Alfred Bester L’uomo disintegrato

PARTE PRIMA

1

Nella inconcepibile finitezza dell’universo non vi è nulla di nuovo, nulla di differente. È una questione di statistica e ciò che appare eccezionale alla mente ristretta dell’uomo appare invece inevitabile all’infinito Occhio Cosmico. Quel che sembra un fatto unico può essere un luogo comune. Questo strano momento che coglie tutti nella vita, questo avvenimento inconsueto, queste impressionanti coincidenze di luogo, di possibilità, di corsi e ricorsi, tutto questo si può ripetere con esattezza e precisione straordinarie, più e più volte sul pianeta di un sistema solare della Galassia che compie un solo movimento di rotazione ogni duecento milioni di anni e ne ha compiuti finora già nove. Vi sono stati mondi e culture a non finire, ognuno forse sedotto dall’illusione orgogliosa di essere unico, insostituibile, irriproducibile. Ci sono stati uomini, a non finire, malati della stessa forma di megalomania da cui anche intere nazioni e mondi interi sono affetti. Ce ne saranno altri e altri ancora. Un’infinità. Questa è la storia di uno di questi uomini: l’Uomo Disintegrato.


Nel gennaio del 2013 sulla coppia solare n. 3 (perché l’Occhio Cosmico vede la Terra e la Luna come un sistema binario), Edward Turnbul, studente del Coates Teachers College, decise di approfondire, quale argomento della sua tesi di laurea, l’enigma dell’isteresi magnetica. Le variazioni di Reamur sulle equazioni post-mortem di Einstein avevano messo in luce un paradosso che nessuno si era preoccupato di analizzare. Le ricerche in campo atomico l’avevano trascurato; e a che servono i vicoli ciechi della scienza se non a offrire un’innocua occupazione agli studenti universitari? Turnbul studiò generalmente il tratto originale, diede un’occhiata a un paio di pubblicazioni minori sull’argomento e poi si divertì a fare lo sperimentatore.

Eccovi il quadro: un giovane serio, grasso, pallido, incredibilmente noioso. Un magnete è il suo amore; le radiazioni di un Duplexor x-27 sono i suoi amplessi coniugali. A mezzanotte il nostro giovane si diverte e prova la sublimazione di tutti i suoi guai nell’eccitante incertezza dell’esperimento. Riuscirà? E lui potrà davvero sfruttarlo commercialmente, guadagnare milioni di dollari, conquistare tutte le donne con questa incontestabile prova della sua virilità?

Turnbul apre l’involto dei panini imbottiti, ne addenta uno, poi fa passare la corrente. L’esperimento è riuscito. Trentadue libbre di macchinari e un litro di etere dimetilmetilico volano dal banco al soffitto con improvviso fragore. Turnbul ha scoperto qualcosa che gli scienziati di un secolo prima avevano, guarda caso, ignorato: l’antigravità. Fatto unico? No, inevitabile. La statistica dichiarava inevitabili tali avvenimenti.

Dimenticate Turnbul. Non è il protagonista di questa storia. Se vi identificate in lui vi perderete nel corso di questa vicenda come Turnbul si è sperduto nell’instabile trama che produrrà l’Uomo Disintegrato. Turnbul prese il suo brevetto, poi fu citato in giudizio. Si batté per quindici anni nelle aule dei tribunali, difeso da un mediocre avvocato, e perdette il brevetto. A quell’epoca Turnbul si era fatto conoscere abbastanza da ottenere una cattedra di professore al suo Istituto. Sposò una bibliotecaria, educò i propri figli, e coninuò a scorrere avidamente ogni nuovo testo, ritenendosi soddisfatto se in qualche nota o appendice gli si attribuiva la paternità dell’antigravità o nulgee.


Nel settembre del 2110 la moglie di Galen Gart morì. Era una donna alta, appariscente, di carattere chiuso, e Gart l’aveva amata profondamente e per trent’anni. Erano stati una coppia felice, e nel corso della loro unione erano venuti ad assomigliare sempre più l’uno all’altra, come spesso accade alle coppie. Era difficile distinguere la loro calligrafia, le loro voci, le loro battute.

— Pensiamo sempre allo stesso modo — era solito dire Gart. — Normalmente le rispondo prima di rendermi conto che non ha avuto il tempo di esprimermi il suo pensiero. — E dopo la sua morte disse: — Che senso c’è a continuare così? Eravamo un corpo e un’anima sola. Non avevamo bisogno di tante parole. Con chi altro potrei giungere a tale intimità? — Ma a cinquant’anni Galen Gart, inconsolabile, prematuramente invecchiato, conobbe un’eccitante ragazza di venti, con un busto stupendo, la pelle di seta, l’infantile nomignolo di Duffi, e sei mesi dopo il funerale la sposò.

Non sei poi così vecchio al buio.

— Whow, Duffi — esclamò Gart. — Che cose piacevoli dici!

— Ma non ho parlato. — Ed era vero.

Ci volle un anno perché Gart si accorgesse che era lui a non aver bisogno che gli altri parlassero. Divenne la sua specialità, il suo giochetto di società, la sua bizzarria.

Così questo è il famoso Galen Gart. Sa leggere il pensiero, eh? Impossibile. Tutti trucchi. A me non la fa. A leggere i miei pensieri non ci riesce.

— Ma sì che ci riesco, cara signora.

— Io non ho detto niente. Ho soltanto…

— Ehi, sentite! Gart c’è riuscito ancora una volta.

— Guardate come arrossisce lei.

— Che cosa sta pensando, Gart?

— La signora — sorrise Gart — sta pensando che io rido di lei. Arrossisce perché le sto dicendo che l’ammiro. Ha una delle più belle menti in cui mi sia imbattuto.

Risate generali.

Risate generali accoglievano il rivelarsi della strana facoltà di Gart, quando lui, gentile, educato, cortese si esibiva nel suo giochetto di società. Ma tale caratteristica era una qualità recessiva, che si rivelò appieno in suo figlio.

Nessuno rise quando quella piccola bestia amorale di Galen junior (tutti i bambini lo sono un po’) scoprì di aver ereditato la facoltà di percezione extrasensoriale e cominciò a usarla brutalmente. Il giovane Galen mutò le risate in lacrime, e si scrissero parecchi libri intorno alla sua triste carriera criminale che si concluse con la sua morte violenta. E Galen Gart junior, ricattatore, consigliere fraudolento e ladro, aiutò a produrre l’Uomo Disintegrato.


Il lotto di terreno in vendita nei pressi di Sheridan Place trovò un acquirente, e il Club dello Spazio fu costretto a trasferire la sede della lotteria, con relativi premi, a Brooklyn. Il barometro costituito da un razzo in miniatura inserito a metà di una colonna illuminata per graduare la quale c’erano voluti migliaia di dollari, e che era di proprietà dei soci, fu lasciato dov’era. Sul terreno sorse un isolato di grandi magazzini sperimentali, costruiti senza tetto e senza mura, protetti dalle intemperie, e dagli eventuali ladri, da un nuovo sistema difensivo detto Protezione Donaldson, una sorgente invisibile di radiazioni che, quando era umido, scintillava con il balenio fluorescente dell’olio sull’acqua.

Il negozio centrale, accanto all’ingresso della Stazione Pneumatica, venne affittato, con un contratto valido per 99 anni, da Wilson Winter, un artista di tendenze ambigue che acquistò una partita di libri vecchi in omaggio alla letteratura, e si diede a esercitare un proprio commercio di opere scandalose in omaggio alla propria borsa. Fra le anticaglie senza valore figurava Giochi di società di Nita Noyes. Il libro rimase a coprirsi di polvere sullo scaffale finché non fu acquistato dall’Uomo Disintegrato.


Platon Quin, giovane e brillante produttore di un nuovo genere di spettacolo noto con il nome di Panty, attribuisce il suo straordinario successo all’estrema attenzione con cui cura ogni minimo particolare. In un’intervista esclusiva con il nostro inviato ha detto: "La gente dimentica che Panty è solo una contrazione che significa Pantografo delle Emozioni. Quando cinquemila persone si riuniscono in un teatro per assistere a un Panty non si può farle fremere di odio, di amore, di orrore, non si possono raffigurare al vero questi sentimenti se non si curano i minimi particolari dell’elemento passione. Troppi produttori pensano che il Panty sia un fatto tridimensionale: vista, suono e sensazione. Per me i Panty sono quadrimensionali e la mia quarta dimensione è il realismo. Ogni scena, ogni costume, ogni brandello di stoffa, ogni pezzo di metallo, di porcellana, di materia plastica, e così via, nelle mie produzioni è autentico. E il pubblico lo sente. Guardate per esempio questo".

Il giovane e brillante produttore ci ha mostrato un piccolo oggetto di acciaio. "Non lo riconoscerete" ha detto con un sorriso "finché non vedrete Memorie di un Assassino. È l’unico esemplare di pistola francese pieghevole".

Ha premuto un pulsante. Si è udito un curioso schiocco. L’acciaio si è aperto come un fiore, si è vista la punta di uno stiletto, la bocca di una canna da fuoco e quattro pesanti anelli d’acciaio che, come Quinn ha spiegato, avevano una funzione protettiva.

"Un congegno mortale, e sta in un pugno" ha defto Platon con entusiasmo. "Aspettate di essere seduti al vostro posto, alla prima dello spettacolo. Sentirete il coltello penetrarvi nella carne, sentirete il proiettile trapassarvi il cuore. Sentirete tutto l’orrore del pericolo e della passione. È sensazionale. E tutto questo è contenuto nel mio ultimo Panty, Memorie di un Assassino".

Quinn ripiegò la pistola, la ripose nella sua scrivania e ve la dimenticò. Si dimenticò di prenderla con sé anche quando lasciò l’albergo. Ed essa vi rimase, dimenticata da tutti, finché non fu scoperta dall’Uomo Disintegrato.


L’antigravità, altrimenti nota con il nome di nulgee, fu studiata, approfondita e sfruttata. Fece crollare un mondo industriale e ne creò altri cinque. Tra un milione di affaristi emersi dalle rovine come altrettante fenici, chi pensò di avvalersene fu la Fratelli dei Sette Sacramenti, una Compagnia di Trasporti, dotata di un solo autocarro, il cui proprietario e gerente era un tale, figlio unico, di nome Reich; un giovanotto magro, dagli occhi da pesce, le ambizioni smisurate e un’assoluta mancanza di senso sociale.

Anche il Club dello Spazio, che era in gran difficoltà per la raccolta dei fondi comuni, decise di sfruttare l’antigravità. I grandi industriali alzarono le spalle, preferendo lasciare agli sciocchi l’arduo compito di fare da pionieri. Chi si prende la briga di speculare su una semplice probabilità? Che vantaggi commerciali possono derivare dalla possibilità di raggiungere l’ardita distesa della Luna o quelle ghiacciate dei pianeti? Chi si sentiva di spalleggiare le imprese di Cayley, Stringfellow, Haneson, Chanute, Santos-Dumont, i Wright? Tra l’altro erano in corso alcune guerre e gli eserciti combattevano per eliminare l’antigravità in omaggio a nebulose ragioni di sicurezza.

Nel frattempo fece la sua comparsa Alan Courtney. Dopo aver divorziato dalla sua dodicesima moglie, Courtney cominciò a guardarsi attorno in cerca di una nuova terapia per il suo ipertiroidismo. Aveva abbastanza denaro per essere annoiato e ciò bastò a dargli l’idea di costruire un’astronave interplanetaria. Alla stampa annunciò che era sua intenzione ricercare negli spazi stellari una moglie ideale. La stampa non si scompose, e Courtney ne fu seccato. Per dispetto, completò il suo apparecchio e, reso più ardito da una solenne sbornia, partì per la sua avventura.

Non tornò. Nessuno credette alla sua partenza. Cinque anni dopo la gente per lo più si chiedeva: Che cos’è successo a quel marito impenitente di Alan Courtney? E qualcuno rispondeva: Abita a Santa Fe, no? Sposato per la sedicesima o diciassettesima, o ventesima volta.

Anche Glen Tuttle, uno psicopatico inguaribile, e Almedo Zigerra, Joan Turnbul, Fritz Wonchalk, Speeman Van Tuerk, e ancora altri, tutta gente che si sentiva a disagio in questo mondo; incapaci di compromessi sociali, malati d’evasione, se ne andarono dalla Terra a uno a uno, con più o meno clamore e pubblicità. Nessuno ritornò. Il Club dello Spazio accolse con entusiasmo la donazione di 100.000 dollari da parte di un magnate dell’industria dei trasporti, Reich, e annunciò che presto l’uomo avrebbe lasciato la terra per il suo primo viaggio negli spazi. In realtà era cosa già avvenuta.


Varcata la soglia, si trovò nella tranquillità dello studio e si guardò attorno. Era una donna sciatta, sui quarant’anni, appassita, spaventata. Scorse subito l’uomo seduto dietro la scrivania, un giovane coi capelli e gli occhi neri, la pelle bianca e vellutata come quella di Duffi.

— Avanti signora. Accomodatevi.

Aveva una voce bassa, leggermente roca, come se celasse passioni represse.

— Grazie — sedette, faticosamente. Ha l’aria troppo ambigua. L’aria di un ladro. Hanley dice che potrebbe anche essere in regola. Io non ci credo.

— Qual è il vostro nome, signora?

— Il mio nome? Rhoda Rennsaeler, se leggete tra le righe. Sono la signora Nolles, moglie di Thomas Nolles. Il mio nome è Elvira.

— E il vostro problema, signora Nolles?

— Bene, continuo a sentire quelle voci che mi parlano all’orecchio. Così ho pensato che un dottore…

— Non sono un dottore, signora. Cercate di capire. Non esercito la professione del medico. Do solo consigli ai miei amici. Potete chiamarmi semplicemente signore, non dottore, signor Lorry Gart.

Prudente l’amico. Ma te la farò, furfante, non te l’immagini neppure come te la farò.

— Il vostro problema, signora Nolles? — ripeté Gart.

— Si tratta di quelle voci. Mi dicono che io sono Dio. E se non cadi a questa uscita, allora sei più furbo di quanto credessi. Posso pagare la visita. Ho qui dei bigliettoni che te li sogni, tu, maledetto ciarlatano.

— Forniti dal signor Hannerly?

— Oh no, sono i miei risparmi. Io… — S’interruppe.

Gart annuì e sorrise. — Cominciamo a capire, vero, signora Rennsaeler?

Ma non l’ho mai detto. Mai!

— No, naturalmente. E non avete neppure detto il vostro nome. Cerchiamo di essere pratici, signora Rennsaeler. Io non sono un ciarlatano. Voi non mi smaschererete. Anzi dimenticherete questo episodio.

Ma che cosa siete in nome di Dio?

— Un divinatore di pensiero, un uomo dotato di facoltà telepatiche, un Esper. Posseggo la facoltà della percezione extrasensoriale, signora Rennsaeler. Extra-Sensoriale PERcezione. ESP.

Il cane! Vede tutto quello che mi passa per la mente. Smettila di pensare! Perché non posso smettere di pensare? Lui mi ascolta. Come uno che spii dal buco di una serratura. Che spii senza essere visto. Lui…

— Signora Rennsaeler, smettetela! — Gart parlò aspramente. Si alzò e girando attorno alla scrivania si accostò alla donna. — Ascoltatemi, non abbiate paura. Avete l’impressione che la vostra più segreta intimità sia violata, e questo vi rende ostile. Ma non c’è niente di cui dobbiate vergognarvi, signora Rennsaeler. Nel chiuso della nostra mente siamo tutti uguali. Tutti, indistintamente. Lo so. L’ho scoperto con la mia esperienza personale.

Lei lo guardò fisso, spaventata.

— Credetemi. — Scosse la testa e fece una smorfia penosa. — Volete che vi racconti le mie vergogne, le mie paure segrete, i miei vizi e i miei orrori? Vogliamo sentirci fratelli oltre la soglia della coscienza? Mio padre era un criminale. Galen Gart junior, un ricattatore, un truffatore, un uomo che leggeva il pensiero e di questo si serviva per eliminare le persone. Fu ucciso. Io possiedo le stesse qualità, la sua stessa capacità di leggere il pensiero, non molto a fondo, ma con una certa esattezza. Da qui nascono le mie tentazioni, tentazioni suscitate dall’avidità, dal subdolo odio per la società, dall’istinto di sbalordire e distruggere la gente, dall’istinto malsano di distruggere me stesso.

— Non capisco. — La donna scosse la testa.

— Sto denudandomi psicologicamente per voi, signora Rennsaeler. È la mia unica difesa contro la vostra ostilità. Spero che voi possiate aiutarmi a divenire qualcosa di meglio di un illusionista da strapazzo. Vi intendete di rapporti sociali?

