Capitolo dodicesimo

Il diario di Abraham Van Helsing


20 settembre. È un giorno di dolore e della disperazione più nera ma, nel mezzo dell’oscurità, brilla un raggio di amore e di coraggio. Il mio cuore vacilla così tanto tra i due estremi da farmi sentire stanco e confuso, ma devo trarne un senso, poiché ci sono decisioni da prendere e vite in gioco. Quindi scrivo, poiché lo scrivere spesso porta un’illuminazione.

Per due giorni e due notti John e io siamo rimasti con Miss Lucy, e non l’abbiamo mai lasciata un istante senza uno di noi al suo fianco, sebbene sapessi che non c’era speranza di proteggerla dal suo assassino o da un destino impensabile. Il massimo che potevamo offrirle era il conforto della nostra presenza. Era il compito più duro, ma il mio dolore per aver tradito quella dolce figliola, che aveva creduto così tanto in me, non era niente se paragonato a quello di John.

Molte volte entrai a dargli il cambio e lo trovai mentre lacrime silenziose gli cadevano sulle guance e intanto, teneramente, le afferrava la mano mentre lei giaceva addormentata. È una cosa amara per lui: è profondamente innamorato di lei ma non la può piangere apertamente… non può nemmeno professare il suo amore un’ultima volta prima che lei muoia. Quel diritto è di Arthur, che io ho conosciuto come uno dei suoi più cari e vecchi amici.

E lei stava morendo veramente. Quella trasfusione finale non le ha restituito alcun vigore ma ha soltanto prolungato l’inevitabile, che sta chiaramente devastando il suo donatore, Mr. Quincey (non posso riferirmi a lui come a “Mr. Morris”, poiché è, come la maggior parte degli americani, fascinosamente informale e piacevolmente diretto nell’esprimere i suoi pensieri e sentimenti nel suo musicale accento texano).

Ma c’è un sentimento che non cerca di nascondere: il suo amore non corrisposto per Miss Lucy. Ho visto il lampo di dolore nei suoi occhi scuri quando la guarda; non riesce a restare nella stanza della malata per timore che il suo amore si veda e causi qualche dispiacere a John o a Arthur, così si dà da fare aiutando in vari modi: è stato il nostro fattorino e, quando dissi che si doveva immediatamente avvertire Arthur, fu lui che andò a spedire il telegramma.

John mi ha detto che Quincey non ha voluto dormire la notte scorsa ma, invece, ha fatto la guardia in giro per la proprietà, pistola alla mano (John ha mestamente confessato che Quincey si è convinto che il colpevole sia un grosso “pipistrello vampiro”, del genere che si trova in Sud America. Sembra che una volta, per tale causa perse un cavallo che amava e dice che ha visto un grosso pipistrello grigio volare intorno alla casa. È più vicino alla verità di quanto pensassi!).

Riguardo ad Arthur: suo padre, Lord Godalming, era peggiorato domenica: il giorno dopo l’ultimo incontro di Lucy con il Vampiro. Così, il povero ragazzo era rimasto l’intero giorno e la notte al capezzale del vecchio. Suo padre morì poco dopo l’alba di lunedì, lasciando Arthur — o, dovrei dire, il nuovo Lord Godalming — con poco tempo per piangere quella perdita prima di ricevere il nostro telegramma che diceva che Lucy stava per morire e che aveva chiesto di lui.

Quincey lo prese alla stazione e lui arrivò qui con gli occhi così rossi, cupo ed esausto, che mi fece male condurlo nella stanza di Lucy e vedere il suo dolore moltiplicato. Lo stesso Quincey scomparve, penso perché temeva di lasciarsi andare nella stanza e di rattristare ulteriormente Arthur. È accaduto che il nuovo Lord Godalming sia arrivato precisamente alle sei, quando stavo andando a dare il cambio a John per la veglia; così, Arthur è rimasto con me per tutta la mia veglia, fino a mezzanotte.

Per quanto il pover’uomo dovesse essere sconvolto, fu allegro con Lucy in un modo che la rianimò un po’, e anche lei finse una tale allegria, che non potevo sopportare di guardarli mentre erano così coraggiosi l’uno per il bene dell’altro. Ma la debolezza riebbe ben presto la meglio, e lei ritornò alla sua abitudine di cadere in frequenti periodi di incoscienza; altre volte, smetteva di lottare per parlare e restava in silenzio. Durante tutto questo tempo, Arthur sedette vicino a lei, tenendole la mano e fissandola con la stessa espressione di disperante adorazione che avevo visto in John. Nonostante la sua educazione privilegiata, Lord Godalming è un uomo molto forte.

In trent’anni di pratica medica, ho visitato molte famiglie che si prendevano cura di un loro membro mortalmente malato. Tutti sono diversi, naturalmente: alcuni sono affettuosi, altri no, ma tutti condividono una costante, specialmente quando la morte si avvicina. L’esperienza ha come conseguenza che la formalità e la finzione vengano meno, non solo per la persona morente, ma per coloro che se ne occupano, così che rimane solo l’essenza di tutte le persone. In alcuni casi, è una cosa triste, poiché possono venire alla luce, la rabbia, il rimpianto o il dolore, o una totale debolezza a cui l’individuo si lascia andare per finire in una disperazione morbosa dalla quale non riesce a riprendersi.

In altri casi, l’esperienza cancella gli aspetti più superficiali della personalità, lasciando vedere un nucleo dorato di forza e compassione. Questo è ciò che vidi in John e nei suoi amici Quincey e Arthur, nonché nella stessa Miss Lucy e, nonostante la grande tristezza, mi sentii commosso e privilegiato per essere tra di loro.

