"Te le ridò su a casa, fammi fare da chaperon."
Gin sorride divertita "Cavoli, non finirai mai di stupirmi."
"Per il mio francese?"
"No. Hai lasciato la moto aperta." Ed entra camminando sostenuta.
Metto il blocco in un attimo e dopo un secondo sono davanti
a lei. La supero ed entro nell'ascensore.
"Allora signorina vuole entrare in ascensore o ha paura e va a
piedi?"
Entra sicura e si mette di fronte a me. Vicina, molto vicina.
Troppo vicina. Però. È proprio forte. Poi si allontana.
"Bene, si fida del suo chaperon. Che piano, signorina?"
Ora è appoggiata alla parete e mi guarda. Ha degli occhi grandi,
fortemente innocenti.
"Quarto, grazie." Sorride divertita di quel gioco. Mi sporgo in
avanti verso di lei fingendo di non riuscire a trovare il
pulsante.
"Oh, finalmente. Quarto, fatto."
Ma rimane così, schiacciata contro la parete di quel legno antico,
consumato dal continuo su e giù nel cuore di quella tromba
delle scale. Saliamo in silenzio. Sono lì, appoggiato a lei, senza
spingere
troppo, respiro il suo profumo. Poi mi scosto e ci guardiamo.
I nostri volti sono così vicini, lei sbatte gli occhi per un
attimo, poi
continua a tenere lo sguardo fisso su di me. Sicura, spavalda, per
niente intimorita. Sorrido, lei mi guarda e muove le guance, un
accenno
di sorriso anche lei. Poi si avvicina e mi sussurra all'orecchio,
calda, sensuale.
"Ehi, chaperon..."
È un brivido forte.
"Sì?" La guardo negli occhi. Lei alza il sopracciglio.
"Siamo arrivati." E sguscia da in mezzo alle mie braccia agile e
veloce. In un attimo è fuori dall'ascensore. Si ferma davanti alla
porta. La raggiungo e tiro fuori le chiavi.
"Ehi, sono peggio di quelle di San Pietro."
"Dai qua."
Diciamo un po' tutti questa storia delle chiavi di San Pietro. Mi
sento sciocco per averla tirata fuori, lì, in quel momento. Boh...
Forse per ingannare quel tempo. Chissà perché lo diciamo. San
Pietro
deve avere una sola chiave e forse non ha bisogno nemmeno di
quella. Ma poi ti pare che lo lasciano fuori? Gin dà un'ultima
mandata.
Io sono pronto a mettere il piede in mezzo alla porta e bloccarla
quando cercherà di farmi restare fuori. Invece Gin mi spiazza.
Sorride allegra, apre gentilmente la porta. "Forza, entra e non
fare casino." Mi lascia passare e richiude la porta dietro di me,
poi
mi supera e comincia a chiamare: "Ehi, sono qui! C'è nessuno?".
La casa è carina, umile, non troppo carica, tranquilla. Alcune
foto
di parenti sopra una cassapanca, altre ancora su un piccolo mobile
semirotondo appoggiato al muro. Una casa serena, senza eccessi,
senza quadri strani, senza troppi centrini. Ma soprattutto, ore
diciannove, semitramonto, senza nessuno dentro.
"Ehi, hai proprio culo, mitico Step."
"Hai finito con questa storia del mitico? E poi perché ho culo?
A parte che qui se c'è qualcuno che ha culo e non in senso
figurato
quella sei tu. Rotondo, tosto, perfetto."
Allungo la mano sorridendo verso il suo fondoschiena.
"Oh, hai finito? Sembri un carcerato uscito di galera dopo sei
anni che non vede una donna. "
"Quattro."
Mi guarda aggrottando le sopracciglia.
"Cosa quattro?"
"Sono uscito ieri dopo quattro anni di galera."
"Ah sì?" Non sa se prendermi sul serio o no. Mi guarda incuriosita
e comunque decide di giocare.
"A parte che sicuramente sarai innocente... ma che cosa hai
fatto?"
"Ho ucciso una ragazza che mi aveva invitato a casa sua
precisamente
alle..." faccio per guardare l'ora,"be', suppergiù a quest'ora
e aveva deciso di non darmela."
"Presto, presto... Ho sentito un rumore, sono i miei. Cavoli!"
Mi spinge verso un armadio.
"Entra qua dentro."
"Ehi, ancora non sono il tuo amante, non sei neanche sposata.
Dov'è il problema?"
"Shhh."
Gin mi ci chiude dentro e poi corre di là. Rimango così, in
silenzio,
non so bene cosa fare. Sento un rumore lontano di porta
che si apre e si chiude. Poi più nulla, silenzio. Ancora silenzio.
Cinque
minuti, nulla. Ancora nulla. Otto minuti. Niente. Ancora niente.
Guardo l'orologio. Cazzo, sono passati quasi dieci minuti. Che
faccio? Be', io mi sono scocciato. D'altronde non è successo
niente
di male. Io esco. Apro piano piano l'anta dell'armadio. Guardo
attraverso la fessura. Niente. Alcuni mobili e uno strano
silenzio,
almeno per me. Poi d'improvviso un pezzo di un divano. Apro un
po' di più l'anta. Un tappeto, un vaso e poi la sua gamba, così,
accavallata.
Gin è distesa sul divano, ha la testa indietro appoggiata
allo schienale e si fuma una sigaretta. Ride divertita.
"Ehi, mitico Step, ce ne hai messo. Che hai fatto tutto questo
tempo chiuso nell'armadio? Hai fatto roba da solo, eh? Egoïste! "
Cazzo, mi ha fottuto! Esco fuori con un balzo e cerco di
prenderla.
Ma Gin è più veloce di me. Ha appena spento la sigaretta e
si dà alla fuga. Sbatte contro l'angolo di una porta, quasi
scivola su
un tappeto che si arriccia sotto il suo passo ma recupera in
curva.
Due balzi ed è in camera sua, si gira di colpo e prova a chiudere
la
porta. Ma non ce la fa. Ci sono sopra con tutte e due le spalle.
Gin
prova a resistere per un attimo, poi abbandona il tentativo.
Lascia
la porta e si butta sul letto con i piedi alzati verso di me.
Scalcia ridendo
come impazzita. "Ok scusa, mitico Step, anzi no, epico Step,
anzi Step solo, Step e basta, Step perfetto. O meglio, Step come
vuoi tu! Dai, stavo scherzando. Ma almeno i miei scherzi sono più
divertenti, non come i tuoi."
"Perché?"
"I tuoi sono lugubri! Te che ammazzi una ragazza mentre stai
a casa sua da solo. E dai! "
Giro intorno al letto cercando di entrare nella sua difesa, ma
lei mi segue scalciando verso l'alto. Veloce e attenta segue le
mie
mosse distesa sul letto e ruotando senza perdermi di vista. Poi
scarto
a destra, faccio una finta, e mi lancio addosso a lei. Entro nella
sua guardia e lei subito ritira le braccia e le porta davanti al
viso.
"Ok, ok... mi arrendo, facciamo pace."
"E certo che facciamo pace."
Ride e poggia la guancia sulla spalla sinistra. "Ok..." Mi fa un
piccolo sorriso e viene verso di me. E si lascia baciare morbida,
tenera
e calda, ancora affaticata ma tranquilla. Si lascia baciare, sì, e
bacia anche lei, scivola e ritorna su fra le mie labbra con
attenzione,
con impegno, con passione, con il suo essere piccola. Apro gli
occhi per un attimo e la vedo navigare così, così vicino al mio
viso,
così presa, così partecipe, così impegnata. No, stavolta non ha
scherzi
nascosti nelle sue piccole tasche. Richiudo gli occhi e mi lascio
andare con lei. Viaggiamo insieme, piccoli surf della nostra
stessa
onda, morbide lingue, mano nella mano che ridendo si prendono
a spinta per poi abbracciarsi di nuovo. Labbra che giocano
all'autoscontro
cercando di farsi un po' di posto, di incastrarsi alla meglio,
in quella stretta e morbida macchina targata bacio. Poi Gin
comincia a scuotersi un po'. Continuo a baciarla. Si scuote di
nuovo.
Cos'è, passione? Si stacca da me. "Oddio scusami." Scoppia a
ridere. "Non ce la faccio più... Tu undici minuti e trentadue
secondi
chiuso nell'armadio del salotto, non ci posso pensare. Cavoli,
è da leggenda! Scusami ti prego, scusami." E salta giù dal letto
prima che possa agguantarla. "Però baci bene se può consolarti."
Rimango disteso sul letto, mi appoggio sul gomito e rimango a
fissarla.
È difficile trovare una ragazza così carina e per di più
divertente
e spiritosa. Anzi no, ho sbagliato. Così divertente, spiritosa e
così bella. Anzi no, ho sbagliato di nuovo. E così... bellissima.
Ma
non glielo dico.
"Lo sai qual è la cosa più incredibile? Che faremo un lavoro
insieme
tutti i giorni per chissà quanto e siccome tutto torna, tu sarai
lì e io ti punirò."
"Ah, bravo, passi alle armi più basse, mi minacci... molto bene!
Che volevi invece? Che ti si faceva vedere la casa, ti si offriva
qualcosa da bere... Puro formalismo? Facile!" Fa una voce in
falsetto.
"Cosa vuoi Stefano? Un aperitivo? Con anche delle patatine
magari..." E finge perfettamente una risata "Ah... Ah!"
"Guarda che come patata tu vai benissimo."
Continua con la voce in falsetto.
"Oh, non ci posso credere. Che battuta favolosa! Neanche
Woody Allen nei suoi giorni migliori..."
"Sì, magari dopo una scopata con la finta figlia coreana! "
"Ma perché sei sempre così greve? Non pensi che possano essersi
semplicemente innamorati? Accade sai."
"Certo, nelle favole, in quasi tutte mi sembra, o no?"
"In tutte!"
"Le conosci bene."
"Certo, e ho deciso di vivere la mia vita come una favola. Solo
che questa non è stata ancora scritta. Sono io che decido, passo
per
passo, momento per momento, sono io che scrivo la mia favola."
Decido di non rispondere. Mi guardo in giro per la stanza. Qualche
peluche, le foto di Ele, almeno mi sembra, qualche altra ragazza
e poi due o tre tipi fighissimi. Se ne accorge.
"Quelli sono modelli di pubblicità. Abbiamo lavorato insieme
e nient'altro." Segue tutto Gin.
"Ma chi ti ha chiesto niente."
"Ti vedevo preoccupato."
"Assolutamente no, non conosco questa parola."
"Oh, certo, mi ero dimenticata, tu sei un duro. Brr, che paura! "
Mi alzo e faccio un giro per la camera.
"Sai che si può capire tutto di una donna guardando nel suo
armadio? Fammi vedere!"
"No!"
"Di che hai paura, dello scheletro? Ammazza oh, ma quanta
roba hai? E tutta nuova di zecca! Ci sono ancora i cartellini
attaccati.
E poi tutto di marca, la signorina! Dotata e non solo di curve,
eh?!"
"Lo vedi che sei scemo? E per nulla aggiornato. È tutta roba
che non pago. "
"Sì, eccola, la ragazza immagine di qualche griffe."
"No. Uso Yoox. Ordino tutto in internet su questo sito che è
un outlet. Ci sono tutte le marche più importanti. Scelgo quello
che
voglio, me lo faccio arrivare a casa. Lo indosso qualche giorno
stando
attenta a non sciupare nulla e a non togliere il cartellino. Poi
glielo rimando entro il decimo giorno, dicendo che non sono
soddisfatta,
che magari la taglia era troppo grande."
Continuo a scorrere i vestiti. C'è di tutto: top di Cavalli e
Costume
National, una longuette Jil Sander, gonne Haute, due borse
D&G, una maglia chiara in cachemire di Alexander McQueen, un
soprabito Moschino in jeans, una divertente giacca a quadri di
Vivienne Westwood, una blusa Miu Miu, jeans Miss Sixty Luxury...
"Una griffata diabolica."
';Già."
È forte. Bella, divertente, spregiudicata. Sa come fare a vivere
alla grande. Ma guarda cosa si è inventata. Ecco una che naviga
con
intelligenza. Yoox per vestirsi sempre diversa, sempre alla moda,
senza spendere un euro. Mi piace.
"Fermo così! Hai un'espressione assurda! A che pensi?!"
Prende qualcosa dal tavolo e me la punta contro. "E sorridi,
duro!" Una polaroid. Alzo il sopracciglio proprio mentre scatta.
"Dai, in fondo starai benissimo tra quei due modelli. Certo, non
hanno le tue storie alle spalle ma saranno felici di vivere
accanto alla
leggenda' ! "
"Be', sì, come i due ladroni sulla croce accanto a Gesù."
"Be', il paragone mi sembra un po' azzardato."
"Sì, ma sono diventati famosi anche loro."
"Ma non erano certo felici! Loro non erano lì per amore."
Le rubo la polaroid e gliene scatto una.
"Anch'io!"
"Dai, fermo! Vengo male nelle foto! "
Scatto e tiro via la polaroid appena fatta.
"Vieni male nelle foto? E perché dal vivo invece?"
"Scemo, cretino, ridammela." Cerca di strapparmela in tutti i
modi. Troppo tardi. Me la infilo nella tasca del giubbotto.
"Vedrai,
se non ti comporti bene, se provi a raccontare la storia
dell'armadio.
Ti trovi i manifesti con la tua faccia su tutta Roma."
"Va be', era per dire! "
"E questo cartellone che significa?" Indico un foglio
perfettamente
diviso per giorni e settimane e mesi attaccato sopra il tavolo,
con scritti diversi nomi di palestre.
"Questo? Sono le palestre di Roma, vedi, una per ogni giorno.
Sono divise per maestri, lezioni e zone. Hai capito?"
«sì e no.»
"Cavoli, Step, ma che leggenda sei?! Dai, è facile. Una prova
di lezione per ogni palestra, ogni giorno un posto diverso ce ne
sono
più di cinquecento a Roma, anche non troppo lontane. Hai voglia
ad allenarti gratis ! "
"Cioè, domani per esempio..."
Guardo il cartellone, incrocio con il dito il giorno come se
stessi
giocando a battaglia navale.
"Fai lezione da Urbani e non paghi una lira."
"Bravo, affondato. E così via! È un sistema che ho inventato
io. Forte, eh?"
"Già, tipo quello di fare benza con il lucchetto."
"Sì, fanno parte del mio grande manuale della risparmiatrice.
Niente male, vero? Ehi, guarda come sei venuto bene."
La polaroid è più nitida ora. "Dai, la metto in mezzo a questi
due. Non sfiguri poi tanto. Invece ho visto che guardi tanto il
mio
cartellone. Che c'è, 'leggenda', vuoi allenarti a vela anche tu?
T'ho
capito, eh... dai, preparo un cartellone anche per te, scalo di un
giorno e veleggi tranquillo senza che ci incontriamo mai."
"Non ne ho bisogno."
"Ricco?"
"Macché! È che le palestre ormai mi usano come immagine! "
"Sì certo, come no! E io ancora che ci casco. Be', è finita la
visita
guidata. Ti accompagno perché fra poco ritornano i miei, o
vuoi nasconderti di nuovo nell'armadio? Ormai sei allenato."
Mi sorpassa e mi guarda alzando il sopracciglio. "Sereno. Te
l'ho detto, non lo dico a nessuno."
Mi accompagna alla porta e rimaniamo così in silenzio per un
attimo. Poi parte lei. "Be', non facciamolo pesante questo saluto.
Ciao tassinaro, tanto ci vediamo, no?"
Come no.
Vorrei dire qualcosa. Ma non so neanche io bene cosa. Qualcosa
di bello. A volte, se non si trovano le parole, è meglio fare
così.
La tiro e me la bacio, Gin resiste per un attimo, poi si lascia
andare.
Morbida come prima. Anzi, di più. Qualcuno alle nostre spalle...
"Scusate, eh? Ma vi salutate proprio sulla porta..."
È il fratello, Gianluca, appena uscito dall'ascensore. Gin è più
che imbarazzata. È scocciata.
"Certo che tu hai dei tempi perfetti."
"Oh, adesso è colpa mia! Forte mia sorella. Senti, Step, fammi un
favore. Tra un bacio e l'altro dalle una raddrizzatina a questa! "
E si fa strada fra di noi entrando in casa. Gin ne approfitta e
mi dà un pugno sul petto.
"Lo sapevo che con te ci sono sempre e solo casini."
"Ahia! Adesso è colpa mia."
"E di chi sennò? Ancora un bacio e un bacio e un bacio. Ma
che, non resisti? Già sei così drogato di me? Mah..." E mi chiude
la porta in faccia. Divertito prendo l'ascensore. In un attimo
sono
giù nell'androne.
Gianluca entra in camera di Gin.
"Forte Step, ma ormai fate coppia fissa, eh?"
"Ma di che? E poi forte che?"
"Be', state sempre a baciarvi."
"Capirai, per un bacio..."
"Due, per quello che io ho potuto contare."
"Oh, ma che, fai lo scrutatore anche qui? Va be' che per
arrotondare
vai a fare i conteggi delle schede. "
"Ma quella è politica."
"Step deve essere ancora più una sòla."
"Che vuoi dire?"
"Che non mi fido di uno come lui, simpatico anche divertente
ma chissà cosa nasconde."
"Se lo dici tu."
"Certo Luke. Da un bacio si vede tutto. E lui è... è strano."
"Cioè?"
"Non si concede, non si fida e quando uno non si fida, vuol dire
che è il primo che non merita fiducia."
òara.
"È!"
Gianluca esce e finalmente mi lascia sola. Ok. Basta. Ora voglio
riordinarmi le idee. Scuoto la testa e agito i capelli. Gin ti
prego,
torna in te. Non ci credo che hai scuffiato per il mito, per la
leggenda.
Step non fa per te. Problemi, casini, chissà qual è il suo vero
passato. E poi ci hai fatto caso? Ogni volta che lo baci, sul più
bello, cioè sii più precisa, sul più meraviglioso, sul più
fantastico,
sul più superfavola andante, arriva sempre Luke, tuo fratello. Che
vorrà dire? Un segno del destino, un santo mandato dal paradiso
per evitarti l'inferno, un'ancora di salvezza? O semplice sfiga?
Porca
trota, potevamo continuare a baciarci per ore. Come bacia. Come
bacia lui. Come dire... non so che dire! Un bacio è tutto. Un
bacio è la verità. Senza troppi esercizi di stile, senza
intorcinamenti
estremi, senza funambolici avvitamenti. Naturale, la cosa più
bella.
Bacia come piace a me. Senza doversi rappresentare, senza doversi
affermare, semplice. Sicuro, morbido, tranquillo, senza fretta,
con divertimento, senza tecnica, con sapore. Posso? Con amore!
Oddio! No, questo no. Vaffanculo Step!
Capitolo 28.
"Ciao Pa'."
"Stefano, ma dove sei stato? Sei sparito."
"Ehi," lo supero andando in camera, "lo sai in America qual è
la prima legge che ti insegnano?"
"Sì, se vuoi campare fatti gli affari tuoi."
"Bravo. E la seconda?"
"Questa non la so."
"Fuck you! "
Entro in camera e mi chiudo dietro la porta.
"Lo vedi allora che un po' di inglese lo hai imparato sul serio,
bravo. Sai anche qualche altra parola, spero."
Non gli rispondo e mi butto sul letto. Proprio in quel momento
sento suonare il citofono. Riesco dalla camera veloce. Paolo è
già nel salotto e va verso il citofono.
"Rispondo io."
Quasi glielo strappo di mano. Rimane interdetto.
"Ma non ho capito, è casa mia, ti ospito, e tu ti impadronisci
di tutto."
Lo guardo male, poi sorrido.
"Dai, ti faccio da maggiordomo." Un altro squillo. Alzo il
citofono.
Mi batte forte il cuore.
"Salve, c'è Step?" Voce femminile. I battiti aumentano. "Sono
Pallina!"
"Ohi, sono io, che fai?"
"Vengo a vedere la tua nuova casa e poi ti trascino in un local-
tour.
"Di quest'ultima se ne discute. Ok, sali. Quinto piano."
Spingo il tasto per l'apertura del portone. Paolo mi guarda e
sorride.
"Donna?"
Annuisco.
"Vuoi che ti lascio la casa? Mi chiudo in camera e faccio finta
di non esserci?"
Mio fratello. Ma cosa può capire lui, cosa sa veramente di me?
"È Pallina, la donna di Pollo."
Rimane in silenzio. Poi sembra rattristarsi.
scusami.
Se ne va in camera sua, in silenzio. Mio fratello. Che soggetto,
l'uomo del fuoritempo. In quello ha un tempismo perfetto.
Campanello.
Vado ad aprire la porta.
"Ehi!"
"Cazzo, Step."
Mi si butta con le braccia al collo e mi stringe forte.
"Ancora non posso crederci che sei tornato."
"Se fai così riparto, eh?"
"Dai, scusa."
Pallina si ricompone.
"Fammi vedere la casa."
"Vieni con me."
Chiudo la porta e la precedo, le faccio da guida.
"Questo è il salotto, tessuti chiari, tende, eccetera eccetera."
Parlo descrivendole il tutto. La guardo muoversi dietro di me,
guardare le cose con attenzione, ogni tanto toccare per valutare
meglio,
per pesare qualche oggetto. Pallina, come sei cresciuta,
dimagrita,
un taglio diverso di capelli. Anche il trucco sembra un po'
più forte o sono i miei ricordi a essere sbiaditi?
"E questa è la cucina... Vuoi qualcosa?"
"No, no, per adesso no."
"Oh, te che fai i complimenti fa veramente schifo, eh?"
Scoppia a ridere.
"No, no sul serio."
La sua risata non è cambiata. Sembra sana, riposata, tranquilla.
Se solo Pollo ti vedesse ora. Sarebbe fiero di se stesso. Dai suoi
racconti è stato il tuo primo uomo, Pallina. E a me Pollo non
diceva
bugie, non ne aveva bisogno, non doveva esagerare per farsi
bello, per farsi figo, per me il suo amico, il suo più grande
amico.
Pollo ha modellato quel bruco di cera, lui, più che un alito, un
sospiro
d'amore per quella giovane farfalla al suo primo volo... Eccola
qui, davanti a me. Cammina sicura Pallina. Poi, d'improvviso,
Pallina cambia espressione.
"E non mi fai vedere la camera da letto?"
Improvvisamente diversa. Sensuale e maliziosa. Una stretta al
cuore. Ha un altro uomo? Dopo di lui ha avuto altri uomini? Cosa
è successo dopo Pollo? Step, sono passati quasi due anni. Sì, ma
non voglio ascoltare. Step, è una ragazza, è giovane, carina...
Sì, lo
so. Ma non mi interessa. Non la vuoi giustificare? No, non ci
voglio
pensare.
"Ecco una è questa."
Apro una porta bussando leggermente.
Si può?
Paolo che si stava sfilando la camicia si ricompone subito e viene
alla porta.
"Come no, ciao Pallina!"
"Ecco, lui è l'arredatore di tutto quello che hai visto."
Ciao.
Si danno la mano. Pallina sorride un po' imbarazzata.
"Complimenti, è bellissima, ottimo gusto. Pensavo che avesse
scelto tutto una donna. "
Paolo fa per rispondere ma non gliene do il tempo.
"Ma lui è un po' donna."
E chiudo piano la porta tagliandolo fuori dal nostro percorso.
"Ehi, ma io intendevo la 'tua' camera da letto."
Mi dà una botta sulla spalla spingendomi in avanti.
"Non si era capito. Ecco è questa."
Apro la porta della mia camera.
"Ehi, non male."
Pallina entra e si guarda intorno.
