Ho organizzato una linea di credito che ti permetterà di accedere all’Estensione. Studierai controllo bioscientifico, dovrebbe risultare piuttosto utile per te… Tanto per iniziare, ti insegnerà quanto è assurdo pensare di poter andare contro la propria eredità genetica. Vasli provvederà ai fondi per coprire le tue spese, e ti darà anche qualcosa in più per il tuo tempo libero. Per il resto, in questi anni non sarà nemmeno necessario che ci vediamo.

— E che cosa ti aspetti, in cambio?

— Quando avrai le basi necessarie, ti chiederemo di fare per noi un poco di ricerca sul campo — intervenne Vasli. — Nulla di impegnativo. Ci interessa determinare la possibilità della sopravvivenza della razza indigena di Miranda. Sono certo che lo troverai un lavoro di grande soddisfazione.

Sapevano che non avrebbe rinunciato all’educazione, ai soldi e ai contatti che Korda gli stava offrendo. L’alternativa era quella di sprofondare nuovamente nell’oscurità dei mondi di mezzo, rimanendo poco più che un pharmaceur sconosciuto in una terra che non veniva nemmeno presa in considerazione da una persona civilizzata. — E che cosa mi costringerà a lavorare per voi una volta che avrò portato a termine la mia educazione?

— Oh, credo che quando verrà il momento, collaborerai spontaneamente. Ti stiamo offrendo la possibilità di portare a termine qualcosa, e sai bene che simili opportunità non capitano tanto spesso. — Poi, prima che Gregorian potesse rispondere. — È sufficiente. Vasli, occupati tu dei dettagli.

La vita uscì da Korda.

Gregorian si alzò a fatica dalla sedia. Toccò la guancia di Korda. Era fredda, inerte. L’uomo con cui aveva parlato fino a quel momento non era stato altro che un manichino, un surrogato foggiato a immagine e somiglianza del suo padre di clonazione, affinché potesse essere utilizzato esclusivamente da lui. Era costruito direttamente nella scrivania, e non aveva nemmeno le gambe.

— Aveva una riunione — spiegò Vasli.

— Un agente! — L’insulto rese tagliente la voce di Gregorian. — Non era nemmeno qui in persona! Mi ha mandato un agente!

— Cosa ti aspettavi? Non ti ha nemmeno stretto la mano, che altro poteva essere?

Gregorian lo guardò.

Senza dire nulla, Vasli allungò la mano. Non senza un piccolo tremore di esitazione, Gregorian la prese. L’anello con sigillo che il suo padre di clonazione gli aveva mandato assieme ai suoi nuovi abiti fuorimondo sussurrò: “Agente permanente unico” nel suo nervo auricolare. — Da quanto ho capito, è la prima volta che vi recate fuoripianeta.

— Deneb — disse Gregorian, ritraendo la mano. — La vostra gente sta costruendo un guscio attorno a Deneb, non è vero?

— Un guscio toroidale, esatto. Non una sfera ma solo una fetta di sfera; varia solo di un grado o due dall’eclittica. — Mentre Vasli parlava, il macroartefatto si materializzò nell’aria fra loro. Per un attimo Gregorian pensò che Vasli stesse utilizzando un proiettore tascabile, poi si rese conto che si trattava di un effetto della visualizzazione fuggitiva causata dai febbricianti. — È per scaldare i pianeti esterni. Noi non abbiamo le vostre risorse naturali, capisci? Non abbiamo i grattastelle, non abbiamo mondi di mezzo. A parte un’unica eccezione, i nostri pianeti sono tutti pressoché inospitali. Così, abbiamo deciso di fare a pezzi un mondo ghiacciato per creare una cintura riflettente.

L’immagine si dilatò, mostrando le forme appiattite e affusolate dei piccoli mondi, le loro orbite che si intrecciavano nei diagrammi luminosi, e la rete di stazioni di controllo del traffico disseminate attraverso l’infrastruttura. — Immagino però che tutto questo non sia sufficiente a rendere abitabili i pianeti esterni.