Infine l’orologio batté le dodici, e John apparve sulla porta. Mi alzai, diedi un colpetto sulla spalla ad Arthur e gli dissi di venire a riposarsi, poiché non lo aveva fatto per quasi due giorni. Lui si oppose con forza finché John non promise che, se le condizioni di Lucy fossero cambiate in peggio, pur se in maniera lieve, lui avrebbe immediatamente svegliato l’amico. Infine accettò e andammo nello studio, dove due comodi divani fronteggiavano un camino scoppiettante.

Lì mi riposai ma non dormii, poiché i miei pensieri erano ansiosi e molti; fortunatamente, Arthur cadde quasi immediatamente in un sonnellino. Ascoltai il battere dell’orologio ora dopo ora finché fu nuovamente l’alba: le sei. Arthur dormiva ancora profondamente, così me ne andai in silenzio e ritornai nella stanza di Lucy, dove John sedeva a scrivere nella debole luce a gas.

La tenda era tirata e la stanza in penombra. Non riuscivo a vedere il volto della paziente, ma sul suo cuore e sulla testa ondeggiava un fatale segno rivelatore: la scintillante aura indaco che indicava un Vampiro. Immediatamente, ordinai a John di alzaie la tenda. La pallida luce dell’alba entrò, illuminando il viso di Miss Lucy, una cosa questa che mi fece trattenere il respiro poiché, sulle prime, pensai che stavo guardando un cadavere. Ma respirava ancora e così, in tutta fretta, sciolsi la nera sciarpa d’argento che avevo legato intorno alle ferite del morso.

Era come avevo temuto; i segni del Vampiro erano svaniti, lasciando la pelle lattea liscia e priva di segni.

Anche John vide e, anche prima che glielo dicessi, sembrò capire che stava morendo. Andò a svegliare Arthur poiché, in verità, non riuscii a dare io stesso la notizia al ragazzo. Invece mi occupai di raddrizzare i cuscini di Lucy e di rimuovere rapidamente tutti i segni della malattia dal tavolino: la bottiglia di laudano, la morfina, il vaso da notte. Le pettinai anche i capelli all’indietro così che fossero sistemati in belle onde sui cuscini, poiché sapevo che Lucy avrebbe voluto avere l’aspetto migliore per quell’ultimo momento da condividere con il suo fidanzato.

Quindi l’innamorato ferito venne… o piuttosto dovrei dire, i suoi due innamorati colpiti, poiché John, con l’espressione e una postura di estrema decisione, entrò con il braccio fermamente stretto intorno alle spalle di Arthur, in un gesto di sostegno senza riserve. Ma i suoi occhi, come quelli di Arthur, brillavano di lacrime non versate: sentiva la prossima perdita in modo altrettanto acuto, ma il Fato non gli aveva concesso il diritto di mostrarlo. Quando i due si avvicinarono al letto di morte, John allentò la presa e lasciò che l’amico corresse accanto a Lucy. Non menziono la mia pietà per mio figlio al fine di mettere in luce la sofferenza di Arthur: al contrario, penso che essa mostri che uomo buono debba essere Holmwood (cioè, Lord Godalming) per ispirare una tale profonda lealtà in un amico. E anche John, poiché molti uomini meno validi hanno rotto lunghe amicizie a causa dell’amore di entrambi per una donna.

Riguardo ad Arthur, essendo venuto dal letto di morte di suo padre a quello della donna che amava, entrò nella stanza pallido e tremante, con nuove lacrime sulle guance. Ma, più si avvicinava a Lucy, più fermamente metteva da parte il suo doppio dolore, asciugandosi gli occhi e facendo scorrere le dita attraverso i ricci scomposti in modo da potersi presentarsi a lei nell’aspetto migliore. È un uomo forte, quello. Ricordo quanto fui addolorato quando il mio figlioletto Jan morì e Gerda impazzì; certamente non avrei potuto assumere un aspetto imperturbabile come fece Arthur.

Fu allora che corse al fianco di lei e si chinò per baciarla, ma io avevo visto la crescente aura indaco che la circondava; se lui avesse messo in atto la sua intenzione, lei avrebbe potuto ipnotizzarlo fino al punto che, dopo la morte, avrebbe potuto influenzarlo a fin di male. Così mi misi tra di loro e con gentilezza l’avvertii:

«Non ancora. Prendile la mano; le darà maggior conforto».

Ne fu perplesso, ma il dolore lo aveva privato di qualsiasi capacità di sfida, per cui fece ciò che gli veniva detto. Era una cosa difficile dire a un uomo che non poteva baciare la sua innamorata morente, ma io sapevo che non c’era altro modo per proteggerlo.

Miss Lucy trasse un grande conforto dalla sua presenza, e dal suo tocco e si lasciò andare al sonno con un sospiro ma, dopo un po’, l’onesto sonno si trasformò in una trance, e un velo di bellezza illusoria, come quella che sanno produrre i Vampiri, la circondò. John la vide, lo so, poiché mi rivolse un intenso sguardo consapevole. Lucy allora aprì gh occhi — o piuttosto gli occhi di un demonio — e lo supplicò di baciarla, con una seducente e malvagia parodia della sua stessa dolce voce.

Arthur si chinò per esaudirla in modo così rapido che, abbandonando ogni traccia di civiltà, lo presi per il collo e lo spinsi via, gridando: «No! Per la vita!».

Ricordarlo ora mi provoca nuovo dolore, poiché il mio atto deve essergli apparso inspiegabilmente crudele: in effetti, folle. Infatti, un lampo di violenza comparve nei suoi occhi, ma quasi immediatamente passò e lui rimase immobile, in attesa di spiegazioni.

