Capitolo undicesimo

Il diario del dottor Seward


7 settembre. Durante gli ultimi cinque giorni sono rimasto accanto a Lucy per tutta la notte; mai ho eseguito un compito più dolce e amaro. Per tutto il tempo non ho avuto notizie dal professore, e ogni giorno ho spedito il telegramma che mi aveva richiesto riguardo alle condizioni di Lucy, ad un certo “Mr. Windham”, nella vecchia casa di campagna dei miei genitori nello Shropshire. La segretezza di tutto ciò mi imbarazza, anche se ne capisco la necessità.

Per quattro giorni e quattro notti, Lucy è andata avanti piuttosto bene e ha cominciato a migliorare considerevolmente; la “magia” del professore stava sortendo degli effetti. Ma, la quinta notte, la stanchezza ebbe la meglio su di me, e Lucy (che aveva ritrovato il suo spirito) insistette affinché, invece di continuare la veglia, dormissi nella stanza adiacente sopra un comodo divano. Io rifiutai ma, poiché non riuscii a resistere completamente alle lusinghe di Morfeo, e poiché il crocifisso d’argento, che non avevo notato, era ancora al sicuro nel suo posto sopra la finestra, mi concessi un “breve sonnellino” sulla sedia.

Fu così che caddi nel sonno più profondo e non mi svegliai fino al mattino inoltrato, quando udii le voci ansiose delle cameriere:

«Oh, povera Miss Lucy!».

«Il dottore! Sveglia il dottore!».

Udii le parole attraverso il velo del sonno, ma il loro contenuto mi portò alla piena coscienza, proprio come il grido acuto di un bambino provoca una risposta immediata da parte della madre che dorme. Balzai immediatamente in piedi e seguii lo sguardo pieno d’orrore delle domestiche verso la donna sul letto.

Lì giaceva la mia dolce Lucy, i capelli d’oro sparsi sul cuscino, la pelle e le labbra di un terribile colore grigio cenere, il respiro difficoltoso. La povera ragazza riusciva a malapena a respirare. Corsi verso di lei e le presi la mano, che era molto fredda, poi diedi ordine a una delle domestiche di portare subito un bicchiere di Porto, ma di non dire niente a Mrs. Westenra, se l’avessero incontrata nel tragitto. L’altra la mandai all’ufficio del telegrafo, per spedire un telegramma a “Mr. Windham”, chiedendogli di ritornare subito a Hillingham. A Lucy ordinai di restare in silenzio, soprattutto perché non riuscivo a sopportare la sua lotta.

La cosa seguente che feci fu quella di guardare di nascosto lo stipite sopra la finestra, poiché mi aspettavo che il piccolo crocifisso fosse stato in qualche modo rimosso dal suo posto, o fosse caduto, e fosse stato raccolto da una delle cameriere.

Ma no: vidi l’argento brillare nello stesso posto in cui era stato la notte precedente, e fui preso dal panico. Come poteva essere? Avevo riposto una completa fiducia nelle spiegazioni di Van Helsing ma, adesso, un pezzo del puzzle non andava più bene. E se si sbagliava riguardo alla sicurezza assicurata da un talismano, non poteva sbagliarsi su tutto il resto?

Non c’era nient’altro da fare che sedersi accanto a Lucy ad aspettare il Porto e, quando arrivò, portai teneramente il bicchiere alle sue labbra e l’aiutai a bere, mentre lei mi guardava con un’espressione di tale dolce scusa che mi tormentò il cuore spezzato. Fece del suo meglio con il Porto, che non era molto, e poi si lasciò cadere stancamente sul cuscino, sospirò, e si addormentò.

La cameriera mi portò della cancelleria dalla scrivania di Lucy, e così scrissi frettolosamente un biglietto ad Art dicendogli dell’improvviso peggioramento della sua fidanzata, poi lo spedii con la posta di metà mattina.

Le ore nell’attesa di Van Helsing sembravano trascinarsi eternamente, specialmente quando la notte cadde ancora e lui non era ancora arrivato. La cosa peggiore era il fatto che, semplicemente, non c’era altro da fare per Lucy. Nella mia disperazione riflettei sul fatto di tentale un nuovissimo metodo sperimentale — la trasfusione di sangue — ma, poiché non c’era nessuno ad Hillingham tranne me, Mrs. Westenra e le tre giovani cameriere, non sembrava esserci nessuno adatto a donare il sangue eccetto me. Ma, anche se avessi avuto l’attrezzatura (che non avevo) sarebbe stato impossibile eseguire il metodo su di me, perché potevo svenire e così perdere sia il dottore che la paziente.

Prima di sera, ricevemmo una risposta da “Mr. Windham” nella quale diceva che sarebbe arrivato con il primo treno del mattino. Sebbene la mia fiducia riguardo al talismano costituito dal crocifisso fosse stata seriamente scossa, fui nondimeno grandemente sollevato nell’udire che il professore stava bene ed era, realmente, sulla via del ritorno.

Grazie a Dio passammo una notte priva di avvenimenti; questa volta, non mi permisi un secondo sonno. La colpa che sentivo per aver tradito la mia paziente — colei che amavo più di ogni altra cosa — faceva scomparire ogni fatica.

Fu così che il professore, finalmente, arrivò. Era di umore cupo… così cupo che, nonostante la terribile situazione di Lucy, sospettai che avesse, nella sua mente, dei dolori anche più grandi. La prima cosa che mi bisbigliò, dopo che la madre di Lucy (che sembrò grata di essere tenuta all’oscuro riguardo alla salute di sua figlia) gli ebbe dato il benvenuto in casa, fu:

«Il crocifisso, l’ha tolto qualcuna delle cameriere?»

«No», risposi, mentre cominciavamo a salire le scale. «Vedrete. È proprio dove l’avete lasciato».

