McCullough desiderò di potersene andare. Lo desiderò più di quanto avesse mai desiderato qualsiasi altra cosa in tutta la sua vita. Mai come allora gli stretti e maleodoranti confini della sua navicella gli erano sembrati tanto desiderabili e sicuri. E il P-Due si trovava a meno di cento metri, con Berryman pronto a farlo entrare e a toglierlo da quel luogo divenuto improvvisamente spaventoso. Non doveva fare altro che sollevare una semplice e stupida leva.
Quel gesto avrebbe provocato la morte di Walters, per decompressione. Comunque, il pilota stava soffocando per l’atmosfera straniera; l’altra morte sarebbe stata più rapida e meno dolorosa…
Ma forse Berryman non avrebbe accettato di ripartire senza Walters, e la morte per decompressione non era certo bella, anche se rapida… Inoltre, McCullough era sempre stato contrario alla eutanasia.
— Dottore — disse Walters, scosso dagli accessi di tosse — avete… dei cerotti?
— Cosa? — domandò McCullough, poi fece un cenno affermativo. — Accidenti, sono proprio uno stupido!
Fuori dell’Astronave, un cerotto impermeabile non sarebbe bastato a tenere insieme i lembi di uno strappo. Ma in quella camera, con una pressione quasi identica tra ambiente e tuta, avrebbe costituito una barriera sufficiente a impedire la penetrazione dell’atmosfera straniera attraverso lo squarcio. Per un certo tempo, almeno. McCullough prese rapidamente i cerotti dalla sua sacca e le dispose sullo strappo, mentre Walters li schiacciava per farli ben aderire.
— Come vi sentite? — domandò McCullough, a operazione ultimata. — Avete dolori al petto? Nausea? Vista annebbiata?
Walters scosse la testa.
— L’odore… è quello della ammoniaca… o della formaldeide — balbettò quasi soffocando per lo sforzo di non tossire. — È forte e acuto, ma non nauseante. Informate il colonnello.
McCullough fece un cenno affermativo e appoggiò l’antenna contro la parete.
Il colonnello lo interruppe soltanto una volta per domandare cosa fosse andato a fare il pilota nel corridoio; poi disse a McCullough di continuare il rapporto, senza cercare giustificazioni per la stupidità di Walters. Il dottore ubbidì. Fece un semplice accenno all’incidente, e si dilungò a discutere i problemi che aveva sollevato.
— Potete legare strettamente la gamba, in modo da evitare un mortale sbalzo di pressione nei pochi minuti che vi sono necessari per raggiungere il P-Due. Significa la decompressione della gamba, certo, ma è sempre meglio che…
— No, signore. Lo strappo è troppo in alto sul fianco sinistro. Non è possibile lasciare la camera stagna, con Walters in queste condizioni. Io non posso uscire, e nessuno può entrare. A meno che…
— A meno che Walters non torni in corridoio quando la camera è senza aria. Domandategli se si sente di fare una cosa del genere.
Fu necessario censurare parecchio la risposta del pilota. McCullough disse soltanto: — Lo farà. Ma non ne è molto entusiasta.
Morrison non fece commenti su ciò che pensava Walters.
— Questo risolve il vostro ritorno. Lui, per tornare al P-Due, dovrà indossare una nuova tuta.
C’erano diverse buone ragioni per non avere tute di riserva sugli scafi P. A parte il peso in eccesso e la mancanza di spazio in cui collocarle, c’era il fatto che le tute spaziali dovevano essere tagliate su misura per la persona che doveva indossarle. Questo significava una tuta di riserva per ogni membro della spedizione. Tra l’altro, un danno alla tuta significava normalmente la morte di chi la indossava; quindi la possibilità di ripararle non era mai stata presa in considerazione. In ogni caso, la riparazione delle tute era un lavoro da specialisti e richiedeva l’uso di macchine che non potevano trovare posto in uno scafo.