— No — disse lei. — No. Sono venuta qui per smascherare un volgare ciarlatano. Io…

— Ascoltatemi. Io mi servo della mia eccezionale facoltà per aiutare le persone confuse e smarrite. Vengono qui da me degli strani malati, quelli che non sanno scoprire i loro stessi problemi. Io li aiuto in un solo modo: a indovinare i loro problemi. Mentre parlano io seguo il flusso dei loro pensieri. Mentre si agitano e si confondono, ricostruisco punto per punto il loro caso, dico loro di che crisi soffrono. La delineo chiaramente davanti ai loro occhi. È come se avvolgessi il loro problema individuale in un bel pacchetto e lo consegnassi nelle loro stesse mani. Possono portarlo al più vicino psicanalista per averne la soluzione, benché generalmente non sia affatto necessario.

— Allora non siete un ciarlatano.

— No, signora Rennsaeler. E voi mi credete. Almeno così leggo nel vostro pensiero. Mi credete e volete aiutarmi. Non è vero?

Dopo un lungo silenzio lei disse: — Sì… dannata telespia. Vi credo e voglio aiutarvi.

Gart le prese una mano. — Avete già cominciato ad aiutarmi. Mi avete dato un nome.


Il Geoffrey Reick, la prima astronave normalmente equipaggiata che raggiunse la Luna, scorse l’apparecchio e il corpo di Glen Tuttle nel mezzo di un giacimento di 100 chilometri di stellite di Haines, valutata quindici dollari al chilo. Lo sportello era aperto e il corpo giaceva sulla soglia. Il povero Tuttle era così ignorante da non sapere nemmeno che sulla Luna non c’è aria. Aveva appena avuto il tempo di gettare un’occhiata al Mare Imbrium prima di soffocare. Il suo cadavere era crivellato dai fori dei proiettili meteorici che bombardano il satellite indifeso alla velocità di quarantotto chilometri al secondo.


AVV. ASJ: La difesa può procedere all’interrogatorio del testimone di parte avversa.

AVV. LECKY: Col beneplacido della corte vorrei presentarvi il dottor Walter Clark, esper ed Esperto Sanitario, che procederà all’interrogatorio dei testimoni.

AVV. ASJ: Mi oppongo!

LA CORTE: In base a cosa sostenete la vostra tesi, avvocato Lecky?

AVV. LECKY: Ricordo a Vostro Onore che in questa causa per l’assegnazione dei beni di Alan Courtney c’è in gioco una somma di oltre venticinque milioni di dollari. Pur non discutendo l’intima onestà dei testimoni di parte avversa, sospetto che i loro ricordi siano addomesticati a suon di dollari.

AVV. ASJ; L’avvocato Lecky sta sostenendo la sua tesi o scrivendo un copione per uno spettacolo Panty?

AVV. LECKY; È cosa accertata che gli uomini ricordano quello che vogliono ricordare e dimenticano quello che vogliono dimenticare. Lo fanno in piena buona fede. Per la psicanalisi non esiste verità obiettiva, e le nostre Corti si sono più volte appellate al principio psicanalitico in una lunga serie di casi.

LA CORTE: A questa Corte sono noti i casi precedenti, avvocato Lecky, ma il caso in discussione non ha niente in comune con essi.

AVV. ASJ: Non si è mai verificato che in una causa un esper fosse ammesso a dire la sua e se l’avvocato Lecky crede di poter forzare…

AVV. LECKY: Che cosa temete? Se i vostri testimoni dicono la verità, il mio uomo scruterà nel loro intimo e non farà che confermarlo. Ma se mentono come credo…

LA CORTE: Signori! Signori! Non possiamo permettere discussioni di questo genere. La Corte è perfettamente al corrente del fatto che esperti in materia extrasensoriale rendono validi servigi alla società in vari campi della vita attuale; il medico esper, il legale esper, l’educatore esper, il criminologo esper… per menzionarne solo alcuni. Tuttavia un esper non può legalmente essere ammesso in una Corte, e fare dichiarazioni da scriversi a verbale.

AVV. LECKY: Non si può sostenere che un’intrusione nell’intimità del pensiero sia immorale, come non si può affermare che l’istantanea di un bagnante nudo rappresenti un’offesa al pudore. Tre secoli fa si pensava che il corpo umano fosse una cosa vergognosa. Celarlo era la strana consuetudine dell’epoca. Ma abbiamo superato da molto tali concetti medievali.

LA CORTE: Verissimo avvocato Lecky, ma la giustizia umana non ha ancora ripudiato il principio stabilito per cui non ci si può servire di un uomo come testimone contro se stesso. Non si può rivolgere la testimonianza di un uomo contro di lui. Non si può forzare un uomo a convincersi che è nel falso a livello inconscio. La giustizia deve sempre mantenersi obiettiva. Se così non fosse che cosa accadrebbe agli innocenti che si credono colpevoli? Come potrebbe una Corte conciliare le loro confessioni di colpevolezza soggettive con la loro innocenza obiettiva? L’obiezione è accolta.


Nel 2300 la Sacramento III che sorvolava cautamente la zona est di Marte in cerca di giacimenti minerari radioattivi, scoprì i resti dell’eterno marito, Alan Courtney. Era sopravvissuto due anni all’atterraggio, integrando i suoi ultimi rifornimenti con i licheni e con la rugiada che si formava sulla superficie della sua astronave. C’erano cicatrici e frammenti di ruggine sulla sua lingua.

Evidentemente era impazzito perché trovarono il suo cadavere rinsecchito ancora inginocchiato ai piedi di una roccia sulla quale era stato scolpito il simbolo dell’Ordine del Pitone.

Di questo simbolo, un serpente avvolto in lunghe spire, non si fece parola nei resoconti, ma il nome di Courtney fu dato a una città. In onore di Alan Courtney il suo pronipote Samuel Dus prese anche il suo nome, e si stabilì nella città di Courtney su Marte.

Ma vi fu spinto anche da altre ragioni. Samuel Dus-Courtney era stato battuto nella sua grande lotta finanziaria contro il vecchio Geoffrey Reich III, e voleva ritirarsi per poter risanare il suo patrimonio pericolante.


L’apparecchio di Joan Turnbul, un sottomarino trasformato in astronave, rimase vittima della Legge dei Tre Corpi Celesti, e segue tutt’ora Giove nella sua eterna corsa insieme ai Troiani.

Gli apparecchi di linea dell’impresa Sacramento talvolta sprecano un po’ di carburante perché i passeggeri possano intravedere il suo viso spettrale, immobile nella cornice di cristallo. Le ragazze sentimentali versano spesso qualche lacrima sul triste destino della figlia graziosa (era brutta come il peccato) dello scopritore dell’antigravità.


Van Tuerk si schiantò su Titano. Un’astronave cisterna della compagnia D’Courtney trovò il suo corpo nella minuscola cabina: giaceva maciullato sulla plancia. L’astronave della D’Courtney scoprì anche un cratere di magma irradiante del valore di quaranta bilioni di dollari.

— Magma cum laude — sbuffò Ben Reich quando la notizia gli fu trasmessa dalla Torre Sacramento, ma non se ne rallegrò.

Perché Ben Reich è l’Uomo Disintegrato.

2

Disintegrazione! Distruzione! Esplosione! Le porte della cella si spalancano! Lo sfavillio della Stellile si frantuma in una pioggia di zaffiri e diamanti. E più addentro, il denaro è ammucchiato in pile d’oro, pronto per la rapina, la violenza, il saccheggio. Chi è penetrato nella cella? Oh Dìo! L’Uomo senza Volto! Si guarda attorno minaccioso. Muto. Orribile.

Corri, fuggi…

Corri, o perderò la Pneumatica di Parigi e quella ragazza che mi aspetta col suo viso di fiore. Chiama la guardia. Dille di trattenere il treno, un attimo. Corri. Dille di…

Ma non c’è nessuna guardia ai cancelli: c’è l’Uomo senza Volto! Si guarda intorno. Minaccioso. Muto. Fa spavento.

Ma non grida. Canta sul palcoscenico di marmo abbagliante, mentre i voli e i bagliori della musica incantano la folla in platea… Ma non c’è nessuno. La grande platea in ombra è deserta… deserta, se non ci fosse un unico spettatore. Silenzioso. Fisso. Bieco. Minaccioso.

L’Uomo senza Volto!

Questa volta il suo grido echeggiò per la casa.

Ben Reich si destò.

Giaceva nel suo letto, col cuore che gli martellava e gli occhi che si fissavano a caso, ora su uno ora su un altro degli oggetti che arredavano la camera. Le pareti di giada verde, la lampada che aveva per paralume un mandarino di porcellana che annuiva col capo appena lo si toccava, l’orologio che segnava sui molti quadranti l’ora di tre pianeti e nove satelliti, il letto stesso, una vasca di cristallo con un getto di glicerina carbonata a 99,9 gradi Fahrenheit.

La porta si aprì senza rumore e nella luce incerta apparve Jonas, un’ombra in pigiama rossobruno con la faccia da cavallo e l’aria da becchino.

— Ancora? — disse Reich.

— Sì, signor Reich.

— Molto forte?

— Fortissimo, signore. E pieno di terrore.

— Accidenti alle vostre orecchie d’asino — borbottò Reich. — Io non ho mai paura.

— No, signore.

— Uscite.

— Sì, signore. Buonanotte. — Jonas arretrò e chiuse la porta. Reich urlò: — Jonas!

Il maggiordomo riapparve.

— Scusami Jonas.

— Bene, signore.

— Non va affatto bene, Jonas — Reich cercò di accattivarselo con un sorriso. — La prima volta che urlo urlate anche voi. Perché dovrei godermela solo io?

— Oh, signor Reich…

— Fate come vi dico e vi aumenterò lo stipendio. — Di nuovo quel sorriso. — È tutto Jonas. Grazie.

— Grazie a voi, signore. — Il maggiordomo si ritirò.

Reich si alzò dal letto e si frizionò accuratamente con una salvietta davanti allo specchio, esercitandosi a sorridere. — Fatti dei nemici per libera scelta — borbottò — non per caso. — Contemplò la sua immagine riflessa: le spalle forti, il torace ampio, i fianchi stretti, le gambe lunghe, gli occhi grandi e la bocca sottile.

Perché? si chiese. Non farei mai un patto col diavolo per cambiare il mio aspetto. Non cederei la mia condizione con quella di un dio. Perché quel grido?

Indossò una vestaglia e guardò l’orologio. Erano passate da poco le sei. Bisognava che si sottoponesse a un’ora di psicanalisi. Quella faccenda del grido doveva finire.

— Ma non ho paura — disse forte. — Io non ho paura.

Percorse un corridoio ciabattando sul pavimento d’argento indifferente al sonno dei suoi dipendenti, senza preoccuparsi che quel lugubre clamore mattutino avrebbe svegliato dodici cuori all’odio e alla paura. Spalancò la porta dell’appartamento del suo psicanalista, entrò e si sdraiò subito sul divano.

Wilson Breen era già sveglio e lo aspettava. Come psicanalista fisso di Reich dormiva il sonno leggero delle madri o delle bambinaie rimanendo costantemente in rapporto con il suo paziente, svegliandosi di colpo se questi aveva bisogno del suo aiuto. Quell’unico grido era stato sufficiente per Breen. Ora sedeva accanto ad un divano elegante, indossando una vestaglia da camera ricamata, pronto e premuroso perché sapeva che il suo principale era generoso ma esigente.

— Raccontate, signor Reich — invitò.

— Ancora l’Uomo senza Volto — disse Reich.

— Incubi?

— Sì, incubi di nuovo. Tentava di derubare una banca. Poi tentava di prendere il treno. Poi qualcuno cantava. Ero io, credo. Cerco di rendervi il quadro meglio che posso. Credo di non aver dimenticato nulla…

— Continuate a non riuscire a identificare l’Uomo senza Volto, signor Reich?

— Come diavolo potrei? Non lo vedo mai.

— Penso che possiate. Solo non volete.

— Ascoltate — esplose Reich in uno scatto ingiustificato di collera — vi pago ventimila dollari all’anno. Se il meglio che potete fare è di esprimere supposizioni idiote…

— Parlate sul serio, signor Reich, o si tratta semplicemente di un sintomo del vostro generale stato di ansietà?

— Non c’è nessuna ansietà in me — gridò Reich. — Non ho paura. Io non ho mai… — Si interruppe, rendendosi conto di tutta la futilità di quelle sue parole, mentre l’abile mente della telespia esplorava la sua mente al di sotto della sua aggressività. — Avete torto, comunque — disse cupo. — Non so di che si tratti. È un uomo senza volto. Ecco tutto.

— Voi sorvolate sui punti essenziali, signor Reich. Bisogna che qualcuno ve li indichi. Tentiamo insieme qualche associazione di parola, prego. Furto.

Gioielli; orologi, diamanti, prigione, depositi, sovrane, casse, verghe, diamente…

— Volete ripetere l’ultima parola, prego?

— È stato un lapsus. Volevo pensare diamante.

— Non è stato un lapsus. È stato una correzione significativa, o piuttosto un’alterazione. Continuiamo. Pneumatico…

Scompartimenti aereati ad aria condizionata… — Non c’entra.

— C’entra, signor Reich. Si tratta di un inconscio gioco di parole. Leggete ereditati anziché aereati e lo capirete. Continuate per favore.

— Voi intriganti telespie siete troppo furbi. Dunque, pneumatico… ferrovia sotterranea ad aria compressa, velocità ultrasonica. "Vi trasportiamo con trasporto" slogan della… che diavolo di nome ha la Compagnia? Non me lo ricordo. Come faccio a saperlo, comunque?

— È una nozione che vi viene dall’inconscio, signor Reich. Un ultimo tentativo e comincerete a capire. Platea…

Poltrone, poltroncine, balconate; palchi, pareti divisorie, pareti divisorie di una scuderia, cavalli marziani, Pampas Marziane…

— Ci siamo, signor Reich. Negli ultimi mesi avete avuto novantasette incubi in cui compariva l’Uomo senza Volto. È stato il vostro tenace nemico, il vostro demolitore, l’ispiratore dei sogni spaventosi che hanno tre denominatori comuni… Finanze, Trasporti, e Marte. Continuate… L’Uomo senza Volto, Finanze, Trasporti, Marte.

— Tutto questo non ha alcun significato per me.

— Ma deve averne uno, signor Reich. Dovete riuscire a identificare questo spaventoso personaggio. Come sfuggire all’incubo se vi rifiutate di vederne il volto?

— Io non mi rifiuto di vedere qualcosa.

— Vi offro un’ulteriore indicazione: la parola che avete alterato, cioè aereate e il nome che vi sfugge, della compagnia creatrice dello slogan Vi trasportiamo con trasporto.

— Vi ripeto che non lo so. — Reich si alzò di scatto dal divano. — Le vostre indicazioni non servono. Non riesco a identificare niente.

— L’Uomo senza Volto non vi fa paura per il fatto che non ha volto. Sapete benissimo chi è. Lo odiate e lo temete, ma sapete chi è.

— Siete voi la telespia, maledizione! Voi, dovete dirmelo!

— C’è un limite alle mie capacità, signor Reich. Se non mi volete aiutare non posso penetrare molto a fondo nella vostra volontà.

— Che cosa intendete con aiutare? Siete il migliore elemento che potevo assumere. Se…

— Signor Reich, voi avete assunto deliberatamente alle vostre dipendenze, per proteggervi in questo frangente, un esper di secondo grado. Se volete che questa faccenda del grido abbia termine dovete consultare un esper di primo grado, Augustus T8 o Gart o Samuel Akins.

— Ci penserò — disse Reich e si volse per andarsene.

Breen lo chiamò, mentre apriva la porta. — A proposito. Vi trasportiamo con trasporto è lo slogan della compagnia D’Courtney. Come vi sembra che quadri con l’alterazione di diamante in diamente? Pensateci su.

L’Uomo senza Volto!

Bruscamente Reich cercò di chiudere la sua mente all’interferenza di Breen, poi percorse barcollando il corridoio in direzione del suo appartamento. Un’ondata di odio selvaggio lo sopraffece.

Craye D’Courtney. L’Uomo senza Volto. Ha ragione quel figlio di un cane! È D’Courtney che provoca le mie grida. Non perché io abbia paura di lui. Ho paura di me stesso. L’ho sempre saputo. Saputo perfettamente nell’inconscio. Ho sempre saputo che una volta arrivato a questo punto avrei dovuto uccidere D’Courtney. Non ha volto perché il suo è il volto del delitto.

Vestito di tutto punto, e di cattivo umore, Reich si precipitò fuori dal suo appartamento e scese in strada dove una cavalletta, veicolo speciale dell’impresa, lo prese a bordo. In un unico balzo lo trasportò alla gigantesca torre che alloggiava in centinaia di piani le migliaia di impiegati degli uffici newyorkesi della Sacramento. La Torre era il centro vitale di un organismo incredibilmente vasto, comprendente un complesso enorme di trasporti, comunicazioni, industrie pesanti, manifatture, grandi magazzini, laboratori, esportazioni e importazioni. La Sacramento comperava e vendeva, costruiva e distruggeva, trafficava e distribuiva. Il suo sistema di compagnie succursali e centrali era così complesso da esigere l’attività a tempo pieno di un amministratore esper di secondo grado.

