8

Tenendo le spalle curve e il capo basso, con il braccio paralizzato che gli pendeva lungo il fianco, Thorn sedeva nella sua cella oscura, come se l’intero peso della Stella Nera… fino all’altezza del gelido pinnacolo che sfiorava le nubi, là dove “loro” tenevano consiglio… gravasse su di lui. La sua mente era stanca all’inverosimile, oppressa dal mondo contorto e tirannico nel quale era caduto, dal corpo dolorante che non era il suo, del cervello che si rifiutava di pensare i suoi pensieri nel modo da lui desiderato.

Eppure, in un certo senso, la mente umana è instancabile… uno strumento costruito per decenni di pensieri e sogni ininterrotti. E così Thorn continuò a pensare, meditando su disgrazie, paure e rimpianti, cercando di aprire la porta chiusa che dava sui ricordi di quel cervello straniero, preparando piani senza speranza. E soprattutto affrontò con un’intensità da incubo il problema del ritorno al suo mondo d’origine, e gli enigmi paradossali a esso connessi. Thorn si disse che lui doveva fare ancora uso, seppure parzialmente, del cervello che si trovava nel Mondo Numero 1… per dargli un nome… proprio come Thorn II… anche qui, per dargli un nome… si serviva di quei ricordi nascosti dietro a una porta chiusa. Ogni pensiero doveva essere basato su un cervello fisico: il pensiero non poteva esistere nel nulla. E inoltre, dato che gli Universi Uno e Due… anche qui, per dare loro un nome… erano creazioni spaziotemporali indipendenti e autonome, non poteva esistere tra di loro una comune relazione spaziale… non potevano essere né lontani, né vicini tra loro. L’unico legame tra di loro sembrava costituito dalla forza mentale di cervelli quasi uguali, e questi legami non erano sottoposti alle leggi della distanza, nel senso letterale della parola. Il suo passaggio nel Mondo II era sembrato istantaneo; di conseguenza, da un punto di vista pragmatista, i due universi dovevano essere considerati in una specie di sovraimpressione. Il fatto di trovarsi in uno o nell’altro era semplicemente una questione di punti di vista.

Così vicino, eppure così lontano. Così diabolicamente simile che veniva spontaneo tentare di svegliarsi dall’incubo… e l’oscurità della sua cella aumentava questa similitudine. Doveva soltanto radunare energia mentale a sufficienza, trovare l’impeto sufficiente, per costringere l’altro Thorn a cambiare nuovamente i suoi punti di vista. Eppure, mentre si sforzava di penetrare incredibili abissi di eternità nelle tenebre, mentre cercava di affondare, di cadere, di scendere nelle oscure gallerie del suo subcosciente, mentre le trovava chiuse, impenetrabili, mentre incontrava la resistenza ferrea dell’altro Thorn, cominciò a pensare che lo sforzo fosse impossibile… cominciò perfino a domandarsi se il Mondo I non fosse stato il bel sogno di un individuo perseguitato, frustrato e senza memoria, figlio di un mondo nel quale invisibii tiranni preparavano un’incomprensibile invasione, costruivano macchine inesplicabili, e piegavano milioni di esseri umani ai loro voleri nascosti.

Perlomeno, lui non era capace di scoprire in se stesso la forza sufficiente per riuscire, qualunque essa fosse.

Una fessura verticale di luce apparve, si allargò, divenne un quadrato, rivelò un lungo corridoio. E nel corridoio, accompagnato da due guardie in uniforme nera, c’era Clawly.

Quella figura nervosa era così simile a quella del Clawly che conosceva… vestito di uno strano abito, e intento a interpretare una parte… che a malapena riuscì a trattenere un saluto amichevole.

E poi, pensare che la mente di quel Clawly era legata a quella dell’altro, che al di là della mente cosciente si muovevano i pensieri del suo amico… era una cosa che faceva girare la testa. Osservò quel volto cinico e ironico, affascinato.

Clawly II parlò: — Considerati fortunato. E lusingato. Ti consegnerò personalmente ai Servitori del Popolo. Vogliono essere loro a decidere, nel tuo caso, tra l’immediato sacrificio spontaneo, la confessione incoraggiata, o qualcos’altro. — Ridacchiò, senza malizia personale. — I Servitori hanno creato degli eufemismi molto divertenti per le parole Morte e Tortura, vero? La cosa strana è che sembrano prenderli sul serio… gli eufemismi, intendo.