— Hollis e Berryman sono più o meno della corporatura di Walters — disse il colonnello. — E Berryman è il più vicino a voi. Vi manderò Drew. Nel frattempo Berryman si può togliere la tuta e metterla nella camera stagna del P-Due. Drew si fermerà a prenderla, poi verrà a portarvela e a prendere il campione d’aria.
“Voi, dottore, resterete con Walters per aiutarlo a indossare la tuta e per accertarvi che non si danneggi forzando le chiusure. Non ci possiamo permettere né di perdere un ottimo pilota, né di danneggiare un’altra tuta. In che condizioni è, adesso?”
Walters stava ascoltando con l’antenna appoggiata alla parete dello scafo. Cercò di rispondere, ma scoppiò in una serie di colpi di tosse, e fece un gesto di stizza. McCullough riferì.
— Ha una tosse persistente, che può essere dovuta soltanto all’irritazione della gola. Non presenta altri sintomi preoccupanti. Walters non accusa dolori al petto, e non ho riscontrato effetti tossici visibili. Il morale è buono.
Il dottore non era sicuro delle proprie affermazioni, ma ricorreva all’ottimismo per non demoralizzare il paziente. — Comunque, gli farò un esame accurato appena possibile — soggiunse rapidamente prima che il colonnello intuisse il motivo di quelle sue affermazioni.
Poco dopo, Morrison li informò che Drew era uscito e che il P-Uno si stava avvicinando con lo scafo al P-Due. Il colonnello ammise che, tatticamente, non era una mossa consigliabile, ma la giustificò dicendo che, in un’occasione del genere, la tattica e il buon senso potevano subire delle varianti. A ogni modo i due scafi si sarebbero potuti allontanare rapidamente, se necessario.
— Per tornare a casa? — domandò McCullough.
— Non so, dottore. Ci sono altre considerazioni da fare.
Dopo il momento drammatico del primo e sfortunatamente violento contatto con gli stranieri, il colonnello cominciò a preoccuparsi della possibilità che il Controllo Prometeo non avesse provveduto a interrompere il contatto radio durante l’incidente tra Walters e gli stranieri. Improvvisamente consci della possibilità di avere milioni di ascoltatori, gli astronauti divennero laconici fino all’eccesso. Il colonnello augurò a Walters buona fortuna. E Walters rispose: — Grazie. — Berryman suggerì a McCullough di fare uno schizzo dell’essere che aveva attaccato Walters e di consegnarlo a Drew. Morrison disse che era un’ottima idea, per ogni eventualità. Nessuno gli domandò a quale eventualità pensasse.
Durante i venti minuti che Drew impiegò per raggiungere l’Astronave, venti minuti che sembrarono a tutti dieci anni, McCullough disegnò uno schizzo dello straniero e fece un disegno del compartimento in cui si trovavano. Nel fare questo, scoprì una piccola incrinatura in una delle giunture dei tubi. Probabilmente il continuo aprire e richiudere del portello aveva sottoposto il sistema idraulico a uno sforzo eccessivo. La giuntura perdeva, e alcune gocce di un liquido di color brunastro ribollivano lungo il tubo, McCullough si augurò che non succedesse niente nel momento in cui la camera si sarebbe vuotata dell’atmosfera.
Drew raggiunse l’Astronave e domandò per radio istruzioni per aprire il portello. Poi aspettò che McCullough aprisse il portello interno e si mettesse al riparo, con Walters, nel corridoio. Nel momento in cui usciva l’aria e Drew entrava, attorno al tubo incrinato si formò una leggera nebbia. Nient’altro.
Nella parte illuminata del corridoio, non si vedevano stranieri.
— Se ne vedo arrivare qualcuno mi afferro alla rete e lo colpisco con i piedi — disse McCullough a Walters. — Voi badate soltanto a non far staccare i cerotti.
Il dottore cominciava a provare la sensazione che il guaio accaduto al pilota fosse dovuto a una mancanza sua anziché a uno sbaglio di Walters.