Reich entrò nel suo ufficio seguito dalla sua prima segretaria (una esper di terzo grado), e dal personale alle sue dirette dipendenze, che trasportava un enorme vassoio carico degli incartamenti del mattino.

— Deponete queste cose e andatevene — ordinò brusco.

Gli inservienti depositarono sulla scrivania le carte e i cilindri di cristallo con le registrazioni e se ne andarono in fretta: non erano risentiti, erano troppo abituati alle sue esplosioni d’ira. Reich sedette alla scrivania, tremando di una furia omicida che segnava già il destino di D’Courtney. Infine borbottò: — Darò a quel bastardo un’ultima possibilità di salvezza.

Aprì il cassetto di sicurezza della scrivania e ne trasse il Codice Segreto della Direzione, noto solamente ai principali organizzatori delle ditte registrate dai Lloyds con la quadrupla sigla A-I. Trovò quel che cercava.


QQBA — Compartecipazione

BBCB — Nostri rispettivi

SSDC — Vostri rispettivi

TTED — Fusione

UUFE — Interessi

DDGF — Informazione

WWHG — Accettiamo offerta

XXIH — Generalmente noto

YYJI — Proposta

ZZKJ — Confidenziale

AALK — Pari condizione

BBML — Contratto


Tenendo il segno nel Codice, Reich afferrò il videofono e disse all’immagine della centralinista: — Datemi l’Ufficio Trasmissioni in Codice. — Lo schermo si offuscò e comparve una stanza fumosa stipata di libri e bobine di nastri telegrafici. Un uomo pallido, che indossava una camicia sbiadita, apparve davanti allo schermo e si mise in ascolto.

— Sì, signor Reich?

— Buongiorno Hassop. Sembra che abbiate bisogno di un po’ di riposo. Fatevi una settimana di vacanza. Paga la Sacramento.

— Grazie, signor Reich. Grazie infinite.

— Questo messaggio è confidenziale. Per Craye D’Courtney. L’Ufficio Informazioni comuni vi dirà dove trovarlo. Trasmettete… — Reich consultò il codice. — Trasmettete: YYJI-TTED-BBCB-UUFE-AALK-QQBA. Fatemi avere la risposta al volo.

— Benissimo, signor Reich, eseguirò.

Reich interruppe la comunicazione. Allungò la mano verso il mucchio di carte e di cilindri di cristallo ammassati sulla scrivania, ne prese uno e lo inserì nel magnetofono. La voce della segretaria disse; — Le azioni della Sacramento sono scese del 2,1134%. Quelle della D’Courtney sono salite del 2,1134 %…

— Fuori dalla mia tasca, dentro la sua! — e si alzò in un’agonia d’impazienza. Ci sarebbero volute ore perché il messaggio raggiungesse Marte e ritornasse. Tutta la sua vita dipendeva dalla risposta di D’Courtney.

Uscì dal suo ufficio e cominciò ad aggirarsi per i vari piani e reparti della Torre, dandosi l’aria di controllare rigidamente le varie attività come effettivamente soleva fare. La sua prima segretaria lo accompagnava discretamente come un cane ammaestrato.

Cagna ammaestrata pensò Reich. Poi, a voce alta: — Scusate. L’avete captato?

— Non importa, signor Reich, capisco.

— Io no. All’inferno quel dannato D’Courtney!

Nell’Ufficio del Personale stavano esaminando, interrogando, vagliando la solita massa di aspiranti a un impiego. Impiegati tecnici specialisti, personale amministrativo, capi ufficio. La selezione preliminare veniva effettuata in base a prove e colloqui che non soddisfacevano mai il capo del personale esper, il quale, all’apparire di Reich, stava appunto percorrendo la stanza a grandi passi in un accesso d’ira. Il fatto che la segretaria di Reich lo avesse avvisato telepaticamente della visita non lo turbava affatto.

— Ho destinato dieci minuti a ogni candidato per il mio esame finale. — Il capo stava strillando all’indirizzo dei suoi uomini spauriti. — Sei all’ora. Quarantotto al giorno. A meno che la percentuale delle mie bocciature non scenda sotto il trentacinque per cento, io sto perdendo il mio tempo, il che significa che voi state sprecando il danaro della Sacramento. La Sacramento non mi paga perché io esamini gli elementi chiaramente negativi. Questo è affar vostro. Cercate di cavarvela. — Si rivolse a Reich e fece un rispettoso cenno di saluto. — Buongiorno, signor Reich.

— Buongiorno. Qualcosa che non va?

— Niente che non possa essere sistemato una volta che questa gente abbia capito che la percezione extrasensoriale non è un miracolo ma un’abilità come un’altra da esercitarsi secondo le esigenze del proprio lavoro. Cosa avete deciso circa Blogg?

Segretaria: Non ha ancora letto il vostro promemoria.

Posso ricordarvi, signorina, che se non si sfrutta la mia abilità al massimo io sono sprecato? Da tre giorni il promemoria si trova sulla scrivania del signor Reich.

Diteglielo ora.

Ci vorranno tre minuti che costeranno al mio reparto mille e cinquecento dollari. Il mio tempo ha un prezzo.

Diteglielo in ogni modo. Ha i nervi.

— Chi diavolo è Blogg? — chiese Reich.

— Anzitutto il retroscena, signor Reich: ci sono circa centomila esper di terzo grado nell’associazione degli esper. Un esper tre, non arriva a captare il pensiero al di là della zona cosciente: può scoprire il pensiero solo al momento della sua formulazione. Il terzo è il grado più basso dell’attività telepatica. La maggior parte delle posizioni chiave della Sacramento sono nelle mani di esper tre. Abbiamo alle nostre dipendenze più di cinquecento…

In nome di Dio, lo sa già! Arrivi al punto, perditempo!

Permettetemi di arrivarci a modo mio, signorina.

Ma come avete fatto a essere assunto all’Ufficio del Personale, pallone gonfiato? Siete un chiacchierone nato.

— Ci sono circa diecimila esper di secondo grado nell’associazione — continuò il capo del personale in tono glaciale. — Hanno il mio grado di abilità, possono cioè penetrare al di sotto del livello della coscienza fino a raggiungere la zona precosciente. La maggior parte degli esper due appartengono alla classe dei professionisti: medici, avvocati, ingegneri, educatori, economisti, architetti e via così.

— E costate una fortuna — brontolò Reich.

— L’attività che noi svolgiamo è unica. La Sacramento ha alle sue dipendenze più di cento esperti di secondo grado.

Ma volete decidervi ad arrivare al punto? Se non fosse così adirato per la faccenda D’Courtney vi avrebbe già mandato al diavolo.

— Meno di mille esper di primo grado fanno parte dell’associazione. Costoro sono capaci di penetrare attraverso gli strati coscienti e precoscienti fino all’inconscio, cioè fino alle zone più remote della mente umana. Desideri primordiali e così via. Questi esper, naturalmente occupano posizioni preminenti. Alte cariche nel campo educativo, nella medicina specializzata, psicanalisti come Gart, Akins, Moselle, criminologi come Preston Powell della sezione psicopatici, psicanalisti politici, diplomatici, consiglieri politici speciali e così via. Fino ad ora la Sacramento non ha avuto occasione di assumere un esper uno.

— E allora? — chiese Reich.

— L’occasione si è presentata, signor Reich, e credo che Blogg sia a nostra disposizione. Per farla breve…

Sbrigatevi.

— Per farla breve la Sacramento sta assumendo alle sue dipendenze tanti esper che ho suggerito di organizzare una Sezione speciale per il personale esper agli ordini di un primo grado come Blogg che si dedichi totalmente a questo lavoro.

Reich sta chiedendosi perché mai non ve la cavate da solo.

— Ho già detto perché non possa svolgere io questo compito, signor Reich. Io sono un esper di secondo grado. Posso vagliare telepaticamente i normali aspiranti a un impiego con rapidità e sicurezza, ma non posso esaminare altri esper con la stessa sicurezza. Tutti gli esper sono soliti opporre una resistenza mentale più o meno efficente a secondo del loro grado. Per passare un terzo grado a un vaglio veramente efficace mi ci vorrebbe un’ora. Per un secondo grado tre ore. Non potrei mai esaminare un primo grado. Per lo svolgimento di un tale lavoro dobbiamo assumere per forza un primo grado come Blogg. Ci costerà molto, sì, ma è urgente.

— Che cosa c’è di tanto urgente? — chiese Reich.

Non fategli un quadro così disastroso! È già abbastanza fuori di sé per D’Courtney.

Io faccio il mio dovere signorina. A Reich disse: — La compagnia D’Courtney ci ha soffiato gli esper di maggior valore. Volta per volta, mettendoci il bastone fra le ruote al momento opportuno, la D’Courtney, si è tranquillamente accaparrata gli uomini più in gamba, lasciandoci spendere il nostro denaro per gente di scarso valore.

— Andate all’inferno — urlò Reich. — E vada all’inferno anche la D’Courtney. Comunque, sistemate la faccenda. E dite a questo Blogg di mettere in trappola la D’Courtney. E anche voi fareste meglio ad agire.

Lasciò l’ufficio del personale e scese alle vendite, dove era stato messo in funzione un proiettore per un pubblico di cento persone scelte a caso per la strada. Sedevano attentamente nel piccolo teatro seguendo la proiezione di provini pubblicitari, mentre l’esper capo del Reparto Vendite captava le loro impressioni. Avvertito dalla Segretaria di Reich, interruppe immediatamente il suo lavoro e gli si fece incontro col viso perplesso e seccato.

— Buongiorno, signor Reich.

— Buongiorno. Qualcosa che non va?

Non lasciatevi uscire niente di bocca.

Devo farlo, ragazza mia. È un momento di crisi. Ragazzo, voi pensate che si tratti solo di una crisi. Il capo è…

— Vorrei che poteste captare i sentimenti di questo pubblico, signor Reich. Ma come riesce a farcela in questo modo D’Courtney?

— A fare che cosa?

— A creare tanta ostilità verso di noi. — L’esper capo del Reparto Vendite indicò con un cenno la gente seduta lì accanto. — Il pubblico pensa che tutti i nostri prodotti siano volgari contraffazioni a paragone di quelli di D’Courtney. Pensa che ogni nostra immagine pubblicitaria sia un evidente imbroglio. Tutta colpa del patriottismo su cui gioca quella dannata D’Courtney! Questa gente crede che commetterebbe un atto di alto tradimento se favorisse qualche prodotto che non sia della D’Courtney.

— Chi si occupa del loro ufficio informazioni? Chiunque sia, portateglielo via con ogni mezzo.

— È una donna, signor Reich — disse la segretaria, — una esper due. Incorruttibile.

— Chi ha detto di corromperla?

— Voi non lo avete detto signor Reich, ma noi l’abbiamo tentato.

— Ci penserò io! — gridò Reich.

Si precipitò all’Ufficio Propaganda dove il capo reparto stava rapidamente esaminando un gruppo di inviati speciali, tutti di terzo grado, di ritorno dall’Africa Centrale, e apparentemente con cattive notizie.

— Buon giorno — disse Reich interrompendo. — Qualcosa che non va?

Il capo dell’Ufficio Propaganda, ignorando i messaggi della segretaria, annuì con aria cupa. — Tanto vale affrontare la situazione — disse. — Ci stanno rovinando.

— D’Courtney?

— D’Courtney. In ogni luogo e su qualsiasi pianeta o satellite voi lo possiate nominare D’Courtney è il Grande Padre. Se la Sacramento tentasse di vendervi qualcosa la gente rifiuterebbe di comprare.

— D’ora in poi cambieremo completamente sistema. D’ora in poi non ci affanneremo più a dar lustro alla Sacramento, ma getteremo fango su D’Courtney. Voglio insozzarlo. Voglio demolirlo. Diffamarlo. Deruba le banche. Sfrutta le vedove e gli orfani.

— Ho capito come la pensate — lo interruppe la telespia. — Non temete un processo per diffamazione?

— Chi se ne frega della Legge! Lasciate che mi citi in giudizio. Sarà rovinato prima che abbia inizio la procedura. Avvertite il mio legale di passare nel mio ufficio.

Reich ritornò al suo ufficio, dove il capo dell’Ufficio Legale, avvertito tempestivamente dal fulmineo flusso telepatico, lo attendeva già, al corrente dei piani di Reich.

— Non potete attuare il vostro progetto, signor Reich — disse. — D’Courtney vi citerà in giudizio e l’avrà vinta.

— In un modo o nell’altro D’Courtney manderà all’aria la Sacramento se non ci battiamo. Andate a informarvi sui miei piani.

— Li ho già letti in voi, signore.

— Allora ritornate al vostro reparto e preparatevi alla difesa. L’Ufficio Propaganda sta per scatenare un’aperta battaglia: insinuazioni, accuse esplicite, tumulti. Mi preparo a usare un vecchio trucco. Se non potete attaccare l’oggetto attaccate l’uomo. Io voglio che D’Courtney sia attaccato legalmente e illegalmente. Siete preavvertito. Inevitabilmente infrangeremo alcune leggi…

— Un centinaio.

— Benissimo. Citate D’Courtney in giudizio prima che lui citi noi. Accusatelo di tutto quanto noi stessi stiamo per fargli. Intentategli ogni azione civile e penale che lui sarà indotto a intentare contro di noi. Si tratta di vita o di morte. Avvertite i vostri colleghi e andatevene fuori dai piedi.

Quando il capo dell’Ufficio Legale fu uscito, Reich misurò la stanza a lunghi passi rabbiosi, per cinque minuti. — Non serve a nulla — borbottò. — So che dovrò uccidere il bastardo. Non accetterà la mia proposta. Perché dovrebbe accettarla? Pensa di avermi rovinato. Mi ha rovinato davvero, maledetto! Tutte queste non sono che parole e parole. Bisognerà che lo uccida. E mi sarà necessario un vero aiuto… l’aiuto dell’esper.

Afferrò il telefono e disse alla centralinista: — Ufficio Informazioni. — Sullo schermo apparve un salone splendente con decorazioni in cromo e smalto, arredato con tavoli da gioco e un bar automatico. Pareva, ed era, un centro ricreativo. Si trattava in effetti del quartier generale del potente Servizio Informazioni della Sacramento. Il direttore del centro ricreativo, un intellettuale barbuto di nome West, alzò il viso da una scacchiera e si mise in ascolto.

— Buongiorno, signor Reich.

Messo in guardia dal formale signore, Reich disse; — Buongiorno, signor West. Solo una questione di normale amministrazione; paterno interesse, sapete. Come vanno gli svaghi, in questi giorni?

— Regolarmente. Ho però una lamentela; penso che si giochi troppo d’azzardo in complesso. — West parlò ostentatamente a voce alta finché due impiegati della Sacramento non ebbero vuotato i bicchieri con aria innocente e non se ne furono andati. Allora West tirò un sospiro di sollievo e si adagiò più comodamente in poltrona. — Via libera, Ben. Sputa fuori.

— Hassop ha già trasmesso il messaggio cifrato, Ellery?

La telespia scosse amaramente il capo.

— Sta tentando?

West sorrise e annuì.

— Dov’è D’Courtney?

— In viaggio verso la Terra a bordo dell’Astra.

— Dove si stabilirà?

— Vuoi che m’informi?

— Non so, dipende…

— Dipende da che cosa? — West gli gettò uno sguardo incuriosito. — Vorrei che si potesse captare il pensiero anche per telefono, Ben. Vorrei sapere a che cosa miri.

Reich sorrise con aria cupa. — Grazie a Dio ci sono i telefoni. Ci proteggono dal demonio della telepatia. Qual è il tuo atteggiamento personale nei riguardi del delitto, Ellery?

— Quello tipico.

— Di chiunque?

— Della Lega degli esper. La Lega non ama il delitto.

— Tu sei in gamba Ellery. Conosci il valore del denaro, del successo. Perché non ti sveltisci, perché lasci che la Lega pensi in tua vece?

— Tu non capisci. Noi nasciamo nella Lega, viviamo con la Lega. Personalmente abbiamo il diritto di eleggere i dirigenti della Lega, e questo è tutto. La Lega si occupa della nostra carriera. Ci istruisce, ci gradua, stabilisce dei principi morali, e bada che ci atteniamo ad essi. Ci protegge escludendo dai nostri ranghi gli incompetenti. Abbiamo l’equivalente del giuramento d’Ippocrate. È chiamato Voto di Galeno. Dio salvi chi l’infrangerà… cosa che ho l’impressione che tu mi stia suggerendo.

— Può darsi — disse Reich con voce grave. — Forse sto insinuando che varrebbe la pena che tu rompessi il voto di fedeltà alla Lega. Forse io traduco tutto in denaro… più di quanto tu o qualsiasi esper di secondo grado possa sognare di guadagnare in tutta la vita.

— Lascia perdere, Ben. La cosa non m’interessa.

— Ammettiamo che tu infrangessi il giuramento. Che cosa accadrebbe?

— Verrei messo al bando.