"Un po' spoglia però, manca colore."
Mi accorgo che la polaroid di Gin è appoggiata sul mio comodino.
Senza farmi vedere la copro.
"Be', ma ha un suo fascino così. E poi c'è tempo per dare colore.
"
Mi guarda incuriosita cercando una spiegazione a quella frase,
ma proprio in quel momento squilla il telefono. Pallina lo tira
fuori
dalla tasca del giubbotto, lo guarda, poi se lo porta
all'orecchio.
"Ehi, ma non è il mio."
Prendo il telefonino dal tavolo lì vicino.
"Infatti è il mio!"
Non conosco il numero.
"Sì?"
"Bentornato."
Arrossisco. Ascolto la sua voce.
"Spero che ci vedremo adesso che sei di nuovo a Roma."
"Sì."
"Ti piace la tua nuova casa?"
"Sì."
"Sei stato bene fuori?"
"Sì."
Annuisco, poi ascolto altre sue parole, sempre dolci, cortesi,
piene di un amore delicato, preoccupato di rompere quel sottile
cristallo, il nostro passato, il nostro segreto. Continuo a
rispondere.
Riesco a dire anche qualcos'altro oltre ai miei semplici sì.
"Tu come stai?"
E continua a parlare. Pallina mi guarda ma non mi dice nulla.
Accenna un chi è muovendo la testa. Ma non le do il tempo. Mi giro
verso la finestra. Guardo lontano rincorrendo la sua voce.
"Sì, promesso, ti richiamo io e ti vengo a trovare, sì..."
Poi un difficile silenzio cercando qualcosa da dire per salutarsi.
"Ciao." E chiudo.
"Ohi, ma chi era? Un'altra delle tue donne?"
Si e no.
Sorrido fintamente divertito, cercando di scrollarmi di dosso
quella difficile telefonata. Ma non le do il tempo di ribattere.
"Era
mia madre. Allora, usciamo o no per questo local-tour? "
Capitolo 29.
Il sole è tutto vestito di tramonto. Ma non dipende dai suoi
raggi quella luce che ora le illumina il viso. Babi esce di casa.
Si
muove leggera, rapida. Come quando si va incontro a qualcosa
che si aspetta da tanto. Forse da sempre. Indossa il suo completo
nuovo, color carta da zucchero. Ha raccolto i capelli, scoprendo
due guance leggermente arrossate. E non certo per la velocità con
cui ha sceso le scale. Non ha preso l'ascensore perché oggi le
sembrava
troppo lento. A volte le cose non vanno a tempo con la nostra
felicità. È per questo che ora sta per andare in garage a prendere
la Vespa. A quest'ora, col traffico che c'è, sarebbe da pazzi
usare la macchina. La Vespa è più veloce. O almeno, sta al passo
del suo cuore. Lo diceva anche Cremonini quando cantava coi
Lunapop... "Ma com'è bello andare in giro con le ali sotto i
piedi,
sei hai una Vespa Special che ti toglie i problemi..." Ma Babi
di problemi non ne ha. Anzi. Ha solo bisogno e voglia di correre,
di non fare tardi al suo appuntamento. Chissà come andrà, se
sarà come se lo aspetta.
Uno strano fruscio interrompe i suoi pensieri. Non sembra un
gatto. Né il vento. E nemmeno Fiore.
"Ciao."
Quante volte ha sentito quella voce. Solo che oggi sembra diversa.
Più roca. È come se arrivasse da lontano, da un posto che
forse lei non ha mai visitato. Dove si arriva solo quando ci si
sente
soli. Troppo soli. E lì la voce non serve più, perché non c'è
nessuno
ad ascoltare.
"Alfredo. Ciao... come va? Ma che ci fai dietro il cespuglio?"
"Ciao, ti aspettavo."
"Ah, e scusa, ti nascondi?"
"Non ero nascosto, ero lì dietro, bastava guardare e mi vedevi
subito. Dove vai? Sei bella, stai bene."
"Be', grazie... ho un appuntamento. Come stai?"
"Perché non hai risposto al mio sms di ieri? Ho tenuto acceso
il cellulare tutta la notte, ma non mi è arrivato nulla."
"Già, scusa, ho finito il credito e ora che me lo ricordi è meglio
se dopo ricarico. Sì, il messaggio l'ho visto. Senti, però ora non
ho
molto tempo per parlarne, possiamo rimandare? Magari uno dei
prossimi giorni sali su e con calma..."
"Con calma un cazzo."
"Alfredo, che hai? Che è questo tono?"
"Alfredo che hai, che è questo tono. Ma sentila. Insomma, dove
stai andando? Ti vedi con qualcuno tipo a Vigna Stelluti? Oppure
a corso Francia? O magari davanti alla Falconieri per un tuffo
nei ricordi? "
"Alfredo, non capisco... e comunque non mi piace il tono che
usi, mi dici che è successo? Che hai? Sei strano."
"Veramente che è successo dovresti dirmelo tu, ti pare?"
"Guarda che non è il caso di farne una tragedia."
"Ah, non importa! Tanto a te che te ne frega, eh? È felice lei,
sta bene lei. Esce di casa tutta bella lei, tutta veloce e se ne
va a vedersi
con chissà chi. O forse lo so chi è, il chissà chi?"
"Si può sapere che vuoi? Che sono tutte queste domande?"
"Perché non posso chiederti qualcosa io? E vietato? Ti ricordi
chi sono, vero? Sono Alfredo, quello che..."
"Quello che cosa? Quello che si nasconde dietro i cespugli e
mi fa il terzo grado? Quello che sta cercando di farmi sentire in
colpa
e non si capisce per cosa? Quell'Alfredo?"
La raffica di domande termina quasi in un urlo. Le guance di
Babi, adesso, sono rosse davvero. E non per l'entusiasmo.
"Sì, proprio quell'Alfredo. Quello che hai preso per il culo così
bene. E brava Babi! "
"Se continui così è peggio, lo capisci? È peggio anche per te.
Guarda che a volte le cose semplicemente non vanno come vorremmo,
tutto qua, non è colpa di nessuno, non devi fare così... Non
sciupare tutto."
Quando le parole non bastano più. Perché dentro brucia qualcosa
che non si può dire. Che non si riesce a dire. Quando chi hai
di fronte, invece di darti la risposta che vorresti, dice altro.
Dice di
più. Dice troppo. Quel troppo che è niente. Che non serve a nulla.
E fa male il doppio. E l'unico desiderio è restituire quel dolore.
Fare male. Sperando così di sentirsi un po' meglio. Alfredo le
molla
uno schiaffo in pieno viso, forte, bello, preciso, rabbioso,
maleducato.
Non riesce a trovare altri aggettivi tanto gli è piaciuto.
"Alfredo, ma sei pazzo?"
Non lo sa. Sta lì a guardarsi la mano come se non fosse sua.
Però è la sua. Ed è finita nel posto sbagliato. E non è sicuro di
stare
meglio, ora. Babi è sconvolta. Ha gli occhi pieni di lacrime. Una
delle sue guance è più rossa di prima. E non dipende dalla rabbia.
"Tu sei matto, sei un violento. Tu sì che lo sei. Step non si
sarebbe
mai azzardato, lui non l'avrebbe mai nemmeno pensato di
farmi una cosa del genere! Sei un cretino, altro che bravo ragazzo
posato e tranquillo, sei un animale. Una bestia! Me ne vado, non
dico altro. E sì, se lo vuoi sapere sto andando a fare una cosa
importante.
Molto importante. Che riguarda la mia vita futura. E l'amore.
E non ti perdonerò mai d'avermi fatto fare tardi."
Tenendosi la mano sulla guancia se ne va, veloce ma meno leggera
di quando è uscita di casa. Cerca di ricomporsi, di calmarsi.
Alza la saracinesca del garage e si guarda nello specchietto della
Vespa. Chissà, pensa, forse il vento riuscirà a rinfrescarmi la
guancia.
Magari il rossore andrà via. Sennò, che figura ci faccio quando
arrivo? Accidenti a lui, ma è matto davvero? C'avevo messo una
vita a prepararmi per bene e guardami ora, ho la faccia sconvolta
e gli occhi lucidi.
Non si è voltato. Non ha risposto. La mano gli trema ancora.
Ma non c'è paragone col terremoto che ha dentro. Non sa che dire.
E non dirà niente. Quel silenzio in cui vive da giorni lo sta
abbracciando
di nuovo, si sta rubando quell'ultima goccia di speranza
che lo aveva portato ancora lì, a nascondersi dietro un cespuglio
per aspettarla. Per sapere una verità che già dovrebbe conoscere.
Perché i fatti parlano più chiaro delle persone. Ma lui non li ha
ascoltati. Né prima né adesso. E mentre sale le scale, sente alle
spalle
il rumore della Vespa che parte a tutta velocità, nervosa come
chi la guida.
Scusa, Babi, non volevo. Davvero, non volevo. La prossima volta
andrà meglio. La prossima volta parleremo con calma, magari
verrò su da te e ci prenderemo un tè. E mi racconterai dove sei
andata
oggi.
Capitolo 30.
Siamo fuori nella notte in moto, io e Pallina. Lascio andare la
750. Una velocità tranquilla, pensieri al vento. Lei si stringe a
me,
ma senza esagerare. Due equivoci umani, congiunzioni astrali di
uno strano destino. Io, il migliore amico del suo uomo, lei, la
migliore
amica della mia donna. Ma tutto questo appartiene al passato.
Scalo e corro via veloce, il vento rinfresca. Porta via i miei
pensieri.
Ah, sospiro. Così bello a volte non pensare. Non pensare. Non
pensare... Vento, velocità e rumori lontani. Non pensare. Una
serie
di locali. Akab come prima tappa.
"Dai, qui conosco tutti, saranno felici di vederti."
Mi lascio guidare. Entriamo, saluto. Riconosco qualcuno.
"Un rum, grazie."
"Chiaro o scuro?"
"Scuro."
Un altro locale. Charro caffè. Mi lascio andare.
"Un altro rum, con ghiaccio e limone."
Poi all'Alpheus. E un altro rum. Ghiaccio e limone. Qui fanno
di tutto: musica anni '70 e '80, hip-hop, rock, dance. Poi al
Ketum
bar. Mi dimentico dove ho posteggiato la moto. Cosa importa. "Un
altro rum. Ghiaccio e limone." Ridiamo. Saluto qualcuno. Uno mi
salta addosso.
"Cazzo, Step, sei tornato! Si ricomincia coi casini, eh?"
Sì, si ricomincia. Ma chi cazzo era quello lì? Un altro locale e
un altro rum e poi ancora un altro e un altro ancora. E altri due
rum. Ma chi era quello che mi è saltato addosso. Ah sì, Manetta.
Si era addormentato una volta in montagna. Sì, eravamo a
Pescasseroli.
Sotto il piumino, con i piedi di fuori. Gli abbiamo messo tra
le dita dei piedi dei cerini con la capocchia in fuori e li
abbiamo accesi.
Cazzo, che balzo che ha fatto quando si è svegliato sentendosi
bruciare. E noi giù per terra a ridere come matti. Io e Pollo. E
lui che saltava per la stanza con i piedi bruciacchiati, che
gridava.
"Cazzo che incubo! Che incubo, cazzo! " E noi giù a ridere, da
sentirsi
male. Io e Pollo. Che risate. Da matti. Io e Pollo. Ma Pollo ora
non c'è più. Una tristezza mi prende forte. Un altro rum, tutto
d'un
sorso, giù. Mentre ballo con Pallina, la sua dama, la donna del
mio
amico, l'amico che non c'è più. Ma ballo, ballo soltanto e rido,
rido
con lei. Io rido e penso a te. Un altro rum e, non so come, sono
sotto casa.
"Ehi, siamo arrivati."
Scendo dalla moto un po' traballante. Quell'ultimo rum di
troppo.
"Dove hai messo l'sh?"
"No, sono venuta in macchina, ora ho una 500 modello nuovo."
"Ah, carina." In realtà è una delle macchine che mi piace di
meno. Ma serve a qualcosa dirglielo? No, e quindi sto zitto, anzi
rincaro la dose.
"Vanno benissimo, non consumano niente e i pezzi di ricambio
sono a buon prezzo."
"Sì, infatti."
"Serata divertente, eh?"
"Fortissima." Su questo sono sincero. "Sono cambiati i locali
giù al Testaccio. "
"Cioè?"
"Meglio. Buona musica, la gente sembra divertirsi sul serio.
Pezzi forti, si balla una cifra. Sì, una bella serata."
Pallina si fruga in tasca e nel giubbotto.
"Ehi, mi sa che mi sono dimenticata le chiavi su da te."
"Non c'è problema, saliamo."
In ascensore, uno strano silenzio. I nostri sguardi si incrociano.
Rimaniamo senza parlare. Pallina sorride. Lo fa con tenerezza.
Io tamburello sul ferro della parete, sullo specchio. Cazzo, a
volte
l'ascensore sembra non arrivare mai. O sono i troppi rum che
rallentano
quel viaggio? O altro ancora? Arrivati. Apro la porta di casa
e Pallina si infila dentro. Si guarda in giro, poi va verso il
tavolo.
"Eccole, trovate! " Mi copre la visuale però, non ho visto niente.
Erano sul serio sul tavolo le chiavi, se l'era dimenticate o era
una
scusa per salire? Ma che ti viene in mente? Stai male. Perché
pensi
queste cose, Step? Troppi rum. Le chiavi erano sul tavolo,
dovevano
essere lì.
"Ehi, ma hai anche il terrazzo."
"Sì, sai che non c'avevo fatto caso."
"Ma dai! Sei sempre il solito distratto."
Apro la finestra ed esco fuori. C'è una luna bellissima. Alta,
tonda, lì tra i palazzi lontani, tutti bagnati dal suo pallore.
Silhouette
di vecchie antenne, moderne parabole e poi, quasi un controsenso,
panni stesi del giorno prima. Respiro forte, profumo di gelsomini
estivi, aria notturna settembrina, grilli lontani, silenzio tutto
intorno. Arriva Pallina alle mie spalle.
"Tieni, te ne ho portato un altro." Mi passa un bicchiere.
"Per chiudere bene la serata."
Lo prendo e lo porto alla bocca, annusandolo.
"Un altro rum. Sembra anche buono."
Paolo mi stupisce sempre di più. Rum in casa. Sta migliorando.
Ne prendo un sorso. Deve essere un Pampero. No, un Havana
Club, vejo sette anos, almeno. "Buonissimo."
Torno a guardare lontano. Poi un rumore di macchina sparisce
da qualche parte.
"Sai, Step, ti devo dire una cosa."
Rimango in silenzio. Continuo a guardare lontano. Do un altro
sorso senza girarmi. Pallina continua a parlare. La sento dietro
di me, vicino alle mie spalle.
"Non ci crederai. Da quando Pollo è morto non sono stata più
con nessun altro ragazzo. Ci credi?"
"Perché non dovrei crederci?" Rimango girato.
"Neanche un bacio, te lo giuro."
"Non giurare. Non credo tu mi dica bugie."
"Una te l'ho detta."
Mi giro e la guardo negli occhi. Lei sorride.
"Le chiavi le avevo nel giubbotto."
Una folata leggera di vento caldo della notte agita morbida i
suoi capelli scuri. Pallina. Piccola donna cresciuta. Ha la pelle
d'oca
e chiude gli occhi, regalandosi un respiro profondo. Poi si
avvicina
e mi abbraccia. Poggia la testa sul mio petto. Dolce amica
profumata.
La lascio fare.
"Sai, Step, sono così felice che tu sia qui."
Tengo le braccia larghe non sapendo bene che fare. Poi poggio
il bicchiere sul davanzale e la abbraccio piano. La sento
sorridere.
"Bentornato. Ti prego, stringimi forte."
Rimango così, senza trovare la forza di stringere ancora. Cerco
di scusarmi.
"Senti..."
Ma è un attimo. Lei alza la testa dal mio petto e mi dà un bacio.
Spinge sulle mie labbra e dischiude la bocca. Poi prova a
muoversi,
si agita lenta, con gli occhi chiusi. Sposta la bocca a destra e
a sinistra, cercando l'incastro giusto, la posizione, lo svolgersi
naturale.
Ma è impossibile. Io sono fermo. Immobile. Non so che fare,
non vorrei ferirla. Rimango così, con le labbra chiuse,
sicuramente
fredde, forse di pietra. Pallina lentamente rallenta il suo
disperato
agitarsi. Poi china di nuovo la testa sul petto e comincia a
piangere. In silenzio. Piccoli sussulti della sua testa, poi
singhiozzi
più brevi, disperati. Mi stringe per non staccarsi da me,
vergognosa
del mio sguardo. Io piano piano le accarezzo i capelli. Poi le
sussurro
all'orecchio: "Pallina... Pallina, non fare così".
"No, non avrei mai dovuto farlo."
"Ma cosa hai fatto? Non è successo niente. Non c'è stato nulla.
È tutto a posto."
"No. Ho provato a darti un bacio."
"Sul serio? Non me ne sono accorto. Dai, che il nostro amico
sicuramente ci starà guardando e starà ridendo di noi."
"Di me magari."
"Con me è arrabbiato perché non ci sono stato."
Pallina scoppia a ridere. Ma è una risata nervosa, tira su con il
naso e si asciuga con la manica del giubbotto. Un po' ride e un
po'
ancora piange.
"Scusami Step."
"Oh ancora... Ma scusami di che? Guarda che se continui con
questa storia ti porto a letto."
"Sì, magari."
Ride di nuovo più tranquilla stavolta. Le agito davanti al viso
l'indice minaccioso.
"A fare la nanna, che ti credevi, eh?" Sorride di nuovo.
"Quella la vado a fare sul serio."
E senza dire più nulla, ancora imbarazzata si dirige verso la
porta.
Si ferma un attimo. "Ti prego Step, dimenticatelo e chiamami."
Le sorrido e le faccio cenno di sì. Poi chiudo gli occhi e un
attimo
dopo Pallina non c'è più. Rimango così in silenzio in piedi nel
salotto,
poi mi guardo in giro e vedo la bottiglia di rum. Avevo ragione.
È un Havana Club. Tre anni soltanto però. Taccagno di un
Paolo. Esco in terrazzo. Guardo giù e faccio appena in tempo a
vedere
la 500 di Pallina che gira in fondo alla strada. Mi scolo l'ultimo
sorso della bottiglia senza passare per il bicchiere e rimango lì.
Con le braccia incrociate, appoggiate sul davanzale, con la
bottiglia
vicino ormai vuota. "Porca troia." Ho una rabbia dentro e non
so con chi prendermela. Cazzo e vaffanculo. Perché? Perché?
Perché?
Merda. Non posso fare niente. Neanche bestemmiare. No,
non servirebbe a niente. Ma non ci voglio pensare. Sto male,
cazzo.
Guardo giù. Eccola. Grazie. Sono più felice ora. Prendo la
bottiglia
per il collo, raccolgo tutta la mia forza e la lancio giù come
un boomerang, perfetto, veloce, speriamo solo che non ritorni. La
bottiglia rotea a duemila e pum, centra il parabrezza della Twingo
in pieno, disintegrandolo. Era una Twingo nuova, perfetta. Nera
credo o comunque scura. L'insieme di tutto ciò che odio. Un colpo
solo. Come Il cacciatore.
Capitolo 31.
Un vento leggero si perde tra piccole case ordinate, tra marmi
bianchi e grigi, tra fiori appena appassiti e altri appena messi.
Foto
e date ricordano qualcuno. Amori passati, vite spezzate o
naturalmente
recise. Comunque, andate. Strappate. Come quella del
mio amico. E a volte tutto questo accade senza un perché e il
dolore
è ancora più grande. Cammino tra le tombe. Ho un mazzo di
fiori in mano, i girasoli più belli che ho potuto trovare. In
amicizia,
come nell'amore, non si bada a spese. Ecco. Sono arrivato.
"Ciao, Pollo."
Guardo quella foto, quel sorriso che tante volte mi ha fatto
compagnia.
Quell'immagine piccola, così come grande e generoso era
il suo cuore.
"Ti ho portato questi."
Come se non mi vedesse, come se non sapesse. Mi piego, tolgo
dei fiori appassiti da dentro un piccolo vaso. Mi chiedo chi
glieli
ha portati e quando. Forse proprio Pallina. Ma poi abbandono
questo pensiero, lo butto via lontano proprio come coi fiori
appena
tolti. Sistemo alla meglio quei grandi girasoli. Sembrano ancora
forti di quei campi, sani di quei soli. Li dispongo con cura,
facendo
spazio tra loro. Sembrano quasi accomodarsi naturalmente.
E subito si rivolgono verso il sole, come un sospiro lungo, di
soddisfazione,
come se da sempre avessero cercato quel vaso.
"Ecco, ecco fatto."
Rimango per un po' in silenzio, quasi preoccupato di poter esser
stato interpretato male, di poter aver avuto qualche pensiero
sbagliato, non puro come invece è la nostra amicizia.
"Ma così non è, Pollo, e tu lo sai. Così non è stato neppure per
un attimo. "
E poi quasi prendo le difese di Pallina.
"La devi capire, è una ragazzina e le manchi. E tu sai, o forse
non sai, quanto cavolo le davi, cos'eri per lei, quanto la facevi
ridere,
quanto la facevi felice. E noi possiamo dircelo. Quanto
l'amavi..."
Mi guardo in giro, quasi preoccupato che qualcuno possa sentire
quella confidenza.
Lontano, più lontano, c'è una donna anziana vestita di nero.
Prega. Un po' più in là un giardiniere e il suo rastrello cercano
di
raccogliere alcune foglie ormai ingiallite. Torno dal mio amico. E
a lei.
"Devi capirla, Pollo. È una bella ragazza. È diventata una donna.
È incredibile come si trasformano. Tu le vedi, le rincontri, ed è
bastato un po' di tempo, un attimo, per trovare al posto loro
qualcun'altra.
Ieri non ho avuto dubbi, non so, non potrei mai. Lo so
che mille volte abbiamo riso e scherzato su 'mai dire mai', ma è
bello
poter avere qualcosa nella vita che rappresenti una certezza, no?
Cazzo, la verità è che solo noi possiamo essere una nostra
certezza.
E mi piace un sacco dire 'no', hai capito? Mi piace un sacco dire
di 'no'. E mi piace un casino dire 'mai'! Cazzo, mi piace dirlo
per te, per quello che è stata ed è la nostra amicizia. Perché è
una
certezza. È la mia certezza. Già t'immagino, starai ridendo. Mi
prendi
per il culo, eh? Anzi no, lo so. Se ti avessi fatto tutto questo
discorso
mentre stavamo da qualche parte insieme alla fine mi facevi
uno scherzo. Ma siccome non mi puoi rispondere... be', te la devi
prendere così com'è tutta 'sta storia, ok? E comunque già la so
la domanda che mi avresti fatto. No. Non l'ho vista e non ho
intenzione
di farlo, va bene? Almeno non ora. Non sono pronto. Sai,
a volte penso se le cose fossero andate diversamente. Se se ne
fosse
andata lei al posto tuo. Io e te come amici non ci saremmo mai
lasciati, mentre lei, forse, così non avrei mai potuto
dimenticarla.
Lo so, sono egoista, ma almeno adesso ho ancora qualche
possibilità
di dimenticarla. Invece ti volevo raccontare qualcosa di questa
Gin. È una boccata di aria nuova. Ti giuro, cazzo, è allegra,
simpatica,
intelligente, è forte. Non ti posso dire di più perché, perché...
non ci sono stato a letto."
In quel momento passa lì vicino l'anziana signora. Ha finito tutte
le sue preghiere. Mi guarda incuriosita. Fa uno strano sorriso.