Il guasto nel sistema idraulico lo preoccupava. Si trattava senza dubbio di un guasto recente, probabilmente verificatosi per l’eccessivo sforzo al quale lo avevano sottoposto. McCullough si era dimenticato il numero di volte che aveva aperto e richiuso il portello. Diciassette o diciotto in pochi minuti; e il portello, forse poteva sopportare soltanto lo sforzo di un paio di aperture al giorno.
Si era anche convinto, naturalmente, che quelli non erano stranieri onnipotenti, e che il loro scafo poteva avere occasionali guasti meccanici. Un guasto simile doveva risultare segnalato nella loro cabina comando, e loro avrebbero mandato qualcuno a controllare, o ad affrontare coloro che avevano provocato il guasto, cioè gli esseri umani che avevano invaso lo scafo. McCullough si rese conto che le loro azioni, intese semplicemente ad avvisare gli stranieri della loro presenza a bordo, potevano essere state interpretate come azioni criminali o atti di sabotaggio. In questo caso, una certa ostilità degli stranieri era perfettamente comprensibile.
“La gente che pensa di trattare con dei retrogradi” rifletté McCullough “finisce spesso con la faccia a terra.”
— Walters. Dottore — disse a un tratto la voce di Drew. — Il colonnello vi ha mandato una specie di arma. Dice di usarla soltanto in caso di autodifesa. Afferratela al centro e usatela come una lancia.
McCullough guardò prima ai due lati del corridoio, sempre deserto, poi nella camera stagna.
— Ma è soltanto un pezzo di tubo.
— Una baionetta spuntata fa più danni di una lama appuntita — disse Drew — e un pezzo di tubo da tre, spuntato, può diventare un’arma temibile. Badate soltanto a mirare bene e a colpire con forza. Vi garantisco che può scoraggiare chiunque non sia protetto da una corazza. Adesso vado. Buona fortuna.
Dopo qualche secondo, Drew venne proiettato fuori dall’aria che usciva dal portello. Il tempo che ci mise a tornare indietro facendo uso dei razzi e a richiudere, parve un’eternità. Walters e McCullough rientrarono nella camera stagna, senza venire ostacolati dagli stranieri.
Ora il problema era quello di togliere Walters dalla tuta danneggiata e infilarlo nell’altra, senza farlo morire soffocato. McCullough cominciò con l’aprire la visiera, chiudendo le narici al pilota e facendolo respirare direttamente dal tubo della bombola d’ossigeno. Poi gli si mise a cavalcioni sui fianchi e cominciò a strappare la tuta danneggiata.
Fu un lavoro duro, faticoso. Era difficile tagliare con un coltello il tessuto di plastica e metallo, e McCullough aveva anche paura di tagliare la pelle. L’apparecchio di condizionamento della sua tuta non riusciva più ad asciugare l’eccessiva abbondanza di sudore, il visore gli si era spaventosamente appannato, nonostante la sua speciale composizione, e lui non riusciva a disperdere a sufficienza il calore del corpo.
Gli sarebbe stato difficile non lasciarsi vincere da un colpo di calore.
Riuscì a liberare le gambe, le braccia e il torace. Lasciò solo la sezione di tuta delle spalle, quella che conteneva la riserva dell’aria e l’attaccatura del casco. Eseguendo una lenta danza senza peso nell’aria, riuscì a infilare le gambe e le braccia del pilota nella nuova tuta, lasciando penzolare sulle spalle i resti di quella vecchia. Walters non gli poteva dare nessun valido aiuto, perché l’atmosfera della camera gli aveva riempito gli occhi di lacrime. E non riusciva a smettere di tossire, fatto che finiva col fargli introdurre nuova aria viziata nei polmoni. Quando McCullough disse al compagno di raccogliere il fiato e di trattenerlo per dargli tempo di completare il cambiamento della tuta, ebbe anche il timore che Walters avesse ormai respirato troppa aria infetta.
Finalmente furono pronti per partire. La tuta inservibile ondeggiava lentamente nella leggera nebbia che usciva dal tubo rotto. Sembrava un cadavere smembrato. McCullough si domandò cosa ne avrebbero fatto gli stranieri, e cosa ne avrebbero dedotto sulla razza umana. Il pensiero gli fece girare lo sguardo verso il pannello trasparente del portello.