— È già accaduto che delle telespie di grande ingegno rompessero con la Lega. Sono stati messi al bando. Che importa?

West sorrise storto. — Non puoi capire, Ben.

— Spiegami.

— Prendi per esempio quegli esper che hai citato. Non erano poi così furbi. È come… — West rifletté un momento. — Prima che la chirurgia si affermasse veramente esisteva un gruppo di persone minorate chiamate sordomuti.

— Non sentivano e non parlavano?

— Proprio così. Essi comunicavano per mezzo di un particolare linguaggio fatto di segni. Ciò significa che non potevano comunicare che con altri sordomuti. Capito? Dovevano vivere nella loro comunità o non potevano vivere affatto. Un uomo impazzisce se non può avere amici.

— Vuoi dire che voi esper siete come sordomuti?

— No, Ben. Voi non esper siete i sordomuti: se noi dovessimo vivere soltanto con voi impazziremmo. E ora, in nome di Dio, lasciami in pace. Se stai tramando qualcosa di losco, non voglio saperlo.

E West riattaccò il telefono senza attendere la risposta di Reich. Con un’esclamazione rabbiosa Reich afferrò un fermacarte d’oro e lo scagliò contro lo schermo di cristallo. Prima che le schegge fossero tutte cadute a terra, si era già sbattuta alle spalle la porta dell’ufficio e si avviava a grandi passi verso l’uscita del palazzo.

La sua segretaria sapeva dove stava andando. Il suo autista, un esper, sapeva dove voleva andare. Non appena Reich mise piede nel suo appartamento gli si fece incontro, per accoglierlo, il capo del personale di servizio, un esper anch’egli, che subito annunciò che si pranzava presto e gli servì il pranzo senza che avesse fatto in tempo a chiederlo. Sentendosi un po’ meno incline alla violenza, Reich cominciò a camminare su e giù per lo studio finché si diresse alla cassaforte: un semplice bagliore luminoso in un angolo.

Si trattava di scaffali incastrati fra loro a nido di vespa e sintonizzati nell’invisibile mediante una pulsazione monofasica. A ogni secondo, quando la fase visibile e quella invisibile coincidevano, lo schedario palpitava di una luce abbagliante. La cassaforte poteva essere messa in fase visibile stabile solo dall’impronta digitale dell’indice destro di Reich che era irriproducibile.

Reich posò la punta dell’indice al centro della macchia luminosa. Questa impallidì e apparvero gli scaffali. Tenendo sempre il dito nel medesimo punto, prese un piccolo taccuino nero e una grossa busta rossa su cui era scritto a grandi lettere DA APRIRSI IN CASO DI ASSASSINIO.

Cominciò a sfogliare rapidamente le pagine del taccuino: ANARCHICI… CORRUZIONE (GIÀ SPERIMENTATA)… CORRUZIONE (DA TENTARSI) RAPIMENTO… INCENDIO DOLOSO… Sotto le parole da tentarsi erano segnati i nomi di cinquantasette notissime persone. Tra esse figurava quello di Augustus T8, un medico esper di primo grado. Annuì soddisfatto.

Lacerò la busta rossa e ne esaminò il contenuto. Conteneva cinque fogli ricoperti da una scrittura vecchia di secoli. Quattro erano numerati: PIANO A, PIANO B, PIANO C, PIANO D. Il quinto portava il titolo INTRODUZIONE. Reich lesse lentamente l’antico scritto vergato da segni sottili come ragnatele.


A quelli che verranno dopo di me.

Il segno di un alto intelletto è dato dal rifiuto a soffermarsi su ciò che è ovvio. Se hai aperto questa lettera noi ci comprendiamo già l’un l’altro. Ho preparato quattro piani di assassinio che ti potranno essere di aiuto. Te li lascio in eredità come parte del patrimonio dei Reich. NOÌI sono che schemi essenziali. I particolari li ideerai tu, secondo le esigenze della tua epoca e del tuo caso.

Ma non dimenticarti di una cosa: l’essenza del delitto non muta. Si tratta sempre del conflitto dell’assassino contro la società: la vittima ne è il prezzo. E l’A B C del conflitto con la società non muta. Sii audace, forte e fiducioso e non fallirai l’impresa. Contro queste doti la società non ha difese.

Geoffrey Reich


Reich sfogliò i piani, lentamente, pensosamente, pieno di ammirazione per il vecchio filibustiere che aveva avuto tanto intuito e tanto ingegno da tramandare quell’opera ai suoi discendenti. La sua fantasia si eccitò, e nella sua mente le idee cominciarono a formarsi e a cristallizzarsi per essere analizzate, scartate e immediatamente sostituite.

Una frase attrasse la sua attenzione: Se hai la tempra dell’assassino, non indugiare troppo a far piani. / Lascia il più al tuo intuito / l’intelligenza ti può tradire ma l’istinto dell’assassino è infallibile.

— L’istinto dell’assassino — disse Reich con respiro affannoso. — Sento di possederlo!

Il telefono trillò e il telericettore automatico scattò. Si udì un rapido scambio di frasi, poi il nastro cominciò a snodarsi a sobbalzi dall’apparecchio. Reich si avvicinò alla scrivania e lo esaminò.

La risposta era brevissima e implacabile. CODICE REICH: RISPONDETE WWHG.

— Rifiuta l’offerta. Lo sapevo! — mormorò a denti stretti. — Benissimo, D’Courtney. Se non ci sarà fusione ci sarà delitto.

3

August T8 si faceva pagare mille dollari per un’ora di analisi — non una somma enorme, dato che raramente gli si chiedeva più di un’ora del suo tempo prezioso — ma i suoi guadagni erano di ottomila dollari al giorno, quarantamila alla settimana, due milioni all’anno. La gente conosceva queste cifre ma non sapeva quale percentuale lui versasse alla Lega per l’istruzione degli esper, e per l’attuazione del piano eugenetico della Lega di estensione della percezione extrasensoriale a tutti. August T8 lo sapeva; quel 95 % che doveva pagare era una nota assai dolente per lui. Per questo motivo non aveva mai accettato con piena convinzione il Voto di Galeno. Lo aveva quasi accettato, quasi, ma non completamente. Era per questo Non completamente che il suo nome era segnato nell’elenco sotto la voce CORRUZIONE (DA TENTARSI).

Reich entrò direttamente nell’ufficio di consultazione di T8, diede un’occhiata alla sua figura, vagamente sproporzionata all’ambiente, poi si sedette e mormorò: — Analizzatemi, presto.

— Siete Ben Reich della Sacramento. Dieci bilioni di dollari. State battendovi in una lotta mortale con la compagnia D’Courtney. Odiate D’Courtney? Questa mattina gli avete offerto di fondere le vostre due aziende. Ha rifiutato. Disperato, avete deciso di… — T8 s’interruppe.

— Continuate — disse Reich.

— Di uccidere D’Courtney come prima mossa per impadronirvi della sua industria. Vi occorre un aiuto. In cambio offrite… Qui il vostro pensiero si fa vago.

— Un milione di dollari. In segreto. Senza tasse né versamenti alla Lega.

— Assurdo.

— Analizzatemi. Che cos’ho in tasca?

— Cinque smeraldi del valore di ventimila dollari l’uno. Se continuate su questo tono, signor Reich, dovrò denunciarvi.

— Centomila dollari, pagamento immediato.

Reich tolse di tasca le pietre preziose e le gettò sulla scrivania, dove rotolarono come ciottoli color verde cupo. T8 le fissò, affascinato.

— Centomila dollari alla settimana, per dieci settimane. Non sarà necessario altro tempo perché tutto sia fatto. Nessuno scritto, nessuna complicazione, nessun pericolo. Pensate ancora di denunciarmi?

— È impossibile — disse T8, accarezzando avidamente con lo sguardo le pietre.

— È possibile con il vostro aiuto.

— Non posso far niente per aiutarvi.

— Un esper di primo grado. Come posso credervi? Come posso credere che non siate capace di farla al mondo intero?

— No — disse T8 decisamente. — Non può andare. Dovrò denunciarvi, signor Reich.

— Aspettate. Volete scoprire perché, quando mi soffermavo a riflettere sulle condizioni di pagamento, il mio pensiero si faceva nebuloso? Leggete più a fondo in me. Quanto sono disposto a pagare? Qual è il mio limite massimo?

T8 socchiuse gli occhi. Il suo viso da manichino si contrasse in un’espressione penosa. Poi i suoi occhi si spalancarono per la sorpresa.

— Ma non lo pensate seriamente! — esclamò.

— Sì che lo penso — mormorò Reich. — E, quel che più conta sapete che è un’offerta fatta in buona fede. Potete credermi. Metto a vostra disposizione tutte le ricchezze di cui mi troverò in possesso. Vi assicuro che soddisferò ogni capriccio, ogni desiderio, ogni passione che potrete avere per il resto della vostra vita. Leggetemi dentro. Sono sincero? Manterrò la mia parola?

— Sì — ammise T8, con riluttanza.

Raccolse le pietre e le rigirò tra le dita. Socchiuse gli occhi e disse: — Negli ultimi anni non si conosce un solo delitto premeditato che sia riuscito. Gli esper rendono impossibile che l’assassino mascheri le proprie intenzioni prima di metterle in esecuzione. O, se pure si riesce a sfuggire alla loro onniveggenza prima del delitto, è impossibile, poi, celare loro la colpa.

— Gli esper non possono testimoniare in tribunale.

— Vero, ma una volta che un esper abbia scoperto il colpevole, può procurarsi testimonianze obiettive per comprovare i risultati acquisiti telepaticamente. Powell, l’ispettore capo del Reparto psicologico, è implacabile. — T8 spalancò gli occhi. — Rivolete i vostri smeraldi?

— No — disse Reich. — Riflettete con me sulla situazione. I delitti sono sempre stati scoperti perché nessun assassino ha avuto l’acume di servirsi di una telespia, o almeno, se ne ha avuto idea non ha potuto sobbarcarsi le spese necessarie. Io ne ho la possibilità.

— Sì.

— Sto per combattere una guerra — continuò Reich. — Sto per battermi con la società in un duello all’ultimo sangue. Consideriamolo come un problema di tattica e di strategia. Il mio problema è quello di qualunque esercito. Audacia, valore, e fede non sono sufficienti. Un esercito deve essere coadiuvato da un servizio di spionaggio. Io ho bisogno di voi per il mio.

— D’accordo.

— Io combatterò sul campo, voi sarete il servizio di spionaggio. Bisognerà ch’io sappia dove si troverà D’Courtney, dove potrò colpire, quando potrò colpire. Del delitto mi occuperò io; ma voi dovrete dirmi quando e dove sarà più opportuno eseguirlo.

— Capito.

— Per prima cosa dovrò occupare il campo, penetrare attraverso la rete difensiva che circonda D’Courtney. Ciò richiede da parte vostra un’azione di ricognizione. Dovrete prevenire ogni interferenza, controllare le mosse degli individui normali e individuare le telespie, avvertirmi della loro presenza e bloccarle se non posso evitarle. Dovrete rimanere sulla scena dopo il delitto. Scoprire chi è sospettato dalla polizia e perché. Se saprò che i sospetti si appuntano contro di me, sarò in grado di allontanarli. Se saprò che si dirigono contro qualcun altro, potrò rafforzarli. Mi sento di affrontare questa guerra, e di vincerla con il vostro aiuto. Non è la verità? Scrutatemi.

Dopo una lunga pausa T8 disse: — È la verità. Possiamo farcela. — Raccolse gli smeraldi e se li mise in tasca con gesto conclusivo. — Stasera ci sarà una riunione a casa di Preston Powell. Vi parteciperà il medico di D’Courtney. Inizierò la ricognizione. Può darsi che riesca a individuare i progetti e la destinazione di D’Courtney. Penso che mi sarà possibile.

— E non avete paura dell’implacabile Powell?

T8 sorrise sprezzantemente. — Se ciò fosse, signor Reich, mi sarei forse arrischiato ad accettare la vostra proposta?

Reich sorrise, alzandosi per andare. Non tese neppure la mano per salutare.

— Signor Reich? — disse T8 improvvisamente.

Reich lo guardò.

— La faccenda del grido continuerà. L’Uomo senza Volto non è il simbolo di D’Courtney o dell’assassinio.

Che cosa? Oh, maledizione, gli incubi, ancora? Ma come lo sapete? Come…

— Non fate l’idiota! Pensate di poter fare dei giochetti simili con un esper di primo grado?

E quei dannati incubi?

— Dubito che qualcuno ve ne possa dare la spiegazione, all’infuori di un esper di primo grado, e naturalmente non credo che oserete consultarne un altro dopo questo nostro colloquio.

E voi siete quello che dovrà aiutarmi?

— Questa è la mia arma. Così siamo su un piano di parità.


Come tutti gli esper di grado superiore, Preston Powell viveva solo in una casa appartata.

Abitare in un grande edificio sarebbe stato per un esper, specialmente per uno di primo grado, come vivere in un inferno di scoperte emozioni.

Powell abitava una casetta di pietra sulla Hudson Ramp, sovrastante il fiume Hudson. Consisteva in sole quattro stanze; di sopra camera da letto e studio, sotto salotto e cucina. Le pareti erano rivestite di madreperla iridescente, di bianco opale, in quel momento, con stucchi e mensole in stile Adam XVIII secolo.

Tutti gli esper avevano bisogno di frequenti cambiamenti dell’ambiente in cui vivevano per poter mantenere inalterata la propria sensibilità. Powell era in quel momento nella sua fase georgiana.

Non c’era personale di servizio in casa: Powell preferiva fare da sé. Se ne stava in cucina, a trafficare intorno alla cena fredda per gli ospiti, fischiettando un motivo ossessivo. Era alto e dinoccolato, flemmatico, sulla quarantina. La folta massa di capelli, precocemente incanutiti, contrastava con le sopracciglia nerissime e gli occhi bruni e profondi. Aveva un naso grande, prominente, quasi arrogante. La bocca larga, pareva sempre pronta a incresparsi al riso.

Osservando la parte inferiore del volto di Powell lo si sarebbe detto il più simpatico individuo che si potesse incontrare. Ma osservando la parte superiore si aveva l’impressione che fosse la persona più triste del mondo. A chiedergli il perché, avrebbe risposto che era l’uno e l’altro, o né l’uno né l’altro, a seconda di chi gli poneva la domanda e della ragione per cui gliela poneva.

Faceva parte del suo destino di esper quello di essere multiforme: una personalità dai molti aspetti e dalle molte sfaccettature. Gli esper non possedevano un carattere riconoscibile, non potevano che reagire alle esigenze delle diverse situazioni: vi davano la risposta che ansiosamente attendevate ed era questa facoltà di reazione immediata che li rendeva tanto popolari e li circondava di un alone di mistero. Gli uomini comuni li circuivano tenacemente offrendo loro Amicizia e Solidarietà, e gli esper li sfuggivano disperatamente, incapaci di spiegare a quei sordomuti che le loro offerte erano unilaterali, che non vi poteva essere un autentico rapporto là dove uno dava tutto e l’altro prendeva tutto, e che solo gli esper potevano aiutarsi gli uni con gli altri su un piano di uguaglianza.


Il campanello della porta suonò. Powell gettò un’occhiata all’orologio, sorpreso — era molto presto — poi trasmise il segnale di Aperto in do diesis alla serratura a scatto telepatico. Questa ricevette il messaggio e la porta d’ingresso si aprì.

Subito gli giunse l’onda di una sensazione familiare.

Mary Noyes, venuta ad aiutare il povero scapolo a preparare il ricevimento! Brava!

Speravo che tu avessi bisogno di me, Pres.

Ogni ospite uomo ha bisogno di un’ospite donna. Mary, come me la devo cavare con ì tost?

Ho ideato proprio ora una nuova ricetta. Li preparerò io.

Col chutney.

Chutney?

Sì, certo, una cosa normalissima, tesoro.

Strano genere di criptotosti!

Entrò nella cucina. Era piccola di statura, ma alta e flessuosa agli occhi della mente; bruna all’apparenza, ma di un candore gelato nell’essenza.


Francamente Ellery non credo che

Abbiamo portato continuerai

Galen per a lavorare per

festeggiarlo la Sacramento

Ha appena

sostenuto l’esame alla Lega

Se ed è stato classificato

ti interessa secondo grado

Powell ha

abbiamo l’intenzione di

eleggerti dichiarare

Presidente illecito lo

Toast? spionaggio

Sì, della Sacramento

T8, grazie Mary

ho in cura sono

D’Courtney deliziosi

lo aspetto qui

in città

molto presto


Akins! Chervil! T8! Coraggio! Guardate un po’ tutti che razza di schema telepatico abbiamo costruito!

Cessò il chiacchierio telepatico. Gli ospiti scoppiarono in una risata.

Mi sembra di essere in un asilo infantile. Abbiate un po’ di pietà per il vostro ospite, vi prego. Me ne andrò via di corsa se continueremo a creare questo caos. Un po’ di ordine, vi supplico. Dico ordine, non mi azzardo neppure a dire armonia.