— No, è solo una parte del motore. Stiamo anche riattizzando i loro nuclei, e in più facciamo implodere una luna qua e là per creare dei canali di accesso nella cromosfera del nostro sole. — Piccoli soli orbitali spuntarono improvvisamente attorno ai mondi esterni. La cintura di ghiaccio raddoppiava la sua luminosità ogniqualvolta veniva lambita da un pianeta.

Questa vista sconvolse Gregorian, ma nel contempo stimolò la sua ira. Fremette per l’emozione. — Ecco quel che dovremmo fare anche noi! Abbiamo tutte le conoscenze necessarie, abbiamo i mezzi… ciò che ci manca è la volontà di prendere il controllo, di rendere noi stessi potenti come divinità!

— Quelli del mio popolo non sono proprio delle divinità — ribatté con tono asciutto l’uomo artificiale. — Un progetto su scala così vasta porta inevitabilmente all’insorgere di guerre. Milioni di persone sono morte, e molte di più sono state sfollate e risistemate, strappate alle loro vite, vite magari felici. Per quanto io, personalmente, pensi che tutto ciò sia giustificato, devo ammettere onestamente una cosa; non credo che la maggioranza della vostra gente non sarebbe d’accordo con un simile progetto. Noi siamo stati costretti a rinunciare a molto di ciò che la vostra cultura ancora possiede.

— Tutti devono morire, il fatto di organizzare il quando è solo una questione di interesse statistico. — Vide nella sua mente il sistema Prosperano, e gli sembrò una cosa misera, una nocciolina, un seme non germinato. — Se avessi il potere necessario, inizierei a demolire mondi oggi stesso. Farei a pezzi Miranda con le mie mani nude. — Sentì il sangue che gli scorreva nelle vene, l’estatico turbine delle possibilità che attraversava la sua mente. — Farei a pezzi le stelle stesse, e al loro posto costruirei qualcosa che valga la pena di vedere.

Una per volta, una serie di bocche si aprirono nelle pareti, spalancandosi per poi richiudersi. Ancora i febbricianti. Si asciugò il sudore dalla fronte mentre lance di luce bianca piombavano dal soffitto per abbattersi silenziosamente al suolo. La stanza era ormai intollerabilmente soffocante.

Sbadigliò, e per un attimo i suoi occhi si aprirono e fissarono Gregorian, seduto dalla parte opposta del fuoco. Il mago annuì con il capo, ma continuò a parlare. Poi si ritrovò nuovamente a Laputa, dove aveva perso parte della storia del mago.

— Vasli. Tu conosci Korda molto bene, immagino. È in grado di uccidere, vero? Pensi che avrebbe esitazioni a uccidere un uomo se questo gli mettesse i bastoni fra le ruote?

La maschera bianca lo scrutò. — Può essere senza scrupoli. Del resto, chi può saperlo meglio di te?

— Dimmi una cosa allora. Pensi che sarebbe in grado di ucciderne sei? Una dozzina? Un centinaio? Pensi che ucciderebbe tutta quella gente, che la torturerebbe, solo per il piacere di sapere che lo ha fatto?

— Per saperlo con certezza, devi guardare dentro te stesso — rispose Vasli. — Io comunque credo di no.

I febbricianti presero piede, cuocendo il suo cranio e trasformandolo in scaglie livide. Mentre si innalzavano come milioni di moscerini ridenti e cromati, spingendo il giovane mago nel mondo dell’incoscienza, questi pensò: “No. Certo che no. Una persona in grado di fare cose simili non è come Korda. È un mostro, un essere grottesco. Sarebbe completamente distorto per ciò che ha fatto. Sarebbe tutt’altra persona”.


Si risvegliò.

