Attualmente, cinquant’anni dopo le Guerre Stellari, vi sono circa 90.000 oggetti che circolano nell’orbita terrestre. La maggior parte di questi però sono troppo piccoli per sopravvivere al rientro quando, finalmente, ricadono verso la superficie della Terra. Di conseguenza, è assai difficile che arrechino alcun tipo di danno a coloro che si trovano sulla superficie del pianeta. Stiamo parlando di oggetti delle dimensioni di una pinza, o al massimo di un pallone da spiaggia, che si bruciano da soli grazie all’attrito dell’atmosfera stessa e che non fanno altro che aggiungersi al costante picchiettare del pulviscolo meteoritico che si abbatte sulla Terra da circa quattro miliardi e mezzo di anni. Gli oggetti di queste dimensioni che circolano nell’orbita bassa sono circa 72.000… il che significa che ve ne sono altri 18.000. E contrariamente ai primi, questi ultimi non possono assolutamente essere ignorati dalla popolazione della Terra. Ci riferiamo a oggetti che possono avere le dimensioni di un frigorifero o quelle di una locomotiva. Alcuni sono anche più grandi. Quando uno di questi blocchi di metallo si stacca dalla sua orbita, è pressoché certo che arriverà a terra, anche se magari in pezzi, a grande velocità. La forza dell’impatto è quindi tale da distruggere con facilità anche interi quartieri. Ma questo non è tutto. Sfortunatamente, alcuni di questi grossi oggetti possiedono ancora fonti di energia interne. In genere si tratta di fonti di energia nucleare, e di conseguenza quando questi oggetti piombano sulla superficie del pianeta la loro forza distruttiva non è data dalla sola energia cinetica.
Mentre Sandy si stava recando nella camera di Polly per vedere se era sveglia, squillò il telefono. Era Marguery Darp. — Sandy? Mi trovo qui nell’atrio del’hotel, e ho pensato che fosse il caso di dirti che la riunione è stata rimandata di un’ora per via della caduta del satellite. A quanto pare dovrebbe cadere proprio durante questa orbita. Se vuoi puoi venire con me a vedere la caduta al Lamont-Doherty, altrimenti tornerò indietro a prenderti più tardi. Come preferisci.
— Sarò giù fra qualche minuto — disse Sandy. Abbassò il ricevitore e bussò alla porta di Polly.
Polly era sveglia. Era accovacciata di fronte alla scrivania della sua stanza e stava prendendo degli appunti. Quando Sandy le riferì che la riunione era stata rimandata, si contrasse in un gesto risentito. — Quante storie fanno questi umani per la possibilità di un piccolo danno e la perdita di qualche vita in una sola città — disse. — In fondo, hanno migliaia di città! Ma adesso va’ pure se lo desideri. Io rimarrò qui.
— Va bene — rispose Sandy. — Polly? Tu ti ricordi di quando siamo stati su Alfa Centauri?
Polly si produsse in una smorfia di esasperazione. — Mi hai già fatto questa domanda, Lisandro. Per quale motivo me la fai di nuovo?
— Io non me lo ricordo affatto. E tu?
Polly alzò lo sguardo verso di lui, poi fece esattamente ciò che Sandy si era aspettato facesse. Tornò a dedicarsi ai suoi appunti. Dopo un po’ però si contrasse nuovamente e con aria di superiorità disse: — Non credo proprio che questo sia il momento adatto per fare stupide domande sulla storia antica degli hakh’hli, Lisandro. Attualmente sono molto occupata e non ho tempo per dedicarmi a certe cose. Devo preparare il mio discorso, e ti annuncio fin d’ora che serberà delle piccole sorprese. Tanto per dirne una, fornirò loro la soluzione al loro piccolo problema.
— Che cosa vuoi dire?
— Lo saprai quando parlerò — dichiarò Polly versando una piccola lacrima di soddisfazione. Poi tornò a dedicarsi ai suoi appunti, coprendoli con una grossa mano affinché Sandy non potesse leggere nulla di quanto stava scrivendo. Come se vi potesse essere qualche motivo valido per non farglieli vedere! Alle volte Polly era realmente insopportabile!