— Senti, Pres, definisci un po’ questo schema.


Scusa Noi pensavamo

T8 che fosse ma io

Alan Seaver il candidato

all’elezione non

sono disposto Pres

che essendo a rivelarti

tra i non sposati

potrebbe nuocere niente

riguardo alla

presenza Lega

cioè ai suoi di D’Courtney

piani eugenetici perché non

Grazie Mary capto il suo arrivo


— Che cosa importa la definizione?

— Di’, di’. Tessuto? Curve matematiche? Musica? Disegno architettonico?

— Tutto quel che volete. Purché non mi facciate dolere il cervello.

Ci fu un altro generale scoppio di risa. Poi il campanello squillò ancora e Alan Seaver (un secondo grado, avvocato, di un’equità definita solare) fece il suo ingresso con una ragazza. Era piccola e timida, attraente, sconosciuta a tutti. Il suo complesso telepatico era ingenuo e non eccessivamente pronto a reagire. Era evidentemente un terzo grado.

Umilissime scuse per il ritardo. Fiori d’arancio e nozze ne sono il motivo. Ho fatto la mia domanda per strada. Questa è Helen Post.

— E io temo di aver accettato — disse Helen.

— Non parlare — sbottò Seaver. — Non siamo qui a schiamazzare come i terzo grado. — Ti avevo raccomandato di non parlare.

— Me n’ero dimenticata — balbettò, e il colore della sua vergogna e della sua paura riempì la camera. Seaver le gettava occhiate di fuoco. Powell si avvicinò alla ragazza, le prese la mano tremante e le invase la mente di un caldo flusso di simpatia.

— Non badateci, Helen. È un povero secondo grado, uno snob, un arrivato. Io sono Preston Powell, il vostro ospite. Faccio da Sherlock Holmes per la polizia. Se Alan vi maltratta ci penserò io a farlo pentire. Venite a far la conoscenza di quei fenomeni dei vostri colleghi telepati. — La condusse in giro per il salotto. Questo è Gus T8, un medicastro. Vicino a lui sono Sam è Sally Akins. Sam è della stessa razza dei T8. Lei è una bambinaia…

Sherlock non sa pronunciare Psicologia Pediatra. Siete la ragazza più carina che io abbia mai visto, Helen. Sto tempestando di nere minacce Sam che farebbe meglio a smetterla di baciarvi.

G… grazie… voglio dire, vi ringrazio.

In una lampeggiante trasmissione telepatica Powell e Akins s’impegnarono in un melodrammatico duello mentale in difesa della ragazza, mentre Seaver li richiamava all’ordine, intimando loro la resa; Sally sfregò insieme due fiammiferi come per dar fuoco ai due rivali ed eliminarli.

La ragazza rise e cominciò a sentirsi più a suo agio.

Quel grassone seduto sul pavimento è Wally Chervil, un secondo grado. La bionda sulle sue ginocchia è June, sua moglie. June è giornalista. Quello è il loro figlio, Galen, sta parlando con Ellery West. Gally non ha ancora fatto l’esame di secondo grado.

Il giovane Galen Chervil, indignato, fece notare che era già stato classificato secondo grado e che era un anno che non aveva dovuto ricorrere a parole di sorta per farsi capire. Powell lo bloccò dinanzi alla soglia cosciente della ragazza e gli spiegò la ragione di quel deliberato errore; non voleva cioè che la poverina si sentisse troppo sola tra tutti quei primo e secondo grado.

— Oh — disse Galen. — Già, fratello e sorella di terzo grado, ecco che cosa siamo, signorina Post. E sono ben contento che siate venuta! Tutte queste bravissime telespie cominciavano a impaurirmi.

— Ho avuto un po’ di paura all’inizio, ora non più.

E questa è la vostra ospite, Helen. Mary Noyes.

Piacere, Helen. Un tost?

Grazie. Hanno un aspetto delizioso.

E ora che ne direste di un gioco? interruppe Powell prontamente. Avete voglia di giocare ai rebus?

Jeremy Church, rannicchiato nell’ombra del portico di pietra, stava addossato alla porta di servizio della casa di Powell, con la mente tesa in ascolto. Era pieno di risentimento, di odio, di disprezzo e si sentiva morir di fame. Era un avvocato esper di secondo grado e moriva di fame. L’ostracismo della Lega era la causa della sua miseria.

Attraverso il sottile pannello di legno d’acero filtrava il vario e complesso diagramma mentale della riunione, uno schema mutevole, esaltante, in continua trasformazione. E Church, esper di secondo grado, che da dieci anni viveva in una dieta di sole parole, si sentiva morir di fame per la sua vera forma di comunicazione.

La ragione per cui ho accennato a D’Courtney è che mi trovo proprio ora ad avere in cura un caso che mi sembra simile.

T8 stava conversando avido di ottenere altre notizie, con Akins.

Oh, davvero? Molto interessante. Mi piacciono gli studi comparativi. Peccato che D’Courtney non sarà spesso a mia disposizione. Akins era un modello di discrezione: e in effetti T8 aveva l’aria di essere a caccia di qualcosa. Forse non lo era, ma certamente si impegnava con lui in un gioco di fughe, di attacco e di difesa, come uno schermidore che si circondi della protezione di un complicato circuito elettrico.

Senti un po’, Al, credo che tu sia stato un po’ brusco con quella povera ragazza. Powell, che aveva fatto espellere Church dalla Lega, si curvava con il suo grande naso a minacciare scherzosamente l’avvocato.

Povera ragazza? Vuoi dire stupida ragazza, Pres. Mio Dio! Puoi pensare a un essere meno dotato per una riunione?

Ma è solo un terzo grado, Al, sii gentile con lei.

Ma mi fa soffrire con il suo comportamento.

E tu pensi che sia una cosa ben fatta sposare una ragazza se la giudichi in modo così negativo?

Non fare l’asino romantico, Pres. Noi dobbiamo sposarci per forza tra colleghi. Tanto vale scegliersi una ragazza carina.

Che ne diresti se la Lega eleggesse presidente Powell, Ellery? Era Chervil a porre la domanda, con il suo sorriso espressivo e la sua pancia imponente.

Presidente, dici?

Sì.

È un uomo in gamba. Romantico, ma molto in gamba. Il candidato perfetto, se solo si decidesse a sposarsi.

Proprio questo è il suo lato romantico. Non riesce a trovare la ragazza ideale.

Ma non è così per tutti voi? Grazie a Dio non sono di primo grado.

Poi un tintinnio di vetri rotti, dalla cucina, e Powell che se la prendeva con T8 con la sua solita aria di predicatore.

Non importa per il bicchiere, Gus. Ho dovuto lasciarlo cadere per distogliere l’attenzione degli altri da te. Emani radiazioni d’ansietà come un asteroide ricco di materiale radioattivo.

E va bene, Powell.

Va bene un accidente. Che cos’è tutta questa faccenda con Ben Reich?

T8, da quel sudicio verme che era, si sentì terrorizzato.

Pareva di vederlo tremare al di là della cortina difensiva con cui subito bloccò l’interferenza di Powell.

Ben Reich? Cosa ti ha fatto pensare a lui?

Tu, Gus. È tutta la sera che si aggira nella tua zona precosciente. Era inevitabile che me ne accorgessi.

Ti sbagli, Powell. Si tratta di qualcun altro e tu hai captato male la direzione dell’onda telepatica.

Parla: hai a che fare con Ben Reich?

No, affatto.

Bene, ascolta il consiglio di un vecchio amico. Reich può metterti nei guai. Sta’ attento. Ricordi Jerry Church? Reich l’ha rovinato. Bada che non capiti la stessa cosa anche a te.

L’omino se la batté, impaurito, e Powell rimase in cucina, calmo e flemmatico, a raccogliere i cocci del bicchiere mentre Church si rannicchiava infreddolito contro la porta di servizio, cercando di soffocare l’impeto d’odio che gli ribolliva nel cuore. Il giovane Chervil si esibiva in onore della fidanzata di Al facendo la parodia telepatica di una vecchia canzone d’amore; roba da collegiali. Le signore discutevano animatamente in belle curve geometriche. Akins e West si scambiavano idee in un intersecarsi seducente di figure telepatiche che rendevano anche più acuta e dolorosa la nostalgia di Church.

Church, vuoi bere qualcosa?

La porta di servizio si aprì, L’alta figura di Powell si disegnò nella luce, un bicchiere colmo in mano. Il chiarore delle stelle si rifletteva pallido sul suo viso. I suoi profondi occhi velati erano pieni di pietà e di comprensione. Come abbagliato, Church si drizzò in piedi e prese timidamente il bicchiere che Powell gli offriva.

Non parlarne alla Lega. Sarebbe un inferno, per me, se sapessero che ho infranto gli ordini. Povero Jerry… Bisogna che facciamo qualcosa per te. Dieci anni sono troppi.

Church buttò il bicchiere in faccia a Powell, poi si volse e fuggì, versando invisibili lacrime d’ira e di autocompassione.

4

Alle nove del mattino seguente il viso da manichino di T8 apparve sullo schermo dell’apparecchio telefonico di Reich.

— La linea è sicura? — chiese bruscamente.

Reich gli indicò il Sigillo Governativo di garanzia.

— Benissimo — disse T8. — Penso di aver eseguito egregiamente quanto mi chiedevate. Ieri sera ho avuto modo di captare i pensieri di Akins. Prima di riferirvi i risultati, è bene che vi avverta che esiste una possibilità d’errore quando si capta un primo grado. Akins ha reagito immediatamente con una cauta resistenza.

— È naturale.

— Craye D’Courtney arriverà da Marte a bordo dell’Astra mercoledì mattina. Si recherà subito a casa di Marie Beaumont dove rimarrà per una notte.

— Una notte? — ripeté Reich. — E poi? Che piani ha?

— Questo non lo so. A quel che sembra D’Courtney si propone di prendere provvedimenti drastici.

— Contro di me?

— Forse. Secondo Akins, D’Courtney è in un periodo di violenta tensione e il suo sistema di adattamento è in pezzi. L’Istinto della Vita e l’Istinto della Morte si sono scissi in lui. Sotto l’azione di questo crollo emotivo cede rapidamente.

— La mia vita dipende da questo — gridò Reich. — Parlate chiaro.

— Akins vedrà D’Courtney mercoledì mattina, nel tentativo di dissuaderlo dai suoi pericolosi disegni. Akins teme gli sviluppi di questa situazione ed è deciso a fare il possibile per arrestarlo in tempo.

— Ma non dovrà intervenire. Io stesso lo arresterò. Ormai si tratta di autodifesa, non più di un assassinio, T8! Avete fatto un buon lavoro.

— Oggi è lunedì. Dovete tenervi pronto per mercoledì.

— Mi terrò pronto — assicurò Reich con una smorfia. — E anche voi fareste meglio a essere pronto.

— Ci ho ripensato — disse T8. — Non ci tengo ad andare oltre il punto a cui già sono arrivato.

— All’inferno voi e il vostro punto!

— Vi ho riferito quanto più vi premeva sapere. Sono stato una buona spia, come mi avete definito. Ho avuto il compenso che mi spettava, siamo pari e patta.

— Sentite — disse Reich sinistro — non posso cavarmela da solo e voi lo sapete. Ci eravamo accordati in questi termini. Ho bisogno che voi assecondiate la mia azione mercoledì in casa di Marie Beaumont. Avrò bisogno di voi dopo, per difendermi dalla polizia. Vi avevo detto che si trattava di una decina di settimane. Un giorno per l’assassinio e sessantanove per mascherarlo.

— Spiacente — disse T8. — Non posso aiutarvi.

— Non avete idea di come sarete spiacente tra poco — rispose Reich. Sfiorò con un dito il Sigillo e questo rotolò a terra. Era veramente una straordinaria contraffazione e il solo esserne in possesso avrebbe potuto creare guai seri se il governo ne fosse venuto a conoscenza. Reich indicò con un cenno il cristallo del registratore. — Volete risentire la conversazione?

La faccia di T8 divenne livida. — Avete registrato la nostra conversazione? Voi…

— E tale rimarrà finché la faccenda non sarà chiusa. Poi vi spedirò il cilindro di cristallo e un martello.

— Se mai la Polizia… significherebbe Disintegrazione. Non ve ne rendete conto?

— Disintegrazione per entrambi. Me ne rendo conto. — La voce di Reich s’incrinò. — Miserabile verme che non siete altro! Pensate che io permetta che qualcosa si frapponga tra me e il sangue di quel bastardo? — Cercò di padroneggiarsi. — Vi batterete con me fino alla fine, e io mi batterò fino all’ultimo sangue. Non dimenticate che anch’io sono in uno stato anormale. Anch’io mi sto disgregando.


Reich passò tutto quel lunedì a preparare il suo piano di battaglia. L’ideò come si inventa la trama di un romanzo o il motivo di una canzone. Ne abbozzò le linee essenziali con la delicatezza con cui un artista copre il foglio bianco di sottili arabeschi prima di tracciare il segno definitivo. Ma lui non lo tracciò. Mercoledì notte il suo istinto assassino avrebbe completato l’abbozzo. Per il momento mise da parte i suoi piani e la notte di lunedì si addormentò… per risvegliarsi con un urlo, in preda all’incubo dell’Uomo senza Volto.

Ma la mattina di martedì riesaminò il suo piano e ne rimase soddisfatto. Era audace, ben congegnato e sicuro. Comprendeva un trucco per rendersi invisibile al momento di attaccare D’Courtney; un cronoteleruttore per proiettare fuori dal flusso del tempo gli eventuali difensori; un ingegnoso inganno per defraudare tutte le telespie della loro pericolosa facoltà di percezione telepatica; un ultimo imprevedibile colpo assassino per distruggere per sempre il suo nemico.

Martedì pomeriggio Reich lasciò presto la Torre per fare una capatina in Sheridan Place agli Studios Winter.

Per ragioni sentimentali la vecchia libreria Winter era rimasta intatta in uno stretto passaggio tra due degli imponenti edifici. Così essa lasciava al di sopra tanto più spazio e luce, e costituiva, con la sua antica Protezione Donaldson, un tipico monumento dei tempi andati. Si era specializzata in dischi piezoelettrici, piccoli cristalli con eleganti montature. L’ultima moda consisteva in opere tascabili per signora. Winter disponeva anche di scaffali gremiti di seducenti libri antichi.

— Vorrei acquistare qualcosa di speciale per un amico a cui ho dimenticato di fare un regalo — disse Reich al commesso.

Fu immediatamente subissato da una valanga di oggetti e di suggerimenti.

— Non vedo niente di abbastanza speciale — si lamentò. — Perché non assumete una telespia per evitare tutta questa fatica ai vostri clienti? — Cominciò ad aggirarsi per il negozio, con un corteggio di premurosi commessi alle calcagna. Dopo aver recitato con sufficiente convinzione la sua parte e prima che il direttore preoccupato potesse mandare a chiamare un commesso telespia per l’occasione, Reich si fermò accanto agli scaffali dei libri.

— Che cosa c’è qui? — chiese con aria incuriosita.

— Libri antichi, signor Reich. — I commessi cominciarono a spiegare che genere di libri erano e come li stampavano un tempo, mentre Reich identificava con uno sguardo cauto il volume ingiallito e macchiato che era lo scopo della sua visita. Se lo ricordava bene. Gli aveva dato un’occhiata cinque anni prima, e aveva preso, su un certo particolare, un appunto nel taccuino nero su cui segnava tutto quanto gli potesse tornar utile. Il vecchio Geoffrey Reich non era il solo a credere nell’efficacia dei piani ben preparati.

— Interessante. Di che si tratta? — disse Reich prendendo in mano quel volume ingiallito. Giochi di società di Nita Noyes. — Di che epoca è? Credete che davvero facessero riunioni e inviti tanto tempo fa?

I commessi lo assicurarono che gli antichi erano modernissimi in tanti modi sorprendenti.

— Ma guarda un po’! — disse Reich. — Bridge da luna di miele… Whist alla prussiana… Ufficio postale… Sardina. Ma che cosa diavolo può essere? Pagina 96. Vediamo un po’.

Reich sfogliò il volume finché trovò una pagina dal presuntuoso titolo Giochetti ameni. — Ma guarda — rise, indicando il ben noto paragrafo.

Un giocatore viene scelto a fare da Sardina. Si spengono tutte le luci e la Sardina si nasconde da qualche parte in casa. Dopo qualche minuto gli altri ne vanno in cerca separatamente. Il primo che la trova non lo dice a nessuno, ma si nasconde con lei, là dove l’ha trovata. Successivamente ogni giocatore trovando le Sardine si unisce al gruppo finché tutti si trovano nascosti in un unico posto e l’ultimo giocatore, che è il perdente, vien lasciato vagare solo al buio.

— Lo prendo — disse Reich. — È proprio quello che ci vuole per un de… per un amico.