Non gliela diedi poiché, subito dopo, Lucy rinvenne e mi prese la grossa mano ruvida nella sua, piccola e sottile, e la baciò. Quel fatto era, da solo, sufficiente a provocarmi le lacrime, ma poi alzò lo sguardo verso di me con occhi supplichevoli e affettuosi e disse con un bisbiglio incerto:

«Mio vero amico, e suo! Proteggilo e dammi la pace!».

Tremante per l’emozione, caddi in ginocchio accanto al letto. Quelle che mi aveva chiesto erano cose difficili, forse impossibili: se Vlad era ora così potente, così inaccessibile, come potevo sapere che lei, la sua discendenza, non sarebbe stata così?

Ma per il bene dell’amore, risposi solennemente:

«Lo giuro!».

Lo giuro veramente, Lucy. Lo giuro con ogni fibra del mio essere, con tutta la mia forza e la mia anima. Può essere impossibile, ma io lo metterò in atto o morirò nel tentativo…

Il suo respiro divenne ancora di più una lotta, finché udii il debole rantolare nella sua gola. Mi alzai e mi voltai verso Arthur, che non lottava più per trattenere le lacrime che gli rigavano le guance pallide. La fine era venuta, e così io gli chiesi di prenderle la mano e di baciarla una volta, sulla fronte.

Così fece, e poi lei chiuse lentamente gli occhi. Il rantolo mortale divenne più forte, e allora presi il braccio di Arthur e lo tirai via. Ma, prima che raggiungessimo la porta, il suono si interruppe improvvisamente; la nostra dolce Miss Lucy era morta. Ritornai al suo fianco e lasciai che John portasse via il suo amico singhiozzante. Mi sedetti lì per un po’, guardando con dolore e orrore il viso stanco e devastato di Lucy che cominciava subito a rifiorire di vita… o piuttosto, di morte vivente.

Per più di vent’anni, ho dato la caccia ai Vampiri per tutto il continente europeo e, in ogni caso, ho vinto: il Vampiro veniva distrutto e il suo progenitore, Vlad, indebolito. Lo stesso scenario si è ripetuto diverse volte: la caccia, la cattura, e infine la distruzione, sempre secondo le stesse regole. L’abilità e le limitazioni del Vampiro non variavano mai, e la croce e l’aglio non avevano mai fallito. Con il tempo divenni più potente, e il mio compito divenne più facile. La mia aura era così forte che mi potevo muovere con completa fiducia e invisibilità intorno al Morto Vivente. Loro non potevano né ipnotizzarmi né sopraffarmi. Ma adesso…

Mentre contemplavo amaramente il mio fallimento, John ritornò e rimase accanto a me in silenzio: entrambi contemplavamo il cadavere. Per un po’ nessuno di noi due parlò, poi John chiese:

«Professore, un uomo che muore ha il diritto di sapere che sta morendo?».

Il suo tono era talmente calmo e loquace da farmi credere che stava cercando di distrarsi, forse tentando di decidere se la stessa Lucy ne era stata consapevole; così risposi nella stessa maniera.

«Naturalmente. Se non lo sa, come si può preparare bene?».

Parlò di nuovo e, questa volta, notai una leggera ma crescente rabbia dietro le sue parole.

«E un uomo impegnato in una battaglia… sia pure una battaglia che, forse, non potrà vincere, ha il diritto di sapere chi è che combatte?».

Un lieve gelo mi prese, poiché improvvisamente compresi dove conduceva la sua serie di domande, ma non riuscivo a convincermi a rispondere. Invece lo guardai, e vidi che stava lottando terribilmente per trattenere una potente ondata di emozione. Quando comprese che non sarebbe venuta nessuna risposta, disse con calore:

«Professore, non potete più sopportale questo terribile fardello da solo. Avete visto Arthur e Quincey, e io spero che li abbiate riconosciuti per quegli uomini coraggiosi e onorevoli che sono. Essi hanno…».

«Che cosa suggerisci, John? Che dica loro la verità? Anche se ci credessero, che bene ne verrebbe loro? Soltanto che verrebbero messi in pericolo…».

«Lucy non lo sapeva», gridò lui, con un’improvvisa veemenza che gli fece diventare le guance rosse. «Che bene gliene è venuto?».

Per questo non avevo risposta, così restai in silenzio mentre lui continuava a sfogare il dolore sotto forma di rabbia. Tremò, si arrabbiò, strinse il pugno, poi lo sollevò davanti al mio viso.

«Loro hanno tanto diritto quanto ne ho io di conoscere la causa della morte di Lucy, in modo che la possano vendicare… e cancellare questa terribile piaga dalla terra! Sono i miei più cari amici, e io non starò a guardarli mentre muoiono per l’ignoranza! Mio Dio, Quincey avrebbe potuto benissimo essere morso, mentre andava in giro fuori, di notte, cercando di rendersi utile in qualche modo!».

A questo punto arrivò la tempesta di lacrime, con una tale furia che cadde in ginocchio accanto a Miss Lucy e nascose il viso nel letto, martellando con un pugno impotente il materasso.

Non dissi niente. Lo lasciai piangere, ma le sue parole mi punsero ed evocarono dentro di me un tipo diverso di tempesta.

