All'estremo delle forze, riuscii a lanciare Terminus est sul sentiero galleggiante di carici e ad aggrapparmi al bordo irregolare prima di affondare nuovamente.
Qualcuno mi afferrò per il polso. Sollevai lo sguardo, aspettandomi di vedere Agia, ma non era lei. Si trattava di una donna ancora più giovane, dai lunghi capelli biondi. Cercai di ringraziarla, ma dalla mia bocca invece che parole uscì un fiotto d'acqua. Lei tirò e io mi sforzai, e finalmente riuscii a sdraiarmi sui carici, debolissimo.
Rimasi immobile per un tempo pari a quello che occorre per recitare l'angelus, o forse di più. Avevo sempre più freddo e avvertivo l'ondeggiare del traliccio di piante marce che si piegava sotto il mio peso fino a sommergermi per metà. Respiravo a fatica e non riuscivo a riempire i polmoni d'aria. Continuavo a sputare acqua. La possente voce di un uomo che mi pareva di aver già sentito molto tempo prima disse: — Tiriamolo su o affonderà. — Mi sentii sollevare per la cintura. Dopo alcuni istanti riuscii a stare in piedi, nonostante le gambe mi tremassero.
Vidi Agia e la ragazza bionda che mi aveva aiutato e un uomo grande e grosso dal volto carnoso. Agia domandò cosa fosse successo e, per quanto stordito, mi accorsi che era pallidissima.
— Lasciagli un po' di tempo — disse l'uomo. — Fra poco si riprenderà. — E poi: — Per il Flegetonte, ma tu chi sei?
Stava fissando la ragazza, che appariva stordita quanto me. La giovane balbettò: — D-d-d-d — quindi chinò il capo e tacque. Era sporca di fango dalla testa ai piedi e sembrava vestita di stracci.
L'uomo domandò ad Agia: — Quella da dove è venuta?
— Non lo so. Quando mi sono girata per vedere cosa stesse trattenendo Severian, lei lo stava aiutando a issarsi sul sentiero.
— Ha fatto bene. Almeno per lui. È pazza? o forse è vittima di un incantesimo?
— Qualsiasi cosa abbia — dissi io, — mi ha salvato la vita. Non hai niente da darle per coprirsi? Deve avere un freddo tremendo. — E l'avevo anch'io, adesso che mi ero abbastanza ripreso per accorgermene.
L'uomo scrollò il capo e si strinse addosso la pesante giubba. — No, se prima non si pulisce non glielo darò. E non si potrà pulire se non tornando in acqua. Ma ho qui qualcosa che può andare bene ugualmente, forse è anche meglio. — Tirò fuori dalla tasca una borraccia metallica a forma di cane e me la porse.
L'osso in bocca al cane fungeva da tappo. Allungai la borraccia alla ragazza bionda che in un primo tempo parve non capire di cosa si trattasse. Agia prese la fiaschetta e gliela accostò alla bocca fino a quando ne ebbe trangugiato qualche sorso, poi me la restituì. Sembrava acquavite di prugne: bruciava e cancellava gradevolmente il sapore amaro dell'acqua paludosa. Quando rimisi l'osso in bocca al cane, il suo ventre era vuoto per metà.
— Allora — riprese l'uomo, — penso che dovreste dirmi chi siete e cosa stavate facendo qui… e non raccontatemi che siete venuti per visitare il giardino. Vedo abbastanza turisti per riconoscerli da lontano. — Guardò me. — Tanto per iniziare, la tua è una bella spada.
Agia mi prevenne: — L'armigero è in maschera. È stato sfidato ed era venuto per raccogliere un avern.
— Lui è in costume e tu no, immagino. Non pensare che non sappia riconoscere il broccato da palcoscenico. E poi sei a piedi scalzi.
— Non ho mai detto di non essere in costume o di essere del suo rango. E ho lasciato fuori le scarpe per non rovinarle in quest'acqua.
L'uomo assentì, senza lasciar capire se le credesse o meno. — Adesso tocca a te, capelli d'oro. La ragazza di broccato ha detto di non conoscerti e quello che hai ripescato penso che non ne sappia più di me. Allora, chi sei?
La ragazza bionda deglutì. — Dorcas.
— E come sei arrivata qui, Dorcas? E come sei finita in acqua? Perché è evidente che eri in acqua. Non ti puoi essere bagnata tanto solo tirando fuori il nostro giovane amico.
L'acquavite aveva colorito le guance della ragazza, ma il suo sguardo era stralunato e vacuo come prima, o quasi. — Non lo so — bisbigliò.
— Non ricordi di essere venuta qui? — domandò Agia.
Dorcas scosse la testa.
— Qual è l'ultima cosa che ricordi?
Seguì un lungo silenzio. Il vento pareva soffiare ancora più forte e, nonostante l'acquavite, avevo un freddo terribile. Finalmente Dorcas sussurrò: — Ero seduta davanti a una vetrina… C'erano delle belle cose nella vetrina, vassoi, piccoli scrigni e una croce.
L'uomo chiese: — Cose belle? Be', se c'eri tu, sono sicuro che c'erano.