Quella sera passò tre ore a deturpare accuratamente il resto del volume. Con fumo, acidi, inchiostro e forbici rese illeggibili le spiegazioni degli altri giochi e ogni bruciatura, taglio, macchia erano come altrettanti colpi inferti al corpo di D’Courtney. Quando questi suoi pseudo delitti furono compiuti, delle istruzioni relative a ogni gioco non restavano che pochi frammenti. Solo Sardina rimaneva intatto.

Reich infilò il libro in una grossa busta su cui scrisse l’indirizzo di un famoso perito e lo lasciò cadere nella buca della posta pneumatica. Vi cadde con un lieve tonfo, e un’ora dopo era di ritorno con il sigillo dell’approvazione ufficiale del perito. Le mutilazioni di Reich erano state interpretate come semplici segni di antichità e non avevano destato sospetti.

Fece avvolgere il libro in un elegante pacchetto, lo sigillò come era l’uso, e lo spedì a Marie Beaumont. Venti minuti dopo ricevette la risposta, naturalmente scritta dalle mani della donna.

Carissimo! Pensavo che ti fossi dimenticato di mio fascino. Vieni a casa Beaumont stasera. Abbiamo un ricevimento. Giocheremo giochi di tuo bel regalo. Accluso vi era un ritratto di Marie scolpito nel centro di un rubino sintetico.

Reich rispose: Abbattutissimo. Per stasera, niente. Ho perduto uno dei miei milioni.

Lei rispose: Mercoledì ti darò uno dei miei.

Lui rispose: Lieto di accettare. Porterò ospiti. Ti bacio. E andò a dormire.

E gridò alla vista dell’Uomo senza Volto.


Mercoledì mattina Reich visitò i laboratori della Sacramento e ne approfittò per scivolare non visto nella Segreta e impadronirsi di uno ionizzatore Rhodopsin, un tubo di rame grande la metà di una capsula fulminante, ma pericoloso il doppio di un normale cronoteleruttore.

Sarebbe scoppiato il finimondo se si fosse notata tale perdita nella stesura dell’inventario settimanale, e uno dei brillanti giovanotti avrebbe potuto aver guai con il governatore e buscarsi una condanna; ma per quel giorno il corpo di D’Courtney sarebbe già stato un cadavere putrescente.

Mercoledì pomeriggio Reich si recò in Melody Lane, nel cuore del quartiere dei Panty, e fece una capatina alla casa psicomusicale. Ci lavorava una ragazza molto sveglia che aveva composto certi motivetti spiritosi per il Reparto Vendite e canzonette di grande effetto per l’Ufficio Pubblicità ai tempi in cui la Sacramento si batteva all’ultimo sangue per soffocare certi moti operai, lassù nella Cintura degli Asteroidi.

Si chiamava Duffy Wygs; lei insisteva nell’affermare che Duffy non era un soprannome. Per anni e anni si era usato quel nome nella sua famiglia.

— Bene, Duffy? — La baciò.

— Bene, signor Reich. Ancora questo orribile tweed? Si capisce che non avete una donna che pensi a voi. — Lo guardò con aria strana. — Un giorno o l’altro ricorrerò a una telespia pro-Cuori Solitari e le farò diagnosticare il vostro modo di baciare. Insisto col credere che baciando non intendiate affatto far proposte.

— È così.

— Non siete affatto carino.

— Un uomo deve difendersi, Duffy. Quando bacia una ragazza non fa che dare il bacio d’addio al proprio denaro.

— Gli uomini! — esclamò la ragazza con aria disgustata. — Benissimo, bello mio. Che problema vi assilla?

— Il gioco d’azzardo — disse Reich. — Ellery West, il direttore del Reparto Ricreazione, si lamenta che alla Sacramento si gioca troppo. Personalmente me ne infischio.

— Così volete una canzone anti-azzardo?

— Sì, una cosa del genere. Qualcosa che impressioni. Qualcosa di non eccessivamente banale. Che abbia un’azione ritardata, non un effetto immediato. Preferisco che le influenze si esercitino a livello del subconscio.

Duffy annuì, prendendo rapidamente qualche appunto.

— E per favore, che sia un motivo sopportabile. Dovrò sorbirmelo Dio solo sa da quante persone, cantato, fischiettato, mugolato.

— I miei motivi si ascoltano sempre volentieri!

— Sì, ma una volta sola. Comunque, qual è il motivo più persistente che abbiate composto?

— Persistente?

— Come quegli slogan pubblicitari che non riuscite mai a togliervi di mente.

— Oh, li chiamiamo Pepsi.

— Perché?

— Perché dicono che il primo fu scritto secoli fa per le forme primitive di radio e televisione da un tipo che si chiamava Pepsi. Sarà! Io non lo so. Una volta ne scrissi uno. — Duffy trasalì al ricordo. — Non posso sopportare di ripensarci neppure adesso. Mi perseguitò per un anno intero.

— Scherzate.

— Parola d’onore. Era Tira, disse Molla. Lo scrissi per quel Panty sul matematico pazzo. Volevano qualcosa che ne rovinasse il successo, e furono accontentati. La gente si disgustò talmente che dovettero ritirare il Panty. Ci persero una fortuna.

— Fatemelo sentire.

— Non voglio infliggervi questo tormento.

— Su Duffy! Sono curioso.

— Ve ne pentirete.

— Non vi credo.

— E allora va bene, vecchio stupido — disse la ragazza e attirò a sé il pannello multivocale. — Questo vi ripagherà del vostro tiepido bacio. — Fece scorrere delicatamente le dita sul pannello. Nella stanza echeggiò un motivetto di ossessionante, indimenticabile banalità. Era la quintessenza stessa della banalità: Reich non aveva mai udito niente di simile. Qualunque melodia si cercasse di richiamare alla memoria, invariabilmente quel dannato motivetto si sovrapponeva. Poi Duffy cominciò a cantare con vocetta ossessionante:


Otto, amico; sette, amico;

sei, amico; cinque, amico;

quattro, amico; tre, amico;

due, amico. Uno!

Tira, disse Molla,

Molla, disse Tira.

Paura, Tensione, Ansietà

cominciano già.


— Mi sono servita di un trucchetto geniale per comporre questo motivo — disse Duffy continuando a suonare. — Notate la battuta dopo uno! È una semicadenza. Poi ce n’è un’altra dopo già. Così la canzone finisce con una semicadenza e non si può mai smettere di cantarla. La battuta finale vi costringe a ripeterla continuamente in un giro vizioso, così: Paura, Tensione, Ansietà cominciano già. RITORNELLO. Paura, Tensione, Ansietà cominciano già. RITORNELLO. Pau…

— Duffy! — protestò Reich.

— E c’è un’altra cosa — continuò lei dolcemente. — Gli ultimi due versi sono composti da tredici sillabe. Rimarreste sorpreso dell’effetto che hanno sul subcosciente. Contatele. Paura, Tensione, Ansie…

Reich si alzò in piedi tappandosi le orecchie.

— Quanto durerà questa tortura?

— Non meno di un mese.

— Paura, tensione, ans… Sono rovinato. Non c’è modo di uscirne?

— Ma certo — disse Duffy. — È facile. Prendervela con me. — Si strinse a lui e lo baciò. Reich restò impassibile. — Villano — mormorò Duffy. — Antipatico. Asino, sciocco. Quando ti deciderai ad accorgerti della mia esistenza? Svegliati, marmotta! Perché non ti mostri intelligente come ti credo?

— Perché sono più intelligente — disse Reich, e se ne andò.

La canzonetta gli si era insinuata nella mente e continuò a risuonargli dentro per tutta la strada. Tira disse Molla, Molla disse Tira. Paura, Tensione, Ansietà cominciano già. Un perfetto schermo mentale per un non-esper. Quale telespia avrebbe potuto penetrarlo? Paura, Tensione, Ansietà cominciano già.

— Ottimo — mugolò Reich, e prese una Cavalletta per raggiungere il banco di pegni di Jeremy Church nella zona Nord-ovest della città.

Paura, Tensione, Ansietà cominciano già.


La gestione di un Monte di pegni è tra le professioni più antiche che ci siano. Dilaga dalle profondità del passato alle estreme propaggini del futuro, immutabile come l’ambiente stesso del Monte di pegni. Addentrandovi nello scantinato che fungeva da deposito, ingombro di oggetti di ogni epoca, avevate l’impressione di trovarvi in un Museo dell’Eternità. E lo stesso Church, rinsecchito, bieco, col viso disfatto e segnato da un doloroso logorìo interiore, sembrava veramente l’ultimo rappresentante della stirpe umana.

Church uscì dall’ombra e si trovò faccia a faccia con Reich, illuminato dai raggi di sole che cadevano obliqui sul banco. Non trasalì. Non riconobbe Reich. Quasi sfiorando il suo mortale nemico andò a porsi dietro il banco e disse; — Desiderate, prego?

— Salve, Jerry.

Senza alzare lo sguardo Church stese la mano attraverso il banco. Reich fece per afferrarla. L’altro la ritirò rapidamente.

— No — disse Church con un ghigno che fu come una risata isterica. — Non questo, grazie. Datemi quello che volete impegnare.

La telespia aveva voluto tendergli la sua piccola trappola maligna, e Reich c’era cascato. Non importava.

— Non ho niente da impegnare, Jerry.

— Sei diventato così povero? Come cadono i potenti. Ma c’è da aspettarselo, eh? Tutti cadiamo.

Church gli gettò uno sguardo obliquo cercando di captarne il pensiero. Ci si provasse pure. Paura, Tensione, Ansietà cominciano già. Provasse pure a superare la barriera dello stupido motivetto che gli risuonava in testa.

— Tutti cadiamo — ripeté Church. — Tutti.

— È vero, Jerry. Io non ancora. Sono stato fortunato.

— Io invece ho avuto la sfortuna di incontrare te — disse l’esper con amarezza.

— Jerry, non sono stato io a portarti sfortuna — disse Reich. — È stato il tuo stesso destino che ti ha rovinato. Io non…

— Bastardo — disse Church con calma spaventosa. — Falso, bugiardo, sporco cannibale. Fuori di qui. Non voglio avere niente a che fare con te.

— Non vuoi neppure il mio denaro? — Reich trasse di tasca dieci banconote un po’ gualcite da dieci sovrane l’una e le mise sul banco. Paura, Tensione, Ansietà cominciano già.

— Vorrei che ti squarciassero il cuore. Vorrei che il tuo sangue imbevesse la terra. Vorrei che i vermi ti divorassero gli occhi da vivo. Non è il tuo denaro che voglio.

— Allora che cosa vuoi, Jerry?

— Te l’ho detto — urlò l’esper. — Che ti si geli il sangue!

— Che cosa vuoi, Jerry? — ripeté Reich, senza staccare gli occhi da quel viso riarso. Paura, Tensione, Ansietà, cominciano già. Riusciva ancora a dominare Church. Non era importante che Church fosse stato un secondo grado, perché il dominio non era una questione telepatica ma di personalità. Otto, amico; sette, amico; sei, amico; cinque, amico. Aveva sempre dominato Church e avrebbe sempre continuato a dominarlo.

— Che cosa vuoi? — chiese Church cupamente.

Reich sbuffò. — Tu sei la telespia, tu lo devi dire.

— Non posso captare niente. Quella stupida musica crea una grande confusione.

— Allora te lo dirò io. Voglio una pistola.

— Che cosa?

— Una pistola. Arma antica. Lancia proiettili!

— Non ho niente di simile, qui.

— Sì che ne hai, Jerry. Keno Quizzard me ne ha parlato tempo fa. L’ha vista: d’acciaio e apribile. Molto interessante come antichità.

— Per che scopo te ne vuoi servire?

— Leggimi nel pensiero, Jerry e scoprirai tutto. Niente che non sia innocente.

Church assunse un’espressione concentrata. Poi desistette, disgustato. — Non mi contagerai con quel monotono motivetto.

Scomparve nell’ombra. Si udì un lontano sbattere di cassetti metallici, poi il tintinnìo di un involucro protettivo frantumato. Church tornò con in mano un oggetto d’acciaio brunito e lo depose sul banco accanto al denaro. Premette un pulsante e l’oggetto metallico si aprì rivelando un tirapugni d’acciaio, una pistola a tamburo e uno stiletto.

— Perché la vuoi? — chiese ancora Church.

— Speri che voglia farne qualcosa per cui potrai ricattarmi? — disse Reich con un sorriso. — Spiacente, è un regalo.

— Un regalo pericoloso. — Church gli lanciò quel suo sguardo obliquo che era come un ghigno o una risata. — Vuoi rovinare qualcun altro, eh?

— È un regalo per un mio amico. Il dottor T8.

— T8! — Church lo guardò sorpreso.

— Lo conosci? Fa collezione di cose antiche.

— Sì, lo conosco. — Church cominciò a ridacchiare sussultando. — Ma comincio a conoscerlo meglio ora. Comincio a compatirlo. — Smise di ridere e guardò Reich con sguardo penetrante. — Naturale! Sarà un bellissimo regalo per Gus. Proprio un magnifico regalo. Perché è carica.

— Ah sì?

— Cinque belle cartucce. Magnifico regalo per Gus. — Fece scattare una leva. Dalla pistola uscì il cilindro rivelando cinque scompartimenti contenenti ciascuno il fondo di ottone di un proiettile.

— Cinque denti di serpente per Gus.

— Ti ho detto che il mio scopo è assolutamente innocuo — disse Reich con voce dura. — Toglieremo questi denti.

Church lo fissò attonito, poi cominciò a far cenni di finta complicità. — Sì, sì, li estrarremo — canticchiò con voce stranamente gaia. Scomparve un attimo nel buio e tornò con due piccoli arnesi. — Un regalo per Gus — canticchiò con tono quasi isterico. — Un regalo per il nostro bravo, ricco, felice, piccolo Gus! — Con gesto rapido tolse i proiettili da ogni cartuccia, rimise i bossoli di ottone al loro posto, inserì nuovamente il cilindro e pose l’arma accanto al denaro.

— Nessun pericolo — disse vivacemente. — Nessun pericolo per il nostro caro piccolo Gus.

Guardò Reich con sguardo interrogativo. Reich tese entrambe le mani. Con una spinse il denaro verso Church, con l’altra prese l’arma. In quel momento Church cambiò di nuovo espressione. Quella sua aria di allegra malizia scomparve. Afferrò i polsi di Reich in una stretta ferrea e si curvò sul banco con un’espressione di ardente concentrazione.

— No, Ben — disse, chiamandolo per nome per la prima volta. — Non è questo il prezzo. Lo sai. Malgrado quella stupida canzone che hai in testa so che lo sai.

— Benissimo, Jerry — disse Reich con voce ferma senza allentare la presa sulla pistola. — Qual è il prezzo?

— Non voglio denaro. C’è stato troppo fra noi perché ci sia ancora bisogno di denaro.

— Che cosa vuoi, Jerry?

— So che Gus lavora per te.

— Non l’hai captato certo da me.

— L’ho captato da Pres, ma non importa dove; lo so, stai macchinando qualcosa di pericoloso per Gus, vero? Qualcosa di simile a quello che infliggesti a me.

— Con una pistola scarica? Tu stesso hai allontanato il pericolo, Jerry. Ricordatelo.

— Nel caso che me lo chiedessero?

— E perché te lo dovrebbero chiedere?

— Non mi importa di quello che vuoi fare a Gus. Mi importa di quello che puoi fare a me.

— Che cosa vuoi? Qual è il tuo prezzo?

— Voglio essere riammesso — disse l’ex-esper. — Voglio essere riammesso nella Lega. Voglio sentirmi di nuovo vivo. Questo è il prezzo.

— Che cosa posso fare io? Non sono un esper. Non appartengo alla Lega.

— Hai patteggiato con me. Hai patteggiato con T8. Potresti patteggiare con la Lega. Potresti ottenere la mia riammissione.

— Impossibile.

— Tu puoi corrompere, ricattare, intimidire, lusingare, abbagliare, affascinare. Puoi farlo, Ben. Fallo per me. Aiutami, Ben. Io ti ho già aiutato una volta.

— E l’ho pagata assai cara.

— E io? Che cosa ho pagato io? — urlò Church. — Io ho pagato con la mia stessa vita.

— Tu hai pagato per la tua stupidità.

— Per l’amor di Dio, Ben, aiutami! Aiutami oppure uccidimi. Non ho fegato abbastanza per farlo io stesso.

— Non ho la possibilità di pagarti un tale prezzo, Jerry. Nessuno l’avrebbe.

— Benissimo. Ascolta. — Church strinse ancor più forte i polsi di Reich e si curvò in avanti. — Ecco quello che puoi fare. Vai alla polizia. Vai da Powell. Digli cos’è successo realmente nell’affare Swingle. Sarà una confessione compromettente, ma te la caverai Ben. Un uomo potente come te se la cava sempre. E io sarò a posto. Potrò tornare a far parte della Lega. Cosa ne dici?

Dopo una pausa Reich disse bruscamente: — Penso che la cosa migliore per te, Jerry, sarebbe il suicidio.

La telespia si ritrasse come se fosse stata improvvisamente scottata.