Dopo qualche istante, sollevò il viso bagnato e arrossato, e si alzò per andarsene. Prima di raggiungere la porta si voltò e disse, con calma e quieta dignità, in modo da farmi sapere che aveva pesato ogni parola, nonostante lo sfogo emotivo che le accompagnava:

«Dottor Van Helsing, da lungo tempo voi avete avuto fiducia nella segretezza e nella scienza, nelle protezioni magiche e nei riti. Ora tutte queste cose vi hanno tradito, ma c’è una cosa che non vi tradirà mai, una cosa che sarà sempre più forte di ogni male: il cuore umano. Io vi offro il mio e quelli dei miei amici più intimi nella futura battaglia, per il loro bene come pure per il vostro».


26 settembre. Lucy è stata sepolta con un doppio servizio funebre insieme a sua madre, il ventidue; una faccenda amara per tutti, specialmente per quei due che sapevano che non era andata verso un riposo eterno e pacifico.

L’intensa meditazione non aveva permesso alla verità delle irose parole di John di scomparire; al contrario, più le rimuginavo, più arrivavo a credere che avesse ragione. Ci siamo accordati che, quando Miss Lucy sarà messa veramente a riposare, sarà la mano di Arthur a eseguire l’azione e John, Quincey e io, assisteremo. Ho scritto delle lettere ad Arthur e a Quincey, chiedendo loro di accompagnarmi alla tomba. Oltre a ciò, non ho fornito alcuna spiegazione; le parole non possono convincere tanto completamente quanto la prova fisica.

Nel frattempo, gli ultimi giorni sono stati frenetici per parecchie ragioni. Dato che non c’erano altri parenti viventi, Mrs. Westenra ha lasciato la proprietà ad Arthur. Lui, a sua volta, ha chiesto a John e a me l’aiuto per esaminare le carte e organizzare il funerale, essendo già oppresso da obblighi simili connessi alla morte di suo padre. Gli chiesi il permesso di esaminare le carte personali di Lucy e il diario per capire meglio “la natura della malattia”. Questo lo permise, essendo troppo turbato persino per discutere la mia richiesta.

Scorrendo tra quelle carte, scoprii un grosso pacco di lettere scritte da Wilhelmina Murray, che Lucy nominava costantemente nel suo diario come “Mina”. Sembra che quelle due donne fossero le migliori delle amiche; di fatto, Lucy spesso passava l’estate con Madam — cioè, Miss — Mina alla villa dei Westenra a Whitby. Lucy non teneva un diario a quel tempo (nel ritornare a Londra, però, fu soggiogata dall’influenza diaristica di Miss Mina e ne cominciò uno), così non c’è una registrazione di ciò che accadde con precisione, ma io so che fu lì che, per la prima volta, venne morsa.

Le lettere di Mina, alcune delle quali, purtroppo, non furono mai aperte, riflettevano una signora di grande bontà e intelligenza. Nel leggerle, ebbi subito la sensazione di averla già incontrata e di aver fatto amicizia con lei; così ebbi ancora più paura di sapere delle cose riguardo al periodo trascorso a Whitby con Lucy. E infatti, se Lucy era stata morsa, perché non lo era stata la sua amica?

Due giorni dopo il funerale delle Westenra, scrissi a Miss Mina Murray (ora Mrs. Mina Harker) chiedendole se potevo avere un colloquio con lei, poiché ero stato il medico di Lucy Westenra e stavo investigando sulle cause della sua morte. Lei rispose prontamente e in modo estremamente caloroso, invitandomi nella sua casa di Exeter il giorno seguente.

Con un po’ di trepidazione andai. Il mio cuore era ancora terribilmente addolorato dopo la terribile sconfitta con Lucy, e temevo di trovare un’altra gentildonna colpita dalla maledizione del Vampiro.

Fortunatamente, quando arrivai a Exeter ed entrai nello studio di Mrs. Harker, vidi una giovane donna piena di salute: le sue guance e le labbra rosa erano un benvenuto e una bella vista dopo il pallore della povera Lucy. Anche più bella era la vista del suo lungo collo che si alzava puro e senza segni da un vestito scollato. Ma Madam Mina (non potei resistere a chiamarla subito così, poiché era chiaro che la morte di Lucy ci aveva già unito in amicizia) non aveva affatto l’aspetto che mi attendevo. Le sue lettere indicavano una donna di una tale maturità e saggezza che io l’avevo immaginata più grande di Lucy, più alta e più robusta.

Ma era di tutta la testa più bassa della sua defunta amica, una minuscola creatura dall’aspetto fragile, a malapena più grossa dei bambini ai quali aveva insegnato prima del suo recente matrimonio con Mr. Harker. Anche il suo viso era quello di una bambina — a forma di cuore sotto una capigliatura castano scuro acconciata alla Pompadour, con grandi occhi a mandorla, un naso piccolo e una bocca simile a un bocciolo di rosa — così innocente e ingenuo che avrebbe sempre attraversato la vita sembrando molto più giovane dei suoi anni.

Ah, ma quegli occhi… Mi ricordavano quelli di John, poiché erano sensibili, intelligenti, veloci nell’assorbire ogni dettaglio, e fortunatamente liberi da ogni traccia di luccicante indaco traditore. In effetti, anche nella chiara luce del giorno che proveniva dalle imposte aperte, le si poteva vedere intorno un deciso chiarore viola: una forte aura per una donna forte.

Quando arrivai, apparentemente era immersa nel lavoro, poiché udii un battere di tasti nel corridoio, che cessò nell’istante in cui la cameriera bussò per annunciare il mio arrivo. Quando la porta si spalancò, vidi che un angolo del salotto era stato trasformato in studio. Dietro di lei si trovava una scrivania sulla quale vi erano dei giornali accatastati, un piccolo diario nero, della carta bianca ammucchiata in un cestino di fil di ferro, e una grossa macchina da scrivere con un foglio di carta inserito.