Non si capisce bene se è un sorriso di solidarietà o di semplice
curiosità.
Fatto sta che sorride e si allontana.
"Be', Pollo, ora vado anch'io. Spero di poterti raccontare presto
qualcosa su Gin, qualcosa di buono."
Poco lontano è appena arrivato un nuovo ospite. Alcune persone
scendono dalle auto in silenzio. Occhi lucidi, fiori freschi,
ultimi
ricordi. Parole dette a mezza voce cercando di capire bene cosa
fare. Il tutto confuso dal dolore. Poi mi piego per un'ultima
volta.
Sistemo meglio quel grosso girasole. Gli concedo un altro po' di
spazio e l'occasione di fare compagnia al mio amico del cuore. Mi
torna in mente una frase di Winchell: "L'amico è colui che entra
quando tutto il mondo è uscito". E tu, Pollo, sei ancora dentro
me.
Capitolo 32.
"E quindi che hai fatto, ci sei uscito?"
Lo guardo sorridendo.
"Macché, sono uscito con una mia vecchia amica."
"E hai intinto il biscotto nel passato..."
Lo guardo. Marcantonio ha una faccia alla Jack Nicholson e cerca
di carpire con simpatia i miei segreti. Ma non sa la storia. Non
sa
chi è Pallina. Non sa nulla di me e Pollo. Gli sarebbe stato
simpatico?
"Io invece mi sono visto con la Fiori."
"E allora?"
"Oh, io non capisco le donne. Un bacio, un altro bacio, una
strusciatina, la cominci a toccare come si deve, ma alla fine,
scusa,
non è meglio scopare direttamente? Eh, no, è troppo presto, è
troppo
presto. Ma di che, oh? ! "
Poco più in là. Stessa città, stessa storia. O meglio, al
femminile.
"E quindi che hai combinato?"
Silenzio. Prendo Ele da dietro intorno al collo e le punto il mio
fermaglio alla gola.
"Se non parli ti sgozzo."
Ele quasi tossisce.
"Va bene, va bene, ma che sei cretina? Quasi mi strozzi. E poi
chi te le racconta queste prudité?"
"Che cosa?"
"Prudité: piccole cose spinte, sei proprio out."
Ele scuote la testa guardandomi.
"Senti Ele, a parte che nel caso è pruderie, ma possibile che
non riesci a mettere in fila tre parole d'italiano che ci devi
subito
sbattere dentro uno stranierismo ! "
"Yes, I do."
Sollevo gli occhi al cielo. Incorreggibile. "Ok, racconti o no?"
"Allora sai che ha fatto? Mi ha invitato a cena a casa sua."
"Ma chi?"
"Marcantonio, il grafico."
"L'amico di Step!"
"Marcantonio è Marcantonio e basta. E non sai che carino, come
si è dato da fare, mi ha preparato una cena splendida."
Marcantonio sorride. Come uno che la sa lunga. O meglio, la
sa a memoria, tante devono essere le volte che la mette in
pratica.
"Allora, per cominciare sono andato giù da Paolo, il giapponese
di via Cavour, e ho preso un po' di roba. Tempura, sushi, sashimi,
passion fruit. Roba che sfizia, alto contenuto erotico. Li ho
portati
su, ho dato una riscaldatina al tempura, et voilà, tutto fatto. Ho
apparecchiato con le classiche bacchette giapponesi più forchetta
se hai poca dimestichezza con l'uso del mangiare orientale..."
"Avevi preso pure dal marocchino al semaforo i classici fiori da
5 sacchi?"
"Be', certo, quelli sono ideali: minima spesa per effimero
centrotavola!"
Ele sembra entusiasta della serata.
"Be', continua. Quindi aveva apparecchiato con amore, tutte
cose scelte con gusto..."
"Con molto gusto."
"Sei pronta? Domanda fondamentale: fiori ce n'erano?"
"Certo! Rose piccole, bellissime, ha giocato pure sul mio
cognome..."
Scoppiamo a ridere, poi torno seria.
"Ele, ora dimmi la verità." Ele alza gli occhi al cielo.
"Ecco lo sapevo. Dadà e arrivederci alla prossima puntata." Le
salto di nuovo al collo: "Questa volta ti sgozzo sul serio".
"No, ok, d'accordo parlo, parlo."
La libero dalla stretta. Ele mi guarda con occhio preoccupato,
alzando anche il sopracciglio.
"Ehi, non è che poi mi sgozzi sul serio?"
La guardo preoccupata. "Cosa hai combinato?"
"Ok... Gli ho fatto un pompino! "
"No, Ele, non è possibile! Alla prima uscita! Questa non si è
mai sentita."
"Ma di che parli?! Benedetta, quella che tu giudicavi una santa,
la Paoletti te la ricordi, no? È stata beccata al Piper in bagno
inginocchiata
in santa adorazione orale con tale Max conosciuto su pista
da ballo. Tempo di conoscenza mezzo disco di Will Young... La
cover dei Doors, Light my fire. Dopo di che è stata presa sul
serio da
uno strano fuoco. Ha cantato al microfono e si è fatta pure
beccare.
E Paola Mazzocchi? Lo sai che l'hanno beccata in bagno a scuola
con il prof di Educazione fisica, Mariotti? Eh, lo sai o non lo
sai, dopo
appena una settimana di scuola. L'adoratrice di cannoli siciliani!
Ti ricordo che quel soprannome ha girato per tutta la scuola. E
sai
perché? Perché Mariotti ha i capelli biondo tinti, ma è di
Catania."
"Sì, ma queste sono leggende metropolitane. Mariotti è rimasto
a insegnare. Ma ti pare che veniva beccato e non lo allontanavano?
"Ah, non lo so. So solo che la Mazzocchi aveva comunque quattro
in Educazione fisica..."
"Che c'entra?"
"C'entra, c'entra... Vuol dire che non sapeva neanche fare bene
un pompino."
"Ele, ma tu sei fuori! Vuoi dire che invece tu ti vanti della tua
bravura? Mo' ti sgozzo sul serio."
Marcantonio ci prova gusto a raccontare.
"Le ho fatto body art."
"Che vuol dire?"
"Tu che vieni da New York non lo sai? Cioè, io sarei giustificato,
ho passato le mie vacanze a Castiglioncello... Ma tu invece lì,
nella Big Apple e non sai di che stiamo parlando?"
Sbuffo e sorrido guardandolo.
"So cos'è. Ma che vuol dire è un'altra domanda."
"Oh, ecco, così mi piaci. Le ho dipinto il corpo. L'ho spogliata
tutta, poi ho cominciato a dipingerla. Pennelli a tempera calda,
leggeri, sul suo corpo, su e giù, intingendoli ogni tanto
nell'acqua
calda di una boccetta. Scivolavo su di lei dandole piacere,
guardandola.
Anche le sue guance acquistavano colore, senza che io me
ne occupassi. Le ho dipinto addosso quelle mutandine che le avevo
appena tolto, poi piano piano del chiaroscuro sui suoi capezzoli,
che, sempre più turgidi, sembravano impazzire a quelle pennellate
calde di piacere."
"E poi?"
"Presa da un orgasmo cromatico ha voluto dare lei colore al
mio pennello."
"Tradotto?"
"Mi ha fatto un pompino."
"Fiuuu. Se tanto mi dà tanto..."
"Hai qualche buona speranza con l'amica, su questo stai
ragionando?
"
"Ragionavo ad alta voce, sbagliando... E poi?"
"Poi niente, siamo rimasti a chiacchierare del più e del meno,
abbiamo piluccato un po' di giapponese rimasto e l'ho accompagnata
a casa."
"Ma dai, dopo il pompino non te la sei scopata?"
"No, non ha voluto."
"Cioè spiegami un po', il pompino sì e la scopata no, che ragione
c'è?"
"Ha tutta una sua filosofia. Almeno questo mi ha detto lei."
"E non ti ha detto altro?"
"Sì, mi ha detto: 'Bisogna sapersi accontentare'. Anzi no, meglio.
Ha detto che chi si accontenta, gode. E poi si è messa a ridere. "
"Ma Ele scusa... Allora tanto valeva che ci andavi a letto. Sesso
per sesso..."
"Ma che c'entra, scopare è un'altra cosa, l'unione perfetta.
Coinvolgimento
totale. Lui che è dentro di te, l'ipotesi di un figlio... Ti
rendi conto? Altro discorso è un pompino."
"E certo! Come no! "
"Senti, per me è come un saluto più affettuoso. Ecco, tipo stretta
di mano."
"Una stretta di mano? Vallo a raccontare ai tuoi."
" Certo, se uscisse nel discorso... Ma perché scusa loro non
l'hanno
fatto? Siamo noi che non riusciamo a vedere la normalità del
sesso, se ne dovrebbe parlare come di tutto, è che siamo borghesi,
per esempio, immagina tua madre che fa un..."
"Ele!!!"
"Ma perché, anche tua madre fa la difficile?"
"Ti odio."
"Be' Step, ora ti saluto. Quando abbiamo appuntamento con
Romani, il Serpe, e il resto del sottobosco?"
"Domani alle undici. Cioè, questo è il massimo... Ora ti devo
ricordare io gli appuntamenti. "
"Certo. È questa la vera 'assistenza'. Allora ci vediamo domani
a quell'ora meno qualche minuto."
Lo vedo allontanarsi così, un po' ciondolante, con una sigaretta
già in bocca. Dopo neanche un passo si gira. Mi guarda e fa un
sorriso. "Ehi... Fammi sapere se hai novità anche tu con la Biro.
Non fare l'ermetico, eh? Aspetto i tuoi racconti e non t'inventare
niente. Tanto un pompino si batte facilmente! "
Capitolo 33.
Un pomeriggio come tanti altri. Ma non per lei. Raffaella Gervasi
gira inquieta per casa. Qualcosa non le torna. Uno strano
malessere.
Un fastidio di fondo. Qualcosa che ha dimenticato... o qualcosa
che non riesce a ricordare. Raffaella cerca di calmarsi. Che
sciocca, forse sono così per mia figlia Babi. È così cambiata.
Così
piacevolmente cambiata. Finalmente sa quello che vuole. Ha fatto
la sua scelta e ora non ha più dubbi. Ma io? Io cosa voglio? E
improvvisamente
si ritrova davanti allo specchio del salotto. Si avvicina
preoccupata alla sua immagine, si guarda, cerca con le mani
di lisciarsi la pelle, di aiutarsi, si tira un po' indietro le
guance per
cancellare dal viso quel tempo passato, quegli anni che giacciono
lì, depositati ormai intorno ai suoi occhi. Ecco, vorrei meno
rughe,
ma questo è facile. Basta farsi un po' di botulino. Va di moda
adesso.
Fanno delle specie di feste dove si correggono queste
"imperfezioni
estetiche". Passano con un vassoio d'argento, una serie di
siringhe... le prendono e ci danno dentro che sembra champagne.
Leggere, indolore, costano perfino meno di un Moèt. Ma è veramente
questo il tuo problema? Raffaella si guarda negli occhi e cerca
di essere sincera almeno con se stessa. No, hai quarantotto anni
e per la prima volta in vita tua, nei confronti di tuo marito hai
un dubbio. Cosa gli sta accadendo? Torna sempre più spesso tardi
dal lavoro. Ho perfino controllato il conto in banca che abbiamo
in comune. Ci sono molti prelievi, troppi. Come se non bastasse
si è comprato dei ed. Lui... dei ed? Ho controllato in macchina.
Ascolta un certo Maggese di Cesare Cremonini, un ragazzino, poi
una compilation di Montecarlo Nights, quella musica notturna
strana
e sensuale e, colmo dei colmi... Buddha Bar VII, ancora peggio!
Per uno che ha sempre e solo ascoltato musica classica e che al
massimo
si è avventurato in un jazz delicato, tutto questo è una specie
di rivoluzione. E dietro a ogni rivoluzione così non ci può essere
che una donna. Ma com'è possibile? Claudio... e un'altra! Be', non
ci posso credere. Perché non ci puoi credere? Quante coppie del
vostro gruppo si sono sfasciate? E per cosa? Diverbi sulle scelte
di
lavoro? Discussioni su dove andare per le vacanze estive, se al
mare
o in montagna? Contrasti sull'educazione dei figli? O in che modo
cambiare l'arredamento di casa? No. Dietro c'è sempre e solo
un'altra persona. Una donna. E quasi sempre più giovane. E mentre
se lo confessa, Raffaella passa in rapida successione le schede,
le ipotesi, le facce di tutte quelle donne, quelle amiche, vere o
false
che siano. Niente. Non esce niente. Non le viene in mente niente.
Neanche una minima ipotesi, un nome, un indizio qualsiasi. Allora,
presa dalla gelosia più folle, si tuffa nell'armadio di Claudio e
fruga in ogni giacca, nei giubbotti, nei cappotti, nei pantaloni,
cercando
una qualsiasi prova, respirando i baveri, gli interni, per
sentire,
per cercare di trovare quel profumo colpevole, quel capello di
troppo, quello scontrino, un biglietto d'auguri, una frase
d'amore,
un accenno di desiderio... un piano di fuga! Qualsiasi cosa che
possa
dare pace a questa sua follia isterica, a questa sua insicurezza
rabbiosa. Claudio e un'altra. Perdere tutto quello che sembrava
per
lei e la sua vita una certezza quasi banale. Poi improvvisamente
una
luce, un lampo, un'idea. Forse la soluzione. Raffaella si
scapicolla
in sala da pranzo in cerca di quella cuccuma d'argento dove
finisce
la posta appena arrivata. Eccola là. C'è tutta. E non è stata
ancora
aperta. La prende a piene mani e comincia veloce a sfogliarla.
Per Babi, per Daniela, per me, per Babi di nuovo... ecco, per
Claudio! Ma è l'Enel, per me una promozione di saldi e sconti. Ma
cosa vuoi che me ne freghi ora. Eccola. Claudio Gervasi.
L'estratto
conto della carta di credito Diners. Raffaella corre in cucina,
prende un coltello e la apre delicatamente. Se trovo qualche
prova,
poi la richiudo e metto tutto a posto e faccio finta di niente.
Così
poi lo becco in flagrante e lo rovino. Lo rovino. Giuro che lo
rovino.
Tira fuori l'estratto e comincia a spizzarlo come la più grande
partita di poker mai giocata al mondo. Ogni riga è un sussulto.
L'ipotesi che l'avversario possa avere in mano quattro donne. O
anche
semplicemente una, ma comunque un'altra. Raffaella controlla
frenetica tutti gli importi. Niente. Tutti pagamenti regolari. Rid
del mutuo, pagamento del gasolio per la macchina... ecco! Una nota
strana. Acquisto in un negozio di ed. Quanti ne avrà presi? Be',
per il prezzo che vedo devono essere i tre che ha in macchina.
Niente
da fare. Ecco il completo di Franceschini, quello a via Cola Di
Rienzo. È quello che ha preso ai saldi e poi Teresa, la sarta, gli
ha
fatto l'orlo ai pantaloni. Sì, è tutto a posto. Raffaella ora
guarda più
tranquilla le ultime due righe, pagamento del telefono di casa...
mamma mia, questo bimestre abbiamo speso 435,00 euro. Ma non
fa in tempo ad arrabbiarsi. A pensare a quello che dirà alle
figlie,
le sole colpevoli di quell'intera cifra. Perché improvvisamente i
suoi
occhi cadono su un'altra spesa. 180,00 euro per qualcosa che lei
non si sarebbe mai aspettata.
Capitolo 34.
Ai Prati vicino alla Rai, all'angolo tra via Nicotera e viale
Mazzini,
c'è il Residence Prati, casa e albergo di tante piccole stelle del
cinema, della fiction, della soap, del varietà, di tutta la tv
italiana.
Ecco, poco più in là c'è anche una palestra. Scendo giù, è un
seminterrato.
Non sembra, ma sono quattrocento metri quadri buoni
se non di più, ben dislocata, diversi specchi, bocche di lupo,
un'areazione perfetta, un grosso tubo d'acciaio che serpeggia a
testa
in giù dal soffitto sbuffando e respirando.
"Ciao, cerchi qualcuno?"
Una ragazza con i capelli corti dalla pettinatura buffa mi sorride
nascosta dietro una strana scrivania. Nasconde un libro di
diritto,
chiuso con una matita in mezzo e due evidenziatori lì vicino,
classico da primo anno di università.
"Sì, sto cercando una mia amica."
"Chi è? Forse la conosco. È iscritta da molto tempo?"
Mi viene da ridere e vorrei risponderle: "Da mai! ". Ma sarebbe
come buttare all'aria ogni possibilità con Gin. Farla scoprire
nella
sua rete di palestre, il massimo.
"No, mi ha detto che oggi voleva fare una lezione di prova."
"Dimmi il nome che te la chiamo al microfono."
"No grazie." Sorrido, finto ingenuo. "Voglio farle una sorpresa."
"Ok, come vuoi."
La ragazza si rimette tranquilla e riprende a studiare. Codice
penale. Ho sbagliato, deve essere minimo al terzo anno, se non c'è
di mezzo qualche fuori corso. Poi rido fra me e me. Chissà, magari
un giorno potrebbe essere il mio avvocato. Probabile.
Eccola lì, Ginevra. Gin. La Biro. Roba da pazzi. Facendo onore
al suo cognome, descrive nell'aria traiettorie perfette prima di
colpire il sacco. Saltella di continuo. Pseudoprofessionista
pugile.
Improvvisamente mi ricorda Hilary Swank quando va a festeggiare
in palestra, da sola, il suo compleanno. Gira attorno al sacco
veloce
e Morgan Freeman decide di darle alcuni consigli su come si
colpisce. Avevo sentito dire che le donne italiane si erano
fissate
per la boxe. Ma pensavo fossero dicerie. Questa invece è una
realtà.
"Vai ancora, brava così, colpisci dritto." Qualcuno la allena.
Ma non somiglia a Clint Eastwood. Sembra perfino soddisfatto,
forse se la vuole solo portare a letto. Eppure la guardo. Eppure,
perché mi sembra di guardarla in modo diverso. Che strano. Quando
da lontano guardi una donna, ne scorgi i minimi particolari,
dettagli,
come muove la bocca, come si imbroncia, come si morde il
labbro, come sbuffa, come si aggiusta i capelli, come... tante
altre
cose. Cose che da vicino perdi, cose che a pochi passi magari
vengono
messe da parte dai suoi occhi.
Gin continua a sbuffare colpendo ripetutamente il sacco. "Destro
sinistro e giù ! Brava ritorna indietro, destro sinistro e giù...
Così
ancora..."
Continua a sudare mentre colpisce e agita i capelli neri
all'indietro.
Poi, sembra quasi un rallenty, si sposta i capelli dalla faccia
con il guantone e li porta lì, dietro le orecchie. Ci manca solo
che
si rifà il trucco. Donne e boxe, roba da pazzi. Mi avvicino piano,
senza farmi vedere.
"Ora prova un affondo e giù."
Gin colpisce due volte di sinistro poi prova l'affondo di destra.
Le sposto al volo il sacco e le blocco il braccio destro. "Pum."
Vedo
la sua faccia sorpresa, quasi attonita. Veloce, chiudo la mia mano
a pugno e la colpisco leggero sul mento. "Ciao, One Million
Dollar Baby. Pum, pum, eri morta." Si divincola liberandosi.
"Che cavolo ci fai qui?"
"Volevo provare questa palestra."
"Ma guarda! Proprio questa."
"Si dà il caso che può capitare, mi è comoda e siccome anch'io
'lavoro' qui vicino..."
"Sono stata presa a prescindere da te."
"Ma chi ti ha detto niente."
"Eri allusivo."
"Sei malata."
"E tu sei stronzo!"
"Basta, calma... Non vi metterete a discutere proprio qui in
palestra,
no?"
Si mette in mezzo l'allenatore.
"E poi scusa, Ginevra... per te questa è la prima lezione di prova
qui da noi, no? Non sei iscritta qui alla Gymnastic. Quindi lui
non
poteva sapere, non poteva essere sicuro di trovarti. È stato un
caso."
La guardo e sorrido. "È stato un caso. La vita è fatta di casi. E
mi sembra assurdo trovare delle ragioni al perché di quel caso.
Giusto?
È un caso e basta."
Gin sbuffa con le mani poggiate sul fianco ancora prigioniere
dei guantoni.
"Ma che 'caso' stai dicendo?"
"Buona Ginevra" si rifà sotto l'allenatore. "C'è troppo astio fra
di voi. Sembra che vi odiate."
"No, non sembra. È! "
"Allora dovete stare attenti. Tu che dovresti essere ancora fresca
di scuola te lo dovresti ricordare: 'Odi et amo. Quare id
fariam..., néscio...'."
Gin alza gli occhi al cielo.
"Sì, sì, grazie, la conosco. Ma qui i problemi sono altri."
"Allora dovete risolverli fuori di qui."
La guardo e sorrido.
"Giusto, vero... Ecco una buona idea. Esci?"
"Devi stare attento. Non la sottovalutare, Ginevra è forte, sai?"
"E come se non lo so. È pure terzo dan."
"Ma dai..." L'allenatore si fa curioso. "Non lo sapevo questo.
Sul serio?"
"Sì, stranamente sta dicendo la verità."
L'allenatore si allontana scuotendo la testa.
"C'è astio, c'è astio. Così non va, così non va."
Poi torna indietro sorridente, come se avesse trovato la soluzione
a tutti i problemi mondiali. Quanto meno a quelli miei e di
Gin.
"Perché non fate un piccolo incontro? Scusate, è l'ideale, un
sano scarico di tensioni."
Gin alza la mano con il guantone aperto verso di me, indicandomi.
"Tse, ma figurati se questo qua si è portato la roba per
cambiarsi."
"E invece 'questo qua' se l'è portata."
Le sorrido divertito e prendo da dietro la colonna la mia sacca.
"E ora, seguendo i consigli del tuo allenatore, vado subito a
cambiarmi. Non ti preoccupare comunque, ci vediamo fra poco."
Gin e l'allenatore rimangono lì a guardarmi mentre mi allontano.
"Non c'è niente di meglio, in fondo quel ragazzo mi sembra
simpatico e così puoi mettere in pratica parte dei colpi che oggi
ti
ho spiegato, comunque mi sembra che tu li abbia perfettamente
capiti."
"Sì, ma tu hai capito chi è quello?"
L'allenatore mi guarda perplesso. "No, perché chi è?"
"Lui è Step."
Rimane per un po' soprappensiero con gli occhi socchiusi, cercando
nel suo immaginario, tra i suoi ricordi e il sentito dire delle
tante leggende metropolitane. Niente. Non trova niente.
"Step, Step, Step. No, mai sentito."
Lo guardo preoccupata mentre lui mi sorride compiaciuto. " No,
sul serio, mai. Ma stai tranquilla, gli terrai testa! "
E in quel momento capisco due cose. Uno, sicuramente non è
un buon allenatore e due, proprio per questo dovrei iniziare a
preoccuparmi.
Una maglietta leggera, pantaloncini, calzettoni e le nuove Nike
prese alla Nike Town di New York. "Ehi, Step, ciao." Negli
spogliatoi
incontro uno che conosco, ma del quale non ricordo il nome.
"Che fai, ti alleni qui?"
"Solo per oggi. Voglio fare una lezione di prova tanto per vedere
un po' come cammina questa palestra."
"Cammina bene, eccome! A parte che è piena di fighe. Hai visto
quella al sacco? Una bona da paura."
"Fra poco tiro due colpi con lei."
"Ma dai!"
Il tipo del quale non mi ricordo assolutamente il nome mi guarda
sorpreso, poi un po' preoccupato.
