IL CONTE DI CARMAGNOLA

SCENA VI

IL CONTE, GONZAGA, ORSINI, TOLENTINO,

altri CONDOTTIERI

IL CONTE

Compagni, udiste

la lieta nova: l’inimico ha fatto

ciò ch’io volea; così voi pur farete.

E il sol che sorge, a ognun di noi, lo giuro, 295

il più bel dì di nostra vita apporta.

Non è tra voi chi una battaglia aspetti

per farsi un nome, il so; ma questa sera

l’avrem più glorioso; e la parola

che al nostro orecchio sonerà più grata, 300

omai fia quella di Maclodio. Orsini,

son pronti i tuoi?

ORSINI

Sì.

IL CONTE

Corri all’imboscate

sulla destra dell’argine; raggiungi

quei che vi stanno, e prendine il comando.

E tu a sinistra, o Tolentino. E quindi 305

non vi movete, che non sia lo scontro

incominciato; quando ei fia, correte

alle spalle al nemico. Udite entrambi.

Se dell’insidie egli s’avvede, e tenta

ritrarsi, appena avrà voltato il dorso, 310

siategli addosso uniti: io son con voi.

Provochi, o fugga, oggi dev’esser vinto.

ORSINI

E lo sarà.

(parte)

TOLENTINO

T’ubbidirem, vedrai.

(parte)

IL CONTE

(agli altri)

Tu, Gonzaga, al mio fianco. I posti a voi

assegnerò sul campo. Andiam, compagni; 315

si resista al prim’urto: il resto è certo.


CORO

S’ode a destra uno squillo di tromba;

a sinistra risponde uno squillo:

d’ambo i lati calpesto rimbomba

da cavalli e da fanti il terren.

Quinci spunta per l’aria un vessillo; 5

quindi un altro s’avanza spiegato:

ecco appare un drappello schierato;

ecco un altro che incontro gli vien.

Già di mezzo sparito è il terreno;

già le spade rispingon le spade; 10

l’un dell’altro le immerge nel seno;

gronda il sangue; raddoppia il ferir.

— Chi son essi? Alle belle contrade

qual ne venne straniero a far guerra?

Qual è quei che ha giurato la terra 15

dove nacque far salva, o morir?

— D’una terra son tutti: un linguaggio

parlan tutti: fratelli li dice

lo straniero: il comune lignaggio

a ognun d’essi dal volto traspar. 20

Questa terra fu a tutti nudrice,

questa terra di sangue ora intrisa,

che natura dall’altre ha divisa,

e ricinta con l’alpe e col mar.

— Ahi! Qual d’essi il sacrilego brando 25

trasse il primo il fratello a ferire?

Oh terror! Del conflitto esecrando

la cagione esecranda qual è?

— Non la sanno: a dar morte, a morire

qui senz’ira ognun d’essi è venuto; 30

e venduto ad un duce venduto,

con lui pugna, e non chiede il perché.

— Ahi sventura! Ma spose non hanno,

non han madri gli stolti guerrieri?

Perché tutte i lor cari non vanno 35

dall’ignobile campo a strappar?

E i vegliardi che ai casti pensieri

della tomba già schiudon la mente,

ché non tentan la turba furente

con prudenti parole placar? 40

— Come assiso talvolta il villano

sulla porta del cheto abituro,

segna il nembo che scende lontano

sopra i campi che arati ei non ha;

così udresti ciascun che sicuro 45

vede lungi le armate coorti,

raccontar le migliaia de’ morti,

e la pieta dell’arse città.

Là, pendenti dal labbro materno

vedi i figli che imparano intenti 50

a distinguer con nomi di scherno

quei che andranno ad uccidere un dì;

qui le donne alle veglie lucenti

de’ monili far pompa e de’ cinti,

che alle donne diserte de’ vinti 55

il marito o l’amante rapì.

— Ahi sventura! sventura! sventura!

Già la terra è coperta d’uccisi;

tutta è sangue la vasta pianura;

cresce il grido, raddoppia il furor. 60

Ma negli ordini manchi e divisi

mal si regge, già cede una schiera;

già nel volgo che vincer dispera,

della vita rinasce l’amor.

Come il grano lanciato dal pieno 65

ventilabro nell’aria si spande;

tale intorno per l’ampio terreno

si sparpagliano i vinti guerrier.

Ma improvvise terribili bande

ai fuggenti s’affaccian sul calle; 70

ma si senton più presso alle spalle

anelare il temuto destrier.

Cadon trepidi a pié de’ nemici,

gettan l’arme, si danno prigioni:

il clamor delle turbe vittrici 75

copre i lai del tapino che mor.

Un corriero è salito in arcioni;

prende un foglio, il ripone, s’avvia,

sferza, sprona, divora la via;

ogni villa si desta al rumor. 80

Perché tutti sul pesto cammino

dalle case, dai campi accorrete?

Ognun chiede con ansia al vicino,

che gioconda novella recò?

Donde ei venga, infelici, il sapete, 85

e sperate che gioia favelli?

I fratelli hanno ucciso i fratelli:

questa orrenda novella vi do.

Odo intorno festevoli gridi;

s orna il tempio, e risona del canto; 90

già s’innalzan dai cori omicidi

grazie ed inni che abbomina il ciel.

Giù dal cerchio dell’alpi frattanto

lo straniero gli sguardi rivolve;

vede i forti che mordon la polve, 95

e li conta con gioia crudel.

Affrettatevi, empite le schiere,

sospendete i trionfi ed i giochi,

ritornate alle vostre bandiere:

lo straniero discende; egli è qui. 100

Vincitor! Siete deboli e pochi?

Ma per questo a sfidarvi ei discende;

e voglioso a quei campi v’attende

dove il vostro fratello perì.

Tu che angusta a’ tuoi figli parevi, 105

tu che in pace nutrirli non sai,

fatal terra, gli estrani ricevi:

tal giudizio comincia per te.

Un nemico che offeso non hai,

a tue mense insultando s’asside; 110

degli stolti le spoglie divide;

toglie il brando di mano a’ tuoi re.

Stolto anch’esso! Beata fu mai

gente alcuna per sangue ed oltraggio?

Solo al vinto non toccano i guai; 115

torna in pianto dell’empio il gioir.

Ben talor nel superbo viaggio

non l’abbatte l’eterna vendetta;

ma lo segna; ma veglia ed aspetta;

ma lo coglie all’estremo sospir. 120

Tutti fatti a sembianza d’un Solo,

figli tutti d’un solo Riscatto,

in qual ora, in qual parte del suolo,

trascorriamo quest’aura vital,

siam fratelli; siam stretti ad un patto: 125

maledetto colui che l’infrange,

che s’innalza sul fiacco che piange,

che contrista uno spirto immortal!


FINE DELL’ATTO SECONDO


ATTO TERZO

SCENA I

Tenda del Conte.

IL CONTE e IL PRIMO COMMISSARIO

IL CONTE

Siete contenti?

PRIMO COMMISSARIO

Udir l’alto trionfo

della patria; vederlo; essere i primi

a salutarla vincitrice; a lei

darne l’annunzio; assistere alla fuga

de’ suoi nemici; e mentre al nostro orecchio 5

rimbomba il suon della minaccia ancora,

veder la gloria sua fuor del periglio

uscir raggiante e più che mai serena,

come un sol dalle nubi; è gioia questa

forse, o signor, cui la parola arrivi? 10

Voi la vedete: essa vi sia misura

della riconoscenza; e ben ci tarda

di rendervi tai grazie in altro nome

che non è il nostro, e del Senato a voi

riferir la letizia e il guiderdone. 15

Ei sarà pari al merto.

IL CONTE

Io già lo tengo.

Venezia è salva; ho liberata in parte

una grande promessa; ho fatto alfine

risovvenir di me tal che m’avea

dimenticato; ho vinto.

PRIMO COMMISSARIO

Ed or si vuole 20

assicurar della vittoria il frutto.

IL CONTE

.... Questa è mia cura.

PRIMO COMMISSARIO

Or che dal vostro brando

sgombra è la via, noi ci aspettiam che tutta

voi la farete, né starem fin tanto

che non si giunga del nemico al trono. 25

IL CONTE

Quando fia tempo.

PRIMO COMMISSARIO

E che? Voi non volete

inseguire i fuggenti?

IL CONTE

Ora non voglio.

PRIMO COMMISSARIO

Ma il Senato lo crede... E noi ben certi

che pari all’alta occasion, che pari

alla vittoria il vostro ardor saria 30

nel proseguirla, abbiamo a lui...

IL CONTE

Vi siete

troppo affrettati.

PRIMO COMMISSARIO

E che dirà mai quando

udrà che ancor siam qui?