— Tu non sei un’Anziana — le disse Sandy. — Quindi non hai alcun diritto di trattarmi come se fossi un bambino. Di quale problema stai parlando?
— Sto parlando di questa faccenda del satellite, una faccenda della quale i terrestri non sono in grado di occuparsi da soli — dichiarò Polly seccamente. — Inoltre, sto parlando anche di molte altre cose importanti. Ho ricevuto istruzioni dettagliate al riguardo da ChinTekki-tho, con il quale ho avuto modo di conferire in privato.
— Ancora in privato!
Polly emise un leggero sbuffo sdegnoso. — Sì, in privato, poiché si tratta di una questione riservata agli hakh’hli e non ai terrestri.
Sandy era esterrefatto. — Ma io sono tuo compagno di coorte! Non sono forse hakh’hli anch’io?
— Naturale che non sei hakh’hli, Sandy — ribatté Polly con tono paziente e ragionevole. — Tu sei Lisandro John William Washington, e se non sei un essere umano della Terra, non sei proprio nulla. Giusto? Ma ora lasciami sola, Lisandro, poiché ho molte cose da fare, — Enfatizzò le sue parole colpendo pesantemente il suolo con la massiccia coda. Poi, quando Sandy si trovava già sulla soglia, lo richiamò. — Tuttavia — aggiunse — ciò che hai detto è quasi corretto e non del tutto errato, Lisandro.
Gli rivolse uno sguardo compiaciuto, ma Sandy non aveva assolutamente idea di che cosa stesse parlando. — A che cosa ti riferisci? — domandò.
— Al fatto che tu abbia detto che io non sono un’Anziana. Tuttavia, per rendere la tua dichiarazione del tutto esatta, vi aggiungerei una parola. Quella parola è ancora.
Sandy rimase in silenzio mentre si recava alla sala riunioni. Era stanco di parlare. Ogni volta che conversava con qualcuno, insorgevano domande alle quali non sapeva trovare risposta. E come se non bastasse, coloro che avrebbero potuto fornirgli le risposte si rifiutavano di farlo. Non riusciva a sopportare l’idea che Polly lo stesse trattando come se fosse un bambino! E dire che invece era proprio lei, che nutriva addirittura la speranza di diventare un giorno un’Anziana, che si stava comportando in maniera decisamente infantile!
Quando Marguery parcheggiò finalmente l’automobile, Sandy aprì lo sportello e osservò dal basso l’edificio nel quale sarebbero dovuti entrare. Si trattava di un alto palazzo dalle pareti di vetro arroccato sulla collina del Palisades sul cui ingresso capeggiava la scritta:
— Chi erano questi Lamont e Doherty? — domandò incuriosito.
— È solo un nome — rispose Marguery. — Una volta questo edificio ospitava un centro di ricerca geologica, poi invece hanno iniziato a riempirlo di cose provenienti dalla vecchia New York City. — Si guardò attorno, come se stesse tentando di orientarsi. Al momento si trovavano quasi da soli in mezzo a un vasto salone. Le poche persone in vista si stavano affrettando tutte in direzione di una scalinata. — Probabilmente staranno proiettando le fasi della discesa nell’auditorio — disse Marguery. — Da questa parte.
Mentre salivano le scale, udirono un improvviso boato di applausi e grida festose proveniente proprio dallo stesso auditorio. Marguery trascinò Sandy dietro di sé, aumentando la velocità. Una volta nella sala, si concentrarono subito sull’immagine proiettata sul grande schermo dietro il palco. A quanto pareva, la ripresa veniva effettuata dal ponte di una nave. Le immagini infatti oscillavano in maniera regolare, e di tanto in tanto Sandy riusciva a scorgere qualche frammento di antenna o di parti di nave. Le immagini però non si riferivano alla nave stessa, poiché la telecamera era puntata verso il cielo, dove si potevano vedere chiaramente una serie di scie infuocate che piombavano verso la superficie del mare come una pioggia di meteoriti.
Marguery afferrò immediatamente il braccio di uno sconosciuto che si trovava al loro fianco. — Cosa succede? — domandò.
— È andato — disse l’uomo producendosi in un ampio sorriso. — Ha iniziato il rientro nell’atmosfera sopra il Madagascar, ma si è sbriciolato quasi subito. Questi che vedete sono gli ultimi frammenti rimasti, e le immagini vengono dall’Oceano Indiano. Perth non corre più alcun pericolo ormai.