"Non è che ho sbagliato? Non dovevo dirlo?"
"Che cosa?"
"Che è una bona da paura?"
Chiudo a chiave l'armadietto, mi metto il lucchetto in tasca.
"E perché mai? È vero! " Gli sorrido ed esco.
"Allora, terzo dan, si comincia?"
Gin mi guarda facendo un finto sorriso.
"A parte che qui non c'entra niente il terzo dan e poi come sei
ripetitivo, non riesci a trovare niente di nuovo?"
Rido come un pazzo e allargo le braccia.
"Non ci posso credere. Stiamo per fare un combattimento di
pugilato, un bell'incontro di quelli tosti... e tu che fai?
Sfruculi."
"Bello, sfruculi, mi mancava."
"Tu non lo puoi usare, in questo caso i diritti sono miei!" E
proprio subito dopo... Bum. Questo non me l'aspettavo. Mi prende
in piena faccia con un destro, veloce, preciso, posso dire
inaspettato
come giustificazione. Comunque mi ha preso.
"Brava, benissimo."
L'allenatore salta divertito.
"Destro, sinistro affondi e ti richiudi."
Muovo la mascella e me la sposto a destra e a sinistra,
leggermente
indolenzita.
"Niente di rotto?"
Gin saltella sulle gambe guardandomi e alza un sopracciglio.
"Se vuoi, cominciamo sul serio."
Poi saltellando mi viene più vicina.
"Questo era solo un assaggio, mitico Step. Ah, il mio allenatore
non ha mai sentito il tuo nome. "
La guardo mentre mi infilo i guantoni.
"Se è per questo non ha visto neanche la foto che ti ho fatto
con la polaroid. Certo, se la vedesse..."
"Se la vedesse?"
"Be', forse ci ripenserebbe. In quella foto fai così paura che di
colpo gli passerebbe perfino la voglia di portarti a letto ! "
"Ora mi hai veramente stufato."
Gin mi salta addosso come una furia e comincia a colpirmi. Paro
ridendo pugni che volano da tutte le parti, a guantone aperto,
poi chiuso, largo, stretto. Alla fine mi entra con un calcio
dritto per
dritto.
"Ehi..."
Colpito e affondato. Basso ventre. Mi prende lì in pieno. Mi
piego in due dal dolore. Riesco a trovare un po' di fiato.
"Ahia! Non vale!"
"Con te vale tutto."
"Ecco, Gin, se anche volessi dimostrarti il mio amore, in questo
momento non sarei proprio all'altezza."
"Non ti preoccupare... Mi fido sulla parola."
Porca puttana, mi ha distratto, mi ha fatto ridere e poi mi ha
sfondato. Rimango piegato in due cercando di recuperare. Si
avvicina
l'allenatore. "Problemi?"
Mi poggia la mano sulla spalla.
"No, no, tutto a posto... O quasi."
Sbatto i piedi e mi porto le mani sui fianchi, respiro
profondamente
mentre mi tiro su.
"Ecco, vedi, ora potrei finirti, se non provassi pena per te."
"Come sei caritatevole. Ci spostiamo sul ring?"
"Certo."
Gin mi sorride tranquilla. Mi passa sicura davanti. L'allenatore
si
porta ai bordi del ring e alza le corde aiutandoci a passare
sotto.
"Ehi, ragazzo, mi raccomando... Nessun colpo proibito e andateci
piano, eh? Un bell'incontro, su."
Gin mi raggiunge al centro del ring, ci diamo un colpetto sui
guantoni. Tutti e due insieme, come nei film.
"Sei pronta?"
"Sono pronta a tutto. E non gli dare retta, lui non è il mio
allenatore
e tu sei finito ! Ti avviso che sono ammessi tutti i colpi
soprattutto
quelli proibiti, almeno da parte mia! "
"Ohi, ohi, ohi... Che paura!"
Di risposta cerca di colpirmi in pieno volto, ma stavolta sono
pronto, paro di sinistro e le do un bel calcio nel culo, senza
farle
troppo male però.
"Eh, eh, eh... Adesso ci sono anch'io. Allora si comincia?"
Saltelliamo su e giù, girandoci intorno, studiandoci mentre
Nicola,
l'allenatore, ha fatto partire il tempo su un suo cronometro
Swatch o qualcosa giù di lì. Gin comincia a colpirmi e sorride
mentre
lo fa.
"Ehi, ti diverti ancora, eh? Brava, fai bene perché fra un po'..."
Poi un colpo dritto per dritto in pancia mi toglie per un attimo
il
respiro. Veloce l'amica.
"Risparmia il fiato, mitico Step, che ne hai bisogno. Ti avevo
detto che ho fatto anche molto full contact?" Continuo a
saltellare
mentre recupero. "Prima regola, devi sempre attaccare dopo un
colpo andato a fondo, sennò..."
Le parto da vicino ma non troppo forte, non troppo veloce. Destro,
ancora destro, poi driblo di sinistro e poi di nuovo destro. I
primi tre li para perfettamente il destro finale entra. Poi vedo
Gin
accusare il colpo, si sposta verso sinistra e quasi scivola. L'ho
colpita
troppo forte. Faccio per prenderla prima che cada per terra!
"Ehi, scusa, t'ho fatto male?" Sinceramente preoccupato. "È
che..."
Gin mi risponde con un uppercut prendendomi il mento di striscio.
Mi spezza le parole in bocca, per fortuna solo quelle.
"Non mi hai fatto niente." Sbuffa inorgoglita e gira veloce la
testa portandosi indietro i capelli, poi salta all'attacco. Una
doppia
sforbiciata. Destro, sinistro e di piatto col piede mi spinge
indietro
e poi ci dà sotto. Destro, sinistro e ancora destro. Sinistro,
destro,
gancio, li paro come posso, per non colpirla ancora, paro
sorridendo
e ogni tanto anche un po' in difficoltà, a essere sincero. Sempre
più vicini. Mi mette all'angolo, attacca ancora. "Ehi, troppa
foga."
Mi copro con i guantoni e lei continua a colpire, poi tenta un
colpo dritto per dritto di destro e tac, ecco fatto. Allargo il
sinistro
al volo e lo raccolgo al corpo. Le blocco il braccio destro sotto
il
mio e lo tengo ben stretto. "Imprigionata! "
Rimane bloccata così, leggermente più lontana con il sinistro.
"Ci vai con troppa foga, vedi che succede?"
Gin prova a liberarsi in tutti i modi. Si tira indietro, si
appoggia
alle corde, mi viene contro, si rilancia indietro, sbatte contro
di
me divincolandosi. Le do un pugno leggero con il destro sul viso.
"Pum... Vedi che potrei farti?" Continuo a colpirla. "Pum, pum,
pum. Gin pungiball... Eri finita!"
Di tutta risposta, come impazzita prova a colpirmi con il sinistro
libero. Lo paro con facilità, non si arrende, pum, pum, pum,
glieli paro tutti, uno dopo l'altro. Gin tenta da sotto, poi con
un
dritto, un gancio, di nuovo da sotto, sale con un piede sulla
corda
e si dà una spinta per colpire con ancora più slancio. Niente da
fare,
sono fermo contro l'angolo e le tengo il destro ben stretto a me.
Gin è fuori di sé. "Iaooo!" Prova a colpirmi con il ginocchio, ma
alzo al volo il mio parando anche quello. Prova a colpirmi di
nuovo
con un gancio sinistro ma lo fa con meno velocità, forse un po'
stanca. Ecco l'errore che aspettavo. Allargo il braccio destro e
blocco
anche il suo sinistro tenendolo ben stretto a me. "E ora?" Rimane
così a guardarmi per un attimo di fronte a me, completamente
bloccata. "Dove va adesso Gin, la tigre?" Prova a liberarsi.
"Buona, stai buona. Qui, tra le mie braccia." Prova di nuovo a
liberarsi
ma non ce la fa. Mi avvicino e la bacio, sembra starci per
un attimo. "Ahia! " Mi ha morso. La lascio al volo liberandole
tutte
e due le braccia. "Porca troia." Mi porto i guantoni alla bocca
per vedere se butto sangue. "Ma così mi stacchi un labbro. E poi
le altre? ! ! Guarda che quelle menano e non sono poche."
"Te l'ho già detto. Io non ho paura."
E per confermarmelo, prova un waikiki. Gira su se stessa per
colpirmi con un calcio rotante. Ma io sono più veloce, scivolo per
terra e le faccio una spazzata facendola cadere giù vicino a me.
"È inutile, Gin, è come quando Apollo in Rocky 4 dice: 'Io t'ho
insegnato quasi tutto. Tu combatti alla grande, ma io sono
grande!'."
È in un attimo le sono sopra, le blocco il corpo con le gambe
avvinghiate intorno alla vita e con il destro la tengo stretta a
terra
con la faccia sul pavimento, proprio lì, vicino alla mia.
"Allora? Sai che sei bellissima così? È un sentimento sincero il
mio." Non so perché, ma mi ricorda tanto Arma letale. Quando
Mel Gibson e René Russo si confrontano sulle cicatrici e poi
cadono
a terra. Ma noi siamo più belli, siamo veri.
"Gin, ti va di fare l'amore?"
Gin sorride e scuote la testa. "Qui? Adesso, sul parquet della
palestra, davanti a Nicola e agli altri che ci stanno guardando?"
"Il trucco è solo non pensarci."
"Ma che dici, Step, ma sei scemo? Poi magari senti pure che
fanno il coro dandoci il tempo. "
"Ok, allora riprendiamo il combattimento, come vuoi tu. Io ti
avevo dato una chance."
Ci rialziamo insieme. Questa volta però, divertito, attacco io. La
stringo nell'angolo e comincio a colpirla. Senza andarci troppo
pesante
però. Gin è veloce e cerca di uscirne. Con una spinta la rimetto
all'angolo. Lei si abbassa, schiva, fa per uscirne, ma io la
riblocco
e la ributto lì. Poi finge un sinistro, in realtà allarga. Io tiro
al corpo
lentamente. Lei velocissima richiude il braccio bloccandomi il
destro.
Subito dopo, quasi al volo fa la stessa cosa con il mio sinistro.
"Ta ta... Ti ho bloccato io. E adesso?"
In realtà con una capocciata me ne libererei subito, ma non mi
sembra proprio il caso. Gin sospira.
"Al solito... sei mio prigioniero, non ti azzardare a mordere,
però. Giuro che se lo fai ti stendo."
Prende e mi bacia. La lascio fare, divertito, saliva e sudore,
baci
lisci e morbidi, desiderosi e sfuggenti. La lascio fare, sì. Gioca
con le mie labbra, la stringo tra i guantoni, lei si strofina a
me, pantaloncini
e maglietta, sudata al punto giusto. I suoi capelli mi si
attaccano
al viso nascondendomi da sguardi indiscreti.
Ma Nicola, che ci seguiva tenendo il tempo, non può certo perdersi
questo strano incontro.
"Prima si vogliono sfondare e poi buttano tutto in cagnara. Che
gioventù assurda."
E si allontana scuotendo la testa. In cagnara quello che stiamo
facendo? Questa è arte, uomo. Arte fantastica, sopraffina,
mistica,
selvaggia, elegante, primordiale. Continuiamo a baciarci
nell'angolo
del ring, fregandocene, ora più liberi nella stretta ed eccitati,
almeno io. Fuori tempo... massimo. Lascio scivolare il guantone
che finisce guarda caso fra le sue gambe, ma Gin si sposta. Poi,
come
se non bastasse salgono sul ring due tipi sui quarant'anni con
un paio di capezze al collo, i capelli grigi e un'aria consumata.
"Scusate, eh, non vorremmo disturbare questo match. Ma noi
vorremmo boxare sul serio, se ve potete leva' di qua."
"Sì, portate 'st'idillio da un'altra parte, va'."
Ridono. Prendo Gin per un braccio stringendola con il dito del
guantone e l'aiuto a uscire dal ring. Quello più grosso, che sa
ancora
di fumo, non se la lascia scappare.
"Aho, ma che ce troverai poi a combattere con una donna..."
Gin mi sfugge dalle mani e si rinfila veloce sotto la corda
rientrando
nel ring.
"Ci trova, ci trova... vuoi vedere?" E si mette in posa. Mi metto
in mezzo prima che vada tutto a scatafascio.
"Ok, ok. Come non detto, vi lasciamo combattere. Scusateci.
La ragazza è nervosa."
"Io non sono nervosa."
"Ehm, quindi è meglio che ci andiamo a prendere un gelato."
Piano a Gin, sussurrandole all'orecchio: "Offro io, ma ti prego
piantala".
Gin allarga le braccia. "Ok, ok."
"Ecco bravi, andate a prendervi il gelato, va'."
"Sì, un gelato al bacio."
Ridono tutti e due. Uno poi con una tosse catarrosa. Ci mancava
pure la battuta. Gin prova a girarsi di nuovo, ma la spingo via
con forza.
"A cambiarsi, doccia, e poi gelato. Forza e senza discutere."
"Ehi, mi fai più paura del mio papi. Guarda, tremo tutta." E
simula una specie di balletto di sedere imitando le donne
africane.
Però. Le do una pacca forte sul culo.
"Forza, ho detto. A cambiarsi."
E con un'ultima spinta riesco, a viva forza, a spedirla dentro gli
spogliatoi. Fiuu, che fatica. Se tanto mi dà tanto. Mission
impossible.
Non ci credo. Gin sbuca di nuovo fuori dalla porta degli
spogliatoi.
"Guarda che mi cambio solo perché sono le undici e ho finito
la mia ora di allenamento."
"Sì, certo."
Mi guarda un attimo perplessa, con il sopracciglio tirato su, poi
lo lascia andare e sorride.
"Ok." Capisce che gliel'ho data vinta.
"Ci metto un attimo, ci vediamo al bar della palestra, lì in
fondo."
Vado anch'io a cambiarmi. Che lotta. Non so se è meglio dentro
il ring o fuori. Tiro fuori le chiavi dell'armadietto e comincio a
cambiarmi. Ma che c'avrà poi di speciale? Mi butto sotto la
doccia.
Sì, ok, un bel culo, un bel sorriso... Trovo uno shampoo lasciato
da qualcun altro e me lo rovescio in testa. Sì, è anche una tipa
divertente,
le palestre a vela. La battuta pronta. Però è uno sfinimento.
Sì, ma quant'è che non ho una storia come si deve? Due anni.
Però come si sta bene. Libero e bello. Rido come un coglione
mentre lo shampoo dolciastro mi si infila negli occhi, cazzo.
Brucia.
Niente rotture: che fai stasera, che facciamo domani, che si fa
per il weekend, ti richiamo dopo, dimmi che mi ami, tu non mi
ami più, ma come non ti amo, chi era quella, perché c'hai parlato,
con chi stavi al telefono? No, non esiste. Mi sono ripreso da
poco,
sempre che mi sia ripreso. Voglio le "calendarine". Il primo di
ogni
mese quella, il due l'altra, il tre un'altra ancora, il quattro
chissà,
anche niente magari, il cinque quella figa straniera incontrata
per
caso, il sei... Il sei... Sei solo, lo sai. Sì certo, ma che mi
frega, non
voglio impaludarmi. Mi asciugo e mi infilo i pantaloni. Non voglio
dare spiegazioni. Mi chiudo la camicia e prendo la borsa. Vado
verso
l'uscita. Non la saluto neanche, tanto la becco più tardi al
Teatro
delle Vittorie. Ah, no. Oggi non c'è convocazione per loro. Va
be', glielo dico domani quando la vedo. Capirai, quella è capace
di
ripiombare a casa mia e farmi la piazzata. Se non ci sono io,
becca
Paolo. Con Paolo ha gioco facile, lo sfonda. Capirai, la
prenderebbe
per una belva umana, una furia, una tigre. Che palle! La devo
pure aspettare. Chissà quanto ci metterà a prepararsi. Che tipo
di donna sarà? Sofisticata, menefreghista, spendacciona, attenta
al
soldo, folle, cocainomane, mignotta, impossibile? Arrivo al bar e
ordino un Gatorade non troppo freddo.
"A cosa mi scusi?"
"All'arancia."
Poi le risposte arrivano quasi da sole. Gin è naturale, selvaggia,
elegante, pura, appassionata, antidroga, altruista, divertente.
Poi
rido. Ma che palle! Magari è ritardataria e la dovrò aspettare.
Sborso 2 euro, levo il tappo e bevo il Gatorade. Mi guardo
intorno.
Un tipo agghindato da post allenamento legge "il Tempo".
Mangia a ripetizione piegato su un riso scondito, colorato qua e
là
da qualche chicco di mais e da un peperone capitato lì per caso.
Al
tavolo vicino un altro pseudomuscoloso chiacchiera con una ragazza
con tono falso. Si mostra eccessivamente allegro a qualunque
cosa lei gli risponda. Due amiche progettano chissà cosa per
un'ipotetica vacanza. Un'altra racconta alla sua amica del cuore
quanto si sia comportato malissimo un lui. Un ragazzo al bancone
ancora sudato per la serie appena fatta, uno già cambiato. Una
ragazza
che beve un frullato e va via, un'altra che aspetta chissà che
cosa. Cerco il viso di quest'ultima nello specchio di fronte al
bancone.
Ma è coperta dal ragazzo addetto al bar. Poi lui serve qualcosa
e se ne va scoprendola. Come la carta che ti arriva per un poker
sperato, come l'ultimo rimbalzo della pallina di una roulette che
forse si ferma su quel numero che tu hai puntato... esce lei.
Eccola.
Mi guarda e sorride. Ha i capelli davanti agli occhi appena
truccati,
sfumati di un grigio leggero. Le labbra rosa e un poco
imbronciate.
Si gira verso di me.
"Be', che fai, non mi riconosci?" Poker. En plein. È Gin. Ha
un tailleur azzurro. Su un risvolto si leggono due piccole cifre.
D&G. Sorrido. Yoox. Poi scarpe alte dello stesso colore.
Elegantissime.
René Caovilla. Dei legacci leggeri liberano a tratti le sue
caviglie.
Alle dita dei piedi, unghie velate di un pallido azzurro più
chiaro, come piccoli sorrisi divertiti, si affacciano da
un'abbronzatura
leggera. Occhiali Chanel sempre azzurri appoggiati sulla testa.
È come se un velo di miele fosse stato lasciato colare,
perfettamente
modellato sulle sue braccia, sulle sue gambe scoperte, sul
suo viso che sorride.
"Allora?"
Allora... Allora tutti i miei propositi vanno a farsi fottere.
Cerco
qualche parola. Mi viene da ridere e insieme in mente quella scena
di Pretty Woman. Richard Gere che cerca Vivien al bar
dell'albergo.
Poi la trova. Pronta per andare all'opera. Gin è perfetta come
lei, di più. Sono messo proprio male. Prende la borsa e viene
verso di me.
"Stai pensando a qualcosa?"
"Sì." Mento. "Che il Gatorade era troppo freddo."
Gin sorride e mi supera.
"Bugiardo, pensavi a me."
Decisa e divertita si allontana, non troppo ancheggiante ma sicura
su per le scale che portano fuori dalla palestra. Le gambe
scendono
giù dalla gonna leggera, leggermente plissettata e si perdono,
toniche e guizzanti, forse un po' incremate, sparendo sottili più
giù
per lasciar posto a un tacco deciso e squadrato.
Si ferma in cima alle scale e si gira. "Allora che fai, mi guardi
le gambe? Dai, non stare in fissa. Andiamo a prendere un aperitivo
o quello che vuoi tu che poi ho il pranzo con i miei e mio zio.
Due palle. Sennò, con il cavolo che mi conciavo così."
Donne. Le vedi in palestra. Piccoli body, strane tute inventate,
pantaloncini stretti e magliette sbrillentate. Aerobica a più non
posso.
Sudate su un viso senza trucco, capelli impiastricciati, incollati
al viso. E poi pluff... Peggio della lampada di Aladino. Escono
dagli
spogliatoi miracolate. Quel cesso slavato che hai visto prima non
c'è più. Il brutto anatroccolo si è truccato. È nascosto in
vestiti ben
scelti, ha le ciglia più lunghe, arcuate da un mascara costoso.
Labbra
perfettamente disegnate, a volte perfino tatuate, fanno uscire
ancora di più quella bocca che non è stata ancora pizzicata dalla
costosa zanzara collagene. Le donne, giovani cigni mascherati.
Certo
non sto parlando di Gin. Lei è...
"Oh, ma a che pensi?"
"Io?"
"E chi sennò? Siamo io e te."
"Niente."
"Sì, ancora. Be', deve essere un niente molto particolare.
Sembravi
imbambolato. Te ne ho date troppe, eh?"
"Sì, ma mi sto riprendendo."
"Io vengo con la mia macchina."
"Ok. Seguimi."
Monto in moto, ma non resisto. Piazzo lo specchietto per poterla
vedere salire in macchina. La supero. La tengo al centro della
mia vista. Eccola, sta salendo. Gin si piega in avanti, si siede
sul
sedile, morbida e leggera fa volare via da terra una dopo l'altra
le
sue gambe. Veloci e scattanti, quasi unite se non per un attimo,
quel
piccolo frame di pizzo che però per me è come un film. Che
sensuale
fotoflash. Poi torno alla realtà. Metto la marcia e via. Gin mi
segue senza problemi. Guida come una pilota provetta. Non ha
problemi nel traffico, allarga, supera e rientra. Suona il clacson
ogni
tanto per prevenire qualche errore altrui. Segue oscillando la
macchina
nelle sue curve, agitando la testa, immagino, a tempo di musica.
Gin selvaggia metropolitana. Ogni tanto mi lampeggia quando
si accorge dal mio specchietto che la sto controllando, doppi fari
come a dire... ehi, stai tranquillo, ci sono. Ancora qualche curva
e ci siamo. Mi fermo, la lascio sfilare, mi accosta. "Dai,
posteggia
qui, che lì non si entra." Non chiede altre spiegazioni. Chiude la
macchina e mi monta dietro tenendosi la gonna bassa per quella
strana operazione da cavallerizza.
"Troppo forte questa moto, mi piace. Ne ho viste poche così."
"Nessuna. L'hanno fatta solo per me."
"Sì, senz'altro, ancora. Sai quanto costerebbe un solo modello
per una sola persona?"
"415.000 euro..."
Gin mi guarda sinceramente strabiliata.
"Così tanto?"
"E calcola che a me hanno fatto pure un grosso sconto."
Mi vede sorridere nello specchietto che ho girato verso di lei
per incrociare il suo sguardo. Cerco di fare una piccola lotta a
braccio
di ferro con gli sguardi. Poi crollo e sorrido. Lei mi batte forte
sulla spalla. "Ma va', che cavolo dici, sei proprio un cazzaro! "
Questa,
dai tempi delle mitiche risse a piazza Euclide, dalle scorribande
sulla Cassia fino giù a Talenti e ritorno, non mi era mai
capitata.
Step, un cazzaro. E chi si è permesso di dirlo? Una donna. Questa
donna, questa qui dietro a me. E continua poi.
"A parte il suo costo, mi piace veramente tanto questa moto.
Un giorno o l'altro me la devi far portare."
Roba da pazzi, qualcuno che mi chiede di guidare la mia moto, e
chi poi? Sempre una donna. La stessa che mi ha dato del cazzaro!
Ma
la cosa più incredibile di tutte è che io le dico: "Sì, certo".
Ci infiliamo a Villa Borghese, guido veloce ma senza troppa
fretta e mi fermo davanti al piccolo bar vicino al laghetto.
"Ecco, siamo arrivati, qui non ci viene tanta gente, è più
tranquillo."
"Che c'è, non ti devi far vedere?"