«Allora qualcun altro deve averlo invitato a entrare», disse gravemente. «Non Mrs. Westenra…».

«No», convenni, sorpreso di me stesso, «non lei…».

Nonostante la situazione, Van Helsing fece un sorriso debole e triste.

«Sei proprio un talento psichico, amico John. Sicuramente non hai preso da me; le miserabili abilità che possiedo le acquistai soltanto dopo il più grande degli sforzi». Il suo sorriso si trasformò immediatamente in un’espressione a labbra serrate di infelice determinazione. «Hai ragione riguardo a Mrs. Westenra. Non è stata toccata da coloro che combattiamo; tali cose si vedono prima, invariabilmente, nell’aura, anche se solo in misura minima. Ma dobbiamo fare delle domande a chiunque abbia dormito in questa casa ieri notte, anche a coloro che hanno fatto visita dopo il tramonto. Lì troveremo la risposta a questo mistero».

Si fece nuovamente silenzioso mentre ci avvicinavamo alla stanza di Lucy, quindi la piccola cameriera aprì la porta con un piccolo inchino. Chiedemmo di essere lasciati soli per effettuare il nostro esame, cosa a cui la ragazza acconsentì con riluttanza; una cosa ben fatta poiché, quando Van Helsing entrò e vide Lucy che dormiva, bisbigliò:

«Mio Dio!».

Per un po’ nessuno di noi due parlò e, mentre entrambi restavamo a studiare Lucy nella luce del primo mattino, vidi che aveva un aspetto peggiore di quello del giorno prima. Le sue guance erano talmente scavate che il suo viso sembrava scheletrico. Era molto vicina alla morte, forse mancava solo qualche minuto… e quell’idea mi colpì con tale forza che arrivai quasi a piangere e, nella realtà, inciampai.

Il professore mi afferrò il braccio con una mano incredibilmente forte e mi raddrizzò.

«Può ancora essere salvata, John, ma dobbiamo agire rapidamente; c’è una cosa che posso fare, ma non c’è tempo per le spiegazioni…».

«Sì, sì», risposi, ansioso di concentrarmi su qualcos’altro che non fosse il mio stesso dolore. «Ho pensato la stessa cosa! Una trasfusione…».

Sospirò e scosse la testa.

«No, è una cosa troppo rischiosa. Ho visto quell’operazione fare miracoli… ma l’ho vista, più spesso, portare la morte. Non so come spiegare cos’è che propongo, tranne dire che è una trasfusione… in un certo senso. Ma non a livello fisico».

Ero troppo sconvolto per l’emozione e confuso dalle sue parole per rispondere. Lo guardai battendo gli occhi, in attesa.

«Devo avere completa tranquillità. Di’ a Mrs. Westenra e alle domestiche che nessuno deve venire vicino. Di’ loro… di’ loro che stiamo effettuando una trasfusione di sangue, e che la delicatezza dell’operazione è tale che ogni interruzione metterebbe in pericolo la vita di Miss Lucy». Si fermò, lottando apparentemente per prendere una decisione mentre mi voltavo verso la porta, e la sua esitazione mi fece indugiare. «John… esito a chiederti un tale favore, ma l’“operazione” che voglio compiere, in effetti, ha bisogno di un donatore».

«Eccomi!», risposi immediatamente.

«Devi sapere, però, che questo diminuirà un po’ la forza dell’aura, e così la tua abilità di proteggerti per un po’ di ore».

«Dottore, non mi importa se il costo è la naia stessa anima!».

Lui annuì, chiaramente sollevato.

«Non è impossibile per me usare me stesso ma, con tutta probabilità, sarebbe molto meno efficace per la nostra paziente. Benissimo! Andrò nell’altra stanza per prepararmi. Potresti anche andare a prendere la mia borsa medica al piano di sotto? Rafforzerà l’illusione che stiamo effettivamente compiendo l’atto che fingiamo di fare».

Annuii e ci allontanammo l’uno dall’altro: io diretto verso il corridoio e le scale, lui verso il salotto di Lucy. Ma dei rumori provenienti dal piano inferiore — il bussare e la risposta stridula della cameriera — catturarono la nostra attenzione. Il professore mi lanciò uno sguardo e disse:

«Sospetto che Miss Lucy abbia una visita».

Fu così che mi seguì rapidamente per le scale e, proprio mentre arrivavamo nell’ingresso, vidi Art Holmwood che entrava; al vedermi, Art corse verso di me e mi prese la mano, confessando che l’ansia contenuta nella mia lettera l’aveva portato qui.

«Questo signore non è il dottor Van Helsing?», chiese con cortesia, poiché il professore slava al mio fianco, studiando piuttosto cautamente il giovane intruso. «Vi sono così grato, dottore, per essere venuto!».

Sapevo che Van Helsing non aveva alcuna ragione per fidarsi di Art, e che lo stava esaminando a un livello psichico per vedere se costituiva una minaccia per noi o per Lucy. Ma io ero fiducioso che il mio amico avrebbe passato l’esame, e così fu. Vidi un fremito di sollievo sul viso di Van Helsing, seguito rapidamente da un onesto sguardo di ammirazione e di approvazione soddisfatta. Subito prese la mano di Arthur e, con mia sorpresa, gli disse che avevamo bisogno di un donatore per una trasfusione di sangue, per la quale Art, naturalmente, si offrì volontario.

Quindi Van Helsing informò con severità i domestici che avevamo bisogno di tranquillità, e prese la sua borsa nera (che era più grande e più pesante della tipica borsa da dottore: non so immaginare cosa vi fosse dentro).

Tutti e tre ci avviammo quindi verso la stanza di Lucy. Art rimase naturalmente colpito nel vederla così orribilmente debole, e per gentilezza il professore gli permise di darle un bacio prima “dell’operazione”. Ero piuttosto curioso di vedere come intendeva arrivare allo scopo con un estraneo presente, e con Lucy che, ora, era sveglia (sebbene troppo esausta per parlare).