In quella pausa di un secondo in cui ci guardammo l’un l’altro e io verificai che lei era veramente Mrs. Harker — Mina Murray — quegli occhi intelligenti mi esaminarono con grande attenzione, ma in modo così rapido da non mancare di cortesia. In apparenza lei ebbe di me un’impressione tanto favorevole quanto io di lei, poiché un’espressione di impercettibile calore le apparve sul viso.

Si avvicinò con uno sguardo cortese e tese una mano delicata e pallida, un terzo la grandezza della mia, grande, callosa e scura. La presi, grato di sentire con il tatto che la mia valutazione visiva di lei era stata accurata: lei non era vittima della maledizione, non era segnata. Così il sorriso che le rivolsi fu il primo genuino dopo molti giorni.

«Madam Mina», dissi, usando istintivamente l’appellativo meno formale, che sembrò farle piacere. «Vengo a causa della defunta».

Il suo sguardo era piacevolmente intenso e diretto (come noi olandesi preferiamo), senza il distogliere e il chiudere gli occhi così prediletto dalle donne inglesi. Vi vidi l’amore per la defunta amica, e un’onesta gratitudine nei miei confronti; quando parlò, seppi che lo fece direttamente dal cuore.

«Signore», rispose, con una voce forte, matura, che negava la sua apparenza giovanile, «voi non potete desiderare una migliore presentazione dell’essere stato amico e di aver aiutato Lucy Westenra».

Passato il momento delle presentazioni, lei chiese quali informazioni precisamente desiderassi da lei, e io spiegai il mio bisogno di certe informazioni riguardo a Whitby: tante quante fosse in grado di ricordarne.

«Bene, vi posso dire tutto al riguardo», disse, facendomi cenno di sedere su un vicino divano. «L’ho messo tutto per iscritto. Vorreste vederlo?».

Naturalmente. Così prese il diario nero dalla scrivania e me lo porse con un improvviso lampo malizioso negli occhi; sembra che Madam Mina abbia un senso dello humour piuttosto spiccato.

Aprii il diario, con l’intenzione di leggere immediatamente, ma sulla pagina vi erano dei chiari ma totalmente incomprensibili scarabocchi, riccioli, e linee. «Mr. Jonathan Harker è un uomo fortunato», dissi, porgendoglielo, «ad avere una moglie così piena di talento, ma ahimè, io non conosco la stenografia. Vorreste essere tanto gentile da leggermela?».

La giovane arrossì mentre prendeva il diario e, subito, prese un mucchietto di fogli dal cestino di ferro.

«Perdonatemi. Ecco: quando mi avete detto che desideravate chiedermi di Lucy, vi ho preceduto, e ho scritto per voi tutte le registrazioni di Whitby con la macchina da scrivere».

La ringraziai con estrema sincerità per la sua fatica e chiesi se le potevo leggere in quel momento; lei acconsentì e si scusò, dicendo che sarebbe andata a controllale la preparazione del pranzo.

Chiuso nella tranquillità del salotto, lessi rapidamente le registrazioni. Parlavano di Whitby, di Lucy, e di parecchi incidenti di sonnambulismo; in un punto, era chiaro che aveva salvato Lucy — senza saperlo — proprio dall’abbraccio del Vampiro. Il diario, ovviamente, doveva essere privato, poiché menzionava la sua estrema ansia per l’allora fidanzato, Jonathan, che era apparentemente all’estero e non aveva scritto per un po’ di tempo.

Non pensai per niente a questo fatto, concentrando invece tutta la mia attenzione sugli eventi in cui Vlad era coinvolto con grande chiarezza. Fino al momento in cui lessi la registrazione del 26 luglio, quando Madam Mina aveva appena ricevuto la lungamente attesa lettera da Jonathan, spedita dal suo impiegato. Una frase sembrava risaltare nella pagina:

«È soltanto una riga scritta dal Castello Dracula e dice che sta partendo verso casa».

Fui contento che lei mi avesse lasciato solo, poiché imprecai a voce alta e colpii il divano con un pugno alla vista di quel nome. Jonathan al Castello Dracula! E quindi questa dolce signora, dalla quale io ero stato immediatamente colpito, non era affatto al sicuro: era in grande pericolo! La malvagità del Vampiro non l’aveva toccata soltanto una volta, attraverso la morte della sua più cara amica, ma anche attraverso suo marito.

Lessi ancora e appresi che Jonathan aveva sofferto di “febbre cerebrale”, poiché aveva delirato come un folle davanti al capostazione di Klausenburgh per avere un “biglietto per casa”. Sebbene non avesse un penny, la sua condotta violenta aveva spaventato quelli del luogo che gli avevano dato un biglietto per la destinazione più ad ovest, Budapest. Lì era stato trovato in un tale stato mentale che fu portato subito in un sanatorio, le cui buone suore ne diedero notizia a Madam Mina, che venne e lo portò a casa in Inghilterra (fu nel sanatorio di Budapest che si sposarono).

Dopo che ebbi letto tutto, misi da parte i fogli e cominciai a pensare. Avevo già preso la decisione di mettere a parte Quincey e Arthur delle nostre (cioè, di John e mie) conoscenze riguardo al Vampiro, poiché sembrava giusto che entrambi prendessero parte alla vendetta per la morte della donna che amavano.

E Madam Mina, non aveva lo stesso diritto? Anche se Jonathan non fosse stato morso, aveva già sofferto un grande tormento mentale. Ricordai l’amara frase di John: Lucy non aveva saputo nulla del Vampiro, eppure ciò non l’aveva protetta minimamente. Quindi, suppongo che sia vero: la conoscenza è il potere, anche se, in questo caso, è solo il potere di arrendersi… o di fuggire.