— Grazie a Dio — commentò Marguery con evidente sollievo. A quel punto si girò verso Sandy e lo fissò con aria sorpresa, come se si fosse completamente dimenticata della sua presenza. — Oh — disse. — Be’, lo spettacolo è finito. Prendiamo una tazza di caffè?
— Se ti fa piacere — rispose Sandy. — Marguery? — domandò subito dopo incuriosito. — Avevi per caso degli amici a Perth?
— Amici? No. Non che io sappia, almeno. Non ho mai avuto modo di visitare l’Australia.
— Eppure mi sembravi molto preoccupata — osservò.
Marguery lo fissò. — Cristo, Sandy, alle volte dici cose davvero strane. È logico che fossi preoccupata. In fondo ci sono esseri umani anche in Australia, no? E poi chissà in che punto potrebbe cadere il prossimo satellite? Potrebbe essere proprio sulle nostre teste!
Sandy pensò alla misteriosa sorpresa promessa da Polly e si domandò se fosse o meno il caso di accennare qualcosa in proposito. Solo che non sapeva proprio di che cosa si trattasse, quindi si limitò a fare una considerazione in tono piuttosto serio: — Le possibilità statistiche che una persona venga effettivamente colpita da un satellite sono realmente molto basse, lo sai Marguery?
— Le possibilità? Sandy, tu non sai niente a proposito di certe cose. Non hai trascorso gran parte della tua vita con la paura di essere colpito all’improvviso da un oggetto proveniente dal cielo, e quindi non hai idea di quanto possa renderti nervoso una cosa del genere. Dai, andiamo a prenderci questo caffè. — Quando furono nuovamente nel corridoio che dava accesso alla sala, il suo tono si ammorbidì. — Scusami per prima, Sandy — disse. — Non era mia intenzione darti una simile lavata di testa.
— Lavata di testa? — domandò Sandy con tono perplesso.
Marguery scoppiò a ridere. — Oh, scusa Sandy. Continuo a dimenticarmi che sei nuovo di queste parti. — Gli fornì una spiegazione dettagliata mentre aspettavano in fila davanti al tavolo del caffè. — Senti — aggiunse infine — dato che abbiamo un po’ di tempo a disposizione, pensi che ti piacerebbe andare a dare un’occhiata laggiù?
Stava indicando una porta in fondo al corridoio in cui si trovavano sulla quale era scritto SALA MONITOR DI SORVEGLIANZA ORBITALE. — Che cos’è? — domandò Sandy incuriosito.
— È esattamente ciò che dice la scritta. È una sala dalla quale si possono controllare gli oggetti che si trovano in orbita attorno alla Terra, compresa la nave hakh’hli. Ti piacerebbe andare a dare un’occhiata?
All’interno della stanza vi erano persone che lavoravano, e Marguery si rivolse a una di queste a bassa voce. La donna annuì e indicò un terminale. Marguery vi si sedette, si produsse in una piccola smorfia di fronte alla tastiera, poi iniziò a digitare codici.
— A quanto pare, un poliziotto dell’InterSec può fare più o meno tutto ciò che gli pare — osservò Sandy alle sue spalle.
— Certo, se è accompagnato da te — ribatté Marguery senza sollevare lo sguardo dallo schermo. — E soprattutto se una volta faceva parte del corpo degli astronauti. Ecco qua. Da’ un’occhiata.
Sullo schermo davanti a Marguery stava iniziando a formarsi un’immagine… un piccolo oggetto luminoso in lontananza, simile a una lattina.
— Ora la stiamo vedendo con lo spettro infrarosso — spiegò Marguery. — Si tratta degli stessi telescopi che hanno seguito il rientro del satellite. Ogni tanto può capitare di vedere qualche striscia luminosa che attraversa lo schermo, ma non farci caso. Si tratta semplicemente di altri relitti in orbita, come quello che è appena caduto. Aspetta che ti ingrandisco l’immagine con lo zoom.