— È pazza — disse Agia. — Era affidata alle cure di qualcuno ed è scappata; o più probabilmente non c'è nessuno che si prende cura di lei, come dimostrerebbero i suoi vestiti, ed è entrata qui mentre i curatori non guardavano.
— Qualcuno potrebbe averle dato una botta in testa e averla poi condotta qui credendola morta. Ci sono più strade per entrare in questo luogo di quante ne conoscano i curatori, Padrona Stracci. O forse qualcuno l'ha portata qui per buttarla nell'acqua quando in realtà era solo malata o in coma. E l'acqua l'ha svegliata.
— Se l'avesse portata qualcuno, se ne sarebbe accorto.
— Ho sentito dire che si può anche rimanere in coma molto a lungo. Ma comunque non ha importanza. Adesso è qui e tocca a lei scoprire da dove viene e chi è.
Io mi ero levato il mantello marrone e stavo cercando di strizzare la cappa di fuliggine per asciugarla. Ma mi interruppi quando Agia chiese: — Hai voluto sapere da tutti noi chi siamo. E tu, chi sei?
— Hai ragione — disse l'uomo. — Hai tutti i diritti di questo mondo, e io vi risponderò più sinceramente di quanto abbiate fatto voi. Ma poi me ne andrò. Sono intervenuto perché ho visto il giovane armigero in difficoltà, ma adesso devo pensare ai miei affari.
Si levò il cappello, frugò al suo interno e ne estrasse una carta bisunta, grande il doppio dei biglietti da visita che circolavano nella Cittadella. La porse ad Agia e io sbirciai. In caratteri svolazzanti lessi le seguenti parole:
— Ecco chi sono, Padrona Stracci e giovane sieur… e spero che tu non ti offenda se ti chiamo così, innanzitutto perché sei più giovane di me, in secondo luogo perché sei più giovane di lei. E adesso andrò.
Lo fermai. — Prima di cadere in acqua abbiamo incontrato un tale con una barchetta. Mi ha detto che più avanti avrei trovato qualcuno che avrebbe potuto traghettarci dall'altra parte del lago. Penso che parlasse di te. Lo farai?
— Ah, il vecchio che cerca la moglie, povera anima. Be', è un buon amico, e se ti raccomanda lui, mi converrà accontentarti. La mia barca può trasportare quattro persone.
Si avviò, facendoci cenno di seguirlo. I suoi stivali, apparentemente ben ingrassati, affondavano nel carice ancora più dei miei. Agia disse: — Lei non viene con noi. — Ma era chiaro che Dorcas aveva intenzione di seguirci, e il suo aspetto era tanto afflitto che l'aspettai per cercare di confortarla. — Ti presterei il mio mantello — le bisbigliai, — ma è talmente bagnato che ti farebbe sentire ancora più freddo. Però se torni indietro lungo questo sentiero, arriverai a un corridoio più caldo e asciutto. Se poi vai nel Giardino della Giungla, ti troverai in un posto nel quale il sole è caldo, e starai benissimo.
Avevo appena terminato quelle parole quando mi tornò in mente il pelicosauro che avevamo visto nella giungla. Ma fortunatamente Dorcas parve non aver sentito. La sua espressione sembrava indicare paura di Agia o la sensazione di non esserle simpatica; comunque non dava segno di percepire quello che la circondava, avanzava come una sonnambula.
Compresi di non essere riuscito ad alleviare il suo abbattimento, così ripresi: — Nel corridoio c'è un curatore. Sono sicuro che troverà qualcosa di caldo da darti e un fuoco.
Quando Agia si volse a guardarci, il vento le scompigliò i capelli castani. — Ci sono troppi mendicanti perché qualcuno si preoccupi di lei. Te incluso, Severian.
Nell'udire la voce di Agia, Hildegrin girò la testa. — Io conosco una donna che potrebbe ospitarla. E le darebbe anche qualche abito pulito. Sotto quel fango si nasconde una figura altolocata, anche se è terribilmente magra.
— Ma cosa ci fai qui, tu? — scattò Agia. — Secondo il tuo biglietto lavori su commissione, ma qui cosa stai facendo?
— Gli affari miei, Padrona.
Dorcas aveva iniziato a rabbrividire. — In verità — le dissi, — ti basterebbe tornare indietro. Nel corridoio è molto più caldo. Non andare nel Giardino della Giungla. Forse sarebbe meglio quello della Sabbia. Là c'è sole ed è asciutto.
Qualcosa, nelle mie parole, parve riscuoterla. — Sì — mormorò. — Sì.
— Il Giardino della Sabbia? Ti piacerebbe?
Dorcas disse a bassa voce: — Il sole.
— Ecco la barca — annunciò Hildegrin. — Siamo in tanti e dovremo fare attenzione a dove ci sediamo. E state fermi… potreste imbarcare acqua. Una delle donne andrà a prua, per favore, e l'altra si metterà a poppa insieme al giovane armigero.
— Sarei felice di aiutarti a remare — dissi.