Andò nell’altra stanza, dicendo loro che si doveva preparare per l’operazione. Scomparve per non più di una manciata di secondi e, quando ritornò, teneva in mano un bicchiere. Disse che quello era un sonnifero per Lucy e le fece scivolare un braccio dietro le spalle, sollevandola, in modo che potesse berlo.

Forse era veramente ciò che diceva di essere, ma io vidi lo sguardo di lui che incontrava quello di lei per un istante… e giuro, ora, che un chiarore distintamente bluastro si riversò dagli occhi di lui in quelli di lei. Alla fine Lucy cadde addormentata. Quindi lui si mosse verso Arthur (che sedeva accanto al letto sulla stessa sedia in cui io ero rimasto tanto spesso a vegliare) e, tirando fuori dalla sua borsa un lungo pezzo di tubo, finse di legarlo al braccio del suo paziente. Prima, però, fissò negli occhi Holmwood con la stessa intensità che aveva usato con Lucy e, nel giro di qualche secondo, anche Art divenne profondamente inconsapevole.

Io guardavo affascinato, respirando appena, come un chiarore di forma ovale circondasse l’intero corpo di ogni paziente: quello di Lucy era di un debole verde chiaro, mentre quello di Arthur, era di un forte e virile arancione.

Van Helsing si mosse prima verso Holmwood, la cui testa ciondolava all’indietro contro la sedia dall’alto schienale. Ero ancora talmente stupefatto per il chiarore delle aure dei pazienti, che non vidi, finché il professore non si avvicinò ad Art e allungò una mano verso il forte chiarore del colore del giglio rosso, che lo stesso Van Helsing era circondato da un luccichio blu, più ampio e anche più intenso.

Il professore allungò la mano verso l’arancione brillante e la ritrasse con una grande porzione, di forma rotonda, dal cuore di Holmwood. Potei vedere l’oscuro vuoto che lasciò e come la ferita psichica si affrettasse a chiudersi immediatamente e a riempire il vuoto con un arancione luccicante, ma l’effetto fu che l’intera aura si schiarì e fu meno forte, come se fosse stata diluita.

Il professore tenne per un momento tra le mani quel “globo” arancione. Non si mescolò con il chiaro blu di Van Helsing ma, invece, sembrò divenire sempre più forte, con il colore sempre più intenso, mentre lui lo guardava. E poi, quando giudicò che fosse il momento adatto, si avvicinò dove giaceva Lucy e lo posò teneramente sul cuore di lei.

La reazione fu affascinante da vedere: la sua debole aura verde immediatamente aumentò come un’ameba affamata e “consumò” il chiarore arancione, circondandolo finché il suo colore scomparve completamente. L’unione dei due non creò un terzo colore; al contrario, il verde pallido si illuminò fino a diventare un forte verde smeraldo, e i suoi confini si allargarono in maniera degna di nota.

«Abbiamo finito», disse Van Helsing. Allora alzai lo sguardo e vidi che l’aura blu era del tutto scomparsa. Una rapida occhiata ai pazienti che dormivano non mostrò alcuna traccia di arancione o di verde, ma solo il colorito ora pallido di Art, e le guance di Lucy baciate da una lieve traccia di rosa. In effetti, fu come se fossi stato all’improvviso svegliato da uno strano sogno.

Quando Art rinvenne, lo mandammo a casa con l’ordine di dormire e mangiare il più possibile (sebbene non so capire come lo potesse fare, date le preoccupazioni riguardo a suo padre e alla sua fidanzata sofferenti). Lucy si svegliò enormemente migliorata, cosa che mi sollevò fino a spargere qualche lacrima in pubblico, dato che, se fosse morta, il suo sangue sarebbe ricaduto sulla mia testa.

Quindi il professore mi prese di lato, e ci accordammo che la cosa migliore da fare per me era quella di restare accanto a Lucy per le prossime poche notti. Lo stesso Van Helsing, durante il giorno, rimarrà nella sua cella al manicomio e continuerà la “ricerca”, come lui la chiama, cominciata durante il suo soggiorno nella casa di campagna. Di notte, verrà a Hillingham nel suo travestimento e rimarrà qui per vedere se potrà chiarire il mistero di come sia entrato il Vampiro, nonostante il talismano protettivo. Prenderà anche delle decisioni per aumentare la “sicurezza” qui, sigillando tutte le finestre e le porte, e ordinando le infiorescenze di aglio fresco che, dice sono dei repellenti più potenti delle teste.


10 settembre. Un giorno terribile, terribile! Avevo trascorso l’intera notte dell’8 settembre vegliando su Lucy e, quando arrivò il mattino, ero completamente esausto, ma c’era del lavoro da fare al manicomio e un nuovo paziente attendeva di essere ammesso. Prima che fossi riuscito ad occuparmi di tutto ciò, il crepuscolo si stava avvicinando, e io mi affrettai nuovamente verso Hillingham per un’altra veglia notturna.

Fortunatamente, Lucy era alzata quando arrivai, e di buon umore. Sua madre riferì con orgoglio che si era vestita per la cena di buon’ora, che era scesa al piano di sotto e che aveva mangiato con appetito. Questa era la migliore notizia che avevo avuto da parecchi mesi, ma la mia allegria non riusciva a mascherare interamente la stanchezza. Lucy lo notò, e insistette perché mi riposassi sul divano nella stanza contigua alla sua, a portata di voce. Nel caso fosse sorto qualche problema, promise che mi avrebbe chiamato.