In ogni caso, era troppo tardi; avevo già aperto il mio cuore a questa donna e mi preoccupavo del suo benessere quanto mi ero preoccupato di quello di Lucy. Non potevo semplicemente andarmene e lasciarla lì a fare, da sola, la terribile scoperta riguardo a suo marito, o diventare la vittima dell’attacco di lui o di Dracula.

Perciò, quando Madam Mina ritornò, la ringraziai fervidamente per il suo illuminante manoscritto, anche se sarebbe stata colta dall’orrore nel sapere cosa avevo scoperto alla luce di esso. Il più casualmente possibile, feci un’osservazione circa la febbre cerebrale di suo marito e chiesi se era guarito completamente.

Subito un’ombra velò la sua espressione e una profonda ruga apparve tra le sue scure e delicate sopracciglia; si fermò e disse con cautela:

«Era quasi guarito… ma è rimasto profondamente rattristato dalla morte del suo datore di lavoro. Mr. Hawkins prese Jonathan sotto la sua ala ed è stato come un padre per lui, per molti anni».

Annuii e, con qualche commento partecipe, la spinsi a parlarne un po’ di più.

Questo accrebbe il suo sconforto finché la ruga fu raggiunta da altre sulla fronte, e le sue labbra piene a bocciolo di rosa si strinsero in una linea sottile. «Provò… un certo spavento lo scorso giovedì, quando eravamo in città, passeggiando a Piccadilly».

Di nuovo la sollecitai a rivelare qualcosa di più, finché appresi che lo aveva reso cupo la vista di un uomo (non un uomo mortale, sospetto!), un uomo che chiaramente aveva avuto qualcosa a che fare con la sua malattia al cervello.

All’improvviso si inginocchiò. Non in lacrime o presa dall’isteria ma così stravolta dalla paura e dalla preoccupazione per suo marito, che alzò le braccia verso di me e mi supplicò di aiutarlo, di farlo stare ancora bene. Sebbene non lo dicesse, capii che temeva che Jonathan stesse diventando pazzo.

Con delicatezza presi le mani imploranti di Madam Mina tra le mie e l’aiutai a rialzarsi. Mentre la conducevo al divano e mi sedevo accanto a lei, dissi con la sincerità più estrema:

«Mia cara Madam Mina, da quando sono venuto a Londra in risposta alla chiamata del mio amico John Seward, ho trovato numerose persone — incluso Arthur (cioè, Lord Godalming) e la nostra Miss Lucy — la cui forza di fronte alla disperazione e la cui pietà mi hanno colpito profondamente. Sono onorato di chiamarli amici e di sapere che essi pensino lo stesso di me. Dai vostri scritti e dalla vostra sola presenza, so che voi siete buona e meritevole come loro. Per favore, pensate a me come a un vostro amico, Madam Mina, e sappiate che io aiuterò voi e vostro marito in ogni modo.

Ma prima vi dovete calmare e, quando il pranzo sarà pronto, dovete mangiare. Dopo di ciò, mi potrete esporre in dettaglio i vostri guai».

Mentre parlavo, era già ritornata calma, e l’ombra si era dileguata dal suo viso, lasciandola controllata ma speranzosa. Scendemmo di sotto per il pranzo, e dopo ci ritirammo nel salotto dove io insistetti affinché parlasse di Jonathan.

Abbassò lo sguardo: in effetti, sembrava guardare dentro se stessa per la soluzione di qualche dilemma.

«Dottor Van Helsing», e a questo punto alzò ancora gli occhi per guardarmi con quel suo sguardo franco e onesto, «ciò che vi devo dire è così strano che persino io non sono sicura se crederci. Suona tutto come follia; così mi dovete promettere che non riderete per ciò che vi confiderò».

Il mio polso accelerò; compresi che stavamo per parlare di Dracula e delle sue azioni. Mrs. Harker non era una pazza, di ciò ero certo, e così sorrisi mestamente mentre confessavo:

«Mia cara, se solo sapeste com’è strana la ragione per cui sono qui, sareste voi che ridereste. Ho imparato nel corso del tempo a non negare la convinzione di nessuno senza investigare, per quanto essa possa sembrare bizzarra Q impossibile».

Mi guardò intensamente mentre parlava, e io penso che fu la comprensione nel mio sguardo più che il senso delle mie parole che la convinsero. Si rilassò e assentì, rassicurata.

«Grazie, dottor Van Helsmg», disse, quindi si alzò, andò alla scrivania, e prese nuovamente dal cesto un altro mucchio di fogli, che mi porse.

«Questo è il diario che mio marito teneva mentre era in Transilvania. È lungo, ma io l’ho dattiloscritto; spiegherà meglio di quanto possa fare io in poche parole la gravità del suo problema. A dire la verità, quando lo lessi — solo recentemente, e per la prima volta — i dettagli erano così complicati e coerenti che quasi vi credetti. Persino ora, sono presa dal dubbio. Non posso dire altro: volete prenderlo, per leggerlo e giudicarlo? Attenderò vostre notizie».

«Lo leggerò stanotte», promisi, poiché ero ansioso di leggerlo quanto lei di udire la mia opinione al riguardo. «Resterò a Exeter stanotte, in modo da farvi sapere subito il mio parere. Posso venire di nuovo domani per vedere sia voi che vostro marito?».

Il grande sollievo sul suo viso fu meraviglioso da vedere; così il nostro incontro fu stabilito. Lei naturalmente suppose che io desiderassi fare un esame accurato della mente di Jonathan ma, in verità, volevo vedere da solo se il segno del Vampiro era su di lui.