Sandy fissò l’immagine che si ingrandiva. Non vi potevano essere dubbi, si trattava proprio della grande nave hakh’hli! Sembrava brillare di luce propria tanto era luminosa, ed era perfettamente visibile in ogni suo dettaglio. Sandy non aveva mai avuto l’occasione di vederla a quel modo. Mentre girava lentamente su se stessa allo scopo di non surriscaldare eccessivamente un lato piuttosto che un altro, divenne chiaramente visibile anche il piccolo incavo nella superficie che era stato la sede del modulo di atterraggio con il quale erano scesi sulla Terra.
— Non sapevo che foste effettivamente in grado di vedere la nave — commentò sorpreso.
— Certo che siamo in grado — ribatté Marguery con tono offeso. — Ci hai forse presi per dei selvaggi ignoranti? Ormai sono quasi due mesi che vi osserviamo.
— Due mesi?
Marguery si produsse in un gesto di stizza. — Il fatto che non siamo più in grado di andare nello spazio non significa necessariamente che non siamo nemmeno in grado di continuare a guardare. L’emissione di raggi gamma è stata individuata diverse settimane fa nel corso di un controllo di routine. È apparso subito evidente che la fonte delle emissioni si stava muovendo a grande velocità, così naturalmente è stata seguita. Credo che sia il vostro propulsore che emette tutti quei raggi gamma.
Toccò qualche tasto, e l’immagine dell’astronave si ingrandì ulteriormente sullo schermo. — In quel momento però la vostra nave si trovava ancora al di fuori del piano dell’eclittica, a oltre un miliardo di chilometri di distanza, e di conseguenza non riuscivamo a ottenere una buona immagine ottica. Poi, quando siete usciti da dietro il Sole, vi abbiamo seguiti costantemente con il radar.
— Radar?
— Onde radio — spiegò. — Quando incontrano qualche oggetto, vi rimbalzano sopra e tornano indietro, rivelandone la presenza.
— Ah — disse Sandy, gratificato dal fatto che almeno un punto risultasse finalmente chiaro per lui. Annuì. — ChinTekki-tho ci ha detto che stavano captando qualche genere di trasmissione proveniente dalla Terra, ma nessuno fra gli hakh’hli aveva idea di che tipo di emissioni potessero essere. Apparentemente, non trasportavano alcun tipo di informazione.
— Non in uscita, certo — concordò Marguery. — Ma il riflesso di quelle stesse emissioni ci forniva un’ottima immagine della nave. In seguito siamo riusciti a ottenere anche un’immagine ottica, almeno nel campo infrarosso… la vostra nave ha accumulato tanto di quel calore passando accanto al Sole che risaltava come una lampadina accesa. Sandy, le vedi quelle protuberanze sulla fiancata della nave? A che cosa credi che servano?
Sandy scrutò lo schermo con attenzione. — Intendi quei cinque bozzi uno in fila all’altro? Sono moduli di atterraggio. La grande nave hakh’hli ha metà di dodici navette, e infatti si può notare un vuoto nel punto in cui era alloggiata la nostra. — Si voltò improvvisamente verso Marguery. — Ci avete guardati anche mentre arrivavamo?
— Certo che vi abbiamo guardati. Non avreste forse fatto lo stesso anche voi? — domandò con pazienza. — Vi abbiamo tenuti d’occhio costantemente, e ci siamo anche sintonizzati su tutte le frequenze possibili per cercare di captare qualche vostro segnale di riconoscimento. Ma voi non ci avete mandato alcun tipo di segnale.
— Be’ — disse Sandy con tono di scusa — i Grandi Anziani non sapevano bene con che tipo di persone avrebbero avuto a che fare…
Marguery scrollò le spalle. — Be’, nemmeno noi eravamo sicuri del tipo di persone con cui avremmo avuto a che fare, e così abbiamo seguito la rotta della navetta fin dal momento in cui si è staccata dalla nave madre, calcolando con esattezza il punto in cui sarebbe atterrata. Non c’era assolutamente bisogno che tu vagassi da solo sotto la pioggia, Sandy. Se tu fossi semplicemente rimasto dov’eri, saremmo venuti a prendervi non appena finiva il temporale.
— E perché non ce l’avete detto?
— Be’, te lo sto dicendo adesso. — Poi, controvoglia, aggiunse: — A dir la verità non avevo il permesso di dirtelo, prima. L’autorizzazione a divulgare certe notizie mi è stata appena concessa.