La mia stanchezza era tale che acconsentii, dicendomi che il miglioramento del mio dolce fardello era dovuto alle misure aggiuntive che il professore aveva preso contro il Vampiro, e che ora eravamo completamente al sicuro. Ad ogni modo, lo stesso professore avrebbe controllato silenziosamente e senza farsi vedere il resto della casa.

Così mi allungai sul divano, dove caddi ben presto addormentato, e non mi svegliai finché una mano premette contro la mia testa. Mi misi seduto di soprassalto, e vidi Van Helsing che mi fissava con un debole sorriso.

«Sei ben riposato, credo», disse con indulgenza, poi alzò una mano per chiedere silenzio mentre io cominciavo a scusarmi; non era stata certamente mia intenzione dormire per tutta la notte. «No, John, non c’è bisogno di spiegazioni. Sei stanco e ne avevi diritto. Comunque, sono rimasto di guardia intorno alle stanze della servitù e alla stanza di Mrs. Westenra. Lì non c’è stato alcun disturbo, né al piano sottostante. Voghamo andare a vedere come sta la nostra paziente?».

Assentii ansiosamente e insieme entrammo nella stanza di Lucy. Io (e il professore, ne sono sicuro) eravamo certi che sarebbe stata una visita felice, e che avremmo trovato Lucy ancora più riposata e piena di salute. La stanza era completamente buia, così mi mossi verso la finestra ed aprii gli scuri, lasciando che la luce del sole del mattino entrasse nella stanza.

«Dio del Cielo!», bisbigliò Van Helsing.

Nell’udire il profondo orrore che percepii nel suo tono, un brivido di indescrivibile paura corse attraverso di me. Chiusi gli occhi e rimasi rivolto verso la finestra, poiché sapevo cosa avrei visto nell’istante in cui mi fossi voltato.

Ahimè, non potevo restare così per sempre. Poi, alla fine, mi voltai e vidi, sul letto, uno spettacolo che mi lacerò il cuore: Lucy era svenuta, grigia come i muri di pietra di Hillingham e altrettanto senza vita. Per un terribile istante, pensai onestamente che fosse morta.

Ma poi, fortunatamente, il suo petto si alzò, mentre lei lottava per respirare. Van Helsing si rivolse a me, immediatamente.

«Amico John, ora è il momento del tuo sacrificio. Chiudi a chiave la porta e poi siediti: io andrò per un momento nell’altra stanza e poi, quando ritornerò, lo farò rapidamente».

Non dissi una parola, ma andai direttamente alla porta e la chiusi bene mentre il professore entrava nella stanza adiacente. Poi mi sedetti e cercai di respirare lentamente, con regolarità, nella speranza di rallentare il mio cuore che batteva furiosamente. Un miserabile senso di fallimento si impadronì di me, insieme con l’irrazionale convinzione che, se Lucy fosse morta, io solo ne ero colpevole.

Ben presto Van Helsing uscì, circondato ancora una volta dallo scudo blu brillante a forma di uovo della sua potente aura. Io lanciai un’occhiata accanto a me per vedere che la stessa Lucy irradiava un chiarore smeraldino pietosamente offuscato; per quanto mi riguarda, stesi la mano davanti a me, curioso di vedere quale colore vi potessi trovare… ma non vidi nulla (in seguito Van Helsing mi disse che io ho un’aura blu “molto sana” con delle zone dorate).

Oltre a ciò, non ricordo virtualmente niente dello scambio, salvo che sembrò finire quasi istantaneamente e che mi resi conto che il professore mi stava conducendo verso il divano nella stanza accanto. Dormii per un po’, poi feci un’abbondante colazione; anche così, l’esperienza mi lasciò notevolmente indebolito.

Per quello che riguarda la povera Lucy, lei era migliorata, sebbene non così tanto come dopo l’operazione con Arthur. Quando ritornai dal professore, che si stava anche lui riposando nel salotto, lui confessò che non aveva preso tanta “forza vitale”, o prana, da me.

«Dopotutto», disse, «Mr. Holmwood non sta cercando di combattere il Vampiro, ma tu sì».

Poi sospirò e fissò in modo sconsolato il freddo caminetto che stava di fronte al divano: nei suoi occhi blu c’era una profonda angoscia assai dolorosa a vedersi.

«Sto sbagliando, credo, a coinvolgerti ulteriormente in tutto ciò, John. Pensavo di conoscere il pericolo che affrontavamo… ma ora comprendo che non ne so nulla. Finora Vlad è stato limitato nei modi e nei luoghi dove possa fare del male, eppure, nel caso di Miss Lucy, i talismani che un tempo lo respingevano, ora non lo rallentano affatto. E se lui può andare e venire come crede, allora Miss Lucy — e tutti quelli che lui vuole — non hanno speranza alcuna. Né tu né io, John. Tu, la sola persona sulla terra che io avevo voluto proteggere da lui…».

Un improvviso spasmo di dolore gli attraversò il viso; senza cura si tolse gli occhiali e li gettò di lato, poi si prese la faccia quadrata tra le mani e pianse piano.

La vista della sua disperazione mi commosse come la vista di Lucy, come la sua confessione di essere preoccupato per il mio bene (sebbene mi chiedessi perché si dovesse sentire più protettivo nei miei confronti che in quelli di sua moglie). Misi una mano sulla sua forte spalla per confortarlo.

«Professore», dissi con gentilezza, «voi siete esausto, e l’intera situazione sembra del tutto senza speranza, ma oggi avete ancora una volta salvato Lucy. Ricordatelo, poi dormite e mangiate bene, poiché nessuno di noi può servire a molto se non ci prendiamo cura di noi stessi».