Le guardie in uniforme, sui cui solidi volti erano impressi anni di obbedienza senza domande a ordini incomprensibili, non risero. Semmai, sembravano vagamente colpite.

Thorn si alzò in piedi a fatica e si face avanti, lentamente, comprendendo che così facendo accettava un destino che non era il suo ma che era ineluttabile come ogni destino, e faceva il suo ingresso su un palcoscenico sconosciuto, per recitare una commedia sconosciuta. Percorsero il corridoio; le guardie si misero alle loro spalle.

— Sei un assassino meno abile di quanto avessi immaginato, se mi perdoni la critica — disse Clawly II, dopo un istante. — Gridare il mio nome per cogliermi di sorpresa… un trucco piuttosto misero. E poi, lasciar cadere la tua arma nel letto del torrente… No… non direi che la cosa è stata fatta con competenza. Temo che la tua reputazione di Recalcitrante più pericoloso abbia subito un duro colpo. Ma certo, la fatica logora, e tu eri stanco.

Thorn capì che in quelle parole c’era molto di più del semplice compiacimento per la sconfitta del nemico. Senza dubbio, Clawly II si rendeva vagamente conto che qualcosa non andava, e stava cercando di capire il motivo di questa sensazione. Thorn rimase in guardia, dato che aveva deciso perlomeno una cosa, nel buio della cella… di non rivelare di essere una mente sostituita, se non per sfuggire a una morte immediata. Sarebbe stato tutto a posto, se lo avessero considerato semplicemente pazzo. Ma qualcosa gli diceva che non sarebbe stato così.

Clawly II lo fissò con curiosità!

— Piuttosto silenzioso, eh? L’ultima volta che ci siamo incontrati, ricordo, tu mi denunciasti… o denunciasti forse ciò che rappresentavo?… usando il linguaggio più crudo, pur con un controllo di te stesso ammirevole. Forse stai cominciando a cambiare idea, sulla bontà delle idee dei recalcitranti? Temo che sia piuttosto tardi, ormai.

Attese per qualche istante. Poi:

— Sei tu a odiarmi, lo sai. Io non odio nessuno. — Vide la smorfia involontaria che Thorn faceva per nascondere il dolore provocato dalla spalla. — Oh, a volte faccio male alla gente, ma si tratta di semplice adattamento alle circostanze… è un’altra cosa. Il mio ideale, che sono convinto di avere raggiunto, è sempre stato quello di essere perfettamente adattato a qualsiasi circostanza della vita, di galleggiare libero sul fiume dell’esistenza, senza essere appesantito da sentimenti di odio, amore, paura, presentimento, colpa, responsabilità, e così via… godendomi sempre lo spettacolo, intervenendo di quando in quando.

Thorn ammiccò… le parole di Clawly II erano sorprendentemente simili a quelle pronunciate da Clawly I quando si trovava di pessimo umore. Certo, l’uomo doveva avere qualche sospetto, e cervava di farlo parlare… altrimenti non avrebbeo mai parlato a quel modo. E poi, Thorn pensò che Clawly II fosse disturbato da un inesplicabile sentimento di affetto e di simpatia, e cercasse di scoprirne il motivo. Forse l’indipendenza delle menti quasi duplicate non era così completa come era sembrato all’inizio. Forse le emozioni di Clawly I filtravano in maniera inesplicabile nella mente di Clawly II. Era tutto confuso, snervante, e Thorn fu sollevato quando entrarono in una grande sala, rimandando così il momento in cui egli avrebbe dovuto decidere come rispondere.

Era una sala divisa in due parti, nel senso più completo della parola, soprattuto perché nelle due zone di cui si componeva, si trovavano due sistemi di vita completamente diversi, divisi come e più che se ci fosse stata una linea divisoria al centro, e un cartello con la scritta TU NON PASSERAI. Dalla parte in cui si trovava Thorn, c’era una piccola folla di persone che sedevano su lunghe panche, alcune in uniforme nera, altre vestite di grigio. Erano tutti in attesa… questo era evidente: in attesa di ordini, di permessi, di giudizio, di interrogatorio. In loro era evidente quel miscuglio di ansia e di noia caratteristico delle persone che dovevano attendere. Tre parole balenarono nella mente di Thorn, per definire quella gente. Loro non sapevano.