— Ora dimmi il prezzo — disse Reich.

Con aria decisa Church sputò sul denaro. — Da te non voglio niente — disse. Si volse e scomparve nell’ombra dello scantinato.

Finché non venne distrutta per ragioni ormai dimenticate nel tenebroso caos della fine del XX secolo, la Pennsylvania Station rappresentò, a New York City, e all’insaputa di milioni di viaggiatori, un legame tra passato e futuro. Gli abbonati che s’affrettavano giù per le scale mobili del lato orientale verso i piani inferiori raramente alzavano lo sguardo a osservare le imponenti colonne e gli archi a tutto sesto dell’interno. E i turisti che passavano attoniti e trafelati di rado sapevano che tutto quello era già esistito nel passato. E non potevano sapere che sarebbe esistito anche nel futuro. La gigantesca stazione riproduceva al suo interno le imponenti Terme di Caracalla dell’antica Roma. Tale era pure il grande palazzo di Marie Beaumont, soprannominata dai suoi numerosi nemici intimi la Mummia Dorata.

Ben Reich scendeva lentamente la scalinata orientale con il dottor T8 al fianco e l’ordigno di morte in tasca.

I suoni delle voci, della musica… lo spasimo che gli serrava il petto in un alternarsi di odio e di terrore… Paura, Tensione, Ansietà. Il miscuglio di cibi, di vini, di dorata ostentazione… Paura, Tensione…

La dorata trappola della morte, qualcosa che non succedeva più da settant’anni. Un’arte perduta, come perdute erano la flebotomia e l’alchimia. Lui avrebbe ripristinato la morte violenta. Non gli affrettati delitti degli psicopatici e dei violenti, ma il delitto perfettamente congegnato…

— In nome di Dio! — mormorò T8. — State attento. State rivelando le vostre intenzioni assassine.

Otto, amico; sette, amico…

— Così va meglio. Ecco una delle telespie che fanno da segretario alla signora Beaumont.

Un giovanotto alto e dinoccolato, molto affettato, tutto folti capelli biondi giubbetto lilla e pantaloni argentei, esclamò: — Dottor T8! Signor Reich, sono senza parola, veramente.

Sei, amico; cinque, amico…

T8 scambiò una stretta di mano con il segretario. Salve, Glas, piacere di vedervi. Abbiamo sentito la vostra mancanza alle riunioni della Lega.

Mi fa piacere che me lo diciate, ma non che non lo pensiate. Ma cosa passa per la mente del signor Reich?

Una canzoncina idiota che lo perseguita come gli slogan pubblicitari.

Come quella vecchia storia di Mark Twain su quella poesia ossessionante?

Esattamente, Reich è afflitto dallo stesso male.

Volete dire che questo grand’uomo ha veramente qualcosa di umano?

Di superumano. T8 lanciò uno sguardo misto di rispetto e di malizia al suo potente padrone.

Farsi strada tra i gruppi degli ospiti era come immergersi in un acquario tropicale. Guizzi di balenanti, iridescenti pesci umani. Tavole imbandite, simili a bianche, fredde isole di corallo. Voci simili a bolle di spuma, improvvise e gorgoglianti. L’incessante ribollire della festa ondeggiante in rapidi cerchi intorno alle celebrità della serata.

Marie Beaumont fendeva le acque, le braccia stese, gli occhi spalancati, il busto eretto, il corpo rimodellato dalla pneumochirurgia.

— Ben, carissimo! — Lo abbracciò con pneumatica intensità. — È troppo, troppo meraviglioso! Non hai ancora trovato quel milione che avevi perduto?

— L’ho proprio ora tre le braccia.

— Attenzione, Don Giovanni. Ogni istante di questo divino ricevimento verrà accuratamente registrato.

Al di sopra della spalla di lei Reich gettò un’occhiata a T8, rigido e attento come una guardia del corpo. T8 gli fece un cenno rassicurante col capo.

— Vieni che ti presento tutti quelli che vale la pena di conoscere — disse Marie prendendolo per un braccio. Con la sua voce di pavone strillò: — Avremo secoli per noi due più tardi.

La luce emanata dalle ampie volte cambiò ancora tingendosi di un altro dei colori dello spettro. E cambiarono colore anche i costumi. Le carnagioni che prima splendevano di un chiarore rosato ora s’avvolsero di una fosforescenza misteriosa.

Symon Zigerra… Jeanny von Chalk… Tom Moyse, che ancora lo odiava per quel brutto tiro che gli aveva giocato alla conferenza in onore di Tycho… Gloria Blomefield Jr., provocante come in quella domenica di settembre in cui le aveva strappato la formula Blomefield resistendole… Bill Winter… Bart Van Tuerk… Edmund Barr, che bisognava trovare il modo di ricattare… Tony Asj, che portava ancora al dito quel diamante che lui le aveva regalato quando gli si era data per riavere certe azioni della Società Stellare. Non era mai riuscita a ottenerle, ma aveva avuto il diamante. Aveva sentito dire che lo incolpava di essere sleale.

Alla sua sinistra T8 diede il segnale preordinato.

Pericolo.

Paura, Tensione, Ansietà, cominciano già. RITORNELLO: Paura, Tensione, Ansietà cominciano già.

Marie gli stava presentando l’altro suo segretario, tutto affettazione, tutto folti capelli color rame, giubbetto rosso e pantaloni blu di Prussia.

— Larry Ferrar, Ben. Larry moriva dal desiderio di conoscerti.

Quattro, amico; tre, amico…

— Signor Reich! Sono troppo emozionato. Non riesco a spiccicare parola.

Due, amico. Uno!

Il giovanotto ricambiò il sorriso di Reich e si allontanò. Mentre riprendevano il loro giro per la sala, T8 riassicurò Reich con un cenno. Di nuovo le luci mutarono colore. Sembrò che parte dei costumi degli ospiti si dissolvesse e Reich, che non aveva mai ceduto alla moda di indossare abiti con schermi ultravioletti, se ne stette tranquillo nel suo completo impenetrabile, seguendo con disprezzo i rapidi scambi di avidi sguardi intorno a lui.

T8 segnalò: Pericolo!

Tira, disse Molla…

Glas apparve a fianco di Marie. — Madame — bisbigliò — un lieve contrattempo.

— Che cosa c’è?

— Il giovane Chervil. Galen Chervil.

Il viso di T8 si contrasse.

— Ebbene? — Marie cercò di individuarlo tra la folla.

— A sinistra della fontana. È un impostore, Madame. L’ho telespiato. Non ha vinto. È uno studente che ha scommesso che sarebbe riuscito a entrare. Vuol rubare un vostro ritratto come prova.

— Un mio ritratto? — disse Marie. — Cosa pensa di me?

— È estremamente difficile sondarlo. Penso che gli piacerebbe rubarvi qualcos’altro oltre il ritratto.

— Ah sì? — chiocciò Marie estremamente interessata.

— Certo, Madame. Devo allontanarlo?

— No. — Marie lanciò un ultimo sguardo al giovanotto, poi gli volse le spalle. — Avrà quel che cerca.

— E non dovrà rubare — disse Reich.

— Geloso? — squittì lei. — Mettiamoci a tavola.

In risposta a una segnalazione urgente di T8, Reich si fermò un momento.

— Reich, bisogna che rinunciate.

— Siete pazzo! Perché mai?

— Il giovane Chervil.

— Ebbene?

— È un secondo grado.

— Dannazione!

— È un ragazzo precoce, di intelligenza vivacissima. L’ho conosciuto in casa di Powell domenica scorsa. Marie Beaumont non invita mai telespie a casa sua. Sono l’unico qua dentro. Contavo su questo.

— E quel ragazzino è riuscito a introdursi qui!

— Rinunciate, Reich. Sono in grado di reagire alle interferenze dei due segretari: sono solo dei terzo grado. Ma non posso garantirvi di tener testa a loro e insieme a un secondo grado, anche se è solo un ragazzo. È giovane, e può darsi che si senta troppo eccitato per riuscire a captare chiaramente. Ma non posso promettere nulla.

— Io non cedo — grugnì Reich. — Non mi capiterà più un’occasione come questa. Ma anche se sapessi che mi si presenterebbe ancora, non desisterei. Ne sarei incapace. Sento troppo l’odore della preda e…

— Allora bisogna fare il possibile per allontanare il giovane Chervil.

— Da escludere. Avete visto come l’ha guardato Marie?

— E allora che cosa pensate di fare?

— Affrontare la situazione.

— Non riuscirete mai…

Reich fissò il viso nervoso di T8. — So che cercate l’occasione per sgusciare via. Ma non ce la farete. Ci siamo dentro tutt’e due, fino alla rovina.

Ricompose il viso sconvolto e raggiunse la sua ospite su un divano disposto accanto a una delle tavole.

Ribolliva d’impazienza in attesa della parola definitiva di T8. Era compito di T8 individuare in quale parte della casa si teneva nascosto D’Courtney. Osservava ansiosamente l’esper aggirarsi tra la folla degli invitati captando, frugando, cercando, finché ritornò con un cenno negativo del capo e gli indicò Marie Beaumont. Evidentemente Marie era la sola fonte di informazione, ed era troppo eccitata perché le si potesse facilmente rubare la notizia. Era un altro dell’infinita serie di imprevisti che dovevano essere risolti dall’istinto dell’assassino.

Fra una portata e l’altra Reich si alzò e si diresse alla fontana. T8 gli tagliò la strada.

— Cosa volete fare, Reich?

— Non è evidente? Levarle dalla testa il giovane Chervil.

— Reich, non avvicinatevi a quel ragazzo!

— Fatemi passare. — Reich emanò un’onda di prepotenza così selvaggia che la telespia arretrò. T8 lanciò un segnale di allarme e Reich cercò di controllarsi.

— È un rischio, lo so, ma non così grave come credete. In primo luogo è giovane e inesperto. Secondo si è intrufolato qui senza diritto, e quindi è un po’ agitato. Terzo non dev’essere poi così pronto, perché altrimenti non si sarebbe lasciato telespiare facilmente dai segretari.

— Riuscite a sdoppiare il pensiero?

— Ho in mente quella canzone e la mia situazione è abbastanza delicata da farmi sembrare un piacere lo sdoppiamento. Ora levatevi di mezzo e andate a intercettare la Mummia Dorata.

Chervil stava mangiando solo accanto alla fontana, tentando goffamente di mostrarsi disinvolto.

Reich si accomodò tranquillamente accanto al ragazzo. — Sono Ben Reich — disse.

— Io sono Gally Chervil. Voglio dire Galen. Io… — Era rimasto visibilmente impressionato dal nome di Reich.

Paura, Tensione, Ansietà…

— Quella dannata canzonetta — mormorò Reich. — Sentita per la prima volta l’altro giorno. Non riesco a liberarmene. Otto, amico; sette, amico; cinque, amico… Oh, in nome di Dio! Ditemi qualcosa, Chervil, prima che diventi pazzo!

— Di cosa potrei parlarvi?

— Mai venuto prima dalla Mummia Dorata?

— Intendete dire in questa casa?

— Già. Lei sa che siete qui senza invito, sapete?

— No!

Reich annuì. Paura, Tensione…

— Dovrei darmela a gambe?

— Senza il ritratto?

— Ma sapete anche questo? Ci deve essere una telespia qui in giro.

— Ce ne sono due: segretari speciali per ricevimenti. Gente come voi sono il loro pane.

— E il ritratto, signor Reich? Ci ho scommesso cinquanta dollari. Voi dovete sapere bene che cosa è una scommessa. Siete un giocat… un finanziere voglio dire.

— Contento che non sia una telespia, eh? Non importa, non mi offendo. Vedete quell’arco? Passateci dritto sotto e poi girate a destra. Troverete uno studio. Sulle pareti si allineano i ritratti di Marie, tutti in pietre sintetiche. Servitevi a vostro gradimento. State certo che non sentirà mai la mancanza di quello che vi prenderete. — Il ragazzo balzò in piedi.

— Grazie, signor Reich. Un giorno o l’altro vi ricambierò il favore.

— Che cosa farete, ad esempio?

— Bene, ne resterete sorpreso. Si dà il caso che io sia… — Si trattenne e arrossì. — Lo scoprirete da voi, signore. — Si avviò per la grande sala verso l’arco nord.

Quattro, amico, tre, amico, due, amico. Uno!

Reich ritornò accanto alla sua ospite.

— Traditore — disse lei. — Con quale bellezza mi hai tradito?

— Con il giovane Chervil — rispose. — Mi ha chiesto dove tieni i tuoi ritratti.

— Ben! Non gliel’avrai detto?

— Ma certo che gliel’ho detto. È andato a prendersene uno. Poi se la batterà. Sai che sono geloso.

Lei balzò dal divano e si avviò ancheggiando verso l’arco nord.

— Fatto — disse Reich.

Alle undici il rituale della cena aveva portato i convitati a tal punto di eccitazione che tutti desideravano solitudine e oscurità. Marie Beaumont non aveva mai deluso i suoi ospiti, e Reich sperava che la Mummia Dorata non avrebbe deluso neppure lui, quando T8 apparve con aria soddisfatta e preoccupata insieme.

— Non so come ve la siate cavata — sussurrò. — Trasmettete sete di sangue su ogni lunghezza d’onda.

— Il ragazzo non ha capito nulla?

— Proprio niente. Avete ragione. È agitato, fuori dal suo normale equilibrio.

— E io lo so a chi deve questo suo stato. Dov’è D’Courtney? — Reich afferrò il braccio di T8. — Non ditemi che non è in questa casa. Ne sento la presenza: mi aspetta.

T8 sottrasse il braccio alla sua stretta. — Sì, è qui. Ha solo due guardie del corpo fornite da Marie. Akins aveva ragione. È gravemente malato…

— All’inferno. Ci penserò io a curarlo. Dov’è?

— Passate sotto l’arco occidentale. Girate a destra. Salite le scale. Percorrete un corridoio. Girate a destra. Vi troverete nella Galleria. Aprite la porta tra il quadro del Ratto di Lucrezia e quello del Ratto delle Sabine. Salite la scalinata fino a un’anticamera. Lì ci saranno le due guardie. D’Courtney è là dentro. È l’antico appartamento nuziale costruito dal nonno di Marie.

— L’appartamento nuziale? Mi piace questo particolare.

La Mummia Dorata cominciò a richiamare a sé l’attenzione degli ospiti.

Con viso animato e lucido di sudore, la donna salì su una specie di palco innalzato tra le due fontane, sotto il bagliore di una luce rosea, e batté le mani per chiedere silenzio: ciac, ciac, ciac. Le palme umide batterono una contro l’altra e nelle orecchie di Reich l’eco tuonò: morte, morte, morte.

— Miei cari! — gridò la donna. — Stasera ci divertiremo moltissimo. Ora organizzeremo un bel gioco di società.

Un brontolìo trattenuto si alzò dalla folla degli ospiti e una voce disse: — Sono proprio qui in giro turistico.

Tra le risate, Marie continuò: — Non preoccupatevi! Giocheremo a un magnifico vecchio gioco e giocheremo al buio.

La compagnia si rianimò, mentre le luci diffuse cominciavano ad affievolirsi. Solo il palco rimase illuminato, e in quel chiarore Marie mostrò un vecchio libro tutto strappato; il regalo di Reich.

Paura…

Marie voltò lentamente le pagine, concentrandosi per decifrare i caratteri inconsueti.

Tensione…

— Il gioco — gridò Marie — si chiama Sardina. Non è meraviglioso?

Ha abboccato. Fra tre minuti sarò invisibile. Reich si tastò le tasche. C’erano: la pistola scarica e il Rhodopsin. Paura, Tensione, Ansietà, cominciano già.

— Un giocatore — disse Marie — viene scelto a fare da Sardina. Si spengono tutte le luci e la Sardina si nasconde.

Mentre Marie cercava di orientarsi nella spiegazione, la grande sala cadde in una fitta oscurità ad eccezione di un unico roseo chiarore sul palcoscenico.

— Successivamente ogni giocatore trovando le Sardine si unisce al gruppo finché tutti si trovano a starsene nascosti in un solo posto e l’ultimo giocatore che è il perdente viene lasciato solo a vagare nel buio. — L’ultimo raggio di luce scomparve. Reich era finalmente invisibile. Aveva mezz’ora per sgusciare ai piani superiori, uccidere D’Courtney e ritornare a partecipare al gioco. T8 doveva tener lontani dal suo campo d’azione i due segretari. Non c’era pericolo. Ci sarebbe riuscito anche uno sciocco: l’unico problema era la presenza del giovane Chervil. L’avrebbe affrontato.

Attraversò la sala principale e si fece strada tra le persone che si affollavano presso l’arco ovest. Lo attraversò, entrando nella sala di musica. Da un piano aperto provenivano note discordi, attutite. Concentrato in se stesso, Reich non si curò di nulla e voltò a destra, cercando a tentoni le scale. Dal primo piano gli giunsero un’imprecazione e un tonfo, poi un rumore di passi rapidi e qualcosa di morbido urtò contro di lui.