Nell’udire ciò, alzò gli occhi e disse con voce sofferente:

«Oggi riposerò e mangerò, John, e questa sera verrò e resterò io stesso con Miss Lucy durante la notte, mentre tu andrai a casa». Quando cominciai a protestare, lui alzò una mano. «No… niente obiezioni! Ricorda che sei stato indebolito nella maniera più pericolosa; domani, però, sarai nuovamente pronto per il tuo dovere, e allora potrò riposare». «Benissimo!», acconsentii. Poi mi alzai per andarmene ma, prima che potessi fare un passo verso la porta, aggiunse piano: «In campagna e al manicomio, ho mandato una chiamata d’aiuto urgente dopo l’altra, questo prima ancora che sapessi quanto fosse disperato il nostro caso. Ora so che tutta la conoscenza e il potere che ho acquisito nell’ultimo quarto di secolo, sono stati vani. Se quell’aiuto non arriverà subito, figlio mio, allora sia tu che io siamo perduti».


Il diario di Abraham Van Helsing


18 settembre. Miss Lucy presto ci lascerà. Lo so guardando il suo dolce viso, ancora pallido e tirato dopo la “trasfusione di emergenza” che Jack e io abbiamo eseguito con un americano, Mr. Quincey Morris, come donatore. Non sono tanto i segni fisici dell’anemia — il suo incarnato esangue, il terribile grigio blu delle sue labbra e delle gengive, il suo respiro debole e rapido — che mi convincono della sua imminente morte. Questi, da soli, sono già abbastanza dolorosi da vedere, ma ancora peggiori sono i segni di un’imminente e insidiosa trasformazione: i canini allungati, l’espressione di sinistra voluttà che le viene nel sonno, e il sottile bagliore color indaco che io vedo dietro il suo sguardo verde.

Dopo gli eventi della notte scorsa, sono scosso fino al midollo. Io, che con arroganza mi credevo abbastanza potente da sfidare l’Impalatore, ho imparato che non sono niente, di nessuna utilità per nessuno. Io, “l’esperto” di Vampiri, non ho saputo nemmeno salvare la cara Miss Lucy dopo settimane di sforzi! Che consigli dovrò adesso offrire loro, tranne che fuggire il loro paese natio e vivere il resto delle loro vite nel terrore di essere scoperti!

Ecco la triste storia: i fiori di aglio arrivarono l’undici, dopodiché Miss Lucy sembrò rimettersi in forze. Osai sperare che, sebbene i miei talismani fossero falliti, gli stessi delicati fiori bianchi possedessero una naturale e perciò più forte magia, che avrebbe dovuto respingere l’Impalatore. Comunque, la nostra paziente dichiarò che essi le permettevano di dormire in pace.

La scorsa settimana, mi ero ancora rinchiuso nella mia cella nel manicomio durante il giorno, per ripetere il rito Abramelin, pregando per avere una risposta dal mio mentore o, in realtà, da qualunque parte. Come sempre, nessuna risposta. Per quanto sembri inutile come tutto, adesso venderei la mia anima allo stesso Oscuro Signore del Vampiro, se avessi la garanzia di non essere ingannato e, come risultato, che Vlad e Zsuzsanna fossero distrutti e tutti i mortali protetti. E, naturalmente, nessuna mia trasformazione in un Vampiro…

La maggior parte delle sere andai a Hillingham e vegliai sulla nostra paziente; alcune notti, John mi diede il cambio dopo mezzanotte. Di nuovo, non so cosa ci aspettavamo di concludere, dal momento che Vlad era già entrato nella stanza di Lucy senza essere scoperto, ma è difficile rinunciare ad ogni speranza e arrendersi all’inazione.

Il piano per la notte scorsa era che John vegliasse; io sarei rimasto l’intero giorno e la notte nella mia cella, cercando sia di ottenere aiuto che di caricare ulteriormente uno speciale Sigillo di Salomone, un talismano che rappresentava la nostra ultima speranza. Dato che non sarei stato disponibile, John aveva, il giorno prima, detto alle signore Westenra che ero ritornato ad Amsterdam e che sarei ritornato dopo circa ventiquattro ore.

Ma quel pomeriggio, John si fece un taglio piuttosto serio al polso, a causa di Mr. Renfield che era fuggito dalla sua cella. Vlad era ancora al lavoro! Chiaramente il Vampiro stava progettando qualcosa di scellerato a Hillingham quella notte, e non voleva l’interferenza di Seward; la cosa più sicura per John era quella di restare al manicomio.

Questa deduzione la tenni per me e dissi a John che era troppo debole per vegliare, e che avrebbe dovuto andare a letto e dormire. Io avrei fatto la guardia a Hillingham durante tutta la notte. Aveva perduto un bel po’ di sangue dal taglio e così fu prontamente d’accordo.

Così ieri andai da solo e invisibile alla proprietà Westenra e bussai alla porta circa dieci minuti prima del tramonto. La cameriera del piano di sotto (un timido topolino scuro di ragazza, con occhi grandi e gentili) aprì la porta di uno spiraglio, poi sempre di più, finché rimase sul portico con le mani sui fianchi, aggrottando la fronte e guardandosi intorno in cerca del burlone che l’aveva chiamata e poi era fuggito. Scivolai facilmente oltre di lei, esaminai tutte le finestre per essere sicuro che tutte le piccole croci fossero al loro posto (lì lavorava l’istinto non la logica) e, infine, andai di sopra nella stanza di Miss Lucy.

Anche prima che entrassi, il forte odore nel corridoio mi disse che i fiori erano ancora al loro posto. La porta che conduceva alla camera della paziente era appena accostata. Con facilità ci passai attraverso, sebbene piano piano, poiché non desideravo compromettere il suo pudore. Per fortuna, era in camicia da notte, seduta sul letto, aggrottando la fronte davanti alle Vite di Plutarco, con un vassoio di cibo mangiato a metà sul comodino. Era ancora pallida, ma stava molto meglio dopo la recente ricaduta; c’era un accenno di colore sulle sue guance e sulle sue labbra.