IL CONTE

Dirà, che il meglio

è di fidarsi a chi per lui già vinse.

PRIMO COMMISSARIO

Ma... che pensate far?

IL CONTE

Ve l’avrei detto 35

più volentier pochi momenti or sono;

pur convien ch’io vel dica. Io non mi voglio

allontanar di qui pria ch’espugnate

non sian le rocche che ci stan d’intorno.

Voglio un solo nemico, e quello in faccia. 40

PRIMO COMMISSARIO

Or dunque i nostri voti...

IL CONTE

I vostri voti

più arditi son del brando mio, più rapidi

de’ miei cavalli;... ed io... la prima volta

è che mi sento dir pur ch’io m’affretti.

PRIMO COMMISSARIO

Ma pensaste abbastanza?

IL CONTE

E che! Sì nova 45

mi giunge una vittoria? E vi par egli

che questa gioia mi confonda il core

tanto che il primo mio pensier non sia

per ciò che resta a far?

SCENA II

IL SECONDO COMMISSARIO, e detti.

SECONDO COMMISSARIO

(al Conte)

Signor, se tosto

non correte al riparo, una sfacciata 50

perfidia s’affatica a render vana

sì gran vittoria; e già l’ha fatto in parte.

IL CONTE

Come?

SECONDO COMMISSARIO

I prigioni escon del campo a torme;

i condottieri ed i soldati a gara

li mandan sciolti, né tener li puote 55

fuor che un vostro comando.

IL CONTE

Un mio comando?

SECONDO COMMISSARIO

Esitereste a darlo?

IL CONTE

È questo un uso

della guerra, il sapete. È così dolce

il perdonar quando si vince! e l’ira

presto si cambia in amistà ne’ cori 60

che batton sotto il ferro. Ah! non vogliate

invidiar sì nobil premio a quelli

che hanno per voi posta la vita, ed oggi

son generosi, perché ier fur prodi.

SECONDO COMMISSARIO

Sia generoso chi per sé combatte, 65

signor; ma questi, e ad onor l’hanno, io credo,

al nostro soldo han combattuto; e nostri

sono i prigioni.

IL CONTE

E voi potete adunque

creder così: quei che gli han visti a fronte,

che assaggiaro i lor colpi, e che a fatica 70

su lor le mani insanguinate han poste,

nol crederan sì di leggieri.

PRIMO COMMISSARIO

È questa

dunque una giostra di piacer? Non vince

per conservar, Venezia? E vana al tutto

fia la vittoria?

IL CONTE

Io già l’udii, di novo 75

la devo udir questa parola: amara,

importuna mi vien come l’insetto

che, scacciato una volta, anco a ronzarmi

torna sul volto... La vittoria è vana?

Il suol d’estinti ricoperto, sparso 80

e scoraggiato il resto... il più fiorente

esercito! col qual, se unito ancora

e mio foss’egli, e mio davver, torrei

a correr tutta Italia; ogni disegno

dell’inimico al vento; anche il pensiero 85

dell’offesa a lui tolto; a stento usciti

dalle mie mani, e di fuggir contenti

quattro tai duci, contro a’ quai pur ieri

era vanto il resistere; svanito

mezzo il terror di que’ gran nomi; ai nostri 90

raddoppiato l’ardir che agli altri è scemo;

tutta la scelta della guerra in noi;

nostre le terre ch’egli han sgombre... è nulla?

Pensate voi che torneranno al Duca

que’ prigioni? che l’amino? che a loro 95

caglia di lui più che di voi? ch’egli abbiano

combattuto per esso? Han combattuto

perché all’uomo che segue una bandiera,

grida una voce imperiosa in core:

combatti, e vinci. E’ son perdenti; e’ sono 100

tornati in libertà; si venderanno...

oh! tale ora è il soldato... a chi primiero

li comprerà... Comprateli, e son vostri.

PRIMO COMMISSARIO

Quando assoldammo chi dovea con essi

pugnar, comprarli noi credemmo allora. 105

SECONDO COMMISSARIO

Signor, Venezia in voi si fida; in voi

vede essa un figlio; e quanto all’util suo,

alla sua gloria può condur, s’aspetta

che si faccia da voi.

IL CONTE

Tutto ch’io posso.

SECONDO COMMISSARIO

Ebben, che non potete in questo campo? 110

IL CONTE

Quel che chiedete: un uso antico, un uso

caro ai soldati violar non posso.

SECONDO COMMISSARIO

Voi cui nulla resiste, a cui sì pronto

tien dietro ogni voler, sì ch’uom non vede

se per amore o per timor si pieghi, 115

voi non potreste in questo campo, voi

fare una legge, e mantenerla?

IL CONTE

Io dissi

ch’io non potea: meglio or dirò: nol voglio.

Non più parole; con gli amici è questo

il mio costume antico, ai giusti preghi 120

soddisfar tosto e lietamente, e gli altri

apertamente rifiutar. Soldati!

SECONDO COMMISSARIO

Ma... che disegno è il vostro?

IL CONTE

Or lo vedrete.

(a un Soldato che entra)

Quanti prigion restano ancora?

IL SOLDATO

Io credo

quattrocento, signor.

IL CONTE

Chiamali... chiama 125

i più distinti... quei che incontri i primi:

vengan qui tosto.

(parte il Soldato)

Io ’l potrei certo... Ov’io

dessi un tal cenno, non s’udria nel campo

una repulsa; ma i miei figli, i miei

compagni del periglio e della gioia, 130

quei che fidano in me, che un capitano

credon seguir sempre a difender pronto

l’onor della milizia ed il vantaggio,

io tradirli così! Farla più serva,

più vil, più trista che non è!... Signori, 135

fidente io son, come i soldati il sono;

ma se cosa or da me chiedete a forza,

che mi tolga l’amor de’ miei compagni,

se mi volete separar da quelli,

e a tal ridurmi ch’io non abbia appoggio 140

altro che il vostro, mio malgrado il dico,

m’astringerete a dubitar...

SECONDO COMMISSARIO

Che dite!

SCENA III

I PRIGIONIERI, tra i quali PERGOLA figlio, e detti.

IL CONTE

(ai Prigionieri)

O prodi indarno, o sventurati!... A voi

dunque fortuna è più crudel? voi soli

siete alla trista prigionia serbati? 145

UN PRIGIONIERE

Tale, eccelso signor, non era il nostro

presentimento allor che a voi dinanzi

fummo chiamati, udir ci parve il messo

di nostra libertà. Già tutti l’hanno

ricovrata color che agli altri duci, 150

minor di voi, caddero in mano; e noi...

IL CONTE

Voi, di chi siete prigionier?

IL PRIGIONIERE

Noi fummo

gli ultimi a render l’armi. In fuga o preso

già tutto il resto, ancor per pochi istanti

fu sospesa per noi l’empia fortuna 155

della giornata; alfin voi feste il cenno

d’accerchiarci, o signor: soli, non vinti,

ma reliquie de’ vinti, al drappel vostro...

IL CONTE

Voi siete quelli? Io son contento, amici,

di rivedervi; e posso ben far fede 160

che pugnaste da prodi: e se tradito

tanto valor non era, e pari a voi

sortito aveste un condottier, non era

piacevol tresca esservi a fronte.

IL PRIGIONIERE

Ed ora

ci fia sventura il non aver ceduto 165

che a voi, signore? E quelli a cui toccato

men glorioso è il vincitor, l’avranno

trovato più cortese? Indarno ai vostri

la libertà chiedemmo; alcun non osa

dispor di noi senza l’assenso vostro; 170

ma cel promiser tutti. Oh! se potete

mostrarvi al Conte, ci dicean: non egli

certo dei vinti aggraverà la sorte;

non fia certo per lui tolta un’antica

cortesia della guerra,... ei che sapria 175

esser piuttosto ad inventarla il primo.

IL CONTE

(ai Commissari)

Voi gli udite, o signori... Ebben, che dite?...

Voi, che fareste?...

(ai Prigionieri)

Tolga il ciel che alcuno

più altamente di me pensi ch’io stesso.

Voi siete sciolti, amici. Addio: seguite 180

la vostra sorte, e s’ella ancor vi porta

sotto una insegna che mi sia nemica...

ebben, ci rivedremo.

(segni di gioia tra i Prigionieri, che partono;

il Conte osserva il Pergola figlio, e lo ferma)

O giovinetto,

tu del volgo non sei; l’abito, e il volto

ancor più chiaro il dice; e ti confondi 185

con gli altri, e taci?

PERGOLA FIGLIO

O capitano, i vinti

non han nulla da dir.

IL CONTE

La tua fortuna

porti così, che ben ti mostri degno

d’una miglior. Quale è il tuo nome?