— Capisco — disse Sandy con tono amareggiato. — Ora ti hanno concesso il permesso di condividere con me alcune verità. Ma non tutte, immagino. — Marguery si astenne dal commentare, limitandosi a una smorfia. — Adesso — continuò Sandy — oltre a permetterti di essere la mia carceriera, ti hanno anche dato il permesso di concedermi qualche piccola briciola di informazione, per vedere che cosa ne facevo?
— Non sono affatto la tua carceriera, Sandy!
— E allora come definiresti la tua funzione nei miei confronti?
— Il termine adatto — disse con tono compunto — è “accompagnatrice”.
— Ma tu sei un poliziotto. Una poliziotta, cioè.
— L’InterSec non è la polizia. Non esattamente, almeno. Oh, al diavolo — sbottò esasperata — che cosa ti aspettavi? Era solo una forma di precauzione. Naturalmente, dovevamo essere ben sicuri del tipo di faccenda in cui ci stavamo imbarcando, e così abbiamo… — Si fermò a metà frase per fissare il soffitto, poi continuò con decisione. — Vi abbiamo tenuto d’occhio. Allo stesso modo in cui voi avete tenuto d’occhio noi. — Cambiò improvvisamente argomento. — Vuoi ancora caffè?
— Se è questo che la mia “accompagnatrice” desidera che io faccia… — ribatté Sandy amareggiato. — E che altro desidera che faccia per soddisfare le sue naturali preoccupazioni?
Marguery gli rivolse uno sguardo che Sandy non fu in grado di interpretare. — Questo dipende da te — disse.
— Oh, ma sono sicuro che avrai istruzioni ben precise al riguardo — insistette Sandy.
Marguery fissò il vuoto per un istante, poi emise un sospiro e rivolse lo sguardo verso il suo orologio. — Fra poco inizierà il discorso di Polly — disse.
— Allora dobbiamo recarci senz’altro sul posto, non è vero? Affinché tu possa portare a termine gli ordini che ti sono stati impartiti?
Marguery si astenne dal rispondere. Sandy si girò e fece per andarsene, ma lei lo fermò appoggiandogli una mano sul braccio. Prima di parlare, si guardò rapidamente attorno per vedere se vi fosse qualcuno in ascolto. — Sandy — disse, quasi sottovoce. — Hai detto che ti sarebbe piaciuto andare a visitare la vecchia New York. Se lo desideri ancora, penso che potremmo andarci oggi pomeriggio.
Il tono di Marguery era piuttosto strano, ma Sandy non si lasciò commuovere. — Certo — rispose con tono acido. — Farò esattamente ciò che mi dirai. Dopotutto, non è che abbia molte alternative.
Polly era in ritardo. Erano tutti seduti da un pezzo nella sala quando fece finalmente il suo ingresso, sbatacchiando le possenti zampe sul pavimento del corridoio centrale con i suoi lunghi passi saltellanti da hakh’hli. Hamilton Boyle la seguiva, evidentemente affaticato dall’andatura. Quando quest’ultimo si diresse verso gli scalini al lato del palco invitando l’aliena a seguirlo, Polly gli rivolse uno sguardo sdegnato. Senza alcuno sforzo, saltò direttamente sul palco con un agile balzo. Quando Boyle giunse nuovamente al suo fianco, Polly si era già accomodata dietro al leggìo e stava passando in rassegna i suoi appunti.
Il pubblico si produsse in una risatina sommessa.
Una cosa del genere rientrava perfettamente nel carattere di Polly, pensò Sandy. Anzi, si corresse, rientrava perfettamente nel carattere degli hakh’hli. Polly alzò lo sguardo ed espresse la propria gratitudine per la risatina secernendo una piccola lacrima di soddisfazione. Seduto com’era in prima fila, circondato da esseri umani, Sandy la vide per la prima volta con occhi terrestri e si rese conto al di là di ogni dubbio che la sua compagna di coorte aveva un aspetto decisamente comico per loro.