Mi sedetti sulla sedia imbottita accanto al letto di Lucy, e un terribile senso di familiarità mi sopraffece: è ciò che i francesi chiamano déjà vu. Fui colpito dalla stessa tristezza impotente che sentivo nella sedia a dondolo accanto al letto di morte di mamma, e persino nello stesso modo poiché, sebbene un mese fa quella affascinante giovane mi fosse sconosciuta, mi ero paternamente affezionato a lei. In quel momento non riuscivo a liberarmi della sensazione che fosse condannata come la povera mamma… e ancora di più, poiché il suo destino ultimo sarebbe stato molto più orrendo del dolce riposo della morte.

Con dei pensieri così tetri che mi giravano per il cervello stanco, stavo seduto, lottando per mantenere un’acuta percezione verso tutti quei segni dell’avvicinarsi di Vlad che, l’ultima volta, mi erano completamente sfuggiti. Tirai fuori il Sigillo di Salomone dalla tasca della giacca e lo tenni in mano, contemplandone la lucente superficie argentata, i disegni geometrici, e le lettere ebraiche che vi erano incise sopra. La sua vista mi diede conforto e una debole speranza che forse esso e i fiori freschi di aglio, mandati giornalmente da Haarlem, sarebbero stati sufficienti per respingere Vlad.

Le ore passarono. Lucy allungò una mano per prendere una pera dal vassoio della cena, le diede un morso svogliato e poi la gettò via; quindi chiuse il libro e lo mise, anch’esso, da parte. Sperai che il sonno le venisse subito, ma emise un altro sospiro inquieto e frugò nel cassetto del comodino cercando un piccolo diario e una penna. Con questi in mano tornò a sedersi, aprì il diario e poi alzò la penna, pronta a scrivere.

L’ispirazione però le mancò e, con un piccolo verso di disgusto, li rimise a posto, quindi spense la lampada e ricadde nel letto.

Infine il cambiamento del respiro che segnalava il sonno arrivò. Mi alzai, andai al davanzale e lì, con delicatezza, deposi il Sigillo, la più potente delle protezioni magiche di cui potevo disporre per il suo bene.

Poi ritornai al mio posto e mi sedetti sulla sedia a guardarla dormire. Dopo un po’, un sommesso battito di ah si udì alla finestra. Non mi alzai per guardare fuori, poiché non c’era niente da vedere: nessuna aura, né il travestimento in animale. Ma i peli che mi si rizzarono, formicolando, sulla nuca e sulle braccia, mi dissero che il Vampiro era veramente arrivato.

Il battito d’ali divenne più forte, fino a svegliare Lucy. Anche nell’oscurità, potei vedere la sua espressione timorosa, e desiderai aver inventato una nuova bugia dicendo che il mio “viaggio” ad Amsterdam era stato cancellato, in modo da poterle parlare in quel momento, prenderle la mano, e offrirle il misero conforto che potevo. Per alcuni minuti, lei lottò chiaramente per restare sveglia; infine, la sua ansia crebbe a tal punto che si alzò e aprì la porta, gridando:

«C’è qualcuno là?».

Il corridoio rimase scuro e silenzioso, e così lei chiuse di nuovo la porta. Nel frattempo, il suono di un vicino ululato accompagnava il battere d’ali, cosa questa che la fece avvicinare alla finestra. Alzò il bordo di una tenda e sbirciò fuori; io intravidi una nera ala di pipistrello l’istante prima in cui lei gridò piano e corse nuovamente al letto.

Lì si rannicchiò miseramente, con gli occhi spalancati e piena di terrore. Il mio desiderio di confortarla divenne così forte che decisi di uscire dalla stanza, diventare visibile, e poi bussare piano alla porta, dicendo che ero ritornato presto da Amsterdam ed ero stato colto dalla sensazione che lei avesse bisogno del mio aiuto.

In effetti, mi alzai per fare proprio questo ma, in quell’istante, qualcuno bussò alla porta, e Mrs. Westenra apparve in camicia da notte; evidentemente, era stata spinta dall’istinto materno per sua figlia. Ne fui contento, poiché si infilò nel letto con lei, ed entrambe si strinsero l’una nelle braccia dell’altra e trovarono un momento di pace.

Ma si udì nuovamente il battito d’ali alla finestra, il che allarmò Mrs. Westenra che si mise a sedere a fatica, gridando:

«Che cos’è?».

Poi fu la volta della figlia che offrì rassicurazioni con carezze e parole sussurrate. Presto la madre sospirò, si risistemò contro il cuscino e, per un momento fin troppo breve, trovò pace.

Si udì un gufo… questo più vicino, come se l’animale responsabile fosse proprio sotto la finestra. Se lo scontro doveva venire, sarebbe arrivato subito: calmai la mia mente e mi concentrai sul Sigillo di Salomone alla finestra e sul suo radioso “muro” dorato di potere che solo Dio o il Demonio potevano penetrare.