PERGOLA FIGLIO

Un nome

cui crescer pregio assai difficil fia, 190

che un grande obbligo impone a chi lo porta:

Pergola è il nome mio.

IL CONTE

Che? Tu sei figlio

di quel valente?

PERGOLA FIGLIO

Il son.

IL CONTE

Vieni ed abbraccia

l’antico amico di tuo padre. Io era

quale or tu sei, quando il conobbi in prima. 195

Tu mi rammenti i lieti giorni, i giorni

delle speranze. E tu fa cor: fortuna

più giocondi princìpi a me concesse;

ma le promesse sue sono pei prodi;

e o presto o tardi essa le adempie. Il padre 200

per me saluta, o giovinetto, e digli

ch’io non tel chiesi, ma che certo io sono

ch’ei non volea questa battaglia.

PERGOLA FIGLIO

Ah! certo,

non la volea; ma fur parole al vento.

IL CONTE

Non ti doler: del capitano è l’onta 205

della sconfitta; e sempre ben comincia

chi da forte combatte ove fu posto.

Vien meco;

(lo prende per mano)

ai duci io vo’ mostrarti, io voglio

renderti la tua spada.

(ai Commissari)

Addio, signori;

giammai pietoso coi nemici vostri 210

io non sarò, che dopo averli vinti.

(partono il Conte e Pergola figlio)

SCENA IV

I due COMMISSARI

SECONDO COMMISSARIO

(dopo qualche silenzio)

Direte ancor che a presagir perigli

troppo facil son io? che le parole

de’ suoi contrari, il mio sospetto antico,

l’odio forse, chi sa? mi fanno ingiusto 215

contro costui? ch’egli è sdegnoso, ardente,

ma leal? che da lui cercar non dessi

ossequi, ma servigi, e quando in grave

caso il nostro volere a lui s’intimi,

il dubitar ch’egli resista è un sogno? 220

Vi basta questo?

PRIMO COMMISSARIO

C’è di più. Gli dissi

che a noi premea che s’inseguisse il vinto:

ei ricusò.

SECONDO COMMISSARIO

Ma che rispose?

PRIMO COMMISSARIO

Ei vuole

assicurarsi delle rocche... ei teme...

SECONDO COMMISSARIO

Cauto ad un tratto è divenuto... e dopo 225

una vittoria.

PRIMO COMMISSARIO

La parola a stento

gli uscia di bocca: ella parea risposta

all’indiscreto che t’assedia, e vuole

il tuo segreto che per nulla il tocca.

SECONDO COMMISSARIO

Ma l’ha poi detto il suo segreto? E questo 230

motivo ond’egli accontentar vi volle,

vi parve il solo suo motivo, il vero?

PRIMO COMMISSARIO

Nol so, non ci badai, tempo non ebbi

che di pensar ch’io mi trovava innanzi

un temerario, e ch’io sentia parole 235

inusitate ai pari nostri.

SECONDO COMMISSARIO

E s’egli

al suo signore antico, al primo ond’ebbe

onor supremi, all’alta creatura

della sua spada, più terror che danno

volesse far? fargli pensar soltanto 240

quel ch’egli era per lui, quel che gli è contro?

Tal nemico mostrarglisi, ch’ei brami

d’averlo amico ancor? S’ei non potesse

tutto staccare il suo pensier da un trono

ch’egli alzò dalla polve; ov’ebbe il primo 245

grado dopo colui che v’è seduto?

Se un duca ardente di conquiste, e inetto

a sopportar d’una corazza il peso,

che d’una mano ha d’uopo e d’un consiglio,

e al condottier lo chiede, e gli comanda 250

ciò ch’ei medesmo gl’inspirò, più grato

signor, più dolce al condottier paresse,

che molti, e vigilanti, e più bramosi

di conservar che d’acquistar, cui preme

sovr’ogni cosa il comandar davvero? 255

PRIMO COMMISSARIO

Tutto io m’aspetto da costui.

SECONDO COMMISSARIO

Teniamo

questo sospetto: il suo contegno, i nostri

accorgimenti il faran chiaro in breve,

o ad altro almen ci guideranno. Ei trama

certo. Colui che trama, e del successo 260

si pasce già, come se il tenga, ardito

parla ancor che nol voglia; e quei che sprezza

in faccia il suo signor, già in cor ne ha scelto

un altro, o pensa a diventarlo ei stesso.

No: da Filippo ei non è sciolto in tutto. 265

A quella stirpe onde la sposa egli ebbe

non è stranier: troppo gli è caro il nodo

che ad essa un dì lo strinse. In quella figlia,

che ha tanta parte in suo pensier, non scorre

col suo confuso de’ Visconti il sangue? 270

PRIMO COMMISSARIO

Come parlò! Come passò dall’ira

al non curar! Con che superba pace

disubbidì! Siam noi nel nostro campo?

Di Venezia i mandati? Eran costoro

vinti e prigioni? E più sicuro il guardo 275

portavano di noi! Noi testimoni

del suo poter, del conto in cui ci tiene,

de’ nostri acquisti così sparsi al vento,

di tal gioia, di tai grazie, di tali

abbracciamenti! Oh! ciò durar non puote. 280

Che avviso è il vostro?

SECONDO COMMISSARIO

Haccene due? Soffrire,

dissimular, fargli querela ancora

d’un’offesa che mai creder non puote

dimenticata, e insiem la strada aprirgli

di ripararla a modo suo; gradire 285

che ch’ei ne faccia; chiedergli soltanto

ciò che siam certi d’ottenerne; opporci

sol quanto basti a far che vera appaia

condiscendenza il resto; a dichiararsi

non astringerlo mai; vegliare intanto; 290

scriverne ai Dieci, ed aspettar comandi.

PRIMO COMMISSARIO

Viver così! Che si diria di noi?

Dell’alto ufizio che ci fu commesso,

a cui venimmo invidiati, e or tale

diviene?

SECONDO COMMISSARIO

È sempre glorioso il posto 295

dove si serve la sua patria, e dove

si giunge ai fini suoi. Soldati e duci

tutti sono per lui, l’ammiran tutti,

nessun l’invidia; a sommo onor si tiene

bene ubbidirlo; e in questo sol c’è gara 300

che ad essergli secondo ognuno aspira.

Voce sì cara e riverita in prima,

che forza avrebbe in lor poscia che udita

l’hanno in un tanto dì, che forza avrebbe

se proferisse mai quella parola, 305

che in core han tutti, la rivolta? Guai!

Che più? gli udimmo pur; come de’ suoi,

è nel pensiero de’ nemici in cima.

PRIMO COMMISSARIO

Ma siamo a tempo? Ei già sospetta.

SECONDO COMMISSARIO

Il siamo.

Essi armati, e sol essi; avvezzi tutti 310

a prodigar la vita, a non temere

il periglio, ad amarlo, e delle imprese

a non guardar che la speranza, alfine

più ch’uomini nel campo: ah! se fanciulli

non fosser poi nel resto, ed i sospetti 315

facili a palesar come a deporli;

se una parola di lusinga, un atto

di sommessa amistà non li volgesse

a talento di quel che l’usa a tempo;

a che saremmo? ubbidiria la spada? 320

Saremmo ancora i signor noi?

PRIMO COMMISSARIO

Sta bene.

Riesca, o no, questo partito è il solo.


FINE DELL’ATTO TERZO


ATTO QUARTO

SCENA I

Sala dei Capi del Consiglio dei Dieci, in Venezia.

MARCO Senatore, e MARINO uno dei Capi.

MARCO

Eccomi al cenno degli eccelsi Capi

del Consiglio de’ Dieci.

MARINO

Io parlo in nome

di tutti lor. Vi si destina un grave

incarco, fuor di qui: se un argomento

di confidenza questo sia... la vostra 5

coscienza il diravvi.

MARCO

Essa mi dice

che scarsa al merto ed all’ingegno mio

dee la patria concederla, ma intera

alla fede ed al cor.

MARINO

La patria! È un nome

dolce a chi l’ama oltre ogni cosa, e sente 10

di vivere per lei; ma proferirlo

senza tremar non dee chi resta amico

de’ suoi nemici.

MARCO

Ed io...

MARINO

Per chi parlaste

oggi in Senato? Per la patria? I vostri

sdegni, i vostri terrori eran per lei? 15

Chi vi rendea sì caldo? Il suo periglio,

o il periglio di chi? Chi difendeste...

voi solo?

MARCO

Io so davanti a chi mi trovo.

Sta la mia vita in vostra man, ma il mio

voto non già: giudice ei non conosce 20

fuor che il mio cor; né d’altro esser può reo

che d’avergli mentito. A darne conto

pur disposto son io.