D’altra parte c’erano poche persone… una mezza dozzina, sedute dietro diverse scrivanie. La loro superiorità non era fatta risaltare esteriormente. I loro abiti erano, se possibile, ancora più disadorni e severi di quelli della popolazione, e le scrivanie non erano affatto lussuose. Ma qualcosa nel loro modo di fare, negli sguardi che lanciavano di quando in quando, sollevando gli occhi dal lavoro che stavano facendo, metteva un abisso tra loro e quelli che attendevano con ansia. Questa volta furono sufficienti soltanto due parole. Essi sapevano.

L’arrivo di Clawly II sembrò causare un aumento dell’ansia generale. Perlomeno, Thorn vide diversi sguardi spaventati, e avvertì un senso di generale sollievo quando divenne chiaro che la missione di Clawly II non riguardava nessuno degli astanti. Thorn notò anche che le due guardie sembravano sollevate, quando Clawly ordinò loro di andarsene.

Un altro sguardo che Thorn credette di avere visto fu di natura completamente diversa, e notevolmente sconcertante. Era diretto a lui, piuttosto che a Clawly II. Veniva da un uomo anziano, vestito di grigio, il cui volto non era conosciuto da Thorn, né in quel mondo, né nell’altro. E se Thorn non si era sbagliato, aveva letto in quello sguardo simpatia, ansietà e… la cosa più strana di tutte… devozione. Comunque, se Thorn II era stato una specie di capo ribelle, l’incidente era comprensibile. Thorn tremò, chiedendosi se con il suo comportamento non avesse tradito un’idea nobile e degna in questo mondo come aveva fatto nel suo.

Clawly II sembrava una persona dalla reputazione notevole anche dall’altra parte della sala, perché quando annunciò bruscamente: — Alla Sala dei Servitori, con una persona per i Servitori — nessuno dei sei gli pose domande, ed egli poté passare tranquillamente con il suo prigioniero.

Entrarono in un nuovo corridoio, e l’ambiente che li circondava cominciò a mutare con rapidità sconcertante. Pochi passi li condussero a una galleria subtronica. Thorn fu lieto che lo stupore gli avesse fatto compiere un movimento falso, quando la corrente subtronica lo afferrò e lo trasportò in aria, perché un rapido sguardo lanciato a Clawly II gli fece capire che una sua eccessiva dimestichezza nei confronti di questo tipo di trasporto sarebbe risultata assai sospetta.

E in quel momento, per la prima volta dopo il suo arrivo nel Mondo II, la mente di Thorn cominciò a funzionare con chiarezza. Forse si era trattato dell’effetto della familiare corrente subtronica.

Era ovvio che nel Mondo II l’energia subtronica era il segreto più gelosamente conservato da parte di una ristretta minoranza dominante. Dall’altra parte della linea divisoria, nessun segno aveva fatto pensare alla sua esistenza. Inoltre, questo avrebbe spiegato per quale motivo i soldati e gli operai venivano tenuti nell’ignoranza della vera natura di alcuni degli oggetti che costruivano o delle armi che usavano. Questo avrebbe anche spiegato la necessità di una produzione addirittura mastodontica… c’erano due sistemi di vita basati su energie completamente diverse, da mantenere in vita.

Poi, le relazioni tra il Mondo I e il Mondo II. Per quanto potessero essere simili… era immaginabile l’idea che due universi eternamente indipendenti avessero potuto produrre due Croci d’Opale, Gemelli Grigi, Clawly, Thorn, e un numero incalcolabile di doppi, quasi perfettamente uguali tra di loro; se si partiva da questa base, si poteva formulare qualsiasi teoria. No… i due mondi dovevano essere il risultato di una spaccatura nel corso del tempo, dovuta a cause ignote, e in epoca abbastanza recente, perché i due mondi contenevano individui duplicati ed era nuovamente inimmaginabile l’idea che, se la spaccatura era avvenuta, per esempio, cento anni prima, gli stessi individui fossero nati nei due mondi… gli stessi gameti, in circostanze diverse, che si univano sempre per formare gli stessi zigoti.

La spaccatura doveva essere avvenuta… ma certo!… quando l’aumento degli incubi era iniziato sul Mondo I. Circa trent’anni prima.