"Ehi, hai voglia di litigare oggi? Se lo sapevo, in palestra ci
andavo
giù più duro."
"Guarda che ti ha detto bene."
"Ancora."
"Ok, ok, pace dai, ci si prende un aperitivo 'tregua', ci stai?"
Capitolo 35.
Claudio posteggia la macchina in garage. Per fortuna non c'è
la Vespa. Ancora nessuna delle figlie è tornata. Meglio. Almeno
non
corre il rischio di rovinare di più la fiancata. Anche se è
difficile
scendere al di sotto di quello che gli hanno offerto per la
Mercedes.
E con questo ultimo pensiero di libertà, dedicato al sogno della
sua Z-A, chiude il garage e sale a casa.
L e nessuno?
L'appartamento sembra in silenzio. Un sospiro di sollievo. È bello
concedersi un attimo di tranquillità. Anche per organizzare ancora
meglio l'uscita serale. Non sarà facile. C'ha pensato tutto il
pomeriggio,
ma vuole ripassare il piano, perfezionarlo anche nei minimi
dettagli. Vuole essere sicuro che non ci sia nessun imprevisto.
Ma proprio in quel momento gli piomba alle spalle Raffaella.
"Ci sono io, e c'è anche questa."
Gli sbatte davanti alla faccia l'estratto conto della sua carta di
credito, con la penultima riga sottolineata con l'evidenziatore
giallo.
Claudio la prende per le mani sbigottito. Raffaella gli si fa
ancora
più sotto.
"Allora, che vuol dire? Mi sai dare una spiegazione?"
Claudio si sente un giramento di testa. Il suo estratto conto
aperto. Schiaffato lì, davanti a tutti. A tutti... a sua moglie.
Oddio,
pensa, cosa avrà trovato? Fa una veloce ricognizione mentale. No.
Non ci dovrebbe essere nulla. Poi la vede. In fondo al conto la
penultima
riga risalta su tutte le altre. Prova inconfutabile della sua
colpa, dell'essere voluto tornare sul luogo del delitto. Ma lei
non
può sapere, non può immaginare.
"Ah, questa... ma niente, non è niente."
"180 euro per niente? Non mi sembra un buon affare."
"Ma no, è che ho comprato una stecca da biliardo."
"Ah sì? Questo lo so. Nell'estratto conto si legge perfettamente:
La bottega del biliardo. Quello che non so è da quando tu giochi
a biliardo. E soprattutto chissà quante altre cose allora non so.
"
"Ma Raffaella, ti prego. Guarda che ti sbagli, non è per me."
Poi una specie d'illuminazione, un faro nella notte, la
possibilità
di uscire illeso da quel mare in tempesta, da quel navigare a
vista
tra scogli appuntiti nascosti dall'uragano Raffaella.
"Non sapevo che regalare al dott. Farini, e siccome so che nella
casa al mare ha un biliardo, ho pensato che questo fosse un bel
regalo! Infatti gli è piaciuto molto. Pensa che stasera ci
vediamo,
andiamo a cena e poi facciamo anche una partita! "
Non era proprio questo il piano che aveva pensato tutto il
pomeriggio,
ma a volte l'improvvisazione crea delle bugie miracolose.
Raffaella non sa se crederci.
"Cioè, andate a giocare a biliardo tu e lui?"
"Sì, ma tu non sai. Dice che con la stecca che gli ho regalato gli
si
è riaccesa un'antica passione. Da quando ha ripreso a giocare
anche
le cose in azienda gli vanno meglio, capisci? Il biliardo lo
rilassa, non
è un miracolo?" Poi tutto fiero, quasi gonfiandosi. "Pensa che mi
ha
affidato dei finanziamenti per centinaia di migliaia di euro
grazie a
una stecca da biliardo da soli 180 euro. Non sono stato bravo?"
La vede ancora dubbiosa. Allora decide di giocare il tutto per
tutto, spericolato funambolo della menzogna, trampoliere della più
bassa bugia, Stuntman della falsità più assurda.
"Senti, non so come convincerti, guarda, ecco, potremmo fare
così, vieni anche tu con noi! Facciamo la cena e poi ci tieni i
punti
nella sala da biliardo, eh, ti va?"
Raffaella rimane per un attimo in silenzio.
"No, grazie."
Di fronte a questo tuffo nel vuoto, si tranquillizza. Anche
Claudio.
E se avesse detto di sì? Dove lo trovavo alle sette di sera
Farini?
È almeno un anno che non lo sento, sarebbe stato difficile
organizzare
una cena così, su due piedi, e soprattutto una partita a
biliardo, visto che Farini non ha proprio l'aria del giocatore.
Claudio
decide di non pensarci. Sta troppo male anche solo all'idea. Così
le sorride, cercando di fugare del tutto ogni sua minima
perplessità.
Ma Raffaella ha un ultimo guizzo.
"Scusa, ma se era un regalo di lavoro, perché non hai usato la
carta dell'ufficio?"
"Oh, ma tu lo sai com'è fatto Panella, quello spulcia tutto, e se
poi Farini non decideva d'affidarsi al nostro studio? Già lo so,
me
l'avrebbe rinfacciato tutto l'anno! Ho pensato che per 180 euro
potevo correre il rischio! " E proprio mentre lo dice, Claudio si
rende
conto di quanto ha rischiato anche lui questa volta. Si leva la
giacca, sta sudando. Va verso la camera da letto per nascondere in
qualche modo la tensione drammatica del momento.
"Ah, Raffaella, ma non ti preoccupare, eh? Ora che Farini è venuto
da noi, io quei 180 euro me li faccio rimborsare, cosa credi! "
Raffaella lo segue e lo raggiunge in camera. Sta per dire ancora
qualcosa ma Claudio non ce la fa più. Si avvicina e la prende per
le braccia.
"Sai, mi piace che dopo tutti questi anni tu sia ancora gelosa.
Vuol dire che il nostro rapporto è vivo."
Raffaella sorride. Le sembra in qualche modo di essere tornata
ragazza, be', se non altro più giovane, è come se in un attimo
quelle rughe, viste nello specchio, fossero sparite. Claudio si
avvicina
e le dà un bacio. Piano piano cominciano a spogliarsi, come
non facevano da tempo, da troppo tempo. E Claudio si sente
colpevolmente
eccitato. Raffaella lo guarda.
"Sì, mi sembrava assurdo che tu potessi fare una cosa del genere
e ora m'è venuta una voglia pazzesca, sento la rabbia che diventa
desiderio."
Claudio si abbassa i pantaloni e le solleva la gonna, la lascia
scendere lentamente sul letto e le sfila le mutande, alzandole le
gambe
con ancora le scarpe. Nella penombra della stanza, con l'aria
ancora
incerta, rarefatta da dubbi e bugie, da menzogne, dalla disperata
ricerca della verità, iniziano a toccarsi. Poi Claudio si tira
giù le mutande, le allarga le gambe e prende sua moglie. Claudio
va su e giù. Ansima e suda nella camicia. Raffaella se ne accorge.
"Ma spogliati del tutto."
"E se poi arrivano le nostre figlie?"
Raffaella sorride e chiude gli occhi, godendo, tirandolo a sé.
"Hai ragione... è bello così... continua ancora... dai..."
E Claudio spinge con forza, cercando di soddisfarla, eccitato
ma preoccupato. Come sarà più tardi la sua prestazione sul tavolo
da biliardo-letto con la controfigura di Farini? Preferisce non
pensarci.
Ha letto un articolo sull'ansia da prestazione. Va evitato proprio
come pensiero. Una cosa è sicura: i graffi della settimana prima
sono rimasti ben nascosti sotto la camicia tutta sudata.
All'improvviso
dal fondo del corridoio si sente la voce di Babi.
"Papà, mamma... ci siete?"
Raffaella dalla camera, con la voce leggermente rauca, cerca di
prendere tempo.
"Un attimo, arriviamo."
E proprio in quel momento Claudio, eccitato dall'assurdo di
tutta quella situazione, viene. Raffaella rimane così, interrotta
sul
più bello. È costretta suo malgrado a sorridere. Poi Claudio le dà
un bacio sulle labbra.
"Scusami..." e s'infila nel bagno. Si sciacqua velocemente. Anche
la faccia. Se l'è vista brutta, bruttissima. Invece è andato tutto
bene. Ora spera solo di essere all'altezza della serata, visto che
perfino
il piano è perfetto. Poi si ricorda che non ci deve assolutamente
pensare. Altrimenti già lo sa. Ti prende l'ansia da prestazione.
Capitolo 36.
Gin sorride e ci sediamo a un tavolino. Poco lontano un
intellettuale
con occhialini e libro sul tavolo sorseggia un cappuccino,
poi riprende in mano un articolo di "Leggere". Più in là una donna
sui quarant'anni con i capelli lunghi e un bastardino sotto la sua
sedia fuma svogliata una sigaretta, triste e nostalgica forse di
tutte
quelle canne che non si fa più.
"Bell'ambientino, eh?"
Gin si è accorta di quello che stavo guardando.
"Be', lo teniamo su noi. Che prendi?"
Alle sue spalle si è "concretizzato" un cameriere.
"Buongiorno, signori."
Ha circa sessant'anni e ci tratta in maniera elegante.
"Per me un Ace."
"Per me invece una CocaCola e una pizzetta bianca prosciutto
e mozzarella."
Il cameriere facendo un piccolo inchino con la testa si allontana.
"Ehi, dopo la palestra ti tratti niente male, eh? Pizzetta bianca
e CocaCola, la dieta degli atleti!"
"A proposito di atleta, tu che sei un'atleta a scrocco mi devi far
avere la lista delle tue palestre dei 365 giorni."
"Come no, senz'altro ti faccio subito la fotocopia."
"Complimenti comunque, è un'ottima idea..."
"Non solo, ma se sei attento riesci anche a fare lo stesso tipo di
lezione ogni settimana, l'unica cosa è che devi diventare amico
degli
istruttori perché quelli prima o poi ti sgamano."
"E allora?"
"Dopo la lezione gli offri due Gatorade, esponi la tua difficoltà
finanziaria e vai a vela tranquilla che è una meraviglia. Facile
no?"
"C'è qualcun altro che usa questo metodo?"
Ritorna il cameriere.
"Ecco qua, l'Ace per la signorina e per lei pizzetta bianca e
CocaCola."
Il cameriere posa tutto al centro del tavolo, mette uno scontrino
sotto il piattino finto argento e si allontana.
"No, penso di no."
Gin addenta una grossa patatina e se la mangia. Poi ridendo si
copre la bocca con la mano. "Almeno spero..." Continuiamo così
a chiacchierare, a conoscerci, a ridere e a provare a indovinare
cosa
abbiamo in comune.
"Ma dai, non sei mai stata fuori dall'Europa?"
"No, Grecia, Inghilterra, Francia, una volta perfino in Germania
all'Oktober Fest con due amiche mie."
"Ci sono stato anch'io."
"Ma quando?"
"Nel 2002."
"Pure io."
"Pensa che forza."
"Sì, ma la cosa più assurda è che una delle mie amiche era pure
astemia. Non sai che è diventata: ha preso una birra da un litro,
quei boccaloni ripieni che lavano dentro a quelle vasche enormi.
Se n'è scolato metà e dopo neanche mezz'ora era su un tavolo che
ballava una specie di tarantella e poi si è messa a gridare 'la
fontanella,
la fontanella...' e se l'è fatta sotto, un disastro."
La guardo mentre beve l'Ace. C'era una ragazza che ballava sul
tavolo nella sala dove eravamo noi. Ma chi non ballava quella sera
sul tavolo all'Oktober Fest? Mi ricordo che quando ho detto a Babi
che partivo con Pollo e Schello e un'altra macchina di amici per
andare a Monaco si era arrabbiata come una pazza.
"Cioè parti per Monaco, e io?"
"Tu no... Siamo solo uomini."
"Ah sì? Voglio proprio vedere."
E poi quel coglione di Manetta nell'altra macchina che fa? Ti
arriva con la donna. E al ritorno giù discussioni del cavolo con
Babi
perché naturalmente, come tutto, prima o poi, anche quello si
era venuto a sapere.
"A che stai pensando?"
Mento. "Alla tua amica che ballava sul tavolo. L'avreste dovuta
filmare. Sai le risate poi."
"Ma noi abbiamo riso come pazze sul momento, che ti frega
del poi. Poi, poi... Ora! "
E beve un altro sorso di Ace guardandomi allusiva. Ahia, che
vuole dire? La cosa si mette male. Male. Insomma si mette. Gin
vuole l'"ora". Ma non adesso, adesso ancora no. Forse domani, sì
insomma, tra un po', dopo...
"A che stai pensando? Ancora alla mia amica che balla sul tavolo?
Non ci credo, secondo me hai conosciuto qualcuna all'Oktober
Fest e ti stai ricordando una delle vostre bravate."
"Ci vedi male."
"Io ci vedo benissimo. Ho dieci decimi."
"No, vedi male il nostro gruppo. Ci hai presi per non so cosa.
Noi siamo persone tranquille, serene. Certo siamo tipi allegri,
non
di quelli che vanno al ristorante e stanno lì solo a pensare alle
buone
maniere 'No questo non si fa, questo neanche...', sì insomma
quei rompicoglioni. " Mi giro e ho culo. Una coppia si è appena
seduta.
Hanno un setter inglese, dei vestiti di marca e, come il più
naturale dei controsensi, hanno tutti e due sotto il braccio "il
manifesto".
Arriva il cameriere e ordinano qualcosa.
"Ecco, guarda quei due. Non si rivolgono la parola." Ordinano
infatti separatamente, senza darsi la precedenza, senza chiedere
l'uno all'altra e viceversa cosa gli va in questo momento.
Distrattamente,
scontatamente, galleggiando così alla deriva.
"Guarda, il cameriere se ne va e loro riprendono a leggere, tutti
e due 'il manifesto' poi... Non che io abbia qualcosa contro quel
giornale..."
O meglio ce l'ho ma Gin non so bene come la pensa, qualcuno
potrebbe dire: quindi non ti vuoi esporre? Sì, rompicoglioni, è
proprio così.
"Ma nemmeno se lo dicono che hanno comprato tutti e due lo
stesso quotidiano? Cosa c'è di peggio? Indifferenza totale..."
Il cameriere ritorna veloce a quel tavolo. Hanno preso tutti e
due un semplice caffè.
"E ora l'uomo paga solo perché tocca a lui, così è la regola." Il
tipo si alza un po' dalla sedia, sposta il peso sulla gamba
destra, il
portafoglio evidentemente lo tiene a sinistra, infila la mano
nella
tasca e paga mentre la donna senza neanche guardarlo continua a
bere il suo caffè.
"Distratti e annoiati. Ben vengano i miei amici, o no? E che
cazzo!
Fanno casino, rutti, fanno a botte, non pagano, o lo fanno urlando
chiedendosi 1 euro a testa e altro, ma almeno per loro la vita
non è sopravvivere, cazzo."
Gin sorride.
"Sì, sì, hai ragione, almeno su questo hai ragione."
E questo mi basta, non voglio di più. Non per adesso almeno.
"Va bene, ma rilassati ora, Step, anche perché hai altro da fare."
"Cioè?"
"Devi risolvere il problema con il signore."
Mi giro, dietro alle mie spalle c'è il cameriere che sorride. Non
me ne ero accorto.
"Permette?"
Non riesco neanche a rispondere. Il tipo si sporge in avanti e
prende lo scontrino da sotto il piattino di finto argento. Non
l'avevo
sentito arrivare alle mie spalle. Strano, non è da me. Ecco, con
Gin sono per la prima volta rilassato. È un bene?
"Sono 11 euro, signore."
Faccio esattamente la stessa mossa del tipo squallido della coppia
abulica ed estraggo di tasca il portafoglio. Lo apro e sorrido.
"Meno male."
"Che cosa?"
"Che siamo diversi da quei due squallidoni."
"Cioè?"
Gin mi guarda alzando il sopracciglio. "Spiegati meglio! "
"È molto semplice. Devi pagare tu, non ho soldi."
"Preferirei non eccedere in stravaganze pur di essere diversi.
Cioè era meglio se eravamo uguali a quei due e pagavi tu."
Gin tutta elegante e sorridente, perfettamente vestita e truccata,
mi fa una smorfia, finta ironica. Poi sorride ancora al cameriere,
scusandosi per l'attesa. Apre la borsetta, tira fuori il
portafoglio,
lo apre e questa volta non sorride più. Anzi un po' impacciata,
arrossisce.
"Siamo proprio diversi da quei due. Anch'io non ho soldi." Poi
guardando il cameriere: "Sa, mi sono cambiata perché ho un pranzo
con i miei parenti e quindi, siccome pagano loro, non ci ho
pensato".
"Male..."
Il cameriere cambia tono, espressione. Quella sua cortesia sembra
svanire nel nulla. Forse, uomo maturo, anziano si sente preso
in giro da questi due ragazzi.
"A me non interessa tutto questo."
Prendo in mano la situazione.
"Guardi, non si preoccupi, accompagno la signorina alla macchina,
vado a prendere i soldi a un Bancomat e torno qui da lei a
pagare."
"Sì, certo... e io mi chiamo Joe Condor! Vi sembro così allocco?
Tirate fuori i soldi o chiamo la polizia."
Sorrido a Gin. "Scusami." Mi alzo e prendo il cameriere per
un braccio gentilmente all'inizio, poi alla sua ribellione "Ma che
vuoi, sta' fermo" stringo un po' di più e me lo porto più lontano.
"Ok, signor cameriere. Siamo in difetto, ma non farla lunga.
Non intendiamo fregare 11 euro. È chiaro?"
"Ma io..."
Stringo più forte, questa volta in maniera decisa. Vedo sulla sua
faccia una smorfia di dolore e subito lascio andare.
"Per favore, glielo sto chiedendo per favore. È la prima volta
che esco con questa ragazza..." Forse commosso e convinto più di
ogni altra cosa da questa mia ultima confessione, annuisce.
"Ok, allora l'aspetto più tardi."
Torniamo al tavolo. Sorrido a Gin. "Tutto risolto." Gin si alza
e guarda il cameriere sinceramente dispiaciuta.
"Mi dispiace sul serio."
"Oh, non si preoccupi. Sono cose che capitano."
Io sorrido al cameriere. Lui mi guarda. Credo che cerchi di capire
se tornerò o meno.
"Non torni troppo tardi per favore."
"Non si preoccupi."
E andiamo via così. Con un sorriso gentile e un briciolo di
dignitosa
speranza.
Capitolo 37.
Sono dietro a Step, sulla moto, sulla sua moto, i miei pensieri
al vento. Ma guarda questo. Ma dove ti sei ficcata, Gin? È
assurdo.
Prima uscita o meglio la seconda. La prima però lui e i suoi
amici sono fuggiti da quel posto. Come si chiama? Il Colonnello.
E ora, oggi, stamattina che ha la possibilità, la grande esclusiva
di
uscire con te, Gin l'unica, l'irripetibile, la formidabile. Che
fa? Si
presenta senza soldi. Ci manca poco che ci sbattono pure dentro.
Roba da pazzi. Mio zio Ardisio direbbe: "Attenta, attenta Ginevra,
quello non è il principe della terra". Già mi immagino la sua
voce, tutta roca, tutta in su, con le "e" strette e le "t" che
diventano
facilmente delle "d"... "Addenda, addenda, principessa..."
Zio Ardisio. "Quello è il principe dei porci... Neanche un fiore
per la mia principessa, devi chiudere gli occhi e costringerdi a
sognare...
Addenda, addenda... principessa..." Scuoto la testa, ma
lui se ne accorge, fingo di guardare da un'altra parte. Ma mi
segue
nel suo specchietto e si sporge indietro per farsi sentire.
"Che c'è? Ho fatto la classica figuraccia?"
"Ma di che?"
"Prima uscita, non pago io, quasi ti faccio pagare, anzi peggio,
quasi venivamo arrestati. So già cosa pensi..."
Step sorride e fa la voce in falsetto per imitarla. "Ecco, lo
sapevo
questo è un poco di buono."
Come una tiritera continua. Io sto sulle mie.
"Ma guarda con chi sono capitata. Ah, se lo sapessero i miei..."
Step sorride e continua imperterrito. Oh, ha beccato tutti i miei
pensieri. Però è pure simpatico. Cerco di non sorridere ma non ce
la faccio.
"C'ho preso, vero? E di' la verità, dai."
"No, stavo pensando a quello che poteva dire mio zio Ardisio. "
"Lo vedi? Va be', insomma qualcosa di vero c'era in quel tuo
sorriso. "
"Ti chiamerebbe il principe dei porci!"
"A me?" Fingo di fare il duro. "Ci dovrebbe solo provare."
Mi fermo. Gin scende davanti alla sua macchina. È serena,
divertita, veramente elegante. Rimane così, con le gambe
leggermente
divaricate e i capelli che le scendono sugli occhi mentre
cerca le chiavi nella borsa. Ha una borsetta piccola, eppure
ci deve essere dentro un sacco di roba. Gin fruga, smacina, sposta
delle cose di qua e di là. Intanto la guardo, incorniciata da un
arco di travertino, all'entrata di via Veneto, risplende tutta la
sua
bellezza moderna in quella cornice antica.
Un vento leggero accarezza le trasparenze della sua gonna. Sotto
quel leggero celeste, tra quei disegni di fiori appare un azzurro
unito e deciso che nasconde più su, tra le sue gambe ancora
abbronzate,
il fiore proibito.
"Eccole! Oh, non so com'è, finiscono sempre in fondo."
Tira fuori dalla borsetta delle chiavi attaccate a una pecorella
nera.
"È il regalo di Ele, la pecora Embè! Forte vero? Ma stai attento
alla pecora Embè..."
"Perché?"
"Prende a calci tutti i lupi che le si avvicinano."
"Tranquilla, praticamente me la sono già mangiata..."
"Cretino... Be', grazie dell'aperitivo, è stato come dire...
unico.
Vuoi che ti porto qualcosa da mangiare dopo che ho finito con i
miei zii?"
"Capirai, never ending story, peggio del film. Ehi, può accadere
di dimenticarsi dei soldi, no?"
"Come no... strano però che capiti sempre tutto a te."
E con questa bella frase, si allontana e sale in macchina.
"Passaci da quel cameriere. Ti aspetta. Nessuno andrebbe illuso."
Poi parte quasi sgommando, guidando a modo suo. Mi verrebbe
da urlarle: "Aho, a bella! Mi devi ancora 20 euro di benzina..."
ma finisco per pentirmi perfino del mio pensiero.
Capitolo 38.
"Eccola che arriva! Gin!"
Li saluto da lontano. Che strano gruppo tutti insieme, di altezze
sfalzate, dai vestiti così diversi. Mio fratello jeans e maglietta
Nike, mia madre un vestito scuro a fiori con sopra una mantellina
blu, mio padre impeccabile in giacca e cravatta e mio zio Ardisio
con una giacca arancione e una cravatta nera con i pois bianchi. È
incredibile dove riesce a trovare certa roba. I costumisti della
televisione,
Fellini stesso, andrebbero pazzi per lui. Con quei capelli
arruffati, bianchi e capricciosi che incorniciano quel viso buffo
sottolineato
da quegli occhialetti tondi. Come un punto esclamativo
dopo la frase: Che tipo mio zio!
"Ciao" ci baciamo tutti con affetto, con amore, con tenerezza
e mamma come al solito mi bacia mettendomi la mano sulla guancia
come a imprimere ancora più amore a quel suo semplice bacio,
come se volesse fermarlo per un attimo in più rispetto a tutti gli
altri.
Mio zio invece come al solito esagera e mentre mi bacia mi tira
unendo pollice e indice sotto il mento, obbligandomi a scuotere
la testa a destra e sinistra.