MARINO

Tutto che puote

por la patria in periglio, essere inciampo

all’alte mire sue, dargli sospetto, 25

è in nostra man. Perché ci siate or voi,

se nol sapete, se mostrar vi giova

di non saperlo, uditelo. Per ora

d’oggi si parli; non vogliam di tutta

la vostra vita interrogar che un giorno. 30

MARCO

E che? fors’altro mi si appon? Di nulla

temer poss’io; la mia condotta...

MARINO

È nota

più a noi che a voi. Dalla memoria vostra

forse assai cose ha cancellato il tempo:

il nostro libro non obblia.

MARCO

Di tutto 35

ragion darò.

MARINO

Voi la darete quando

vi fia chiesta. Non più: quando il Senato

diede il comando al Carmagnola, a molti

era sospetta la sua fede; ad altri

certa parea: potea parerlo allora. 40

Ei discioglie i prigioni, insulta i nostri

mandati, i nostri pari; ha vinto, e perde

in perfid’ozio la vittoria. Il velo

cade dal ciglio ai più. Nel suo soccorso

troppo fidando, il Trevisan s’innoltra 45

nel Po, le navi del nemico affronta;

sopraffatto dal numero, richiede

al Capitan rinforzo, e non l’ottiene.

Freme il Senato; poche voci appena

s’alzano ancor per lui. Cremona è presa, 50

basta sol ch’ei v’accorra; ei non v’accorre.

Giunge l’annunzio oggi al Senato: alfine

più non gli resta difensor che un solo:

solo, ma caldo difensor. Per lui

innocente è costui, degno di lode 55

più che di scusa; e se ci fu sventura,

colpa è soltanto del destino... e nostra.

Non è giustizia che il persegue: è solo

odio privato, è invidia, è basso orgoglio

che non perdona al sommo, a chi tacendo 60

grida co’ fatti: io son maggior di voi.

Certo inaudito è un tal linguaggio: i Padri

nel lor Senato oggi l’udiro; e muti

si volsero a guardar donde tal voce

venìa, se uno straniero oggi, un nemico 65

premere un seggio nel Senato ardia.

Chiarito è il Conte un traditor; si vuole

torgli ogni via di nocere. Ma l’arte

tanta e l’audacia è di costui, che reso

ei s’è tremendo a’ suoi signori; è forte 70

di quella forza che gli abbiam fidata;

egli ha il cor de’ soldati; e l’armi nostre,

quando voglia, son sue; contro di noi

volger le puote, e il vuol. Certo è follia

aspettar che lo tenti; ognun risolve 75

ch’ei si prevenga, e tosto. A forza aperta

è impresa piena di perigli. E noi

starem per questo? E il suo maggior delitto

sarà cagion perché impunito ei vada?

Sola una strada alla giustizia è schiusa, 80

l’arte con cui l’ingannator s’inganna.

Ei ci astrinse a tenerla; ebben, si tenga:

questo è il voto comun. Che fece allora

l’amico di costui? Ve ne rammenta?

Io vel dirò; ché men tranquillo al certo 85

era in quel punto il vostro cor, dell’occhio

che imperturbato vi seguia. Perdeste

ogni ritegno, oltrepassaste il largo

confin che un resto di prudenza avea

prescritto al vostro ardor, dimenticaste 90

ciò che promesso v’eravate, intero

ai men veggenti vi svelaste, a quelli

cui parea novo ciò che a noi non l’era.

Ognuno allor pensò che oggi in Senato

c’era un uom di soverchio, e che bisogna 95

porre il segreto dello Stato in salvo.

MARCO

Signor, tutto a voi lice: innanzi a voi

quel che ora io sia, non so; però non posso

dimenticarmi che patrizio io sono,

né a voi tacer che un dubbio tal m’offende. 100

Sono un di voi: la causa dello Stato

è la mia causa; e il suo segreto importa

a me non men che altrui.

MARINO

Volete alfine

saper chi siete qui? Voi siete un uomo

di cui si teme, un che lo Stato guarda 105

come un inciampo alla sua via. Mostrate

che nol sarete; il darvene agio ancora

è gran clemenza.

MARCO

Io sono amico al Conte:

questa è l’accusa mia; nol nego, io il sono:

e il ciel ringrazio che vigor mi ha dato 110

di confessarlo qui. Ma se nemico

è della patria? Mi si provi, è il mio.

Che gli si appone? I prigionier disciolti?

Non li disciolse il vincitor soldato?

Ma invan pregato il condottier non volle 115

frenar questa licenza. Il potea forse?

Ma l’imitò. Non ve lo astrinse un uso,

qual ch’ei sia, della guerra? ed al Senato

vera non parve questa scusa? e largo

d’ogni onor poscia non gli fu? L’aiuto 120

al Trevisan negato? Era più grave

periglio il darlo; era l’impresa ordita

ignaro il Conte; ei non fu chiesto a tempo.

E la sentenza che a sì turpe esiglio

il Trevisan dannò, tutta la colpa 125

non rovesciò sovra di lui? Cremona?

Chi di Cremona meditò l’acquisto?

Chi l’ordin dié che si tentasse? Il Conte.

Del popol tutto che a rumor si leva

non può scarso drappel l’inaspettato 130

impeto sostener; ritorna al campo,

non scemo pur d’un combattente. Al Duce

buon consiglio non parve incontro un novo

impensato nemico avventurarsi;

e abbandonò l’impresa. Ella è, fra tante 135

sì ben compiute, una fallita impresa;

ma il tradimento ov’è? Fiero, oltraggioso

da gran tempo, voi dite, è il suo linguaggio:

un troppo lungo tollerar macchiato

ha l’onor nostro. Ed un’insidia, il lava? 140

E poi che un nodo, un dì sì caro, ormai

non può tener Venezia e il Carmagnola,

chi ci vieta disciorlo? Un’amistade

sì nobilmente stretta, or non potria

nobilmente finir? Come! anche in questo 145

un periglio si scorge! Il genio ardito

del condottier; la fama sua si teme,

de’ soldati l’amor! Se render piena

testimonianza al ver, colpa si stima;

se a tal trista temenza oppor non lice 150

la lealtà del Conte; il senso almeno

del nostro onor la scacci. Abbiam di noi

un più degno concetto; e non si creda

che a tal Venezia giunta sia, che possa

porla in periglio un uom. Lasciam codeste 155

cure ai tiranni: ivi il valor si tema

ove lo scettro è in una mano, e basta

a strapparlo un guerrier che dica: io sono

più degno di tenerlo; e a’ suoi compagni

il persuada. Ei che tentar potria? 160

Al Duca ritornar, dicesi, e seco

le schiere trar nel tradimento. Al Duca?

All’uom che un’onta non perdona mai,

né un gran servigio, ritornar colui

che gli compose e che gli scosse il trono? 165

Chi non poté restargli amico in tempo

che pugnava per lui, ridivenirlo

dopo averlo sconfitto! Avvicinarsi

a quella man che in questo asilo istesso 170

comprò un pugnal per trapassargli il petto!

L’odio solo, o signor, creder lo puote.

Ah! qual sia la cagion che innanzi a questo

temuto seggio fa trovarmi, un’alta

grazia mi fia, se fare intender posso

anco una volta il ver: qualche lusinga 175

io nutro ancor che non fia forse invano.

Sì, l’odio cieco, l’odio sol potea

far che fosse in Senato un tal sospetto

proposto, inteso, tollerato. Ha molti

fra noi nemici il Conte: or non ricerco 180

perché lo siano: il son. Quando nascoste

all’ombra della pubblica vendetta,

le nimistà private io disvelai;

quando chiedea che a provveder s’avesse

l’util soltanto dello Stato, e il giusto; 185

allora ufizio io non facea d’amico,

ma di fedel patrizio. Io già non scuso

il mio parlar: quando proporre intesi

che sotto il vel di consultarlo ei sia

richiamato a Venezia, e gli si faccia 190

onor più dell’usato, e tutto questo

per tirarlo nel laccio... allor, nol nego...

MARINO

Più non pensaste che all’amico.

MARCO

Allora,

dissimular nol vo’, tutte sentii

le potenze dell’alma sollevarsi 195

contro un consiglio... ah fu seguito!... Un solo

pensier non fu; fu della patria mia

l’onor ch’io vedo vilipeso, il grido

de’ nemici e de’ posteri; fu il primo

senso d’orror che un tradimento inspira 200

all’uom che dee stornarlo, o starne a parte.

E se pietà d’un prode a tanti affetti

pur si mischiò, dovea, poteva io forse

farla tacer? Son reo d’aver creduto

che util puote a Venezia esser soltanto 205

ciò che l’onora, e che si può salvarla

senza farsi...