L’istante successivo vi fu il dolce e alto crescendo del vetro che si rompeva e le grida delle signore Westenra, mentre una pioggia di diamanti taglienti come rasoi che proveniva dal muro d’oro di Salomone, veniva portata da un turbine così potente che la tenda fu strappata vorticosamente. Tenni gli occhi strettamente chiusi e sentii il pizzicore di minuscole schegge contro il viso e le mani. Invisibile o no, protetto o meno, fui subito sbattuto contro il muro più lontano. Improvvisamente il vento cessò, e aprii gli occhi. Una nebbia nerissima, un centinaio, anzi, un migliaio di volte più nera della notte, scivolava lentamente sui resti ineguali dei vetri, insensibile al Sigillo di Salomone, il cui bagliore dorato era stato improvvisamente spento. Non so poi quale orrore vide Mrs. Westenra: si agitò in uno sforzo isterico di mettersi a sedere, strappando nel farlo la corona di fiori di aglio dal collo di Lucy, poi indicò con vero terrore la finestra. E, con un gorgoglio strozzato, cadde morta. La sua testa colpì con grande forza quella di Lucy; io lottai per alzarmi, per aiutare la mia paziente, per mettermi tra la ragazza e il Vampiro, per offrirmi al suo posto, ma non potei muovermi: di fatto, non riuscivo a fare nulla, salvo che fissare con impotente orrore e furia ciò che accadeva. Mentre guardavo, la nebbia terminò di entrare, e formò un’alta colonna appena oltre la finestra rotta; un attimo, e la colonna si era trasformata in Vlad. Vlad come non lo avevo mai visto: vestito come un virile e azzimato giovane nobile in un completo di seta nera su misura, la pelle bianca e i denti bianchi che splendevano come perle, e i capelli d’onice che luccicavano di scintille color indaco. Così tanta vita sembrava emanare da lui, che non sembrava più un Morto Vivente, ma soltanto un uomo gloriosamente e magnificamente potente. Sorridendo, camminò con grazia verso il comodino, ignorando completamente le due donne (una morta e l’altra svenuta), poi si chinò per prendere un oggetto dal pavimento: era il Sigillo di Salomone, ora opaco e senza vita. Me lo gettò, dicendo con scherno: «È vostro, dottor Van Helsing?».

Non riuscii a dire nulla. La facilità di parola mi aveva abbandonato, e le mie gambe e la schiena sembravano inchiodati al tappeto coperto dai veni, ma le mani e le braccia ora funzionavano, così presi il talismano e lo tenni con reverenza. La mia paura più grande, in quel momento, non era la morte, e nemmeno il suo morso, bensì il fatto che non potevo più fermarlo mentre eseguiva il suo rito di morte, quel rito con cui aveva legato a sé i miei antenati, il rito per mezzo del quale rinnovava la sua immortalità, in modo che non potesse perire.

Se, in quel momento, lo avesse fatto a me, avrebbe conosciuto ogni mio pensiero… e io sarei stato il suo schiavo mortale, per portare a compimento il male che non poteva fare da solo.

Dovette leggermi i pensieri sul viso, poiché il suo sorriso di scherno si allargò.

«Quanto siete presuntuoso, signore, nel pensare che potrei aver bisogno di voi. Io non ho più bisogno di nessuno, capite? Il mondo appartiene a me, non a voi, sciocchi mortali. Posso andare ovunque, e fare tutto ciò che desidero!». Allargò le braccia in un gesto di grandiosità, poi le abbassò e alzò un dito in segno ammonitore verso di me. «Ma ora sarete più saggio e verrete da me di vostra stessa volontà. Perché lottare, quando è chiaro che non potete fare niente per fermarmi?»

«Allora uccidetemi», dissi. Non era semplicemente una sfida: il mio dolore per essere incapace di salvare Lucy mi lasciava in un’agonia di impotenza. «Uccidetemi onestamente e consegnatemi alla morte incorrotto, se veramente non ho alcun valore per voi».

Uno spasmo di furia contorse i suoi lineamenti. Attraversò l’aria con il braccio come se stesse preparando un colpo di rovescio; la mia testa e la parte superiore del busto andarono a sbattere di nuovo contro il pavimento in modo così violento che l’aria mi fuoriuscì dai polmoni, lasciandomi per un doloroso minuto incapace di respirare.

Nel mezzo della mia lotta, le cameriere entrarono di corsa, gridando quando i loro piedi nudi incontrarono il vetro sparso dappertutto. Quando una di loro riuscì ad accendere la lampada, iniziarono a gridare veramente. Lucy miracolosamente rinvenne e, una volta che esse la ebbero liberata dal pesante corpo della madre, che avvolsero in un lenzuolo, cercò di calmarle. Non riuscendovi, le mandò via a prendersi un bicchiere di vino, poiché stavano piangendo con un abbandono isterico. Tutto ciò ebbe luogo senza che nessuna delle donne notasse entrambi gli intrusi nella camera da letto di Miss Lucy, né notarono quando Vlad scomparve all’improvviso.

Ma io so che lui era rimasto nelle vicinanze. Giacevo sul pavimento angosciato e impotente, incapace di muovermi e, sebbene potessi parlare, le mie grida non furono udite. Concentrazione mentale? Non ne avevo nessuna, e perciò i miei sforzi per rimanere invisibile erano venuti a mancare quando Vlad era apparso. Ma lui aveva, evidentemente, potere in abbondanza a quel riguardo, poiché la povera Miss Lucy non riuscì né a vedermi né a udirmi.

Piangendo silenziosamente, si mise le pantofole che stavano accanto al letto, poi raccolse tutti i fiori di aglio sparsi sul pavimento e sul davanzale e anche quelli rotti che sua madre le aveva strappato dal collo. Quindi, con una tenerezza da spezzare il cuore, li mise sul petto coperto della madre morta.

Allora cercai di gridarle un avvertimento, ma mi fermai: non c’era nessuna ragione per cercare di rompere il velo che Vlad aveva eretto tra noi. Anche se avessi potuto, quale bene le avrebbero fatto i fiori? Non avevano tenuto lontano il Vampiro più del Sigillo di Salomone.

Ora, tutto ciò che le era rimasto era quel momento di affetto e di dignitoso dolore. Oltre quello c’era la tomba, e orrori ancora peggiori, nessuno dei quali potevo aiutarla ad evitare.