Mentre Hamilton Boyle la presentava al pubblico, Polly si lisciò il pelo, pavoneggiandosi e facendo finta di niente. Dopo un po’, Boyle premette un pulsante che fece discendere un grande schermo bianco alle loro spalle e concluse il suo discorso: — …Quindi ora il nostro onorato ospite ci mostrerà alcuni dei dati astronomici acquisiti dal suo popolo nel corso del loro lungo viaggio.
Polly assunse un’aria irritata. — Devo proprio? — domandò a Boyle.
Boyle si produsse subito in un’espressione esterrefatta. — Ma credevo che tu fossi d’accordo — disse. — In fondo tu sei stata invitata qui proprio per questo motivo…
Polly contrasse il corpo in un gesto scocciato. — Oh, va bene — disse. — Vediamo di liberarci in fretta di questa parte. È questo il comando per le immagini? — Con fare impaziente, lasciò che Boyle le spiegasse come andava usato, dopodiché glielo strappò letteralmente dalle mani. — Va bene, ora spegnete le luci — ordinò. Allungò il collo per vedere lo schermo alle sue spalle e iniziò a far scattare un’immagine dopo l’altra in rapida successione prima ancora che le luci della sala fossero state spente. — Queste sono alcune stelle che si trovano nelle vostre vicinanze — disse, lasciando le immagini sullo schermo per non più di mezzo secondo ognuna.
— Questa prima serie riguarda la stella che voi chiamate Gamma Cefeo e i suoi due pianeti. Non è nulla di molto interessante; si tratta di ciò che voi chiamate “nane brune”, di nessuna utilità per chicchessia. Stavamo allontanandoci dal sistema di Gamma Cefeo per dirigerci verso ciò che voi chiamate Alfa Centauri quando abbiamo captato i vostri segnali radio e abbiamo deciso di passare da queste parti, circa 50 dei vostri anni fa. Queste immagini invece si riferiscono ad Alfa Centauri. Il sistema non possiede alcun pianeta pienamente formato di dimensioni degne di considerazione, ma solo una serie di oggetti simili a comete o asteroidi. Eccoli qui. Ma ora veniamo al vostro sistema solare… Perché mi interrompi, Boyle?
L’uomo dell’InterSec le aveva appoggiato una mano sul braccio. — Non credi che sarebbe il caso di procedere un po’ più lentamente? — le domandò con tono cortese.
— Per quale motivo? Tanto queste immagini sono già state registrate nei vostri schedari, e al momento ho cose ben più importanti di cui parlare. Questo è il vostro sole, e qui potete vedere alcuni dei vostri pianeti…
— Sandy sbatté le palpebre. Le immagini sostavano alternando a una velocità tale da non permettergli di recepirle, e naturalmente la gente che lo circondava stava iniziando a lamentarsi per questo. Ma Polly non vi fece assolutamente caso. — Terra, Venere, Mercurio, Giove, Saturno, Nettuno, Marte. L’aspetto interessante per voi, immagino, è che si tratta soprattutto di immagini prese dai poli, scattate da un punto a nord dell’eclittica nel corso del nostro ritorno da Gamma Cefeo e da sud nel corso del nostro viaggio verso Alfa Centauri. Naturalmente abbiamo molte altre fotografie in archivio, che metteremo a vostra disposizione in seguito. Ma adesso basta con questo argomento. Luci! — ordinò con tono, perentorio. Mentre la sala tornava gradualmente a illuminarsi, Polly rivolse uno sguardo compiaciuto verso il pubblico che continuava a borbottare.
— E ora — disse-passerò alla parte più importante del mio discorso odierno. — Si interruppe rivolgendo lo sguardo verso un uomo seduto vicino a Sandy che aveva alzato una mano. — Desidera qualcosa? — gli domandò.
— Volevo solo sapere se ci verrà concessa la possibilità di porle qualche domanda — disse l’astronomo.