MARINO

Non più: se tanto udii

fu perché ai Capi del Consiglio importa

di conoscervi appien. Piacque aspettarvi

ai secondi pensier; veder si volle 210

se un più maturo ponderar v’ avea

tratto a più saggio e più civil consiglio.

Or, poiché indarno si sperò, credete

voi che un decreto del Senato io voglia

difender ora innanzi a voi? Si tratta 215

la vostra causa qui. Pensate a voi,

non alla patria: ad altre, e forti, e pure

mani è commessa la sua sorte: e nulla

a cor le sta che il suo voler vi piaccia,

ma che s’adempia, e che non sia sofferto 220

pure il pensier di porvi impedimento.

A questo vegliam noi. Quindi io non voglio

altro da voi che una risposta. Espresso

sovra quest’uomo è del Senato il voto;

compir si dee; voi, che farete intanto? 225

MARCO

Quale inchiesta, signor!

MARINO

Voi siete a parte

d’un gran disegno; e in vostro cor bramate

che a voto ei vada: non è ver?

MARCO

Che importa

ciò ch’io brami, allo Stato? A prova ormai

sa che dell’opre mie non è misura 230

il desiderio, ma il dover.

MARINO

Qual pegno

abbiam da voi che lo farete? In nome

del Tribunale un ve ne chiedo: e questo,

se lo negate, un traditor vi tiene.

Quel che si serba ai traditor, v’è noto. 235

MARCO

Io... Che si vuol da me?

MARINO

Riconoscete

che patria è questa a cui bastovvi il core

di preferire uno stranier. Sui figli

a stento e tardi essa la mano aggrava;

e a perderne soltanto ella consente 240

quei che salvar non puote. Ogni error vostro

è pronta ad obbliar; v’apre ella stessa

la strada al pentimento.

MARCO

Al pentimento!

Ebben, che strada?

MARINO

Il Mussulman disegna

d’assalir Tessalonica: voi siete 245

colà mandato. A quale ufizio, quivi

noto vi fia: pronta è la nave; ed oggi

voi partirete.

MARCO

Ubbidirò.

MARINO

Ma un’arra

si vuol di vostra fé: giurar dovete

per quanto è sacro, che in parole o in cenni 250

nulla per voi traspirerà di quanto

oggi s’è fisso. Il giuramento è questo:

(gli presenta un foglio)

sottoscrivete.

MARCO

(legge)

E che, signor? Non basta?..

MARINO

E per ultimo, udite. Il messo è in via

che porta al Conte il suo richiamo. Ov’egli 255

pronto ubbidisca, ed in Venezia arrivi,

giustizia troverà... forse clemenza.

Ma se ricusa, se sta in forse, e segno

dà di sospetto; un gran segreto udite,

e tenetelo in voi; l’ordine è dato 260

che dalle nostre man vivo ei non esca.

Il traditor che dargli un cenno ardisce,

quei l’uccide, e si perde. Io più non odo

nulla da voi: scrivete; ovvero...

(gli porge il foglio)

MARCO

Io scrivo.

(prende il foglio e lo sottoscrive)

MARINO

Tutto è posto in obblio. La vostra fede 265

ha fatto il più; vinto ha il dover: l’impresa

compirsi or dee dalla prudenza: e questa

non può mancarvi, sol che in mente abbiate

che ormai due vite in vostra man son poste. (parte)

SCENA II

MARCO

Dunque è deciso!... un vil son io!... fui posto 270

al cimento; e che feci?... Io prima d’oggi

non conoscea me stesso!... Oh che segreto

oggi ho scoperto! Abbandonar nel laccio

un amico io potea! Vedergli al tergo

l’assassino venir, veder lo stile 275

che su lui scende, e non gridar: ti guarda!

Io lo potea; l’ho fatto... io più nol devo

salvar; chiamato ho in testimonio il cielo

d’un’infame viltà... la sua sentenza

ho sottoscritta... ha la mia parte anch’io 280

nel suo sangue! Oh che feci!... io mi lasciai

dunque atterrir?... La vita?... Ebben, talvolta

senza delitto non si può serbarla:

nol sapeva io? Perché promisi adunque?

Per chi tremai? per me? per me? per questo 285

disonorato capo?... o per l’amico?

La mia ripulsa accelerava il colpo,

non lo stornava. O Dio, che tutto scerni,

rivelami il mio cor; ch’io veda almeno

in quale abisso son caduto, s’io 290

fui più stolto; o codardo, o sventurato.

O Carmagnola, tu verrai!... sì certo

egli verrà... se anche di queste volpi

stesse. in sospetto, ei penserà che Marco

è senator, che anch’io l’invito; e lunge 295

ogni dubbiezza scaccerà; rimorso

avrà d’averla accolta... Io son che il perdo!

Ma... di clemenza non parlò quel vile?

Sì, la clemenza che il potente accorda

all’uom che ha tratto nell’agguato, a quello 300

ch’egli medesmo accusa, e che gli preme

di trovar reo. Clemenza all’innocente!

Oh! il vil son io che gli credetti, o volli

credergli; ei la nomò perché comprese

che bastante a corrompermi non era 305

il rio timor che a goccia a goccia ei fea

scender sull’alma mia: vide che d’uopo

m’era un nobil pretesto; e me lo diede.

Gli astuti! i traditor! Come le parti

distribuite hanno tra lor costoro! 310

Uno il sorriso, uno il pugnal, quest’altro

le minacce... e la mia?... voller che fosse

debolezza ed inganno... ed io l’ho presa!

Io li spregiava; e son da men di loro!

Ei non gli sono amici!... Io non doveva 315

essergli amico: io la cercai; fui preso

dall’alta indole sua, dal suo gran nome.

Perché dapprima non pensai che incarco

è l’amistà d’un uom che agli altri è sopra?

Perché allor correr solo io nol lasciai 320

la sua splendida via, s’io non potea

seguire i passi suoi? La man gli stesi;

il cortese la strinse; ed or ch’ei dorme,

e il nemico gli è sopra, io la ritiro:

ei si desta, e mi cerca; io son fuggito! 325

Ei mi dispregia, e more! Io non sostengo

questo pensier... Che feci!... Ebben, che feci?

Nulla finora: ho sottoscritto un foglio,

e nulla più. Se fu delitto il giuro,

non fia virtù l’infrangerlo? Non sono 330

che all’orlo ancor del precipizio; il vedo,

e ritrarmi poss’io... Non posso un mezzo

trovar?... Ma s’io l’uccido? Oh! forse il disse

per atterrirmi... E se davvero il disse?

Oh empi, in quale abbominevol rete 335

stretto m’avete! Un nobile consiglio

per me non c’è; qualunque io scelga, è colpa.

Oh dubbio atroce!... Io li ringrazio; ei m’hanno

statuito un destino; ei m’hanno spinto

per una via; vi corro: almen mi giova 340

ch’io non la scelsi: io nulla scelgo; e tutto

ch’io faccio è forza e volontà d’altrui.

Terra ov’io nacqui, addio per sempre: io spero

ché ti morrò lontano, e pria che nulla

sappia di te: lo spero: in fra i perigli 345

certo per sua pietade il ciel m’invia.

Ma non morrò per te. Che tu sii grande

e gloriosa, che m’importa? Anch’io

due gran tesori avea, la mia virtude,

ed un amico; e tu m’hai tolto entrambi. 350

(parte)

SCENA III

Tenda del Conte.

IL CONTE e GONZAGA

IL CONTE

Ebben, che raccogliesti?

GONZAGA

Io favellai,

come imponesti, ai Commissari; e chiaro

mostrai che tutta delle vinte navi

riman la colpa e la vergogna a lui

che non le seppe comandar; che infausta 355

la giornata gli fu perché la imprese

senza di te; che tu da lui chiamato

tardi in soccorso, romper non dovevi

i tuoi disegni per servir gli altrui;

che l’armi lor, tanto in tua man felici, 360

sempre il sarian, se questa guerra fosse

commessa al senno ed al voler d’un solo.

IL CONTE

Che dicon essi?

GONZAGA

Si mostrar convinti

ai detti miei: dissero in pria, che nulla

dissimular volean; che amaro al certo 365

de’ perduti navigli era il pensiero,

e di Cremona la fallita impresa;

ma che son lieti di saper che il fallo

di te non fu; che di chiunque ei sia,

da te l’ammenda aspettano.

IL CONTE

Tu il vedi, 370

o mio Gonzaga; se dai fede al volgo,

sommo riguardo, arte profonda è d’uopo

con questi uomin di Stato. Io fui con essi

quel ch’esser soglio; rigettai l’ingiuste

pretese lor, scender li feci alquanto 375

dall’alto seggio ove si pon chi avvezzo

non è a vedersi altri che schiavi intorno;

io mostrai lor fino a che segno io voglio

che altri signor mi sia: d’allora in poi

mai non l’hanno passato; io li provai 380

saggi sempre e cortesi.