La notte si era fatta fredda. Grandi masse di pietra torreggiavano su di lui. Vicoli bui sospiravano alle sue spalle. Più in basso, la terra iniziava a scorgersi appena nella debole luce dell’aurora. Nubi di ossidiana montavano e si accavallavano all’orizzonte, venate a tratti dalle scariche danzanti dei fulmini. Ciò nonostante, non si udiva alcun tuono. Era possibile una cosa simile? Il mondo sarebbe giunto alla sua fine in silenzio? Il fuoco era pressoché morto, le braci ormai bianche nel loro letto di cenere.

Gregorian aveva il mento appoggiato al petto; da un angolo della sua bocca colava un sottile filo di bava. Era ancora incosciente. In tutta Ararat, l’unica persona sveglia e consapevole era il burocrate. Sentiva la bocca gommosa e gli doleva la pancia.

Qualcosa si mosse nella strada alle sue spalle.

Il burocrate si raddrizzò. Ararat era immobile. Poteva essere stato un frammento di corallo che, staccato da un’improvvisa raffica di vento, era caduto rotolando per qualche pendìo pietroso. Eppure gli era parso un suono di carattere differente, meno casuale. Allungò il collo il più possibile e si girò per scrutare il vicolo alle sue spalle. L’oscurità si mosse davanti ai suoi occhi. Era forse un movimento? Poteva anche trattarsi di uno scherzo dei suoi nervi.

Un piccolo schianto metallico. Un vago accenno di movimento, goffo e insicuro. C’era qualcosa alle sue spalle, e si stava dirigendo nella sua direzione.

Il burocrate rimase in attesa.

Lentamente, una creatura simile a un ragno emerse dal buio del vicolo. Oscillava da un lato della strada all’altro, facendosi strada a tentoni con un’articolazione metallica protesa davanti a sé come un bastone da cieco. Di tanto in tanto, perdeva l’equilibrio e cadeva a terra. Era la sua valigetta.

“Da questa parte”, pensò il burocrate. Non osava parlare per paura di svegliare Gregorian. “Peggio ancora”, pensò con terrore, “potrebbe trattarsi di un’altra allucinazione”. Trattenne il fiato. L’oggetto si fece lentamente strada verso di lui.


— Capo? Sei tu? — Il burocrate toccò la valigetta per farsi riconoscere, e l’apparecchio si accasciò ai suoi piedi. — Non è stato facile trovarti. Questo luogo mi ha confuso completamente i sensi.

— Silenzio! — intimò il burocrate. — Sei ancora funzionante?

— Sì. Sono solo cieco, tutto qui.

— Ora ascoltami attentamente. Voglio che tu costruisca un induttore nervoso. Prendi controllo del sistema nervoso di Gregorian e paralizza le sue funzioni motorie primarie. Poi fallo entrare dentro. Da qualche parte ci dovrebbe essere una fiamma ossidrica al plasma. Portala fuori e taglia queste catene.

Gregorian sollevò il capo. I suoi occhi si aprirono lentamente; sorrise. Con lentezza sognante, si portò una mano alla cintura e la strinse attorno al manico del suo coltello.

— Si tratta di tecnologia bandita — disse la valigetta. — Non posso utilizzarla sulla superficie planetaria.

Gregorian si produsse in una risatina.

— Fallo comunque.

— Non posso!

— Questo è un perfetto esempio di ciò che stavo dicendo prima. — Gregorian prese in mano il coltello e appoggiò nuovamente la schiena. Era come se volesse discutere una parte del racconto della notte precedente che il burocrate si era perso. — In quell’apparecchio hai una potenza tecnologica che ti permetterebbe di fare pressoché qualsiasi cosa. Sarebbe più che sufficiente per liberarti. Eppure, non la puoi usare. Per quale motivo? Per colpa di un’insignificante regola burocratica. Per una lacuna culturale… Ti sei legato le mani da solo, e non puoi incolpare nessuno del tuo fallimento, a parte te stesso.

— Te lo ordino per la terza volta. Fallo comunque.

— Oh, va bene — disse la valigetta.