— Immagino di sì, ma non prima che abbia terminato il mio discorso. Vi prego di prestare la massima attenzione a ciò che vi dirò ora. Il mio diretto superiore, ChinTekki-tho, mi ha ordinato di informarvi del fatto che dovrete iniziare a intraprendere la costruzione di un acceleratore elettromagnetico, ciò che voi chiamate un “trampolino orbitale”, immediatamente. Abbiamo già identificato due luoghi ottimali per la costruzione sulla superficie del vostro pianeta. Uno si trova sull’isola che chiamate Bora Bora, l’altro sulla cima di ciò che chiamate il Monte Kilimanjaro, nel continente africano. I nostri specialisti stanno portando a termine i piani dettagliati per la costruzione, che vi verranno trasmessi entro breve tempo, e ci stiamo preparando per far scendere sulla Terra due squadre di specialisti, una per ogni trampolino, affinché possano soprintendere inizialmente alla costruzione e in seguito al funzionamento di suddetti apparecchi. Lo scopo principale dei trampolini sarà quello di lanciare in orbita la quantità necessaria di materie prime per rifornire la nostra nave interstellare, ma ChinTekki-tho ha deciso di concedervi un favore speciale, e di conseguenza alcuni fra i primi lanci serviranno per inserire determinati oggetti a propulsione autonoma nell’orbita terrestre. Questi ultimi verranno indirizzati in modo tale da entrare in collisione con gli oggetti che sono già in orbita attorno al vostro pianeta e che hanno maggiori probabilità di staccarsi dalle loro orbite nel prossimo futuro. In questo modo, sarete in grado di eliminarli a vostro piacimento facendoli cadere nei punti della superficie del pianeta in cui riterrete che potranno causare meno danni alla popolazione o alle installazioni umane. Così facendo — concluse con tono trionfante — abbiamo risolto per voi uno dei vostri problemi più pressanti. Ora potete farmi alcune domande se lo desiderate, ma vi prego — rivolse lo sguardo verso il suo orologio da polso — non molte, perché è quasi l’ora del mio pasto di mezzogiorno.
Con grande sorpresa da parte di Sandy, non vi fu alcuna domanda immediata. Il pubblico rimase in silenzio. Anche Polly rimase piuttosto sorpresa, tanto che si mise subito a contorcersi tutta per l’irritazione. Dopo un po’, indicò un uomo che si trovava qualche fila più indietro rispetto a Sandy, in posizione centrale. — Domanda — ordinò.
— Mi stavo semplicemente domandando per quale motivo non avete fotografato Urano e Plutone? — disse questi ad alta voce.
Polly emise uno sbuffo di delusione. — Perché non mi fate piuttosto qualche domanda sui punti più importanti del mio discorso? Semplicemente, non abbiamo osservato né Urano né Plutone.
— Ma se vi siete persi Urano e Plutone — insistette l’astronomo — come potete essere sicuri di non aver perso qualche pianeta anche negli altri sistemi che avete visitato?
— Noi non ci “perdiamo” i pianeti — lo corresse Polly con tono glaciale. — Semplicemente, non ci interessiamo di oggetti che non risulterebbero di alcuna utilità per noi, soprattutto per via della grande distanza dal loro sole. Naturalmente, abbiamo molte altre fotografie in archivio. Nel corso di questo viaggio, noi hakh’hli abbiamo visitato oltre 65 sistemi solari, e naturalmente abbiamo anche a disposizione dati relativi ad altri viaggi compiuti da altre navi.
— E ne ricevete tutt’ora? — domandò un altro astronomo del pubblico.
— Intende rapporti da altre navi hakh’hli? — domandò a sua volta Polly. Ebbe un attimo di esitazione, poi rispose un po’ controvoglia. — No, attualmente non ne riceviamo.
— E riguardo ai pianeti del vostro sistema originario?
— Non abbiamo alcuna immagine da mostrarvi dei nostri pianeti. I nostri antenati li conoscevano molto bene, e di conseguenza non avevano bisogno di fotografie per ricordarseli.
— Potreste almeno identificare la vostra stella d’origine sui nostri cataloghi stellari? Avete detto che si trova a soli 850 anni luce di distanza, e se è luminosa come il nostro sole, dovrebbe trattarsi di un oggetto di quattordicesima o quindicesima magnitudine almeno, e sui nostri atlanti sono segnati tutti gli oggetti di quelle dimensioni.
Polly ebbe ancora un attimo di esitazione. — Penso che possa essere identificata — disse.
— Da lei stessa?
— Non necessariamente da me in persona — rispose controvoglia. — Non al momento, almeno.
— In pratica, vi siete persi, giusto?