GONZAGA

E non pertanto

dar consiglio ad alcuno io non vorrei

di tener, questa via. Te da gran tempo

la gloria segue e la fortuna; ad essi

util tu sei, tu necessario e caro, 385

terribil forse: e tu la prova hai vinta;

se pur può dirsi che sia vinta ancora.

IL CONTE

Che dubbi hai tu?

GONZAGA

Tu, che certezza? Io vedo

dolci sembianti, e dolci detti ascolto:

segni d’amor; ma pur, l’odio che teme, 390

altri ne ha forse?

IL CONTE

No: di questo io nulla

sono in pensier. Troppo a regnar son usi;

e san che all’uom da cui s’ottiene il molto

chieder non dessi improntamente il meno.

E poi, mi credi, io li guardai dappresso: 395

questa cupa arte lor, questi intricati

avvolgimenti di menzogna, questo

finger, tacere, antiveder, di cui

tanto li loda e li condanna il mondo

è meno assai di quel che al mondo appare. 400

GONZAGA

Se pur non era di lor arte il colmo

il parer tali a te.

IL CONTE

No: tu li vedi

con l’occhio altrui: quando col tuo li veda,

tu cangerai pensiero. Havvene assai

di schietti e buoni; havvene tal che un’alta 405

anima chiude, a cui pensier non osa

avvicinarsi che gentil non sia:

anima dolce e disdegnosa, in cui

legger non puoi, che tu non sia compreso

d’amor, di riverenza, e di desio 410

di somigliarle. Non temer; non sono

di me scontenti; e quando il fosser mai,

io lo saprei ben tosto.

GONZAGA

Il Ciel non voglia

che tu t’inganni.

IL CONTE

Altro mi duol: son stanco

di questa guerra che condur non posso 415

a modo mio. Quand’io non era ancora

più che un soldato di ventura, ascoso

e perduto tra i mille, ed io sentia

che al loco mio non m’avea posto il cielo,

e dell’oscurità l’aria affannosa 420

respirava fremendo, ed il comando

sì bello mi parea,... chi m’avria detto

che l’otterrei, che a gloriosi duci,

e a tanti e così prodi e così fidi

soldati io sarei capo; e che felice 425

io non sarei perciò!...

(entra un Soldato)

Che rechi?

SOLDATO

Un foglio

di Venezia.

(gli porge il foglio, e parte)

IL CONTE

Vediam.

(legge)

Non tel diss’io?

mai non gli ebbi più amici: a loro il Duca

chiede la pace, e conferir con meco

braman di ciò. Vuoi tu seguirmi?

GONZAGA

Io vengo. 430

IL CONTE

Che dì tu di tal pace?

GONZAGA

Ad un soldato

tu lo domandi?

IL CONTE

È ver; ma questa è guerra?

O mia consorte, o figlia mia, tra poco

io rivedrovvi, abbraccerò gli amici:

questo è contento al certo. Eppur del tutto 435

esser lieto non so: chi potria dirmi

se un sì bel campo io rivedrò più mai?


FINE DELL’ATTO QUARTO


ATTO QUINTO

SCENA I

Notte. Sala del Consiglio dei Dieci illuminata.

Il DOGE, i DIECI, e il CONTE seduti.

IL DOGE

(al Conte)

A questi patti offre la pace il Duca;

su ciò chiede il Consiglio il parer vostro.

IL CONTE

Signori, un altro io ve ne diedi; e molto

promisi allor: vi piacque. Io attenni in parte

quel che promesso avea: ma lunge ancora 5

dalle parole è il fatto; ed or non voglio

farle obbliar però: sul labbro mio

imprevidente militar baldanza

non le mettea. Di novo avviso or chiesto,

altro non posso che ridirvi il primo. 10

Se intera e calda e risoluta guerra

far disponete, ah! siete a tempo: è questa

la miglior scelta ancora. Ei vi abbandona

Bergamo e Brescia; e non son vostre? L’armi

le han fatte vostre: ei non può tanto offrirvi 15

quanto sperar di torgli v’è concesso.

Ma, da un guerrier che vi giurò sua fede

voi non volete altro che il ver, se il modo

mutar di questa guerra a voi non piace,

accettate gli accordi.

IL DOGE

Il parlar vostro 20

accenna assai, ma poco spiega: un chiaro

parer vi si domanda.

IL CONTE

Uditel dunque.

Scegliete un duce, e confidate in lui:

tutto ei possa tentar; nulla si tenti

senza di lui: largo poter gli date; 25

stretto conto ei ne renda. Io non vi chiedo

ch’io sia l’eletto: dico sol che molto

sperar non lice da chi tal non sia.

MARINO

Non l’eravate voi quando i prigioni

sciolti voleste, e il furo? Eppur la guerra 30

più risoluta non si fea per questo,

né certa più. Duce e signor nel campo,

forse concesso non l’avreste.

IL CONTE

Avrei

fatto di più: sotto alle mie bandiere

venian quei prodi; e di Filippo il soglio 35

voto or sarebbe, o sederiavi un altro.

IL DOGE

Vasti disegni avete.

IL CONTE

E l’adempirli

sta in voi: se ancor nol son, n’è cagion sola

che la man che il dovea sciolta non era.

MARINO

A noi si disse altra cagion: che il Duca 40

vi commosse a pietà, che l’odio atroce

che già portaste al signor vostro antico,

sovra i presenti il rovesciaste intero.

IL CONTE

Questo vi fu riferto? Ella è sventura

di chi regge gli Stati udir con pace 45

l’impudente menzogna, i turpi sogni

d’un vil di cui non degneria privato

le parole ascoltar.

MARINO

Sventura è vostra

che a tal riferto il vostro oprar s’accordi,

che il rio linguaggio lo confermi, e il vinca. 50

IL CONTE

Il vostro grado io riverisco in voi,

e questi generosi in mezzo a cui

v’ha posto il caso: e mi conforta almeno

che il non mertato onor di che lor piacque

cingere il loro capitan, lo stesso 55

udirvi io qui, mostra ch’essi han di lui

altro pensiero.

IL DOGE

Uno è il pensier di tutti.

IL CONTE

E qual?

IL DOGE

L’udiste.

IL CONTE

È del Consiglio il voto

quello che udii?

IL DOGE

Sì: il crederete al Doge.

IL CONTE

Questo dubbio di me?...

IL DOGE

Già da gran tempo 60

non è più dubbio.

IL CONTE

E m’invitaste a questo?

E taceste finor?

IL DOGE

Sì, per punirvi

del tradimento, e non vi dar pretesti

per consumarlo.

IL CONTE

Io traditor! Comincio

a comprendervi alfin: pur troppo altrui 65

creder non volli. Io traditor! Ma questo

titolo infame infimo a me non giunge:

ei non è mio; chi l’ha mertato il tenga.

Ditemi stolto: il soffrirò, che il merto:

tale è il mio posto qui; ma con null’altro 70

lo cambierei, ch’egli è il più degno ancora.

Io guardo, io torno col pensier sul tempo

che fui vostro soldato: ella è una via

sparsa di fior. Segnate il giorno in cui

vi parvi un traditor! Ditemi un giorno 75

che di grazie e di lodi e di promesse

colmo non sia! Che più? Qui siedo; e quando

io venni a questo che alto onor parea,

quando più forte nel mio cor parlava

fiducia, amor, riconoscenza, e zelo... 80

Fiducia no: pensa a fidarsi forse

quei che invitato tra gli amici arriva?

Io veniva all’inganno! Ebben, ci caddi;

ella è così. Ma via; poiché gettato

è il finto volto del sorriso ormai, 85

sia lode al ciel; siamo in un campo almeno

che anch’io conosco. A voi parlare or tocca;

e difendermi a me: dite, quai sono

i tradimenti miei?

IL DOGE

Gli udrete or ora

dal Collegio segreto.

IL CONTE

Io lo ricuso. 90

Ciò che feci per voi, tutto lo feci

alla luce del sol; renderne conto

tra insidiose tenebre non voglio.

Giudice del guerrier, solo è il guerriero.

Voglio scolparmi a chi m’intenda; voglio 95

che il mondo ascolti le difese, e veda...

IL DOGE

Passato è il tempo di voler.

IL CONTE

Qui dunque

mi si fa forza? Le mie guardie!

(alzando la voce, si move per uscire)

IL DOGE

Sono

lunge di qui. Soldati!

(entrano genti armate)

Eccovi ormai

le vostre guardie.

IL CONTE

Io son tradito!