"Eccola qua la mia principessina." Poi mi molla lasciandomi
un po' di dolore. Mi devo per forza passare la mano sotto il mento
per allisciarmelo e lo zio si becca uno sguardo di odio leggero.
Ma è un attimo. Poi sorrido al suo sorriso. Mio zio è fatto così.
"Allora?" Cominciano sempre così i nostri incontri. "Chi ha
scelto questo posto?"
Alzo timidamente la mano. "Io, zio..." E resto in attesa. Zio mi
guarda con il sopracciglio leggermente alzato, un'espressione un
po' dubbiosa e il labbro che trema. Passa qualche attimo di
troppo,
comincio a preoccuparmi.
"Brava, è bello, brava figlia mia, è bello. Sul serio. Un tempo si
mangiava in mezzo all'arte..."
Sospiro, fiuu... È andata, anche se non sono "figlia sua", voglio
bene a mio zio. Speravo gli piacesse mangiare qui con tutti noi al
Caffè dell'arte vicino a viale Bruno Buozzi.
Zio Ardisio comincia uno dei suoi racconti.
"Mi ricordo quando volavo sull'accampamento, quello con i
miei soldati..." La sua voce si fa più roca quasi modulata dalla
pressione
dei ricordi, spezzata a tratti dalla forza della nostalgia. "E io
gli gridavo e gridavo 'studiate, leggete'. Ma loro erano troppo
preoccupati
dalla morte. E poi facevo un giro con il mio aereo bimotore
e poi tornavo indietro per dare notizie e atterravo sull'erba lì
vicino.
Burubu, burubam, sballottato arrivavo, con quell'aereo che
era un miracolo dell'avazione..."
Luke che naturalmente fa il preciso nei pochi momenti quando
non dovrebbe esserlo. "Aviazione zio, aviazione con la i."
"E io c'ho detto? Avazione, eh?"
Luke scuote la testa e sorride. Meno male che Luke stavolta
rinuncia.
Al tavolo arriva un cameriere giovane e composto con i capelli
corti ma non troppo, con uno sguardo ingenuo ma lucido. Quasi
perfetto oserei dire, se non fosse che spinge un carrello con dei
flûte lucidi, tirati a nuovo e una bottiglia già infilata in un
secchiello
pieno di ghiaccio. È un Möet, ottimo champagne e certo, ci
mancherebbe,
tanto paghiamo noi.
"Mi scusi, eh? Ma non ci siamo proprio. Nessuno ha ordinato...
Vedo già mamma che mi guarda preoccupata. Il giovane cameriere
interviene sorridendo.
"No, signora, questa bottiglia la offr..."
"Grazie per la signora, ma non esiste proprio."
"Se gentilmente mi fa finire, la offre quel signore laggiù."
Il cameriere, ora più serio, indica alcuni tavoli lontani, quasi
sul
fondo del ristorante. Incorniciato dagli alberi nella vetrata alle
sue
spalle c'è lui, Step. Si alza dal tavolino e sorridendo muove la
testa accennando
a un inchino. Non ci posso credere, mi ha seguito fin qui.
E certo, voleva vedere dove andavo, ha voluto scoprire se ero
veramente
con la mia famiglia. E questo è il pensiero di Gin la vendicativa.
Gin-Selvaggia. Ma Gin non è così! Una parte di me si ribella.
Magari
voleva solo scusarsi per l'aperitivo, in fondo hai fatto una
figuraccia
anche tu. E questo è il pensiero di Gin la saggia. E qualcosa,
non so bene perché, mi rende più simpatica Gin-Serena.
"Questo biglietto è per lei, signora."
Il cameriere mi porge un biglietto e questo ancora di più mi fa
pensare che la mia scelta sia giusta. Lo apro leggermente
imbarazzata,
con gli occhi addosso di tutti, papà, mamma, Luke, zio Ardisio.
Prima di leggere arrossisco. Che palle. Ma perché proprio adesso.
Leggo. "È bellissimo guardarti da lontano... ma da vicino è
meglio...
Ci vediamo stasera? P.S. Non ti preoccupare, ho trovato un
Bancomat e ho già pagato il cameriere del nostro aperitivo."
Chiudo il biglietto e sorrido e quasi mi dimentico che ho tutti
gli occhi addosso. Zio Ardisio, papà, mamma, Luke. Tutti vogliono
sapere che c'è scritto, a cosa è dovuta quella bottiglia e
naturalmente
il più irrequieto, quello che resiste meno di tutti è proprio
zio Ardisio.
"Allora, principessa... A che cosa la dobbiamo questa bottiglia?"
"Be'. Quel ragazzo l'ho aiutato... non era capace, non sapeva,
insomma si sta preparando per un esame."
"Ardisio, ma che ti importa?" Mamma mi salva in calcio d'angolo.
"C'è qua una bella bottiglia, brindiamo e pace! No?"
"Ecco appunto..."
Guardo Step e gli sorrido, lui mi vede da lontano, si è seduto
di nuovo. Ma che fa ora? Perché non se ne va? È stato carino, ma
basta. E vattene Step, che aspetti?
"Mi scusi?"
Il cameriere mi guarda sorridendo, non ha ancora aperto la
bottiglia.
"Sì?"
"Mi ha detto il signore che mi dovrebbe rispondere."
"Cosa?"
"Non lo so, credo al biglietto."
Tutti mi guardano di nuovo, ancora più attenti di prima.
"Gli dica di sì. " Poi guardo loro. " Sì, voleva sapere se l'ho
iscritto
all'esame."
Tutti tirano un sospiro di sollievo. Tranne mamma naturalmente
che mi fissa, ma evito il suo sguardo. Finisco di nuovo a guardare
il cameriere che tira fuori un altro biglietto. "Allora le devo
dare
questo."
"Un altro?"
Crollano un po' tutti.
"Ma stavolta ce lo dici che c'è scritto?"
"Ma che è, una caccia al tesoro?"
Arrossisco di nuovo naturalmente e lo apro. "Allora, alle otto
io sono sotto casa tua. Ti aspetto, non fare tardi, non combinare
casini... P.S. Porta i soldi, non si sa mai."
Sorrido fra me e me.
Il cameriere ha finalmente stappato la bottiglia, finisce veloce
di versare lo champagne nei flûte e fa per andarsene.
"Senta, scusi..."
"Sì?"
Fa un piccolo giro su se stesso e mi guarda.
"Ma se le rispondevo di no aveva un altro biglietto?"
Il cameriere sorride e scuote la testa. "No, in quel caso mi ha
detto che dovevo semplicemente portarmi via la bottiglia. "
Capitolo 39.
Raffaella ha raggiunto Babi in salotto.
"Ciao Babi, dimmi... allora che c'è?"
"No, è che ti volevo far vedere questi, mamma, ma che hai? Sei
tutta arrossata..." Babi la guarda preoccupata. "Ma che avete
litigato?"
"No,tutt'altro..."
Raffaella la guarda sorridendo. Ma Babi non le dà soddisfazione
e le mostra un giornale.
"Ecco, ti dicevo, ti piacciono questi sui tavoli? Non sono carini?
O preferisci questi altri che sono più naturali? Spiga e grano,
bello no? Meglio questo, vero?"
"Mi ci fai pensare stasera?"
"Devi uscire, vero?"
"Sì, vado dai Flavi."
"Mamma, guarda che dobbiamo decidere, la stai prendendo
troppo sottogamba! "
"Domani decidiamo tutto, Babi, ora sono in ritardo."
Raffaella va in bagno e comincia a truccarsi velocemente. Proprio
in quel momento arriva anche Daniela.
"Mamma, ti devo parlare."
"Sono in ritardooo..."
"Ma è importante! "
"Domani! Non c'è niente che non possa essere risolto domani! "
In quell'istante passa Claudio. Va di corsa anche lui. Daniela
cerca in qualche modo di fermarlo.
"Ciao papà, ti puoi fermare un secondo? Ti devo raccontare
una cosa, è molto importante ! "
"Ho una cena con Farini. Ho già detto tutto alla mamma. Scusami,
ma è un affare di lavoro importantissimo e poi c'è di mezzo
anche una partita..."
Claudio bacia frettolosamente Daniela. Raffaella lo raggiunge
sulla porta.
"Claudio, aspettami, scendiamo insieme."
Daniela rimane così, in mezzo al corridoio a guardare i suoi
genitori
che vanno via. Poi si avvicina alla camera di Babi. Ma la porta
è chiusa. Daniela bussa.
"Avanti, chi è?"
"Ciao... scusa, ti devo raccontare una cosa. Possiamo parlare?"
"No, guarda. Sto uscendo. Mamma se n'è andata e dovevamo
decidere una marea di cose importanti. Scusami, ma non è proprio
il momento. Vado da Smeralda, almeno mi dice qualcosa lei. Se hai
bisogno cercami sul telefonino."
Ed esce così anche lei di scena. Daniela, rimasta sola, si
avvicina
al telefono di casa e compone un numero.
"Pronto Giuli... ciao... che stai facendo? Ah, bene... senti,
scusami,
ma non è che posso passare? Ti devo dire una cosa, sì, una
cosa importante. Sì, ti giuro, ti rubo solo due minuti. Sì, scusa
eh,
ma non so proprio che fare. Ti giuro, sì, ne parliamo tra una
pubblicità
e l'altra. Ok, grazie."
Daniela attacca, chiude veloce la porta di casa e scende a razzo
le scale. Apre il portone ed esce.
Proprio in quel momento, da dietro una siepe: "Dani! ".
È Alfredo.
"Oddio, m'hai fatto prendere un colpo... mamma mia, ho il
cuore a duemila. Ma che, ti nascondi così!"
"Scusami, ho visto uscire ora Babi."
Daniela si accorge che è pallido, dimagrito, nervoso.
"Ecco, no... volevo parlare un po' con te che sei sua sorella."
Daniela lo guarda. Oddio, questo qua mo' m'attacca un bottone
su Babi.
"No scusami, Alfredo, guarda io non so niente... devi parlare
solo con lei. "
"Ok, scusa, hai ragione. E tu come stai?"
"Bene, grazie..." Daniela lo guarda meglio. Alfredo potrebbe
essere la persona giusta con la quale parlare. È un medico, è
maturo,
magari mi dà anche un consiglio giusto.
"Sai, scusami se ti ho spaventato."
"Oh figurati, non ti preoccupare, è passato."
"Eh, invece a me non passa. Penso sempre a tua sorella e sto
malissimo. Pensa che prendo anche degli ansiolitici."
"Mi dispiace."
Rimangono per un po' in silenzio. Poi Daniela decide di chiudere
quella conversazione impossibile.
"Be', ora scusami, ma devo proprio andare, mi sta aspettando
una mia amica..."
"Ok, scusa tu..."
Daniela se ne va di corsa a prendere in garage la Vespa. Spera
di arrivare da Giuli che non è ancora cominciato il film. Poi
ripensa
ad Alfredo. Poveraccio, guarda come sta. Certo che la passione di
Babi distrugge proprio. In questo momento è un uomo finito,
instabile,
psicolabile. E sulla sua decisione Daniela non ha dubbi. Alfredo
era l'ultima persona alla quale avrebbe potuto dire di essere
incinta.
Capitolo 40.
Comodo e tranquillo, elegante come non mai, almeno credo.
Mi guardo nello specchietto e non riesco a riconoscermi. Capelli
ancora freschi dalla doccia appena fatta, giacca blu, camicia
bianca
e pantaloni di lino beige con delle scarpe americane marroni
scure,
dalla cucitura in corda che non risalta troppo però, regalando
un'immagine moderna. Cinta alta con fibbia grossa, di un marrone
scuro identico alle scarpe. Ah, dimenticavo, camicia abbottonata
fino al penultimo e telefonino nella tasca. Io con il telefonino.
Ancora non ci posso credere. Rintracciabile sempre, dovunque,
mai libero quindi e come per magia o per sfiga naturalmente suona.
Cazzo proprio adesso, lo apro, vuoi vedere che Gin ha un problema?
Se è così, non me ne frega niente, passo a prenderla sotto
casa, anzi no, salgo su e la rapisco. Continuo frenetico con i
miei
pensieri.
"Pronto?"
"Step, meno male che rispondi..."
È Paolo, ma certo come ho fatto a non pensarci?
"Che succede?"
"Step, è successa una cosa tremenda, mi hanno fregato la
macchina."
"Porca puttana... Mi hai fatto pensare a mamma e papà..."
"No, loro stanno bene. Sono sceso giù e non c'era più la mia
Audi 4. Cazzarola, ma come avranno fatto? Non c'è vetro per terra,
non hanno spaccato il finestrino quindi. Ma pure il garage era
aperto e senza forzature. Ma come avranno fatto?"
"A Pa', guarda che ormai i ladri hanno tecniche perfette, eh? I
garage con telecomando poi non li sfonda più nessuno. Hanno un
variatore di frequenze. Girano finché il garage non si apre."
"Ah già, non ci avevo pensato. Porca troia! "
Mi fa piacere sentire mio fratello così incazzato, mi sembra più
vivo, e finalmente, cazzo, si riscalda. Ma sempre per roba da poco
però... la sua macchina. Che sarà mai.
"Proprio adesso me l'hanno fregata. Porca pupazza."
Ecco, porca pupazza. Che vuol dire "Porca pupazza"?
"Ho pagato l'altra settimana l'ultima rata del finanziamento.
Potevano fregarmela prima, almeno mi risparmiavo quei soldi."
Bleah! Che schifo. Infido calcolatore. Commercialista fino in
fondo.
"Va be', Pa', insomma che vuoi fare?"
"No, io speravo..."
"Che te l'avessi fregata io?"
"No, ma che scherzi? Anche perché le chiavi e il doppio stanno
ancora qui."
"Ah, allora per un attimo l'hai pensato, eh?"
"No, perché, cioè..."
"Eh no, se sei andato a controllare il doppio, vuol dire che ci
hai pensato. Solo io potevo prenderlo."
Pausa di silenzio.
"Be' sì, per un attimo l'ho pensato. Ma mi avrebbe fatto piacere,
cioè, sì insomma, sempre meglio tu..."
Mio fratello. "Pa', stai zitto va', che è meglio."
"Perché?"
Già, perché mi dice. E io stupido che tento di farglielo capire.
"Niente Pa', tutto a posto."
"Ecco io volevo sapere Step, no, senza che ti offendi, eh?"
"Che cosa? Dimmi..."
"No, siccome tu bene o male conosci un sacco di gente in quei
giri. Ecco se non hai problemi... se puoi sentire in giro se si sa
di
qualcuno che l'ha presa."
"Ehi, ma quelli vogliono soldi, eh? Mica vorrai che vado a fare
a botte con gente di quella portata per una macchina qualsiasi."
"Qualsiasi... Per una Audi 4! "
"Sì, sì, per una Audi 4."
"No, no questo no, assolutamente... Ecco io ci avevo già pensato,
sono disposto a dare anche 4300 euro..."
"E perché proprio questa cifra?"
"Ho pensato che con la franchigia e tutto il resto..."
Mio fratello, grande commercialista. Il migliore.
"Ok Pa', se posso ci provo."
"Grazie Step, lo sapevo che potevo contare su di te."
Mio fratello che può contare su di me, questo è il massimo. Due
curve e sono sotto casa sua. Vado a citofonare, mentre sto per
farlo
mi ricordo che ha un telefonino. Le faccio due squilli per
avvisarla.
Avrà capito? Nel dubbio aspetto un attimo. Prima o poi scenderà.
Prima o poi. Le donne e il loro prepararsi. Forse è meglio se
citofono. Ancora un minuto. Mi concedo un altro minuto per
aspettarla.
Mi accendo una sigaretta. Ecco, finisco di fumarmi la sigaretta
e poi citofono. Strada tranquilla. Mi guardo in giro. Qualche
macchina che passa sullo sfondo. Uno che inchioda perché un altro
ha fatto il prepotente non facendolo passare. Ma poi anche
quest'ultimo
riparte e tutto procede, tranquillo, sperso in questa grande
città. Che palle! Che riflessioni del cavolo. Ma dove la porto
stasera?
Che strano, ho pensato a tutto ma non a questo. Dove la porto?
Questa era una cosa alla quale pensare. Mi viene un'idea, ma
poi mi preoccupo. Mi preoccupo di quello che sto pensando. Io
che mi preoccupo dove portarla a mangiare? Non mi starò
preoccupando
un po' troppo? Quando esci con una donna se ti metti a
scalettare la serata è lì che toppi.
E toppi alla grande, eh! Non ci siamo. Ci vuole disinvoltura,
casualità, quello che è, è. Poi improvvisamente mi viene un'idea.
Cazzo però, mi piace la mia idea. Un altro tiro e poi citofono. Ma
il cancello in quel momento si apre. Un rumore, uno scatto di
serrature.
Il portone in fondo si dischiude lentamente. Della luce filtra
dall'androne, leggermente arancione. Illumina le foglie lì intorno
nel giardino, i gradini lontani, i motorini posteggiati. Poi esce
una signora anziana. Cammina lenta, sorridente, con le gambe
leggermente
ricurve sotto il peso degli anni. Poi, subito dopo, lei. Lei
che l'ha fatta passare, lei che ancora le tiene il cancello, lei
che l'aiuta
a uscire, che le parla sorridendo, che annuisce a qualche domanda
occasionale, lei gentile, lei bella, lei sorridente. Lei. La
signora
mi passa davanti e anche se non la conosco mi scappa un
"Buonasera".
Mi sorride. Come se mi conoscesse da sempre.
"Buonasera a lei" e si allontana lasciandomi solo con Gin. Ha
i capelli raccolti, un giubbotto corto di pelle, con zip e
cinturini,
una divertente cintura azzurra 55 DSL, i pantaloni scuri a vita
bassa,
a cinque tasche e cuciture a contrasto. Borsa grande in tessuto
Fake London Genius. Ha stile. E per averlo non ha speso nulla.
Incredibile
come noti tutto quando ti piace qualcuno. Ha la faccia
buffa. Ma che dico? Bella.
"Ma la moto? Non sei venuto in moto?"
"No."
"E io che mi sono conciata così." Mi fa una specie di piroetta
davanti. "Non sembro un po' il 'Selvaggio' Marion Brando?"
Sorrido. "Più o meno."
"Ma allora come sei venuto?"
"Con questa, ho pensato che stavi più comoda."
"Una Audi 4! E a chi l'hai fregata?"
"Ah, mi sottovaluti, è mia."
"Sì, e io sono Julia Roberts."
"Dipende dal film. Ho capito, Pretty Woman."
"Tsk."
Gin va verso la portiera e mi dà al volo un pugno sulla spalla.
"Ahia."
"Cominciamo male. Non mi è piaciuta quella battuta."
"Ma no, Pretty Woman nel senso che vuole un sogno."
"E allora?"
"Allora hai trovato il tuo sogno..."
"Ma chi, la Audi 4?"
"No, io." Sorrido, entriamo in macchina e parto sgommando.
"Più che un sogno, questo mi sembra un incubo. Dai, di' la verità,
a chi l'hai fregata?"
"A mio fratello."
"Ecco così mi piaci, sarà sempre una bugia, ma almeno è più
credibile. "
Accelero leggermente e ci perdiamo nella notte. E penso al doppio
delle chiavi comprato da quel tipo vicino al bar dei Sorci Verdi
a corso Francia, quello che ha le copie di tutte le chiavi di
tutte
le macchine possibili e immaginabili. Penso a Pollo e alla prima
volta
che mi ci ha portato, penso agli scherzi che facevamo, penso a
mio fratello preoccupato per la sua macchina rubata, penso alla
serata,
penso alla mia idea, penso al mio passato. Un qualche pensiero
veloce, più forte degli altri. Passo davanti all'Assunzione. Mi
voglio distrarre. Mi giro verso Gin. Ha acceso la radio,
canticchia
una canzone e si è accesa una sigaretta. Poi mi guarda e sorride.
"Allora dove andiamo?"
"Be', è una sorpresa."
"Era quello che speravo che dicessi."
Mi sorride e piega di lato la testa, si scioglie i capelli. E in
quel
momento capisco che la vera sorpresa è lei.
Capitolo 41.
"Allora? Qual è la sorpresa? È una bella sorpresa?"
"Sono più sorprese."
"E dimmene una."
"E no. Non è più una sorpresa."
Posteggio e scendo giù dalla macchina. Un marocchino o qualcosa
giù di lì mi corre incontro con la mano già aperta. Gliela prendo
al volo e gliela stringo. "Ciao capo..." ride divertito e sguaina
una
specie di dentatura alla "ecco perché i dentisti sono così cari!
".
sono 2 euro.
"Senz'altro. Ma pago quando torno." Gli stringo un po' più
forte la mano. "Così sono sicuro che la ritrovo perfetta, vero? Si
paga a servizio fatto."
Mi guarda preoccupato. "Quindi tienila bene d'occhio, non voglio
graffi. Chiaro?"
"Ma io dopo mezzanotte sono..."
"Torniamo prima." E mi allontano.
"Allora aspetto, eh?"
Non rispondo e guardo Gin.
"Ci tiene proprio a questa macchina tuo fratello, eh?"
"Maniacale. In questo momento sta disperato perché pensa che
gliel'abbiano rubata."
"Non è che ci ferma la polizia e finiamo in galera?"
"Mi ha dato una notte per ritrovargliela."
"E poi?"
"Poi parte la denuncia. Ma non ti preoccupare, gliel'ho già
ritrovata,
no?"
Gin ride e scuote la testa.
"Poveraccio tuo fratello, mi immagino cosa gli hai fatto passare."
"Veramente lui non lo sa, ma l'ho sempre salvato da molte
situazioni.
"
Penso a mia madre per un attimo. Mi viene voglia di raccontarle...
Ma questa è la nostra serata, io e lei. E basta.
"A che pensi?"
"Che ho fame... vieni! "
E la trascino via, prendendola per mano. Da Angel, un aperitivo,
un Martini ghiacciato per tutti e due, shakerato, ghiaccio e
limone
alla James Bond o giù di lì e a stomaco vuoto è un sogno. Gin
ride e mi racconta. Storie del passato, amiche sue ed Ele e come
si
sono conosciute e le litigate e le gelosie dell'amica. E io la
prendo
poi per mano e saluto un tipo con l'orecchino che sembra
conoscermi
e poi me la porto in bagno.
"Ehi, ma che vuoi fare? Non mi sembra proprio il caso, eh?"
"No guarda..." Le passo 20 centesimi o forse 50 o forse 1 euro,
magari 2, non li vedo nemmeno. Glieli metto in mano. Penso
al tipo del parcheggio. A quando torno e gli dirò che non ho più
monete.
"Questo è il pozzo dei desideri, vedi quanti soldi ci sono sul
fondo?" Gin guarda dentro una specie di pozzo in quel bagno pieno
di piante e tappeti colorati, rosso, viola, arancione e una luce
blu e gialla e muri bianchi e color mattone. "Dai... Hai
espresso?"
Lei sorride, si gira e butta via la mia moneta con un desiderio
tutto
suo che finisce sul fondo nella speranza di avverarsi. La seguo a
ruota e faccio volar via la mia sopra la mia spalla. E vola giù
che è
una meraviglia e sparisce ondeggiando in mezzo all'acqua con uno
strano zigzag per poi posarsi sul fondo tra mille altri sogni e
qualche
desiderio, forse, più o meno realizzato.
Usciamo in silenzio, mentre un tipo entra veloce quasi urtandoci
mentre già si sbottona i pantaloni, ma poi ci ripensa e si tuffa
sul lavandino vomitando. Ci guardiamo e scoppiamo a ridere,
schifati
e imbrividiti... Bleah... Chiudendoci la porta alle spalle e via.