Così trascorsi quella notte in una tranquilla stanza d’albergo, leggendo il diario privato di un uomo che aveva vissuto all’inferno e ne era emerso in qualche modo intatto. Era stato intrappolato da Dracula nel castello per due mesi, povero diavolo, e se le sue impressioni possono essere credute, non fu mai morso da Dracula ma era considerato cibo da lasciare per tre Vampire che lui aveva definito “le tre spose”.

Avrei potuto pensare che, nella sua paura, si fosse sbagliato a calcolarne il numero — poiché Zsuzsanna chiaramente veniva citata, come Dunya e, quando ero stato al castello l’ultima volta, quelle due erano le sole “donne” presenti. Ma sentire che una veniva chiaramente descritta come “dai capelli d’oro” e “con occhi di zaffiro”, — mi faceva pensare che non poteva essere nessuna delle due. La mia ipotesi era che quella doveva essere l’“Elisabeth” di Zsuzsanna; se era così, anche lei doveva essere a Londra.

Mentre leggevo il manoscritto, mi venne in mente un altro pensiero fastidioso: avrebbe potuto Jonathan essere stato morso, senza esserne consapevole, da Vlad o da una delle donne? Comunque, ero deciso a scoprirlo durante la mia prossima visita alla casa degli Harker.

Ma insieme alla mia paura sia per Madam Mina che per il novello marito si fece strada in me un crescente senso di ammirazione per lui. Era un giovane e ingenuo avvocato che si era trovato improvvisamente nella più straziante delle circostanze: nel Castello di Dracula, di fronte a Vampire che scomparivano, alle allusioni sadiche di Vlad riguardo al suo destino finale, e alla comprensione che il Principe (cioè, il “conte”, poiché così Dracula amava presentarsi ai suoi avvocati di Exeter) non gettava alcun riflesso negli specchi, comandava ai lupi, catturava bambini piccoli e li dava a quelle donne malvage per il loro sostentamento e, peggio di tutto, il fatto che lui, Harker, era chiuso all’interno del castello senza alcun mezzo di fuga.

Si era arreso? Aveva ceduto a quelle immortali seduttrici? No. Invece, sapendo che sarebbe morto se non avesse agito, Jonathan era uscito strisciando dalla finestra a parecchie centinaia di piedi di altezza dal terreno roccioso sottostante e, per pura forza di volontà, si era appeso con i piedi e le dita alle pietre e alle fessure della parete del castello. Così era sceso ed era scappato a piedi: un’azione quasi impossibile.

Prima di fuggire, aveva incontrato Vlad addormentato nella sua bara… non una, ma due volte. La maggior parte degli uomini sarebbero scappati in preda al terrore, ma Harker, aveva sentito che il “conte” era un mostro che doveva essere distrutto ad ogni costo. Così era tornato di sua volontà nel luogo dove Vlad riposava e aveva tentato di uccidere il Vampiro con nient’altro che una comune pala. Poteva essere un avvocato ma era coraggioso e onesto e, se era fuggito dalla tana dei Vampiri senza essere morso (sebbene sicuramente non incolume), meritava più di chiunque altro di far parte della battaglia che si presentava al nostro piccolo gruppo.

Appena finito questo stupefacente racconto, scrissi a Madam Mina che il diario di suo marito era del tutto veritiero, così come il suo cervello e il suo cuore, e che la sua preoccupazione per la sua sanità mentale era inutile. Mandai un corriere dall’albergo, in modo che potesse ricevere queste notizie (le possiamo veramente chiamare buone, o cattive? Beh, erano entrambe le cose) immediatamente.

Entro un’ora ricevetti una lettera dallo stesso messaggero: Madam Mina aveva scritto un risposta immediata, chiedendomi di andare il giorno seguente non per il pranzo ma per la colazione.

Precisamente a venti minuti alle otto di questa mattina, ho risposto al bussare alla porta della stanza del mio albergo, e mi sono trovato faccia a faccia con il coraggioso Mr. Jonathan Harker, che era venuto a prendermi. Sembrava, come sua moglie, molto più giovane dei suoi anni, con dei capelli ricci castano chiaro e una condotta da uomo d’affari; non lo si sarebbe mai pensato capace delle sbalorditive imprese fisiche e del coràggio professato nel diario. Lo invitai subito ad entrare, con il pretesto che avrei avuto bisogno di un momento per prendere il mio cappotto; ma il vero motivo era di averlo alcuni minuti con me senza essere osservato.

Quando entrò, chiudendo dietro di sé la porta, mi avvicinai immediatamente e sostenni il suo sguardo. Era un soggetto facile, e cadde in trance quasi istantaneamente.

Non ci fu alcun segno immediato di aura color indaco, ma io non persi un attimo; aprii il colletto e glielo tolsi, poi sbottonai la parte superiore della camicia per esaminare completamente il collo e la clavicola.

Nessun segno. Emisi un sospiro così profondo che riuscii a malapena a restare in piedi e, con una scusa silenziosa, rimisi a posto i vestiti di Jonathan meglio che potei. Poi stavo per svegliarlo… ma qualcosa di impercettibile nel suo sguardo e nella sua aura (perfettamente arancione, come quella di Arthur) mi turbò. Era chiara, vibrante, splendente ovunque guardassi, ma nel mio campo visivo, percepii un indizio di incipiente indaco.

Non so cosa volesse dire. In tutti i miei anni di caccia, avevo visto tracce dell’aura scura solo in coloro che il Vampiro aveva morso. E, in tali casi, si era sempre mostrata in modo ovvio, diretto: prima nello sguardo della vittima, poi vagante nella sua aura più chiara.