— Non ci siamo affatto persi! Semplicemente, non siamo più riusciti a stabilire un contatto con la nostra stella madre per via della grande distanza che ci separa. Come dovreste ben sapere anche voi, mandare un segnale e ricevere una risposta attraverso ottocento anni luce di spazio richiede un tempo pari a 1.600 dei vostri anni. Quando avremo portato a termine la nostra missione, lo comunicheremo ai nostri pianeti natii.
— Ma quale sarebbe, allora, esattamente la vostra missione?
Polly rimase in silenzio per qualche secondo, poi proruppe in un impeto di rabbia. — La nostra missione consiste nell’esplorare e apprendere! Possibile che non abbiate delle domande migliori da farmi?
— Possibile che voi non abbiate immagini migliori da proporci? — ribatté un altro astronomo. — Queste sono semplici fotografie ottiche! Non avete immagini in infrarosso, ultravioletto, raggi X o raggi gamma per accompagnarle?
— Una cosa del genere non rientra nelle nostre abitudini — rispose Polly con tono secco. A quanto pareva, stava iniziando ad arrabbiarsi sul serio. — Nessuno di voi ha intenzione di porre qualche domanda a proposito dei trampolini orbitali?
Seguì una pausa, poi Hamilton Boyle si protese in avanti verso il microfono. — Io ne avrei una — disse. — A proposito di questi progetti di costruzione che ci consegnerete, volevo sapere se li avete mai usati per costruire un simile trampolino di lancio in passato.
— Io personalmente? Certo che no.
— Magari qualcuno sulla vostra nave?
— No, ultimamente no — ammise Polly.
— Allora come potete essere tanto sicuri del fatto che funzioneranno?
Polly gli rivolse uno sguardo glaciale, a metà fra lo sconcertato e l’infuriato. — Si tratta di progetti hakh’hli — spiegò con rabbia. — Sono stati approvati dai Grandi Anziani! È naturale che funzioneranno. Non c’è nessuno che abbia qualche domanda ragionevole in proposito?
Quando fu evidente che non vi era nessuno che ne avesse, Polly si girò e si allontanò con fare sdegnato, incamminandosi in tutta fretta verso il suo pasto pomeridiano e rifiutando seccamente l’offerta di accompagnamento di Hamilton Boyle. Mentre il pubblico si alzava in piedi per andarsene, Boyle si avvicinò a Marguery e Sandy. — Avete progetti per pranzo? — domandò con tono gioviale.
— Andiamo a esplorare New York — rispose Marguery per entrambi. — Probabilmente mangeremo solo un paio di panini per strada.
Boyle annuì e rivolse a Sandy uno sguardo penetrante. — Temo che la tua amica non sia rimasta molto contenta di noi — disse.
Sandy decise di non menzionare il fatto che capitava assai raramente di vedere Polly contenta. — Credo che sia rimasta piuttosto sorpresa dal fatto che nessuno le abbia posto domande sull’offerta del trampolino magnetico.
— Oh? — commentò Boyle sollevando le sopracciglia. — Si trattava di un’offerta? A me è sembrato più che altro un ordine perentorio.
— Probabilmente è solo il suo modo di fare — disse Sandy.
Boyle annuì. — E tu cosa ne pensi? Pensi che si tratti di una buona idea?
Sandy gli rivolse uno sguardo sorpreso. — Certo che è una buona idea. Altrimenti i Grandi Anziani non la avrebbero mai approvata. Avrete la possibilità di mettere in orbita migliaia di capsule, e con costi veramente molto bassi. Inoltre, avrete la possibilità di eliminare la maggior parte dei relitti che circolano attualmente nell’orbita terrestre. Non è forse una buona cosa questa? Non volete salvare le vostre città da ciò che stava per succedere a Perth oggi?
Boyle emise un sospiro. — Certo — rispose con calma. — In effetti, parrebbe un’ottima idea quella di far piombare giù i vari relitti in zone sicure affinché non colpiscano le aree abitate. Solo che ho dei forti dubbi rispetto al rovescio della medaglia.
— Non capisco — disse Sandy.
Boyle scrollò le spalle. — Be’ — spiegò — se si può far uscire un oggetto dalla sua orbita per far sì che manchi una città, non credi che sia almeno altrettanto facile fare in modo che ne colpisca una?