— Fottuto…! — Gregorian balzò in piedi, con il coltello stretto in mano. Si irrigidì improvvisamente e cadde a terra, colpendo con forza il pavimento di pietra. Con gli occhi spalancati, mantenne lo sguardo fisso davanti a sé. Il suo corpo ebbe uno spasmo, poi si bloccò del tutto. Solo un braccio continuò a tremare in maniera incontrollata.

— È molto più difficile di quanto non avessi… — iniziò la valigetta. — Ah. Ecco fatto. — Il braccio smise di tremare. Lentamente, con fare goffo, il mago rotolò su un fianco e si sollevò a carponi. — Ehi! — esclamò la valigetta. — Guardando attraverso il suo sistema sensoriale riesco a vedere perfettamente! — La testa di Gregorian si voltò a destra e a sinistra. — Che posto!

Per tre volte la valigetta tentò di mettere in piedi il corpo di Gregorian, e ogni volta il mago perse l’equilibrio e cadde. Infine, l’apparecchio fu costretto ad ammettere la propria sconfitta. — Non ci riesco proprio, capo.

— Non fa niente — disse il burocrate. — Fallo andare a carponi.


Fra le provviste di Gregorian vi era anche un diagnostico automatico con una serie completa di medicamenti. Il burocrate passò il suo sangue attraverso un pulitore, prese un farmaco accentrante e si lavò la faccia, dopodiché si sentì mille volte meglio. Nonostante la scomparsa dei febbricianti e dei veleni della fatica, si sentiva ancora debolissimo, ma perlomeno era finalmente lucido. Portò una borraccia alla porta e si sciacquò la bocca diverse volte, sputando i residui nella strada sottostante.

Dopodiché, tornò dentro e accese il televisore. “È iniziato!” esclamò l’apparecchio. “Il fronte dell’onda ha appena colpito la costa! Se vi trovate sul pendio o nel Fan, vi esortiamo a…”

“Che vista meravigliosa!”

“… muovervi immediatamente! Si, è proprio incredibile. Uno spettacolo glorioso, l’acqua che si impenna alla luce dell’alba ingoiandosi la terra. Questo è l’ultimo avvertimento. Se vi trovate al di sotto della linea di guardia, partite immediatamente. Non avrete altre possibilità!”

— Capo? Gregorian ti vuole parlare.

— Davvero?

Il burocrate unì le mani dietro la schiena e si avvicinò alla finestra. Ora l’orizzonte era in movimento. Una linea sottile e increspata che si muoveva lentamente, nulla di tanto drammatico come ciò che stavano mostrando alla tivù. Eppure, il Tidewater stava finalmente venendo sepolto dalla massa d’acqua. Le maree del giubileo stavano facendo il loro ingresso. Sulla pianura sottostante, gli alberi incolonnati stormivano al vento, quello stesso vento che spazzava nell’aria le foglie color indaco, facendole sfrecciare silenziose davanti alla finestra schermata.

Nella vasca delle balene, appena davanti a lui, vi era Gregorian, inginocchiato. La valigetta lo aveva legato con le stesse catene di adamantino che aveva usato per il burocrate. Non poteva alzarsi in piedi e non aveva intenzione di sdraiarsi. I loro occhi si incontrarono. Il sistema nervoso di Gregorian era ancora sotto il controllo della valigetta. — Sentiamo.

— Non puoi fuggire da qui senza il mio aiuto — disse la valigetta con la voce calma di Gregorian.

— Qui sono al sicuro.

— Oh, certo, sopravviverai alle maree. Ma come farai ad andartene poi? Rimarrai incastrato su un’isoletta che nessuno troverà. Non hai cibo a sufficienza per resistere. E per lo più non conosci i codici di accesso per spedire un messaggio e farti mandare un’aeromobile.

— Tu invece li conosci? — Il burocrate alzò lo sguardo da Gregorian, portandolo dalla parte opposta del piazzale, dove la sua valigetta aveva appeso Pouffe a un gancio. Era il minimo che potesse fare per quell’uomo.