Lascio 15 euro sul tavolo e in un attimo siamo fuori. Incontro
Angel che mi saluta.
"Ciao Step, quanto tempo..."
"Sì, sì. Dopo, caso mai, ripasso."
In realtà si chiama Pier Angelo, ancora me lo ricordo, vendeva
strani quadri a piazza Navona agli stranieri, croste improbabili
per
delle cifre ancora più improbabili. Un tedesco, un giapponese, un
americano, una sua strana spiegazione in inglese non proprio
perfetto,
maccheronico e inventato, e via un altro "pacco" per potersi
comprare un giorno, come poi ha fatto, il suo Angel's.
"Allora? Tutto qui?"
"Stai tranquilla... ho capito, non vuoi faticare."
La prendo al volo e me la carico sulle spalle. "No dai, che fai?"
Ride divertita e prova a picchiarmi, ma lo fa senza cattiveria.
"Ti porto io... Basta che non fai più domande."
"Dai, mettimi a terra!"
Passiamo davanti a un gruppetto di ragazzi e ragazze che ci
guardano più o meno divertiti, sognanti le prime, imbarazzati i
secondi.
Questo è quello che mi sembra di leggere sulle loro espressioni.
E voliamo via. Cul de sac.
"Ecco ora puoi scendere. Qui un aperitivo di formaggi e vini."
Gin si sistema giù il giubbotto che le si era alzato e anche la
maglietta
che le ha scoperto la pancia, morbida ma compatta senza
strani piercing all'ombelico, naturale e rotonda.
"Che fai guardi? La mia pancetta non è il massimo."
Bella e insicura. "Vuoi dire che c'è dell'altro?"
Gin sbuffa.
"Sono calamitato, attratto, inevitabilmente risucchiato e..."
"Sì, sì, ok. Ho capito il concetto."
Ci sediamo al primo tavolo e ordino a uno di colore vagamente
francese con tanto di grembiule bianco.
"Allora un formaggio di capra agro e stagionato e due bicchieri
di Traminer. "
Il tipo annuisce e io nella sua incertezza spero tanto che abbia
capito sul serio.
"Dove l'hai letta questa storia del Traminer e formaggio di capra?
Te l'ha suggerita tuo fratello?"
"Perfida..."
Faccio con la mano il segno di vittoria rivolto in basso verso di
lei.
"Viperetta acida. No, mi dispiace, ho fatto un corso personale
con un sommelier francese. Una sommelier per essere precisi. Da
Epernay, nello Champagne. Calze velate grigie. Leggerissime e
sempre
rigorosamente autoreggenti. Vuoi altri dettagli? "
Sbuffa scocciata.
"No grazie, sennò ricominci, sai io sono naturalmente attratto...
eccetera eccetera e quelle altre cavolate lì..."
Il tipo vagamente francese le poggia un piatto in legno sul
tavolino
e "voilà". Ci ha preso: formaggio di capra e Traminer freddo.
Incredibile e non si ferma lì.
"Vi ho portato anche del miele naturale..."
"Grazie."
Che bello quando uno ama il suo lavoro. E non c'è niente di più
bello invece di una ragazza che mangia con gusto. Come lei.
Sorride
e spalma il miele su del pane ancora caldo, appena tostato,
perfettamente
abbronzato, non bruciato. Ci poggia sopra un pezzo di
formaggio e dà un grosso morso, deciso ma lento, mentre con
l'altra
mano si protegge dalla caduta libera di briciole impazzite. Poi si
tocca con la punta delle dita il palmo e come suonando uno strano
motivetto le lascia cadere giù nel piccolo piatto, vicino al pane
rimasto,
mentre con l'altra mano prende il Traminer e con un piccolo
sorso accompagna il tutto.
È perfetta, cazzo, è perfetta, lo so. Piccoli spunti... Che senso
hanno non lo so... Ma in realtà... Lo so. Il Traminer scende giù
veloce,
freddo con il suo retrogusto. Gelato. Un bicchiere dopo l'altro.
Sì. Lo so, è perfetta. E da quello che penso, da come mi intorto,
su
quel "lo so, non lo so", capisco già di essere mezzo ubriaco.
Aspetto
che finisca l'ultimo morso, metto dei soldi sul tavolo e la
rapisco.
"Vieni andiamo."
"Ma dove?"
"Un posto per ogni sua specialità."
E corriamo via, così, un po' di vino, un po' di risate. Tra
sguardi
indiscreti, persone agli altri tavoli, teste che fanno capolino
per
guardare, spiare, osservare, quei due sconosciuti... Noi due,
meteore
di una qualsiasi notte, in un locale qualsiasi, un momento più
che qualsiasi, ma solamente nostro. Come questo cibo-tour.
"Ehi Step?"
"Sì?"
"Quanti punti base toccheremo?"
"Che vuol dire?"
"Visto che mangiamo una cosa in ogni posto, per capire quanti
saranno, sennò ho paura che scoppio. Sì, insomma, in quanti locali
ci fermiamo?"
"Ventuno!"
Rispondo deciso, leggermente scocciato, cazzo. Ma scusa, neanche
un accenno, che ne so: carina l'idea, originale, divertente. Gin
improvvisamente si stoppa. Si ferma in mezzo alla strada e punta i
piedi.
"Che succede?"
Mi prende al volo per il giubbotto e mi tira a sé con tutte e due
le mani, tenendolo per i baveri.
"Dimmi a chi l'hai rubata?"
"La Audi 4? Te l'ho detto, a mio fratello..."
"No, questa idea. Mangiare una cosa diversa in ogni posto, da
chi l'hai presa?
Rido scuotendo la testa, più ubriaco che mai, anche di
divertimento
etilico.
"L'ho pensata io."
"Vuoi dire che è un'idea tutta tua, che non l'hai rubata da
qualche
parte? Da qualche libro scemo, da qualche film romantico, da
qualche leggenda metropolitana?"
Allargo le braccia e tiro un po' su le spalle. "Tutta mia."
Sorridendo
"Mi è venuta in mente così...". Schiocco le dita. Gin mi tiene
ancora per il bavero e mi guarda con la faccia ancora un po'
dubbiosa.
"E non l'hai già fatta a qualcun'altra?"
"No. È solo per te. Se è per questo, neanche nei posti che ho
scelto sono mai stato con qualcun'altra."
Mi lascia andare al volo, spingendomi all'indietro.
"Ma va'! Questa l'hai detta grossa!"
"Pum!" Fa esplodere un finto palloncino soffiando con tutta
la bocca. "Pum."
"Cazzata! Ah, ah, Step ha detto la cazzata."
Quasi ne fa una tiritera. La prendo io al volo per il bavero, la
rigiro su se stessa prima che si allontani troppo. Fa una mezza
giravolta
e finisce vicino al mio viso. La sua bocca.
"Ok, detta la cazzata. Ma sempre in gruppo. Mai da solo, come
sono ora qui con te..."
"Ok, già va meglio. Così ci posso credere."
"Ci devi credere."
La voce mi si abbassa e mi sorprendo anch'io nel sentirla così
soffocata, sussurrata quasi, alle sue orecchie, intorno al suo
collo,
tra i suoi capelli. Guardo i suoi occhi, le sorrido sincero. Lo
apprezza,
mi crede. Ma voglio sigillare. "Giuro..." e stavolta si fida.
Sorride anche lei e si lascia andare. Bacio. Bacio morbido, bacio
lento, bacio non irruento. Bacio al Traminer, bacio leggero, bacio
di lingue in lotta, bacio surf, bacio sull'onda, bacio con morso,
bacio
vorrei andare avanti ma non posso. Bacio non si può. Bacio c'è
gente...
Capitolo 42.
Non ci posso credere. Io, Gin, qui a via del Governo Vecchio
che mi bacio per strada. Gente che passa, gente che mi guarda,
gente
che si ferma, gente che mi fissa... E io in mezzo alla strada.
Senza
pensare, senza guardare, senza preoccuparmi. Occhi chiusi. Gente
intorno. Ecco, penso che ci potrebbe ora anche essere uno che
mi sta fissando a cinque centimetri dal nostro bacio. Apro di
pochissimo
l'occhio destro. Niente. Tutto tranquillo. Lo richiudo.
Chissà se dall'altra parte... Ma me ne frego! Io e Step. Di questo
sono sicura. Lo abbraccio più forte e continuiamo a baciarci così,
senza problemi, senza pensieri. Poi scoppiamo a ridere, chissà
perché.
Forse perché ha mosso un po' la mano, mi ha toccato il fianco,
scivolando verso chissà dove. Ma sono onesta. Io non ci avevo
neanche pensato. Mi è solo venuto da ridere e basta. E così a lui.
E lo abbiamo fatto! Siamo scoppiati a ridere. Mi sono toccata con
la guancia destra la spalla, sorridendo, appoggiandomi di lato,
lasciando
passare un brivido... O forse un desiderio.
"Dai, vieni ci aspettano i Primi della classe."
"E chi sono, degli amici tuoi secchioni?"
"Macché! È un posto dove si mangia solo pasta."
"Ah, be', che ne sai. Magari il cuoco si è laureato in Filosofia."
Cerco di risolvere così quella mia battuta vanziniana. Con Step ci
riesco. Chissà, forse perfino quei due fratelli, malgrado tutti i
loro
successi, sentendola avrebbero sorriso.
Il proprietario si presenta come un certo Alberto. Saluta, è
gentile,
ci fa accomodare, ci suggerisce un "trittico" dice lui. "Trofie
al pesto, tortelloni alla zucca e riso champagne e gamberi."
Ci guardiamo e facciamo sì con la testa, ok, va bene, sì. Insomma,
senti Alberto, ma perché non te ne vai?
"E da bere?"
Step chiede se c'è un vino bianco, almeno credo. Ma non ho
sentito bene... Farfallina o qualcosa del genere.
"Benissimo." Alberto invece, che ha capito, si allontana.
Mi guardo intorno nel locale. Archi fatti di mattoni antichi,
pietre
che escono dai muri, bianco, marrone, rosso, luci rivolte verso
l'alto. Guardo giù. Cotto, perfetto e nuovo. Poco più in là la
cucina.
Finta antichità, ferro, pezzi più scuri, ghisa o altro e due porte
che
sbattono insieme tipo saloon mentre esce un ragazzo con un piatto
caldo fumante e nessuno gli spara. Anzi a un tavolo gli fanno
segno
felici di raggiungerlo. Chissà da quanto stavano aspettando.
"Ecco la vostra Falanghina."
Alberto porta una bottiglia di vino bianco in mezzo al tavolo e
la stappa con facilità. Falanghina... No farfallina. Sono fuori.
Step
la prende e ne versa un po' nel mio bicchiere. Poi aspetto che
faccia
la stessa cosa con il suo e li alziamo per bere.
"Aspetta, brindiamo."
Lo guardo preoccupata.
"Sentiamo," sorrido, "a cosa brindiamo?"
"A quello che vuoi tu. Ognuno decide e poi si brinda insieme."
Mi concentro un attimo. Lui mi guarda negli occhi. Poi allunga
il suo bicchiere verso il mio e lo urta.
"Magari è lo stesso desiderio."
"Magari un giorno ce lo diciamo."
be si avvera.
Guardo Step cercando di capire. Lui mi sorride. "Si avvera...
si avvera..."
E butto giù d'un fiato con la certezza che prima o poi quel
desiderio,
almeno il mio, si avvererà. Faremo l'amore... Mah! Aiuto!
Ma che dico? Oddio. Mi distraggo. Mi guardo in giro. Come sembrano
diverse le coppie che mangiano agli altri tavoli. Chissà com'è,
ma crediamo sempre di essere i migliori. È il mio caso almeno. Sì,
Gin la presuntuosa. Ma non potrei mai stare al tavolo con uno con
il quale non mi rivolgo parola. Mangiare in silenzio. Ma che senso
ha? Così fanno quei due. Ogni tanto, fra un boccone e l'altro
guardano
fuori, fuori dalla loro vita, dai loro pensieri. In cerca di
qualcos'altro.
Annoiati da quello che hanno accanto. Da quella stessa
vita che proprio loro hanno scelto ! Sbirciano negli altri tavoli,
fra
le altre persone, continuando a masticare in cerca di curiosità.
Ma
ti rendi conto?
"Ahhh!!"
"Ma che fai, urli?" Step mi guarda preoccupato, ma io rido.
"Tu sei tutta matta."
"No, sono tutta felice! "
E urlo di nuovo mentre la tipa annoiata al tavolo ha smesso per
un attimo di masticare e mi guarda sorpresa, incuriosita. E io,
be',
io la saluto. Prendo un boccone dai piatti appena arrivati e me lo
metto in bocca. "Uhm, buono..."
Giro l'indice sulla guancia sempre guardando la vicina annoiata
che scuote la testa, non capendo. E pensare che l'uomo, quello di
fronte a lei, non si è neanche accorto di niente. E Step ride. E
mi
guarda. E scuote la testa. E io gli sorrido.
"Ehi, ma non stai pagando un po' troppo?"
"La cena è offerta da mio fratello. In realtà, lui è un po'
tirato,
ma non ha problemi di soldi."
"Forte, e perché lo fa?"
"Mah, forse per aiutare me, il fratello più piccolo che ha
problemi
con le donne."
"Ma smettila! Sì, senza dubbio è per questo."
E via di nuovo correndo veloci, ridendo. Poi montiamo in macchina.
Non so come trovo altri 2 euro in tasca. Li do al marocchino
che forse sperava qualcosa in più. Ma poi ci ripensa, si ritiene
comunque soddisfatto e ormai da adottato romano mi aiuta a fare
manovra: "Venga, venga dotto', tutto a posto, gliel'ho guardata
come
un fiorellino".
Non trova risposta se non il mio fare cenno di sì con la testa.
Sì, sì, va bene, va bene così.
Musica. 107, 10. Tmc. Le parole del dj lasciano spazio alle note
degli U2. E Gin, ovviamente, conosce la canzone. "And I miss
you when you're not around, I'm getting ready to leave the
ground..."
"Ma le sai proprio tutte! "
"No. Solo quelle che parlano di noi due."
Lungotevere. Poi passiamo il ponte. Destra, sinistra, piazza
Cavour,
via Crescenzo. Papillon. Mario il proprietario ci saluta. "Salve,
siete in due?"
"Sì, ma due speciali, eh?" Sorrido a Gin stringendola a me. Il
tipo
ci guarda. Stringe un po' gli occhi. Starà pensando: "Ma io questo
lo conosco? Chi è? È uno importante?".
Ma non trova risposta, anche perché non c'è.
"Prego venite, vi metto di qua così state più comodi."
Grazie.
Nell'indecisione ha optato per due che comunque vanno trattati
bene. A prescindere, insomma. Attraversiamo una sala con una
tavolata piena di gente, per lo più donne e anche carine. Bionde,
brune, rosse, sorridono, ridono, tutte truccate parlano ad alta
voce,
ma mangiano educate, spezzettano pezzi di pizza appena fatta
da un piatto centrale. Poco più in là forchette fameliche si
tuffano
su alcune fette di prosciutto appena tagliate, rosa e leggere,
figlie
di chissà quale maiale.
"Porco..."
"Ahia, che è?"
Gin mi ha appena colpito al fianco con un cazzotto dritto per
dritto.
"Mi hai preso alla sprovvista."
"Ti ho visto come guardavi quella."
"Ma che? Stavo pensando al prosciutto."
"Sì, senz'altro, ancora. Mi hai preso per scema?"
Mario fa finta di non sentire. Ci fa accomodare a un tavolo ad
angolo e ci lascia subito.
"Sì, al prosciutto... lo so io a cosa pensavi. Quelle devono
essere
le ballerine del Bagaglino. Festeggiano la prima o qualcosa del
genere. Quello lì con pochi capelli è il regista e quelle due al
suo
fianco sono le prime ballerine. "
"Che ne sai?"
"Si dà il caso che io ogni tanto faccio dei provini... Sei tu
l'infiltrato
nel mondo dello spettacolo."
Una del gruppo si alza dal tavolo, si dirige verso il bagno, ci
passa davanti, sorride e poi si gira perdendosi in fondo alla sala
ma
lasciando un perfetto panorama, due gambe muscolose, un sedere
tondo imprigionato con qualche difficoltà in una gonna troppo
stretta.
"Sì, guarda come sbavi e tu pensavi al prosciutto! Peccato! "
"Peccato che?"
"Ti sei giocato la serata."
"Cioè?"
"Se avevi qualche minima chance con me, e guarda che ce n'era
un filino, be'l'hai persa."
"E perché?"
"Perché sì. Anzi, ti do un consiglio. Infilati al bagno, segui
quella,
al massimo ci ricavi una sveltina o due biglietti per il
Bagaglino.
"E poi ci andiamo insieme."
"Neanche morta."
"Non ti piace il Bagaglino?"
"Non mi piaci tu."
"Benissimo."
"Che vuol dire benissimo?"
"Che ho una chance..."
"Cioè?"
"Che sei gelosa, un po' rompipalle, ma in definitiva..."
"In definitiva?"
"Ci stai!"
Gin sta per ripartire quando la fermo al volo con la mano.
"Aspetta. Almeno ordiniamo."
Mario è comparso alle spalle di Gin.
"Allora, che faccio preparare?"
"Siamo venuti per provare quelle buonissime tagliate, grandi e
al sangue. Ne abbiamo sentito tanto parlare."
"Perfetto."
Mario sorride felice di essere famoso almeno per le tagliate.
"E ci porti un buon cabernet."
"Va bene il Piccioni?"
"Faccia lei."
"Benissimo."
E si sente ancora più soddisfatto del fatto che si possa contare
su di lui anche per la scelta del vino.
"Gin, dai, non litighiamo, vuoi cambiare posto? Vuoi sederti
di qua?"
"Perché?"
"Così le guardi tu quelle ragazze, le ballerine."
"No, no." Sorride. "Mi diverte che le guardi tu, anzi mi fa
piacere.
"Tifa piacere?"
"Certo, più coppia aperta di così. A, perché non siamo coppia.
B, dopo quel panorama di tette e culo sarai più sereno nel
sentirti
un bel no da una misera mortale..."
"Terzo dan in tutto e per tutto, eh?"
La ragazza che era andata in bagno ripassa davanti a noi per
tornare al suo tavolo. Mi giro d'istinto senza volere. Gin non
aspettava
altro e la chiama,
scusa.
"Sì."
"Puoi venire un attimo?"
La ragazza, sorpresa, annuisce.
"Dai, Gin, lascia stare. Passiamo almeno una volta una serata
tranquilla. "
"Ma di che ti preoccupi? Io sto semplicemente lavorando per te."
La ragazza si avvicina gentile e curiosa al nostro tavolo.
"Grazie eh... Vedi questo ragazzo, Stefano, Step il mito per
alcuni,
voleva il tuo numero di telefono ma non ha il coraggio di
chiedertelo."
La ragazza rimane sorpresa, la bocca mezza aperta completamente
presa in contropiede.
"Veramente..."
Gin sorride.
"No, no, non ti devi preoccupare per me. Io sono sua cugina."
"Ah."
Ora sembra più rilassata. La tipa mi guarda, valuta se è il caso
di
darmelo o no e io, forse per la prima volta in vita mia,
arrossisco.
"Pensavo stavate litigando o magari uno scherzo..."
"No, assolutamente."
Gin rimane decisa sulla sua affermazione.
"Ok, ci hai pensato troppo. Non fa niente. Carina questa gonna.
È di Ann Demeulemeester?"
"Di chi?"
"No, mi sembrava. Taglia 40, vita con passanti, bottoni nascosti,
una tasca..."
"No, è Uragan."
"Uragan?"
"Sì, è la marca nuova di un mio amico."
"Ah, ho capito e tu sei una specie di testimonial."
La ragazza sorride allisciandosi la gonna e cercando di
sistemarsela
un po'.
"Sì, diciamo di sì."
Fatica inutile. La gonna rimane fissa bloccata, semplicemente
avvinghiata ai suoi fianchi, non mostrando, per un pelo, le
mutandine.
"Be'..."
Cerco di prendere in mano la situazione.
"Scusaci. Ma vedo che ti chiamano al tavolo."
La ragazza si gira. Effettivamente se ne stanno andando.
"Ah sì, scusate."
be, ciao.
"Sì, ciao."
La tipa si allontana.
Rimaniamo così a fissarla nel suo incedere e, non si sa perché,
sculetta più di prima.
"Complimenti."
"Per che cosa?"
"Be', è la prima volta che una donna riesce a mettermi in
imbarazzo...
e per di più con un'altra."
"Be', io ce l'ho messa tutta. Strano... ma se non ti dà il suo
numero,
figuriamoci il resto."
"Be', se non altro potrò giocare su questo senso di colpa..."
"Per cosa?"
"Non crolla tutti i giorni un mito come il mio... Step che non
riesce ad avere il numero di una che veste Uragan. Non è roba da
tutti i giorni. "
"Non so se questo ti può consolare, ma aveva le tette rifatte."
"Non ci ho fatto caso. Ero più affascinato dal suo culo naturale."
Sorrido malizioso. "Su quello non hai niente da dire, vero?"
"Veramente ho qualche dubbio anche su quello. Mi dispiace
solo che non potrai mai averne la prova."
"Mai dire mai."
Proprio in quel momento Mario posa i due piatti di tagliate
davanti
a noi.
"Eccole qua."
"Grazie, Mario."
"Dovere." Ci sorride. Gin prende subito a tagliarla.
"Be', intanto Step accontentati di questa carne qua."
"Ah, se questa però non è naturale, siamo fottuti tutti e due."
A quelle parole Mario rimane interdetto.
"Ma che, state scherzando? Qui solo carne doc. Oh, non mettete
in giro strane storie che vado fallito."
Scoppiamo a ridere.
"No, no, non ti preoccupare. Si parlava d'altro, sul serio!"
E continuiamo a mangiare, versandoci del cabernet, mangiando
lentamente, ridendo, raccontandoci dei fatti insignificanti ma
che ci sembrano così importanti. Sprazzi di vita, dell'uno o
dell'altra,
ai quali non abbiamo mai partecipato. Momenti euforici e diversi
con amici del passato che oggi però, a rivederli bene, non
sembrano
poi così un granché. O forse è il timore di non essere abbastanza
divertente. Gin mi versa del vino. E solo il fatto che sia lei a
farlo già mi fa dimenticare tutto.
Capitolo 43.
Giuli guarda Daniela a bocca aperta.
"Chiudi quella bocca, mi fai sentire ancora più in colpa così! "
Giuli la chiude. Poi deglutisce e cerca di riaversi.
"Sì, ho capito... ma com'è possibile?"
"Com'è possibile? Eppure dovresti saperlo, visto che anche tu
e prima di me lo hai fatto. Vuoi che ti spiego?"
"Ma no, cretina. Questo lo so, sei tu caso mai che non lo sai.
Dicevo, com'è possibile che sei rimasta incinta? ! "
"Senti, Giuli, ti prego non fare così, sto malissimo. Cioè, ti
prego.
E pensa che lo sto dicendo a te... pensa a quando lo dirò ai
miei!
"Perché, glielo dici?"
"E certo che glielo dico, come faccio sennò?"
"Ma guarda che non ci vuole nulla, eh? Basta una giornata di
clinica e la tua cavolata puff, sparisce. Hai capito?"
"Macché, sei pazza? Io il bambino voglio tenerlo."