Mai l’avevo sentita così: che aleggiava vicino, appena nascosta. Forse, pensai, erano soltanto gli effetti psicologici residui del suo imprigionamento nella torre, ma non potevo esserne sicuro. Perciò ritenni più saggio non rivelare tutto ciò che sapevo a Mr. e Mrs. Harker, per evitare che l’Impalatore fosse messo a parte dei nostri piani.

Presa la decisione, gentilmente liberai Jonathan dalla trance. Ritornò alla coscienza con facilità, senza notare alcun cambiamento. Svegliandosi, sembrò interamente libero da qualsiasi traccia del potere del Vampiro. Immediatamente lo afferrai per la spalla, voltai il suo viso verso la luce che proveniva dalla finestra e, studiandolo attentamente, dissi:

«Ma Madam Mina ha detto che eravate malato… che avevate avuto uno shock!».

Nell’udire ciò sorrise, e rispose che era stato malato e che aveva avuto uno shock ma che io l’avevo curato con la mia lettera. Era un tipo onesto, piacevole — deve esserlo, per aver conquistato una moglie così brava come Madam Mina — e facemmo una piacevole cavalcata fino a casa sua. Per la strada, mi disse che voleva fornire qualsiasi aiuto avesse potuto contro il “conte”. Nei suoi occhi brillava un ardente desiderio (forse, persino grande come il mio) di vedere il mostro distrutto.

Nascondendo la mia inquietudine, gli dissi che avevo veramente bisogno del suo aiuto e immediatamente: il mio lavoro sarebbe stato grandemente facilitato se lui avesse potuto fornirmi informazioni riguardo a tutti gli affari conclusi con il “conte Dracula” prima del suo viaggio in Transilvania.

Promise di farlo prima che lasciassi Exeter nella tarda mattinata e, difatti, dopo che fummo ritornati a casa sua e dopo aver fatto colazione con Miss Mina, mi diede un fascio di carte che avrei potuto leggere sul treno che mi riportava a Londra.

Lui e sua moglie sono persone buone, gentili e, quando vedo cosa hanno già sofferto per mano di Vlad, posso solo pensare a me e a Gerda quando eravamo giovani, prima che la nostra piccola famiglia fosse distrutta dal Vampiro. Qui a Londra, per la prima volta in molti anni, ho cominciato a sentirmi circondato di nuovo da una famiglia, da anime coraggiose e affettuose unite da un male comune. Non potevo sopportare di pensare che Harker e la dolce Madam Mina fossero separati o trasformati in meschine parodie di se stessi come Morti Viventi.

Ma come potevo proteggerli, senza eventualmente esporre John e gli altri a un ulteriore pericolo, se Jonathan era l’involontaria spia di Vlad?

Non lo sapevo ma, mentre Jonathan mi riportava alla stazione, chiesi piano:

«Se, in futuro, vi dovessi chiamare entrambi, voi e Madam Mina, a Londra, verreste?»

«Chiamateci quando volete», mi rispose, «e noi verremo».

Ho parlato francamente con John riguardo agli Harker. Lui è d’accordo che dobbiamo fare ciò che possiamo per aiutare sia Madam Mina che suo marito ma, come me, è perplesso su ciò che la traccia obliqua color indaco di Jonathan possa significare. Perciò abbiamo deciso che, quando gli Harker verranno a Londra (e io non ho dubbi che verranno), staranno qui nel manicomio.

Loro non sapranno che io sono qui — manterrò l’invisibilità per me e per Gerda nelle nostre rispettive celle — e questo mi aiuterà a mantenere un controllo nascosto su Jonathan finché stabiliremo se è un agente di Vlad o no. Fino ad allora, supporremo che lo sia, e useremo segretamente precauzioni simili a quelle che io uso già con Gerda. Questo sarà, per Mrs. Harker, la cosa più sicura.

John si è mostrato d’accordo nel non rivelare agli Harker alcuna informazione che li possa mettere in allarme circa la profondità delle nostre conoscenze; invece, faremo finta di essere degli ingenui pasticcioni che non sanno nulla della nuova forza di Vlad. Così, se Vlad è a conoscenza dei pensieri di Jonathan, scoprirà ben poco dei nostri piani.

Ho anche avvertito John che Madam Mina ha ricopiato il suo diario e quello del marito, e che me li ha offerti; potrebbe venire il momento in cui potrebbe essere chiamato a dare il suo. Per quanto riguarda me, posso facilmente dire che non ho alcun diario, poiché gli Harker non lo vedranno — né vedranno me — al manicomio.

Ma John registra giornalmente sul suo fonografo — qualche volta più di una volta al giorno — e la sua attrezzatura è troppo difficile da nascondere. Gli ho chiesto di non registrare alcun dettaglio che non desidera far ascoltare a chiunque o, almeno, di registrarli segretamente con la penna, in modo che non possa essere ascoltato, e il diario possa essere nascosto.

È stato d’accordo, e ritornerà anche indietro per ascoltare quello che ha già registrato. Ogni bobina che contenga registrazioni che rivelino troppo, sarà nascosta nella mia cella e lui la registrerà di nuovo per renderla coerente con ciò che noi vogliamo che gli Harker — e, di conseguenza, Arthur e Quincey — sappiano. Ci siamo accordati che John farà la parte dello scettico, che non sa niente del Vampiro ed è restio a crederci.

Ho un’altra ragione per dissimulare, una che, forse, è sciocca: se Madam Mina, coraggiosa e forte anima, dovesse conoscere la misura dei poteri di Vlad, potrebbe perdere la speranza. E questo non riuscirei a sopportarlo.

Загрузка...