— Sì. — Una risata leggera, educata. — A quanto pare siamo a uno stallo. Io ho bisogno del tuo aiuto per sopravvivere, e tu hai bisogno del mio per fuggire. È evidente che occorre trovare un compromesso. Cosa proponi?

— Io? Io non propongo proprio nulla.

— E allora morirai!

— Immagino di sì.

Vi fu un lungo silenzio. Infine, Gregorian parlò di nuovo. — Non dirai sul serio?

— Aspetta e vedrai. — Il burocrate tornò davanti al televisore, si inginocchiò e cambiò i canali finché non trovò il suo programma preferito.

— Come osi giudicarmi? Non ne hai alcun diritto moralmente, e lo sai bene!

— Puoi ripetere, scusa?

— Secondo i tuoi stessi standard, ormai sei corrotto. Hai detto che non potevi usare tecnologia bandita. Hai detto a Veilleur che se l’avessi usata, non saresti stato meglio di qualunque criminale. Eppure l’hai tenuta di riserva per tutto il tempo, pronto a usarla in caso di necessità.

Il dramma stava giungendo al suo termine. Il giovane Byron era stato legato all’albero dell’arca del pazzo Ahab. La sua sirena attendeva con frenesia in una gabbia presso le paludi che le acque venissero ad annegarla. Sapendo che stava per morire, cantava.

— Ho mentito — disse il burocrate. — Ora stai zitto. Voglio sentire.


Non molto tempo dopo, la valigetta si fece nuovamente sentire. — Capo? È troppo orgoglioso per ammetterlo, ma so bene ciò che sta passando. Potrei ucciderlo adesso, sovraccaricando il suo sistema nervoso. Sarebbe una morte indolore.

Il burocrate stava riposando in un nido di morbidi cuscini ricamati con vivaci motivi dell’Arcipelago. Fissava lo schermo del televisore, immerso nella sua luce. Si sentiva incredibilmente stanco. Le immagini ormai non significavano più nulla per lui, non erano altro che un flusso insignificante di luce e di ombre. Si sentiva letteralmente svuotato.

Ogni volta che alzava lo sguardo, vedeva Gregorian che lo fissava con espressione furibonda. Se vi era qualcosa di vero in questa faccenda di poteri occulti, il mago non sarebbe morto solo. Il burocrate però, pur sentendo la potenza di quegli occhi, si rifiutava di incrociarne lo sguardo. E tantomeno permetteva alla sua valigetta di trasmettergli le parole del mago. Si rifiutava di ascoltarlo. Così almeno Gregorian non avrebbe avuto nessuna possibilità di convincerlo a cambiare idea all’ultimo momento.

— No — disse con tono tranquillo. — Penso che sia meglio così, non trovi?


Le maree stavano arrivando. La terra fremeva di premonizioni di oceano. I suoni trasportati dal sottosuolo venivano amplificati dalle cantine e dalle cavità sottostanti, lunghi e profondi muggiti e grandi sospiri sottomarini. Mostri sonici si facevano strada attraverso le ossa e lo stomaco del burocrate. La città intera scoppiettava di aspettativa. I puntelli di fibra di carbonio pulsavano, assorbendo le risonanze.

Il martello dell’oceano si stava avvicinando.

Quando sarebbe giunta la grande onda, piombando sulla città, la avrebbe fatta suonare tutta come una campana. Tutte le acque del mondo si sarebbero riunite assieme in un pugno di acciaio che avrebbe colpito con grande forza. Sentito da sotto, il colpo sarebbe apparso come la caduta della civiltà, come il culminare di tutti gli allagamenti e. i terremoti della storia. Era difficile immaginare che qualcosa potesse rimanere in piedi. Sarebbe stata la vittoria finale dell’oscurità.

E quando le acque si sarebbero finalmente calmate, Gregorian non sarebbe più esistito.

E allora, finalmente, il burocrate avrebbe potuto prendere un po’ di sonno.

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