— Hai mai remato prima? L'immaginavo. No, è meglio che tu ti sieda a poppa come ti ho detto. Non è un problema usare due remi anziché uno, e l'ho già fatto molte volte, credimi, anche con una mezza dozzina di passeggeri.
L'imbarcazione era come lui, grande, rozza e pesante. La prua e la poppa erano quadrate, e la linea restava grossolana anche al centro, sebbene le estremità dello scafo fossero meno profonde. Hildegrin vi salì per primo e, tenendo le gambe ai due lati del sedile, si servì di un remo per avvicinare maggiormente la barca alla riva.
— Tu — disse Agia afferrando Dorcas per un braccio, — ti siederai davanti.
Dorcas era pronta a obbedire, ma Hildegrin la fermò. — Se non ti spiace, Padrona, preferirei che a prua ti mettessi tu. Non riuscirò a tenerla d'occhio mentre remo, capisci, se non si siede a poppa. Non si sente bene, lo devi riconoscere anche tu, e voglio vederla se inizierà ad agitarsi.
Dorcas stupì tutti. — Non sono pazza — disse. — È che… mi sembra di essermi appena svegliata.
Comunque Hildegrin la fece sedere a poppa insieme a me. — E adesso — spiegò, mentre staccava la barca da riva, — ecco qualcosa che non dimenticherete, se non l'avevate mai fatto. La traversata del Lago degli Uccelli, nel Giardino del Sonno Eterno. — I remi producevano un suono sordo e malinconico nel contatto con l'acqua.
Domandai perché si chiamasse Lago degli Uccelli.
— Perché l'acqua è piena di uccelli morti, secondo alcuni, ma più probabilmente solo perché ce ne sono tanti. C'è molto da dire contro la morte. Soprattutto da parte di coloro che devono morire e la raffigurano come una vecchia megera con un sacco e così via. Ma la morte è amica degli uccelli. Dovunque ci sono silenzio e uomini morti i volatili abbondano, lo so per esperienza.
Annuii, ricordando i tordi che cantavano nella necropoli.
— Adesso, se guardate alle mie spalle, potrete vedere bene la riva davanti a noi e scorgerete molte cose che prima non avevate notato a causa delle canne. Osserverete per esempio che il terreno è in salita. Lì termina l'acquitrino e iniziano le piante, le vedete?
Annuii una seconda volta, imitato da Dorcas.
— È stato predisposto così perché la scena deve dare l'idea della bocca di un vulcano spento. La bocca di un morto, sostengono alcuni, ma non è vero. Se così fosse, avrebbero fatto anche i denti. Ma vi ricorderete che per arrivare qui siete passati attraverso un condotto sotterraneo. Io e Dorcas assentimmo di nuovo, all'unisono. Nonostante Agia fosse a due passi da noi, restava quasi nascosta dietro le voluminose spalle di Hildegrin.
— Là — continuò lui, mostrando la direzione con il mento quadrato, — dovreste notare una macchia nera. A metà altezza, fra l'acquitrino e l'orlo. Alcuni la vedono e credono di essere arrivati da quella parte; in realtà l'entrata è alle vostre spalle, più in basso e molto più piccola. Quella che vedete è la Grotta della Cumana… la donna che conosce il futuro, il passato e tutto il resto. Qualcuno dice che questo posto sia stato creato appositamente per lei, ma non ci credo.
Sottovoce, Dorcas disse: — Come è possibile? — Hildegrin fraintese, o finse di farlo.
— L'Autarca desidera che lei stia qui, o almeno così pare, per poter venire a parlare con lei senza viaggiare fino all'estremo opposto del mondo. Non so se sia vero, ma talvolta vedo qualcuno camminare lassù e vedo luccicare qualcosa, forse una gemma o del metallo. Non so chi sia, e dal momento che non intendo conoscere il mio futuro e conosco bene il mio passato, non mi avvicino mai alla grotta. A volte arriva gente, sperando di sapere quando si sposerà o se avrà successo nel commercio. Ma ho notato che pochi tornano indietro.
Eravamo quasi giunti al centro del lago. Il Giardino del Sonno Eterno si ergeva intorno a noi come le pareti di un'immensa ciotola, con l'orlo bordato di muschio e di pini e il fondo frangiato di canne e carici. Ero ancora molto infreddolito, soprattutto perché ero lì seduto immobile mentre un altro remava; e iniziavo a preoccuparmi delle conseguenze che quel bagno fuori programma avrebbe potuto avere per Terminus est se non avessi oliato e asciugato la sua lama al più presto. Ma anche in quelle condizioni, l'incantesimo di quel posto mi teneva prigioniero. C'era sicuramente un incantesimo su quel giardino. Mi pareva quasi di sentirlo aleggiare sull'acqua, di sentire voci che salmodiavano una lingua sconosciuta ma che riuscivo a capire. E penso che tutti ne fossimo soggiogati, anche Hildegrin, anche Agia. Per un po' procedemmo in silenzio; vedevo le oche, vive e contente, che nuotavano al largo; e una volta, come in sogno, mi sembrò di scorgere il volto quasi umano di un manato che mi fissava attraverso poche spanne d'acqua scura.