Ma… la mente di Thorn si ribellava all’idea… era possibile che due mondi diventassero così diversi, in un breve periodo di tempo? Libertà in uno, tirannia nell’altro. Persone normali in uno, mostri emotivi e subordinati inaspriti e miseri nell’altro. Era orribile pensare che la natura umana, specialmente la natura delle persone che si conoscevano e si amavano e si rispettavano, potesse mutare tanto, in circostanze diverse.

Eppure… il mondo moderno era stato un continuo succedersi di mutamenti. Le guerre avrebbero potuto scoppiare, erano scoppiate, ed erano durate lo spazio di una notte. Spaventosi cambiamenti tecnologici si erano verificati nel giro di pochi mesi. E partendo da una differenza iniziale immensa, come quella di tenere l’energia subtronica come un segreto del governo nel Mondo II, e di renderla pubblica proprietà nel Mondo I…

Comunque, c’era un sistema, per controllare. Senza fermarsi a riflettere, Thorn disse: — Ricordi quando eravamo bambini? Giocavamo sempre insieme. Una volta giurammo un patto di eterna amicizia.

Clawly II si voltò, mentre la corrente li spingeva lungo la galleria subtronica, sulla quale si apriva una teoria di sbocchi di corridoi.

— Stai proprio crollando — disse, sorpreso. — Non mi sarei mai aspettato di vederti recitare una scena madre per ottenere comprensione. Sì, certo che lo ricordo.

— E poi, circa due anni dopo — continuò Thorn. — Quando il nostro idroplano cadde nel lago e io persi i sensi, tu mi portasti a riva.

Clawly II rise, ma l’espressione perplessa dei suoi occhi divenne più profonda.

— Credevi davvero che io ti avessi salvato? Il tuo comportamento nei miei riguardi, dopo, non sembra dimostrarlo. No, come credo tu sappia, nuotai da solo fino a riva. Fu quello il giorno in cui per la prima volta capii che io ero io, e che tutto e tutti, all’infuori di me, erano circostanze.

Thorn rabbrividì, sia per l’errore che gli provocava la presenza di un simile comportamento nell’amico, sia per la soddisfazione di avere scoperto la data della spaccatura temporale. Poi sentì che in lui sorgeva il disgusto, molto più dal corpo che occupava che dalla sua mente.

— Nel mondo non c’è posto nemmeno per due persone che abbiano queste idee — sentì che la sua voce diceva amaramente, con aria di sfida.

— Sì, ma c’è posto per una — disse ridendo Clawly II. Poi aggrottò le sopracciglia e proseguì, come se parlasse sapendo che sarebbe stato meglio tacere: — Senti, perché non provi a fare la stessa cosa? Hai una sola possibilità, con i Servitori, ed è quella di essere utile a loro. Ricorda, anche loro sono qualcosa a cui ci si deve adeguare.

Per un istante sembrò a Thorn che Clawly I stesse lottando per guardare attraverso gli occhi di Clawly II. Mentre cercava di controllare le contrastanti emozioni provocate in lui dalla vista di quella strana espressione, Clawly II lo afferrò per un braccio e lo guidò verso la zona più lenta della corrente, la zona eterna, poi verso una zona d’immobilità che si trovava davanti a un corridoio.

— Non parlare, d’ora in poi — disse Clawly — ma ricorda il mio consiglio.

All’ingresso del corridoio c’erano delle guardie dal volto grifagno, ma bastò nuovamente un semplice — Con una persona per i Servitori — a farli passare.

Una porta bassa e grigia, senza numeri né insegne, si trovava alla fine del corridoio. A pochi metri di distanza si trovava una stretta porta secondaria. Clawly II toccò qualcosa, e la porta secondaria si aprì. Thorn lo seguì all’interno. Dopo qualche passo lungo un corridoio immerso nella penombra e in leggera discesa, arrivarono in una stanza ampia, ma Clawly II si fermò all’ingresso. Toccò nuovamente qualcosa. Una porta uscì silenziosamente dalla parete, alle loro spalle, mutando l’ultima parte del corridoio in una oscura nicchia della stanza che si trovava davanti a loro. Clawly II indicò a Thorn di attendere e osservare, e si appoggiò alla parete con un lieve sorriso.

Загрузка...