Per un po’ di tempo rimase con la testa china davanti al cadavere di sua madre, poi la sollevò e fissò con curiosità l’entrata, poiché era chiaro che le cameriere stavano indugiando troppo con il loro vino. Peggio, il suono delle loro voci era svanito nel silenzio totale. Io sapevo fin troppo bene cosa fosse loro accaduto, ma Miss Lucy no; anche così, lo sguardo di terrore nei suoi occhi indicava che aveva qualche sensazione istintiva di ciò che era accaduto — e doveva ancora accadere — quella notte.

Andò alla porta aperta e le chiamò, solo per non ricevere alcuna risposta; così lasciò la stanza e le cercò al piano inferiore. Attesi nella suspense più orribile, pensando che avrei potuto udirla gridare, ma tutto fuori era silenzio, finché non ritornò piano nella stanza, con un’espressione di tale impotente terrore sul viso pallido che io sentii il bruciare delle lacrime.

Andò diritta al comodino e tirò fuori il piccolo diario e la penna; questa volta scrisse, rapidamente e con fervore. Attesi che Vlad arrivasse da un momento all’altro a interrompere la sua cronaca, ma era come se lui le stesse concedendo questo tempo come un ultimo dono. Infine terminò e strappò quell’ultima pagina di testamento dal suo diario; poi la piegò e la fece scivolare tra i suoi seni.

Il dolore mi schiacciava. Per il bene di chi lottavo per trattenere le lacrime, non so dirlo; forse non volevo che il mio nemico ne gioisse malignamente. Non mi arresi ad esse finché non vidi il suo gesto finale di resa: si distese sul letto e con cura si sistemò la camicia da notte e i capelli, poi ripiegò le braccia sul petto… come se fosse già un cadavere come sua madre, che giaceva accanto a lei.

Così si trovava quando Vlad venne da lei. Allora, non potei sopportare altro ma chiusi gli occhi e non li volli aprire anche quando mi schernì e prese l’onore di Miss Lucy in modi troppo abietti per metterli sulla carta. Potei ignorale i suoi tranelli verbali ma quando udii il rumore del suo succhiare e le grida acute della povera Lucy, compresi fin troppo bene perché Gerda si era arresa alla follia.


Di primo mattino, venne Seward… di corsa, come se avesse la sensazione del disastro che ci era accaduto. Fino a quel momento, io ero rimasto l’unica anima cosciente a Hillingham; mi ero svegliato qualche momento prima da un profondo sonno indotto dal Vampiro, per trovare Lucy prossima alla morte, fredda ed emaciata quasi quanto il cadavere di sua madre. Tentai un trasferimento d’emergenza di energia psichica da me stesso a lei, ma gli eventi della notte precedente mi avevano lasciato stranamente prosciugato; non solo ero incapace di completare l’esercizio, ma divenni debole e quasi caddi sulla povera figliola.

Presto udii bussare alla porta e la voce di John che chiamava. Scesi barcollando al piano inferiore e lo feci entrare; dal mio aspetto disordinato, comprese che il peggio era veramente accaduto, e agì immediatamente. Trovò le quattro cameriere addormentate nella sala da pranzo; con mio grande sollievo, non erano state morse o uccise, ma erano state soltanto drogate con del laudano. Riuscì a svegliarne tre, e quelle, a loro volta, si misero al lavoro, preparando un bagno caldo e andando a prendere del brandy per far rinvenire Miss Lucy.

Naturalmente tali misure servirono a poco; avevamo bisogno di una trasfusione di energia, ma io vedevo che John era ancora debole dopo l’attacco di Renfield, e così rifiutai di permettergli di rischiare. Ma arrivò qualcuno, come fosse stato mandato dagli Dei: un buon amico sia di John che di Arthur Holmwood: Mr. Quincey Morris, dall’America.

Avevo pensato che Arthur fosse il miglior amico di John ma, evidentemente, Mr. Morris è intimo di entrambi. Quando arrivò, vidi, per la prima volta in settimane, un bagliore di speranza sul viso sofferente di John, e i due uomini si afferrarono per le braccia, poi si batterono l’un l’altro sulle spalle, fin quasi a farsi male.

Questo Quincey è un tipo molto alto, magro, dalle braccia e gambe estremamente lunghe, con radi capelli rossi e lentiggini dappertutto. E, per naso, un becco! Quando sta di profilo, l’effetto è comico (ne posso scrivere tanto crudelmente perché è un tipo giovanile e sarebbe il primo a ridere di se stesso): prima si vede la grande barca bianca del cappello Stetson, poi il grande naso a becco, quindi l’enorme protuberanza del pomo d’Adamo, tutto quanto in cima a un corpo che si piega nello sforzo di ridurre la grande altezza.

Devo raccontare una storia triste, e Quincey Morris era l’unico punto bello di essa.

Una volta che le violente pacche sulle spalle e i saluti furono finiti, John spiegò la necessità di una “trasfusione”. Mr. Morris fu d’accordo, con la stessa veemenza senza esitazione che aveva avuto John, tanto che mi fece pensare che anche lui condividesse un amore non corrisposto per Lucy.

Così fu fatto… nella stanza da letto di Mrs. Westenra, poiché la donna giaceva morta nel letto di Lucy.

Ora John e Mr. Morris siedono parlando al tavolo della colazione, mentre io rimango di sopra a fare la guardia a Miss Lucy e a scrivere queste parole. Per quanto si trattasse di un uomo robusto come l’americano, la trasfusione della sua energia ha avuto scarso effetto. Il respiro di lei è un po’ più rapido e il polso un po’ più forte, ma non è abbastanza.

Non ho parlato a voce alta con John della nostra situazione senza speranza riguardo a Miss Lucy o a noi stessi, né ho spiegato in dettaglio gli eventi della notte scorsa ma, quando lui ha visto la stanza di Lucy con il cadavere e la finestra rotta, un po’ della sua cupa e impotente furia che avevo sentito solo qualche ora prima gli è comparsa sul viso. Lui sa! Lui sa!

Adesso non manca molto.

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