E vide tre stranieri.
McCullough avanzò, allora, senza pensare, verso la porta del corridoio… La ragione di questo suo modo di comportarsi la capì dopo, non prima. Rivolgendosi a Walters, disse: — Se aprono questa porta ci sarà impossibile aprire l’altra… Ci deve essere certamente un collegamento di sicurezza tra le due porte… Se intuiscono che abbiamo intenzione di andare, apriranno la porta del corridoio. Io mi avvicino al pannello per bloccare la visuale; voi, intanto, aprite la porta esterna. Il risucchio ci trascinerà fuori. Dov’è quel maledetto tubo che ha portato Drew?
Non riuscì a vederlo. Probabilmente si nascondeva sotto i suoi occhi, in mezzo ai tubi dell’Astronave: un albero nascosto in una foresta.
La sua idea era di attirare in qualche modo l’attenzione degli stranieri e distogliere i loro sguardi da Walters. Per fare questo, doveva avvicinarsi al pannello trasparente e fare qualcosa che suscitasse tutto il loro interesse, o li spaventasse. McCullough non riusciva a immaginare gesti in grado di accendere il loro interesse; però, li avrebbe potuti spaventare con la macchina fotografica.
Era uno stupendo apparecchio, irto di obiettivi supplementari e di attacchi, che poteva benissimo venire scambiato per un’arma.
Una voce interna ricordò a McCullough la necessità di considerare il punto di vista degli stranieri e di non fare niente che potesse dare un’idea sbagliata sugli esseri umani e sul comportamento umano. McCullough provò un attimo di smarrimento, ma era troppo spaventato per ascoltare quella voce.
Quando si spinse verso il pannello trasparente puntando la macchina fotografica, da parte degli esseri sconosciuti non vi fu nessuna reazione percettibile. Uno di loro stava volteggiando al centro del corridoio. Era tozzo e ricoperto di aculei. Ciascuna metà del suo corpo aveva circa le dimensioni di un pallone da football, e non si vedevano organi sensori né arti. Un secondo essere stava appeso come un ragno alla rete del corridoio. McCullough poteva perfettamente vedere il corpo, a forma di stella di mare, e i tentacoli che terminavano con delle pinze ossee, bianche e simili a delle zanne d’elefante in miniatura. Stimò che la massa fisica del corpo fosse circa la metà di quella di un uomo, e che i tentacoli misurassero dal metro e venti al metro e cinquanta.
Il terzo straniero era dello stesso tipo del secondo. Copriva con il corpo parte del pannello trasparente, e McCullough poteva vederne la parte inferiore. Era di un colore rosa brunastro, coperto di pieghe e aperture che potevano essere bocche, o branchie, oppure organi sensori, tutti raccolti attorno a un grosso corno o aculeo centrale.
McCullough si sentì mancare il fiato. A giudicare dall’aspetto puramente fisico, quelli non erano certamente degli esseri trattabili.
All’improvviso, gli stranieri cominciarono a muoversi. McCullough non sapeva ancora dove avessero gli occhi; tuttavia, per qualche strana ragione, capì che il centro delle loro attenzioni si era spostato. Qualcosa stava avanzando lungo il corridoio. McCullough non riuscì ad avvicinare gli occhi al pannello, ma, attraverso le pareti metalliche a contatto con il casco, gli giunse un profondo brontolio. Abbassò rapidamente la macchina fotografica e la puntò verso la parte buia del corridoio. L’obiettivo disponeva di un angolo di visuale molto più grande del suo.
I tre stranieri scomparvero.
In quel momento, Walters spalancò il portello esterno, e il risucchio dell’aria trascinò i due uomini fuori dallo scafo, a roteare lentamente nello spazio. Comunque, McCullough fece ancora in tempo a vedere qualcosa ricoperto di pelo bianco, forse di una pelliccia, che passava davanti al pannello trasparente.