IL DOGE

Un saggio 100

pensier fu dunque il rimandarle: a torto

non si pensò che, in suo tramar sorpreso,

farsi ribelle un traditor potria.

IL CONTE

Anche un ribelle, sì: come v’aggrada

ormai potete favellar.

IL DOGE

Sia tratto 105

al Collegio segreto.

IL CONTE

Un breve istante

udite in pria. Voi risolveste, il vedo,

la morte mia; ma risolvete insieme

la vostra infamia eterna. Oltre l’antico

confin l’insegna del Leon si spiega 110

su quelle torri, ove all’Europa è noto

ch’io la piantai. Qui tacerassi, è vero;

ma intorno a voi, dove non giunge il muto

terror del vostro impero, ivi librato,

ivi in note indelebili fia scritto 115

il benefizio e la mercé. Pensate

ai vostri annali, all’avvenir. Tra poco

il dì verrà che d’un guerriero ancora

uopo vi sia: chi vorrà farsi il vostro?

Voi provocate la milizia. Or sono 120

in vostra forza, è ver; ma vi sovvenga

ch’io non ci nacqui, che tra gente io nacqui

belligera, concorde: usa gran tempo

a guardar come sua questa qualunque

gloria d’un suo concittadin, non fia 125

che straniera all’oltraggio ella si tenga.

Qui c’è un inganno: a ciò vi trasse un qualche

vostro nemico e mio: voi non credete

ch’io vi tradissi. È tempo ancora.

IL DOGE

È tardi.

Quando il delitto meditaste, e baldo 130

affrontavate chi dovea punirlo,

tempo era allor d’antiveggenza.

IL CONTE

Indegno!

Tu mi rendi a me stesso. Tu credesti

ch’io chiedessi pietà, ch’io ti pregassi:

tu forse osasti di pensar che un prode 135

pe’ giorni suoi tremava. Ah! tu vedrai

come si mor. Va; quando l’ultim’ora

ti coglierà sul vil tuo letto, incontro

non le starai con quella fronte al certo,

che a questa infame, a cui mi traggi, io reco. 140

(parte il Conte tra i Soldati)

SCENA II

Casa del Conte.

ANTONIETTA, e MATILDE

MATILDE

Ecco l’aurora; e il padre ancor non giunge.

ANTONIETTA

Ah! tu nol sai per prova: i lieti eventi

tardi, aspettati giungono, e non sempre.

Presta soltanto è la sventura, o figlia:

intraveduta appena, ella c’è sopra. 145

Ma la notte passò: l’ore penose

del desio più non son: tra pochi istanti

quella del gaudio sonerà. Non puote

ei più tardar; da questo indugio io prendo

un fausto augurio: il consultar sì lungo 150

tratto non han, che per fermar la pace.

Ei sarà nostro, e per gran tempo.

MATILDE

O madre,

anch’io lo spero. Assai di notti in pianto,

e di giorni in sospetto abbiam passati.

È tempo ormai che, ad ogni istante, ad ogni 155

novella, ad ogni susurrar del volgo

più non si tremi, e all’alma combattuta

quell’orrendo pensier più non ritorni:

forse colui che sospirate, or more.

ANTONIETTA

Oh rio pensier! ma almen per ora è lunge. 160

Figlia, ogni gioia col dolor si compra.

Non ti sovvien quel dì che il tuo gran padre

tratto in trionfo, tra i più grandi accolto,

portò l’insegne de’ nemici al tempio?

MATILDE

Oh giorno!

ANTONIETTA

Ognun parea minor di lui; 165

l’aria sonava del suo nome; e noi

scevre dal volgo, in alto loco intanto

contemplavam quell’uno in cui rivolti

eran tutti gli sguardi: inebbriato

il cor tremava, e ripetea: siam sue. 170

MATILDE

Felici istanti!

ANTONIETTA

Che avevam noi fatto

per meritarli? A questa gioia il cielo

ci trascelse tra mille. Il ciel ti scelse,

il ciel ti scrisse un sì gran nome in fronte;

tal don ti fece, che a chiunque il rechi, 175

n’andrà superbo. A quanta invidia è segno

la nostra sorte! E noi dobbiam scontarla

con queste angosce.

MATILDE

Ah! son finite... ascolta;

odo un batter di remi... ei cresce... ei cessa...

Si spalancan le porte... ah! certo ei giunge: 180

o madre, io vedo un’armatura; è lui.

ANTONIETTA

Chi mai saria s’egli non fosse?... O sposo...

(va verso la scena)


SCENA III

GONZAGA, e dette.

ANTONIETTA

Gonzaga!... ov’è il mio sposo? ov’è?... Ma voi

non rispondete? Oh cielo! il vostro aspetto

annunzia una sventura.

GONZAGA

Ah che pur troppo 185

annunzia il vero!

MATILDE

A chi sventura?

GONZAGA

O donne!

Perché un incarco sì crudel m’è imposto?

ANTONIETTA

Ah! voi volete esser pietoso, e siete

crudel: tremar più non ci fate. In nome

di Dio, parlate; ov’è il mio sposo?

GONZAGA

Il cielo 190

vi dia la forza d’ascoltarmi. Il Conte...

MATILDE

Forse è tornato al campo?

GONZAGA

Ah! più non torna...

Egli è in disgrazia de’ Signori... è preso.

ANTONIETTA

Egli preso! perché?

GONZAGA

Gli danno accusa

di tradimento.

ANTONIETTA

Ei traditore?

MATILDE

Oh padre! 195

ANTONIETTA

Or via, seguite: preparate al tutto

siam noi: che gli faran?

GONZAGA

Dal labbro mio

voi non l’udrete.

ANTONIETTA

Ahi l’hanno ucciso!

GONZAGA

Ei vive;

ma la sentenza è proferita.

ANTONIETTA

Ei vive?

Non pianger, figlia, or che d’oprare è il tempo. 200

Gonzaga, per pietà, non vi stancate

della nostra sventura; il ciel v’affida

due derelitte: ei v’era amico: andiamo,

siateci scorta ai giudici. Vien meco,

poverella innocente: oh! vieni: in terra 205

c’è ancor pietà: son sposi e padri anch’essi.

Mentre scrivean l’empia sentenza, in mente

non venne lor ch’egli era sposo e padre.

Quando vedran di che dolor cagione

è una parola di lor bocca uscita, 210

ne fremeranno anch’essi; ah! non potranno

non rivocarla: del dolor l’aspetto

è terribile all’uom. Forse scusarsi

quel prode non degnò, rammentar loro

quanto per essi oprò; noi rammentarlo 215

sapremo. Ah! certo ei non pregò; ma noi,

noi pregheremo.

(in atto di partire)

GONZAGA

Oh ciel, perché non posso

lasciarvi almen questa speranza! A preghi

loco non c’è; qui i giudici son sordi,

implacabili, ignoti: il fulmin piomba, 220

la man che il vibra è nelle nubi ascosa.

Solo un conforto v’è concesso, il tristo

conforto di vederlo, ed io vel reco.

Ma il tempo incalza. Fate cor; tremenda

è la prova; ma il Dio degl’infelici 225

sarà con voi.

MATILDE

Non c’è speranza?

ANTONIETTA

Oh figlia!

(partono)

SCENA IV

Prigione.

IL CONTE

A quest’ora il sapranno. Oh perché almeno

lunge da lor non moio! Orrendo, è vero,

lor giungeria l’annunzio; ma varcata

l’ora solenne del dolor saria; 230

e adesso innanzi ella ci sta: bisogna

gustarla a sorsi, e insieme. O campi aperti!

o sol diffuso! o strepito dell’armi!

o gioia de’ perigli! o trombe! o grida

de’ combattenti! o mio destrier! tra voi 235

era bello il morir. Ma... ripugnante

vo dunque incontro al mio destin, forzato,

siccome un reo, spargendo in sulla via

voti impotenti e misere querele?

E Marco, anch’ei m’avria tradito! Oh vile 240

sospetto! oh dubbio! oh potess’io deporlo

pria di morir! Ma no: che val di novo

affacciarsi alla vita, e indietro ancora

volgere il guardo ove non lice il passo?

E tu, Filippo, ne godrai! Che importa? 245

Io le provai quest’empie gioie anch’io:

quel che vagliano or so. Ma rivederle!

ma i lor gemiti udir! l’ultimo addio

da quelle voci udir! tra quelle braccia

ritrovarmi... e staccarmene per sempre! 250

Eccole! O Dio, manda dal ciel sovr’esse

un guardo di pietà.

SCENA V

ANTONIETTA, MATILDE, GONZAGA, e il CONTE

ANTONIETTA

Mio sposo!...

MATILDE

Oh padre!