"Vuoi tenerlo? Allora tu sei proprio pazza! "
"Giuli, da te questo proprio non me l'aspettavo. Mi obblighi a
venire tutte le domeniche a messa con te e poi... hai il coraggio
di
dire una cosa del genere! "
"Oh senti, vieni a fare la predica tu a me! Hai voluto farlo per
forza prima dei diciotto anni sennò ti sentivi una sfigata e sei
stata
pure punita, lo vedi? Ti sembra un discorso religioso il tuo? Ma
fammi il piacere! Comunque fai come ti pare, la vita è tua..."
"Ti sbagli. La vita è anche sua. Vedi, è a questo che non pensi.
Ora c'è un'altra persona oltre a me."
"E a tutto il resto invece tu non ci pensi, vero? Per esempio,
glielo hai detto a lui?"
"A lui chi?"
"Come a chi? Al padre! "
"No."
"Brava! E non pensi allora a come la prenderà Chicco Brandelli
quando avrà la notizia, eh, no, non ci pensi?"
"No, non ci penso."
"E certo, non te ne frega niente a te, quello secondo me
s'ammazza!"
"Non credo che sia lui il padre."
"Cosa? E chi è? Ho capito. Ti prego, no, dimmi di no. Andrea
Palombi. Ma è diventato un mostro, è terribile, uno sfigato, pensa
come diventa questo povero bambino."
"Il mio bambino sarà bellissimo, prenderà tutto da me..."
"Guarda che non lo sai, non lo puoi sapere, magari invece viene
identico a Palombi. Mamma, se è così, io non faccio la madrina,
te lo dico fin da adesso, io non la faccio ! "
"Oh, non ti stare a preoccupare. Non viene uguale a lui."
"E perché?"
"Perché non è lui il padre."
"Non è neanche lui il padre? E allora chi è? Cavolo, sei sparita
dalla festa a un certo punto ma pensavo fossi andata via con
Chicco."
" No, mi ricordo solo che ho preso un 'ecstasy bianca dalla
gangsta
dove mi hai mandato tu e poi..."
"Un'ecstasy bianca? Ma tu hai preso uno scoop!"
"Uno scoop, e che è?"
"E ti credo che non ti ricordi niente. Meno male che non sei
rimasta
sott'acqua. Quello ti sfonda, ti leva tutti i freni inibitori, fai
di tutto, diventi la porca più porca del mondo e poi puff, a
momenti
non ti ricordi neanche come ti chiami! "
"Be' sì, è andata proprio così... credo..."
"Non ci posso credere, hai preso uno scoop."
"Quella è stata Madda che ha voluto punire in qualche modo
mia sorella."
"Sì, facendo godere te!"
"Ma lei mica lo sapeva che poi sarei stata così bene."
"Cavoli, riesci sempre a stupirmi."
"Sono forte, eh?"
"Insomma... ma possibile che non ti ricordi nulla, niente, non
un indizio?"
"Niente, ti giuro, buio totale. E stato bello, sì, questo me lo
ricordo!"
Giuli rimane per un attimo in silenzio sul divano. Poi beve un
sorso d'acqua, guarda Daniela e ritrova la forza di parlare.
"Be', una cosa però riesco a immaginarla..."
"Che cosa?"
"La faccia dei tuoi."
"Io no."
"E secondo me ti gonfiano così tanto che alla fine tu non
assomigli
neanche più a loro. "
"No. Secondo me invece la prenderanno bene. Scusa, ma è in
queste situazioni che si vede il vero amore di una famiglia, no?
Se
va sempre tutto benissimo, che bravura c'è? Sarebbe fin troppo
facile
in quel caso, giusto?"
"Sì, sì, certo. A me m'hai convinto, vediamo se riesci a
convincere
anche loro! "
"Be'..." Daniela si alza dal divano. "Io vado. Voglio dirglielo
stasera stessa, non ne posso più di tenermi questo segreto. Sarà
una
liberazione. Ciao, Giuli..."
Si danno un bacio sulla guancia. Poi Giuli la saluta e mentre
esce le dice:
"Fammi sapere, eh? Chiamami se hai bisogno".
"Ok, grazie."
Giuli sente sbattere la porta di casa. Alza il volume della tv e
si
rimette a guardare il film. Dopo poco spegne la televisione.
Decide
di andare a letto. Una cosa è sicura: dopo la storia di Daniela,
qualunque altro film è noioso.
Capitolo 44.
Mario arriva preoccupato al nostro tavolo.
"Ma che fate? Già ve ne andate? Avete preso solo un secondo.
Ho un dolce buonissimo fatto in casa, con le mie mani. Anzi, per
essere sincero, con quelle di mia moglie."
E quest'ultima confessione mi prende alla sprovvista. Vorrei
raccontargli tutto, spiegargli che non è che si è mangiato male,
ma
che ho avuto questa grande idea, grande... Un'idea. Un piatto
particolare
da ogni parte, in ogni posto famoso per quel piatto. Anche
il cabernet ha fatto il suo effetto e partecipa alla festa. Così
preferisco
una semplice bugia.
"No, è che abbiamo un appuntamento con i nostri amici, sennò
quelli scappano."
Mario sembra accettare con tranquillità questa spiegazione.
"Arrivederci allora... ma tornate presto."
"Certo, certo."
Anche Gin partecipa. "La tagliata era buonissima."
Ma mentre usciamo succede qualcosa d'imprevisto.
"Aspettate, aspettate!"
Un ragazzo dall'aria buffa con i capelli gonfiati a mo' di
cappello
da cuoco ci corre incontro.
"Step, tu sei Step, vero?"
Annuisco.
Sorride soddisfatto di aver fatto centro.
"Tieni, questo è per te."
Prendo un foglietto ma non faccio in tempo a leggerlo perché
Gin più veloce me lo strappa di mano mentre il ragazzo continua.
"Me l'ha dato una ragazza bionda, una ballerina." Sorride felice.
"È una di quelle del Bagaglino. Mi ha detto di darlo a te o a
tua cugina."
Mario lo guarda preoccupato e poi, quasi a scusarsi con noi "È
mio figlio. Vieni andiamo di là che c'è ancora gente da servire".
"Ma se hanno finito tutti."
Mario lo strattona.
"Ma non capisci un cavolo!" E lo spinge in avanti. "E forza!
Muoviti."
E il ragazzo, mortificato, piega la testa in giù già pronto a
sentire
la solita ramanzina del padre chiedendosi perché sempre e solo
a lui.
"Tieni." Gin mi passa il foglio.
"Mastrocchia Simona... Già una che mette prima il cognome e
poi il nome..."
Poi mi guarda con una certa aria di sufficienza.
"Telefonino, fisso ed e-mail sul biglietto. Vuole essere
rintracciata.
Visto, sa anche usare il computer. È tecnologica. Come la
gonna Uragan. Meno male che hai svoltato la serata."
"Veramente non l'ho ancora svoltata. Comunque in tempo di
guerra non si butta via niente! "
Piego il biglietto e me lo metto in tasca.
"Ah, ah, molto divertente, sul serio."
Rimaniamo un po' in silenzio, camminando. Vento di primi
d'ottobre, qualche foglia qua e là tra i marciapiedi. Quel
silenzio
mi infastidisce.
"Ma guarda che sei forte, hai fatto il casino, le hai chiesto il
numero,
fai la mia cugina preoccupata, quella sorride e poi infine ce
lo dà, e tu t'arrabbi. Guarda che sei insuperabile."
"Insuperabile, hai detto bene. Allora? È finito questo cibo-tour,
o come cavolo si chiama? Non hai messo neanche un titolo a questa
tua grande idea! "
Fa risuonare il tutto con eccessiva enfasi e continua a guardarmi
per un po'. Poi apre la bocca, fa la smorfia come se imitasse un
"boccalone", uno stupido pesce, o un semplice umano qualsiasi
che comunque non trova le parole per rispondere. Insomma mammifero
o anfibio, sta parlando di me. Mi brucia pure sui tempi. E
dire che avevo pensato di chiamarlo proprio cibo-tour... Be', tiro
fuori il foglietto con il numero di Mastrocchia Simona, il
telefonino
che mi ha regalato Paolo e comincio a digitare sui tasti. In
realtà
lo faccio a caso, senza guardare. Con gli occhi, ma senza farmene
accorgere, la sto controllando. E la piccola tigre parte in
quarta.
"Ma guarda che stronzo!"
Mi si avventa contro. Chiudo al volo il telefonino e lo metto in
tasca mentre con la destra paro un suo colpo, forte a calare,
dritto
sulla faccia, mentre Mastrocchia Simona con il suo numero scritto
in maniera incerta cade a terra. Le prendo il polso e veloce
glielo
giro portandole il braccio dietro la schiena. Una mezza giravolta
ed è attaccata a me. "Ahi." Quasi sorpresa da quella velocità e da
quel dolore. Allento un po' la presa. La tiro a me. Con la
sinistra
le prendo i capelli, infilo le dita tra le ciocche. E come un
pettine
selvaggio, un po' grezzo, un po' naturale, le fisso i capelli
indietro.
Le libero la fronte. I suoi occhi sono grandi, intensi, spaziosi.
Mi
guardano. Come mi piace. Poi li chiude. Li riapre e si ribella.
Prova
a divincolarsi. Ma registro un po' la presa.
"Buona... Shh." Sussurro. "Sei troppo gelosa..."
A quella parola sembra quasi impazzire, scalpita, si agita, tenta
di colpirmi con i piedi, con le ginocchia.
"Io non sono gelosa! Mai stata e mai lo sarò. Sono famosa per
non esserlo!"
Rido parando più o meno i suoi colpi. Si getta con la bocca
aperta sul mio viso, prova a mordermi. Comincia una guerra di
guance, un alternarsi di strusciate, i suoi denti si aprono e si
chiudono,
cercandomi, non trovandomi, mi avvicino e mi allontano, la
sua bocca mi insegue, io mi spingo giù, spostandole la testa,
liberandomi,
nascosto tra i capelli, fino al collo. Apro la bocca, tanto,
più che posso. Vorrei quasi inghiottirla tutta e insieme respiro
catturandole
la pelle, il collo, la giugulare e con un morbido morso gigantesco
la blocco, la prendo, la posseggo.
"Ahia. Ahia. Ok, basta!" Scoppia a ridere. "Mi fai il solletico,
ti prego, il collo no."
Si piega verso di me con la testa cercando di liberarsi. Fa uno
strano balletto, piccoli passi che si spostano verso sinistra
mentre
continua a ridere. E brividi e sorrisi, piega la testa sulla sua
spalla,
chiude gli occhi, debole, sconfitta, abbandonata, conquistata da
quel sensuale solletico. E io la bacio. Morbidissima, dalle labbra
calde come non ho mai sentito. Come una febbre. Di desiderio. O
la lotta che è stata... Ma tutto il resto mi sembra fresco,
compreso
lì, sotto il giubbotto, sotto la maglietta che mi lascia visitare.
Poi, il
suo seno... Lo accarezzo per un attimo con la mia mano, morbida
e gentile. Ma è solo un attimo, sento il suo cuore battere veloce,
più
veloce. E non so perché, vi giuro che non lo so, li lascio lì,
tutti e
due. Non voglio disturbare. Le prendo la mano.
"Vieni, ci manca il dolce..."
Tranquilla si lascia portare. Poi all'improvviso si ferma un
attimo.
Mi blocca tenendomi per mano e muove le labbra spingendole
in avanti, smorfiosa paperina, leggermente imbronciata.
"Perché come dolce io non andavo?"
E provo a dire qualcosa ma non me ne lascia il tempo. Mi scappa
via di mano e mi supera correndo, con il petto spinto in avanti,
quel seno che era mio prigioniero, con le gambe indietro, ridendo,
libera. E io la inseguo mentre poco più in là, ormai preda del
vento,
forse di un altro destino, rimane un numero di telefono e un nome.
Anzi un cognome e un nome: Mastrocchia Simona.
Capitolo 45.
Claudio è fermo con la sua Mercedes a via Marsala. Si guarda
in giro preoccupato. Poi si chiede: ma che pericolo c'è a stare in
macchina? Uno può essere stanco, magari ha viaggiato tanto, il
rischio
di un colpo di sonno. Oppure ha voglia di una sigaretta. Ecco,
sì. Mi fumo una bella sigaretta. Non c'è niente di male. Claudio
tira fuori dal pacchetto una Marlboro ma la rimette subito dentro.
No. Meglio di no. Ho letto su un giornale che riduce certe
prestazioni.
No. Non ci devo pensare. Non ci devo pensare. Devo allontanare
questo pensiero altrimenti s'innesca l'ansia da prestazione.
Ecco. Arriva. Cammina saltellando. Ha un lettore ed tra le mani
e la cuffia alle orecchie, sorride tenendo il tempo con la testa,
i
capelli sciolti e la pelle leggermente abbronzata, com'è naturale.
Un vestito leggero sul verde con dei girasoli gialli e il suo seno
piccolo.
Bella. Come sempre. Come l'ha vista la prima volta. Giovane
come l'ha continuata a desiderare da quella sera, da quel bacio
dato
in macchina, dopo la partita vinta a biliardo con Step, il ragazzo
con cui stava allora Babi. Simpatico, quel tipo, un po' violento,
forse... ma che partita che abbiamo fatto quella sera! Claudio ha
continuato a giocare da allora. Per una passione ritrovata. Ma non
per il biliardo. Per lei, per Francesca, la giovane brasiliana che
sta
arrivando. In fondo è per lei che si è iscritto a quel club, è per
lei
che ha comprato la stecca nuova, una Zenith, è per lei che
vorrebbe
vincere quel torneo sulla Casilina. Che follia. Non meno di
questa.
Andare quasi tutte le settimane all'Hotel Marsala con lei. Ormai
è più di un anno che va avanti questa storia. Certo, è un piccolo
albergo, fuori dal giro delle sue amicizie, frequentato solo da
giovani turisti, da marocchini o albanesi che magari hanno voglia
di spendere poco. Ma che ci può fare? Lui di voglia invece ne ha
tanta... e di lei. E questo è il solo modo per vederla. Pagando
naturalmente
cash la stanza.
"Francesca!"
La chiama da lontano. La ragazza, col Sony alle orecchie, sembra
non sentire. Allora Claudio clicca due volte sulla leva delle
luci,
lampeggiando. Francesca se ne accorge, sorride, si leva le
cuffiette e corre veloce verso di lui. S'infila nella macchina.
Gli monta
sopra, quasi un tuffo sulle sue labbra.
"Ciao! Ti desidero! " ed è sincera. E ride. E fa la pazza. E lo
bacia
con forza, con voglia, con passione, morbida, leccandolo,
sorprendendolo
come sempre. Più di sempre.
"Francesca, ma dov'eri tutt'oggi, t'ho cercato."
"Lo so... vedevo il tuo numero, ma non ti volevo rispondere."
"Come non mi volevi rispondere?"
"Sì, non ti devi abituare. Io sono la musica e la poesia... libera
come il mare, come la luna e le sue maree. " E così dicendo
Francesca
gli inizia a sbottonare la camicia e lo bacia sul petto. Poi gli
apre la cinta dei pantaloni e continua a baciarlo, e il bottone, e
la
zip, e poi più giù, ancora più giù, fino ad allargargli le mutande
e
andare avanti, senza paura, senza problemi, come la luna e le sue
maree. Ma questa è una mareggiata! pensa Claudio e si guarda
intorno,
abbassandosi un po' sul sedile, nascondendosi più che può.
Certo che se lo beccano adesso. Altro che una sigaretta e un po'
di riposo. Questi sono atti osceni in luogo pubblico. Una cosa è
sicura, dell'ansia da prestazione nessuna traccia. Spera solo che
non chiami Raffaella in quel momento per sapere come sta andando
la partita di biliardo. Non saprebbe cosa rispondere. È una
partita meravigliosa. Claudio chiude gli occhi, si lascia andare.
E
sogna un panno verde e le palle che vanno in buca, una dopo
l'altra,
senza che neanche le colpisca, così, come per magia. E poi per
ultimo vede anche se stesso su quel panno. Rotola dolcemente,
scivola,
su e giù, fino a sparire dentro l'ultima buca in fondo... ah, sì,
così... che partita!
Francesca si rialza da sotto il cruscotto.
"Vieni, andiamo..." e lo prende per mano e lo tira via senza
neanche fargli chiudere bene il finestrino. Claudio riesce a
malapena
ad abbottonarsi i pantaloni e a mettere l'allarme da lontano
alla Mercedes. Ma che importa? Tanto per 4000 euro, ma vuoi
mettere
con la Z4... quello sì che è un sogno. Proprio come lei, come
Francesca, che saluta il portiere.
"Buonasera, Pino, la diciotto per favore."
"Certo, buonasera signori." Il portiere non fa in tempo a dirlo.
Francesca gli ruba le chiavi dalle mani e spinge Claudio
nell'ascensore.
"Dobbiamo stare attenti..."
Francesca ride e lo zittisce baciandolo, non lo vuole sentire.
"Shht... zitto!"
Ma non può immaginare cosa sta pensando Claudio. Ma scusa,
eravamo già stati in macchina, potevamo andare a prenderci
semplicemente un gelato o una birra o anche un prosecco, che ne
so, e l'ansia da prestazione, poi? Scusa, eh? Claudio sente che
sta
tornando. Cerca di allontanarla.
"Francesca..."
"Sì, tesoro?"
"Mi raccomando, non parlarne mai a nessuno, eh? Neanche alle
persone che pensi non possano mai incontrarmi."
"Ma di cosa?"
"Di noi."
"Noi chi? Non so di chi parli. " E ride e lo bacia di nuovo.
"Vieni,
siamo arrivati." E lo trascina nel corridoio e Claudio quasi
inciampa
e la segue e alla fine si lascia andare scuotendo la testa. Ma
mentre cammina le guarda il sedere. È un tutto "brasileiro". Sodo,
forte, allegro, vivace, ballerino, pazzo... altro che ansia da
prestazione!
Questa è voglia di mareggiata, di cavalcare le onde, di fare
surf, perso in quel mare brasiliano... Un ultimo barlume.
"No, sai, è che mia moglie ha scoperto il fatto che ho comprato
una stecca da biliardo."
"Embe'?"
"Io ho subito detto che era un regalo per una persona che
conosco..."
"Bravo, vedi? Ma ti pare che poi si ricorda di quella sera che
hai giocato a biliardo e ci siamo conosciuti? Ne è passato di
tempo,
che ne può sapere? E poi quel posto è stato chiuso, per questo
ora sto sulla Casilina!"
"No. Non hai capito. Non è che lei sa, lei indovina! "
"Voglio proprio vedere se indovina cosa sto per farti..." e così
dicendo apre la porta, spinge dentro Claudio e chiude la diciotto
alle sue spalle. Claudio finisce sul letto e lei gli salta sopra,
padrona,
selvaggia, oltre la luna e le sue maree. Claudio dimentica ogni
preoccupazione, anche dove si trova. La lascia fare. Poi ha
un'unica
certezza. No, questo non l'avrebbe indovinato mai nessuno.
Neanche sua moglie.
Capitolo 46.
"Allora, entriamo?"
"Certo, perché no?"
"Ma mi sa che non ci fanno passare. Guarda, hanno una lista."
"Ma io qui al Follia li conosco."
"Che palle, ma tu conosci tutti."
"Va be', se proprio ti fa piacere ci mettiamo in fila e paghiamo.
Tanto è il conto di mio fratello."
"Poveraccio. Anche se è ricco, non dilapidare il suo patrimonio.
Una ragazza esce spintonata da dietro. I due buttafuori sulla
porta fanno appena in tempo a levare la catena. Una specie di
energumeno
dai capelli lunghi esce dietro di lei e le dà un'altra spinta.
"E muoviti, che hai rotto il cazzo!"
La ragazza prova a dire qualcosa, ma non fa in tempo. Un'altra
spinta spezza al volo le sue parole e si ritrova sul cofano di una
macchina posteggiata. Il tipo sudato con i capelli unti le mette
la
mano sulla faccia.
"Allora? T'ho visto che guardavi quello biondo."
Gin non riesce a parlare, guarda incredula la vicenda.
Il toro scatenato chiude la mano trasformandola in un pugno pieno
di rabbia e di violenza, digrigna i denti, ha la faccia da pazzo.
"Te l'ho detto mille volte, porca troia!"
E senza pietà la colpisce in pieno petto.
La ragazza si piega in due e si porta le braccia al volto
coprendosi
impaurita. Gin non si trattiene ed esplode, sembra fuori di sé.
"Oh, ma basta... Falla finita."
Il tipo si gira verso di noi, stringe gli occhi e mette a fuoco
Gin
che lo guarda spavalda.
"E te, che cazzo vuoi?"
"Che la lasci perdere. Vigliacco schifoso! "
Fa un passo verso di lei, ma non gliene lascio il tempo, la tiro
per un braccio portandola dietro di me.
"Ehi, calma. Le dà fastidio la tua scena. È chiaro?"
"E'sticazzi!"
Rimango per un attimo in silenzio, provo a contare, non voglio
partire. La prima vera uscita con Gin... Non mi sembra proprio il
caso.
Il tipo: "Allora?". v
Allarga le gambe. È pronto a litigare. Che palle... I due
buttafuori
si mettono in mezzo.
"Calma, è tutto sotto controllo."
Sembrano preoccupati. Strano. Non mi conoscono. Forse conoscono
il tipo. È bello grosso, piazzato, tosto. Devono temere lui.
Ma è nervoso, rabbioso, cattivo. Non sembra lucido. La rabbia a
volte offusca e fa perdere la calma, la freddezza. La cosa più
importante.
Grosso è grosso comunque.
"Calma, Giorgio. Non t'ha detto niente di male. Stai litigando
con la tua ragazza qui davanti a tutti e può capitare che
qualcuno..."
Lo conoscono. Questo non va bene.
"Non è che può capitare, deve capitare! Sta massacrando quella
poveraccia."
Gin non riesce proprio a star zitta. E questo è ancora peggio.
Non solo. Continua.
"Bravo, ti credi figo? Pensa che invece sei solo un coglione."
I due buttafuori impallidiscono. Mi guardano con una faccia
come a dire "E mo', come cazzo la mettiamo?". Il toro sembra non
aver sentito. E attonito, privo di parole, scuote la testa
rintronato,
come se quelle parole fossero state un tir in pieno viso, un
mantello
rosso aperto all'improvviso in piena arena. La ragazza alle sue
spalle si massaggia il petto, piange e tira su con il naso. Sembra
non
riuscire a respirare bene, il suo petto fa su e giù con uno strano
asincronismo in quel grande silenzio che si è creato.
"Ehi, cazzo Step, che succede? Forza, vieni dentro. Eri sparito
eh? Raccontami..."
Mi giro, è il Ballerino. Lui sta da sempre qui al Follia, non si è
mai allontanato, lui.
"Ma da quanto sei tornato?"
"Be', sarà un mesetto..."
"E non ti sei neanche fatto sentire! Che stronzo! Dai, vieni
dentro
dai che c'è una festa, stiamo tagliando una torta buonissima, alla
mimosa. Dai. Te ne freghi un bel pezzo per te e la tua signora. È
bona, dolce e in più non paghi, no?"
"Ma che la mia signora?"
"No, la torta."
Ride e comincia a tossire. Che le mille sigarette spente e
assopite
giù nei suoi polmoni si siano divertite anche loro come pazze
a quella battuta così scema?
Faccio per girarmi ed entrare, seguito da Gin, dai due buttafuori.
Ma in realtà è come se guardassi ancora indietro. È come se
i miei occhi non lo perdessero mai di vista. Ho le orecchie tese,
i
sensi svegli, in guardia. Infatti. Non mi ero sbagliato. Tre passi
veloci
alle mie spalle, uno scalpiccio strano e d'istinto mi piego in
avanti girandomi su me stesso. Ecco che arriva come una furia. Il