ANTONIETTA

Così ritorni a noi? Questo è il momento

bramato tanto?...

IL CONTE

O misere, sa il cielo

che per voi sole ei m’è tremendo. Avvezzo 255

io son da lungo a contemplar la morte,

e ad aspettarla. Ah! sol per voi bisogno

ho di coraggio; e voi, voi non vorrete

tormelo, è vero? Allor che Dio sui boni

fa cader la sventura, ei dona ancora 260

il cor di sostenerla. Ah! pari il vostro

alla sventura or sia. Godiam di questo

abbracciamento: è un don del cielo anch’esso.

Figlia, tu piangi! e tu, consorte!... Ah! quando

ti feci mia, sereni i giorni tuoi 265

scorreano in pace; io ti chiamai compagna

del mio tristo destin: questo pensiero

m’avvelena il morir. Deh ch’io non veda

quanto per me sei sventurata!

ANTONIETTA

O sposo

de’ miei bei dì, tu che li festi; il core 270

vedimi; io moio di dolor; ma pure

bramar non posso di non esser tua.

IL CONTE

Sposa, il sapea quel che in te perdo; ed ora

non far che troppo il senta.

MATILDE

Oh gli omicidi!

IL CONTE

No, mia dolce Matilde; il tristo grido 275

della vendetta e del rancor non sorga

dall’innocente animo tuo, non turbi

quest’istanti: son sacri. Il torto è grande;

ma perdona, e vedrai che in mezzo ai mali

un’alta gioia anco riman. La morte! 280

Il più crudel nemico altro non puote

che accelerarla. Oh! gli uomini non hanno

inventata la morte: ella saria

rabbiosa, insopportabile: dal cielo

essa ci viene; e l’accompagna il cielo 285

con tal conforto, che né dar né torre

gli uomini ponno. O sposa, o figlia, udite

le mie parole estreme: amare, il vedo,

vi piombano sul cor; ma un giorno avrete

qualche dolcezza a rammentarle insieme. 290

Tu, sposa, vivi; il dolor vinci, e vivi;

questa infelice orba non sia del tutto.

Fuggi da questa terra, e tosto ai tuoi

la riconduci: ella è lor sangue; ad essi

fosti sì cara un dì! Consorte poi 295

del lor nemico, il fosti men; le crude

ire di Stato avversi fean gran tempo

de’ Carmagnola e de’ Visconti il nome.

Ma tu riedi infelice; il tristo oggetto

dell’odio è tolto: è un gran pacier la morte. 300

E tu, tenero fior, tu che tra l’armi

a rallegrare il mio pensier venivi,

tu chini il capo: oh! la tempesta rugge

sopra di te! tu tremi, ed al singulto

più non regge il tuo sen; sento sul petto 305

le tue infocate lagrime cadermi;

e tergerle non posso: a me tu sembri

chieder pietà, Matilde: ah! nulla il padre

può far per te; ma pei diserti in cielo

c è un Padre, il sai. Confida in esso, e vivi 310

a dì tranquilli se non lieti: Ei certo

te li prepara. Ah! perché mai versato

tutto il torrente dell’angoscia avria

sul tuo mattin, se non serbasse al resto

tutta la sua pietà? Vivi, e consola 315

questa dolente madre. Oh ch’ella un giorno

a un degno sposo ti conduca in braccio!

Gonzaga, io t’offro questa man che spesso

stringesti il dì della battaglia, e quando

dubbi eravam di rivederci a sera. 320

Vuoi tu stringerla ancora, e la tua fede

darmi che scorta e difensor sarai

di queste donne, fin che sian rendute

ai lor congiunti?

GONZAGA

Io tel prometto.

IL CONTE

Or sono

contento. E quindi, se tu riedi al campo, 325

saluta i miei fratelli, e dì lor ch’io

moio innocente: testimon tu fosti

dell’opre mie, de’ miei pensieri, e il sai.

Dì lor che il brando io non macchiai con l’onta

d’un tradimento: io nol macchiai: son io 330

tradito. E quando squilleran le trombe,

quando l’insegne agiteransi al vento,

dona un pensiero al tuo compagno antico.

E il dì che segue la battaglia, quando

sul campo della strage il sacerdote, 335

tra il suon lugubre, alzi le palme, offrendo

il sacrifizio per gli estinti al cielo,

ricordivi di me, che anch’io credea

morir sul campo.

ANTONIETTA

Oh Dio, pietà di noi!

IL CONTE

Sposa, Matilde, ormai vicina è l’ora; 340

convien lasciarci... addio.

MATILDE

No, padre...

IL CONTE

Ancora

una volta venite a questo seno;

e per pietà partite.

ANTONIETTA

Ah no! dovranno

staccarci a forza.

(si sente uno strepito d’armati)

MATILDE

Oh qual fragor!

ANTONIETTA

Gran Dio!

(s’apre la porta di mezzo, e s’affacciano genti armate; il capo di esse s’avanza verso il Conte: le due donne cadono svenute)

IL CONTE

O Dio pietoso, tu le involi a questo 345

crudel momento; io ti ringrazio. Amico,

tu le soccorri, a questo infausto loco

le togli; e quando rivedran la luce

dì lor... che nulla da temer più resta.


FINE DELLA TRAGEDIA

([1]) Sono differenti in questo (l’Epopea e la Tragedia), che quella ha il verso misurato semplice, ed è raccontativa, e formata di lunghezza; e questa si sforza, quanto può il più, di stare sotto un giro del sole, o di mutarne poco; ma l’Epopea è smoderata per tempo, ed in ciò è differente dalla Tragedia. Traduzione del Castelvetro.

([2]) Corso di Letteratura drammatica, Lezione x.

([3]) Batteux, Principes de la littérature, Traité v, chap. 4.

([4]) Marmontel, Éléments de littérature, art. Unité.

([5]) Batteux, l. c.

([6]) Fleury, Mœurs des Israélites, x.

([7]) Altre circostanze non hanno permesso all’autore di mantenere questa promessa. E lo dice senza riguardo, sapendo bene che sono mancanze le quali, lungi dal far perdere a un autore il titolo di galantuomo, gli acquistano spesso quello di benemerito. Del rimanente, questo punto è stato toccato in parte nella Lettre à M.r Ch... sur l’unité de temps et de lieu dans la tragédie. E forse, per ciò che riguarda la questione generale, basta osservare che tutta l’argomentazione di quegli scrittori è fondata sulla supposizione, che il dramma non possa interessare, se non in quanto comunichi allo spettatore o al lettore le passioni rappresentate in esso. Supposizione venuta dall’aver preso per condizione universale e naturale del dramma ciò ch’era un fatto speciale de’ drammi esaminati da loro, e della quale la più parte de’ drammi immortali di Shakespeare sono una confutazione tanto evidente quanto magnifica.

([8]) Corso di Letteratura drammatica, Lezione III.

([9]) Filippo la fece decapitare come rea d’adulterio con Michele Orombelli. Il più degli storici la credono innocente.

([10]) Hist. lib. 4; Rer. Ital. Script., T. xix, col. 72.

([11]) Tutto questo racconto è cavato dal Bigli.

([12]) Sanuto, Vite dei duchi di Venezia; Rer. Ital., xxii, 978.

([13]) Machiavelli, Ist. Fior., Lib. 4.

([14]) Per servire alla dignità del verso, il nome di quest’ultimo personaggio nella tragedia venne cambiato con quello di Fortebraccio. La storia stessa ha suggerito questo cambiamento; giacché il Piccinino era nipote di Braccio Fortebracci, e dopo la morte dello zio fu capo de’ soldati della fazione Braccesca.

([15]) Istos quoque jubeo solita lege dimitti. Bigli, lib. 6.

([16]) Ad ligonem stipendiarii. Chron. Tarv.; Rer. It., xix, 864.

([17]) Ai 13 di luglio, essendo stato proclamato Nicolò Trevisano, che fu capitano nel Po, ed essendosi egli assentato, gli Avogadori di Comune andarono al consiglio de’ Pregadi, e messero di procedere contro di lui, per essere stato rotto in Po da’ galeoni del Duca di Milano ai 21 di giugno passato, in vitupero del Dominio, e per non aver fatto il suo dovere, immo vilissime essersi portato; immo perché andò pregando gli altri che fuggissero via. Sanuto, Rer. Ital., xxii, 1017.

([18]) Navagero, Stor. Ven.; Rer. Ital., xxiii, 1096.

([19]) Sanuto: Rer. It., xxii, 1028.

([20]) Cronica di Bologna: Rer. It., xviii 645.

([21]) Poggii, Hist. lib. vi.

([22]) Rivoluzioni d’Italia, lib. xx, cap. 1.

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