— Se mi toccate — gridò la voce di Duffy Wygs con tono isterico — vi ucciderò.

Reich si sentì gelare. — Duffy! — esclamò e subito avrebbe voluto mordersi la lingua.

— Ma chi è? Il signor Reich?

— Sì.

La mano di lei gli tastò il braccio e avvertì la trama del tessuto. — Dio vi benedica, signor Reich. — S’appoggiò a lui debolmente. — Dio benedica questo orribile tweed.

— Che cosa c’è Duffy? Non ti va che qualcuno si occupi di te?

— Non mi va la compagnia.

— Allora torna in Melody Lane.

Gli si aggrappò al braccio. — È la prima e l’ultima volta che vengo qui. Come si può uscire da questo porcile?

— Torna nella sala principale e sali su per la scalinata.

— Ma non riesco a orientarmi. Accompagnatemi fuori di qui signor Reich. Ho bisogno di una guardia del corpo.

Tormentato da una furiosa impazienza si mise a cercare delle scuse. Una voce disgustata disse dietro di lui; — Posso farvi un favore, signor Reich?

— Chi è?

— Un fuggiasco, Galen Chervil. Un po’ a terra.

Otto, amico; sette, arnico; sei, amico; cinque, amico…

La figura del giovane Chervil si disegnò indistintamente nell’ombra. — Ho dovuto darmela a gambe per fuggire via da quel… ritratto. Sto ancora correndo fra attacchi di nausea. Non sono mai stato più felice di perdere cinquanta dollari.

Quattro, amico; tre, amico; due, amico. Uno!

— Anch’io me la sto battendo — disse Duffy.

— Come i bambini perduti nel bosco — disse Chervil. — Alta società! Ma che schifo. Battiamocela insieme.

— Sapete orientarvi nel buio?

Tira, disse Molla; Molla, disse Tira…

— Ci riuscirò. Datemi la mano, Duffy.

— Come fate a sapere il mio nome?

— Per puro caso. Non sono in me stesso stasera. Venite con noi, signor Reich?

Paura, Tensione, Ansietà, cominciano già.

— No — disse Reich con voce soffocata. — Mi piacerebbe, ma è impossibile. Voi ragazzi andatevene. Su!

I due si allontanarono in fretta.


Ai piedi della scalinata fu costretto a passare su di una barriera di corpi che, con braccia tenaci come tentacoli di polipo, cercavano di trascinarlo giù. Salì le scale, diciassette eterni gradini, e proseguì a tastoni attraverso uno stretto corridoio tappezzato di velluto. Improvvisamente qualcuno gli sbarrò il passaggio. Una donna gli si incollò.

— Ciao, Sardina — gli bisbigliò all’orecchio. — Ohi! — esclamò sentendo la dura massa della pistola nel suo taschino.

Si liberò di lei e andò a battere il naso contro la parete di fondo del corridoio. Allora girò a destra; aprì la porta e si trovò in una galleria a volta, lunga più di quindici metri.

Anche qui le luci erano spente ma le tele fluorescenti, splendendo sotto l’azione dei raggi ultravioletti, riempivano la galleria di un vivo bagliore. Era vuota.

Tra una livida Lucrezia e una folla di floride Sabine si apriva una porta di bronzo lucido. Reich si fermò, trasse dalla tasca posteriore il piccolo ionizzatore Rhodopsin e cercò di bilanciare il tubo di rame tra il pollice e l’indice. Le sue mani erano scosse da un tremito così violento che non riusciva a controllarne i movimenti.

Finalmente bilanciò la capsula Rhodopsin, poi spalancò la porta di bronzo; nove gradini portavano all’anticamera. Reich premette il pollice contro il tubo di rame col movimento che si usa per lanciare una biglia.

Mentre il proiettile Rhodhopsin descriveva una traiettoria per l’anticamera Reich distolse lo sguardo. Ci fu un freddo lampo purpureo. Reich salì i gradini di corsa. I due guardiani di casa Beaumont sedevano sulla panca dove lui li aveva colpiti, i visi abbassati, il senso visivo distrutto, il senso del tempo abolito, i centri motori sconvolti da un susseguirsi di corti circuiti. Erano fuori dal mondo.

Se qualcuno fosse entrato e avesse scoperto i guardiani prima della completa esecuzione dell’azione, sarebbe stata la rovina. Se i guardiani si fossero risvegliati prima che tutto fosse finito, sarebbe stata la rovina. Qualunque imprevisto poteva rappresentare la rovina.

Abbandonando l’ultimo rimasuglio di umanità, Reich spalancò una porta intarsiata di gioielli ed entrò nella camera nuziale.

5

Reich si trovò in una stanza sferica che era come il cuore di una gigantesca orchidea. Le pareti erano petali ricurvi, le colonne stami, il pavimento un calice dorato; le sedie, i tavoli e i divani erano color orchidea e oro. Ma la camera era antica… antica… i petali sbiaditi e ingialliti, il pavimento di piastrelle dorate secolare e i mosaici scrostati. Su un divano giaceva un uomo vecchissimo, vizzo e rinsecchito, come un’erbaccia secca, come la velenosa radice di mandragola essiccata.

Era D’Courtney, immobile come un cadavere.

Reich sbatté la porta furibondo. — Non può essere morto! Non posso venire deluso a questo modo!

Quel rudere d’uomo s’alzò, sbarrò gli occhi, poi penosamente si levò dal divano, mentre il volto gli si schiudeva in un sorriso.

— Ancora vivo! — gridò Reich esultante.

D’Courtney avanzò lentamente verso Reich continuando a sorridere, le braccia tese come se volesse dare il benvenuto al figliol prodigo.

Di nuovo allarmato Reich grugnì; — Siete sordo?

Il vecchio scosse la testa.

— Io sono Reich. Ben Reich della Sacramento — gridò Reich.

D’Courtney sempre sorridendo annuì. Schiuse le labbra senza emettere suono. Gli occhi gli brillarono di lacrime improvvise.

— Ma che cosa diavolo avete! Io sono Reich, Ben Reich! Mi conoscete? Rispondetemi.

D’Courtney scosse il capo e si batté una mano sulla gola. La sua bocca si schiuse di nuovo. Ne uscirono suoni rauchi; poi parole lievi come polvere: — Ben… Ben caro… ho aspettato tanto. Ora… non posso parlare. La mia gola… non posso parlare. — Di nuovo tentò di abbracciare Reich.

Scosso da un tremito di animale in agguato Reich girò attorno a D’Courtney, il collo teso, il sangue ribollente di sete assassina, gli occhi ossessionati dall’immagine dell’agonia di D’Courtney. Ansava. Si venne a mettere in faccia a D’Courtney, e sbarrò gli occhi in viso al vecchio.

La bocca di D’Courtney formò le parole: — Caro Ben…

— Sapete perché sono qui. Che cosa cercate di farmi… una dichiarazione d’amore? — Vibrò un gran colpo con la mano. Il vecchio barcollò e cadde in una poltrona color orchidea che pareva una ferita.

— Ascoltami, vecchio figlio di un cane. — Reich aveva seguito D’Courtney e gli stava dinanzi. — Da anni aspettavo di fare i conti con te. Aspettavo? Ardevo, addirittura, dal desiderio. Come un fuoco, come un vulcano. E ora vorresti arrestare la lava con un bacio?

— Ben — sussurrò D’Courtney atterrito. — Ben, ascolta…

— Per dieci anni mi hai stretto alla gola. Dieci anni! C’era posto abbastanza per tutti e due. La Sacramento e la D’Courtney. Tutto il posto necessario nello spazio e nel tempo. Ma tu volevi il mio sangue, il mio cuore. L’Uomo senza Volto!

D’Courtney scosse il capo sbalordito. — No, Ben, no…

— Non chiamarmi Ben. Non sono tuo amico. La settimana scorsa ti ho dato l’ultima possibilità di riabilitarti. Io, Ben Reich, ho chiesto l’armistizio. La fusione delle nostre Compagnie. Mio padre avrebbe sputato disprezzo se fosse stato vivo. Ma io ho chiesto pace, non è vero? — Reich scosse D’Courtney selvaggiamente. — Non è vero?

Il volto di D’Courteny era terreo e fisso. Finalmente sussurrò: — Sì… Io ho accettato.

— Accettato! — Reich interruppe aspro. — È questa la tua tattica? Mi hai preso per un imbecille?

Reich si curvò, a forza sollevò D’Courtney obbligandolo a stare in piedi. Il vecchio era fragile e leggero, ma il suo peso fu come fuoco per le braccia di Reich, e il contatto con la vecchia pelle gli bruciò le dita.

— Niente fusione. Niente pace. Morte. Questo il dilemma, capito?

D’Courtney scosse la testa e tentò di far cenni significativi.

— Ti vuoi arrendere?

— Sì — bisbigliò D’Courtney. — Sì, Ben. Sì.

— Non crederai di salvarti con questa buffonata! Questi sono dunque i tuoi trucchi! Fai l’idiota e noi ci caschiamo a tuo piacimento. Ma io no. Mai!

— Io non sono… tuo nemico, Ben.

— No — sibilò Reich. — Non lo sei perché sei già morto. Sei morto da quando io ho messo piede in questa bara d’orchidea. Uomo senza Volto! Mi senti gridare per l’ultima volta. Sei finito!

Reich trasse di tasca la pistola. Premette il pulsante e l’arma si schiuse come un rosso fiore d’acciaio. D’Courtney arretrò, terrorizzato. Reich lo afferrò per l’esile nuca tirando a sé la testa. Doveva far fuoco entro la bocca aperta perché il trucco funzionasse.

In quel momento uno dei petali d’orchidea si scostò e una ragazza irruppe nella stanza. In un lampo di spasmodica sorpresa Reich vide alle sue spalle un corridoio che terminava in una camera da letto spalancata, e la ragazza, capelli biondi ondeggianti, occhi scuri atterriti… un improvviso bagliore di selvaggia bellezza.

— Papà! — gridò.

E corse verso D’Courtney. Reich s’interpose rapidamente tra i due, non allentando la stretta sul vecchio. La ragazza si fermò di colpo, arretrò, poi come un fulmine aggirò Reich piombandogli addosso da sinistra, con un urlo.

Reich ruotò su se stesso, e vibrò un colpo di stiletto. Lei lo evitò, ma cadde indietro sul divano. Reich ficcò la punta dello stiletto tra i denti del vecchio aprendogli a forza le mascelle.

— No! — gridò la ragazza. — No! Papà!

Reich premette il grilletto. Si udì un colpo attutito e una goccia di sangue sprizzò dalla testa di D’Courtney. Reich abbandonò la presa e il corpo si afflosciò.

La ragazza cadde in ginocchio e si trascinò in avanti, verso il corpo. Con un gemito di dolore gli strappò la pistola di bocca, dov’era ancora. Poi si accasciò accanto a quel corpo contorto dall’agonia muta, con gli occhi fissi sul viso di cera.


Quando il rombo di tuono nelle sue orecchie si fu affievolito, Reich si lanciò verso la ragazza, tentando di riordinare il suo cervello sconvolto e di apportare fulminei mutamenti al suo piano. Mai aveva considerato la possibilità di un testimone al delitto. Nessuno aveva parlato di una figlia. Dannato T8! Ora avrebbe dovuto uccidere la ragazza…

Lei balzò in piedi, si liberò di scatto dalla sua stretta, corse alla porta intarsiata di gioielli, la spalancò e fuggì per l’anticamera.

Mentre la porta si richiudeva lentamente, Reich intravide i due guardiani accasciati ancora sulla panca e la ragazza che scompariva per le scale con la pistola in mano… Con la rovina in mano.

Il sangue intorpidito cominciò a scorrergli di nuovo per le vene. Raggiunse la porta, si precipitò giù per i gradini e si trovò nella Galleria. Era vuota, ma la porta che dava sul corridoio si stava richiudendo proprio allora. E ancora quel silenzio. Ancora nessun grido d’allarme. Quanto tempo sarebbe passato prima che quella ragazza si mettesse a urlare fcendo fremere la casa intera?

Attraversò la Galleria con la velocità d’una freccia ed entrò nel corridoio. Era ancora buio pesto. Inciampando e barcollando riuscì a raggiungere la sommità della sala di musica, e si fermò di nuovo. Poi discese gli scalini. Il buio e il silenzio erano spaventosi. Perché la ragazza non urlava? Dov’era?

Reich passò sotto l’arco e comprese dal quieto mormorio delle fontane di essere sulle soglie del salone principale. Dov’era la ragazza? In tutto quel nero silenzio dove mai si era ficcata? E l’arma! Maledizione! L’arma camuffata!

Una mano gli prese il braccio. Reich trasalì, allarmato. T8 disse in un bisbiglio: — Sono stato all’erta. Ci avete messo esattamente…

— Zitto, telespia maledetta! — sbottò Reich. — C’era una figlia. Perché non…

T8 mormorò: — Lasciate che capti tutto da me. — Dopo quindici secondi di ardente silenzio cominciò a tremare. Con voce atterrita gemette: — Mio Dio!

Il suo terrore agì da dissolvente. Reich ritrovò il dominio di sé. Cominciò a coordinare i suoi pensieri di nuovo. — Zitto — grugnì. — Non è ancora la Disintegrazione…

— Dovrete uccidere anche lei, Reich. Dovrete…

— Trovatela. Battete la casa. Avete captato in me i suoi connotati mentali. Identificate il luogo dove si trova. Vi aspetterò alla fontana. Presto!

Diede una spinta a T8 e barcollando si accostò alla fontana. Si curvò sul bordo di diaspro e immerse il viso ardente nell’acqua. Bisognava trovare la ragazza e ucciderla subito. Se avesse avuto ancora la pistola quando T8 l’avesse trovata, si poteva usare la pistola. E in caso contrario? Strangolarla? No, la fontana. Sarebbe stata trovata annegata nella vasca… Ma bisognava agire subito, prima che quel dannato gioco della Sardina finisse. Dov’era T8? Dov’era la ragazza?

T8 giunse, a tentoni nell’oscurità, ansante.

— Ebbene?

— Scomparsa.

— Non l’avete cercata bene.

— Vi assicuro che non avverto in nessun posto la sua presenza psichica.

— Nessuno l’ha vista uscire?

— No.

— Maledizione!

— Faremmo meglio ad andarcene anche noi!

— Non possiamo farlo subito. Una volta usciti di qui avremmo tutto il resto della notte per rintracciarla, ma non possiamo andarcene ora. Darebbe troppo nell’occhio. Dov’è Marie?

— Nella sala di proiezione.

— Assiste a un Panty?

— No. Stanno ancora giocando a Sardina. Sono accatastati là come pesci in un barile. Siamo ormai gli ultimi a starcene qui in giro.

— A vagare soli nel buio, eh? Venite.

Afferrò il braccio tremante di T8 e lo guidò verso la sala di proiezione. Avanzando chiamò con voce lamentosa: — Ehi! Dovete siete tutti? Marie!

T8 emise un singhiozzo isterico. Reich lo scosse rudemente. — Fate la vostra parte, su! In cinque minuti saremo fuori di qui. Allora potrete lamentarvi a piacer vostro.

— Se trovano il corpo prima che usciamo, siamo perduti.

— Chi lo può trovare?

— Ancora no, per cinque minuti. Sono fuori del mondo. Completamente fuori, ve l’assicuro.

— Ci sono i servi.

— Ma non usciranno dalle loro stanze finché il gioco non sarà finito. Vi assicuro che in cinque minuti saremo al sicuro.

— Ma se c’imbottigliano qui non riusciremo a rintracciare la ragazza. E…

— Non rimarremo imbottigliati. Ricordatevi, tutto andrà bene se saremo audaci, decisi, fiduciosi. — Reich aprì la porta della sala di proiezione. Era buio anche lì dentro, ma si avvertiva il calore di molti corpi. — Ehi! — chiamò. — Dove siete tutti? Sono qui solo.

Nessuna risposta.

— Marie, sono tutto solo nel buio.

Un vocìo soffocato, poi uno scoppio di risate.

— Carissimo — chiamò Marie. — Hai perduto il meglio del divertimento, povero tesoro.

— Dove sei, Marie? Sono venuto a salutarti.

— Non devi andartene, ora!

— Mi dispiace, tesoro. È tardi. Domani devo giocare un tiro a un amico. Dove sei Marie?

— Sali sul palcoscenico, caro.

Reich percorse lo spazio vuoto tra le poltrone, cercò gli scalini e salì sul palcoscenico. Avvertì subito dietro di sé il freddo globo di proiezione dei Panty. Una voce gridò: — Siamo a posto. L’abbiamo preso. Luce!

Il globo s’illuminò di una luce bianca che abbagliò Reich. Gli ospiti seduti sulle poltrone intorno al palcoscenico cominciarono a sussultare dal gran ridere, poi a lanciare urla di disapprovazione.

— Oh, Ben, tu bari — strillò Marie. — Sei ancora vestito. Non è bello da parte tua. Ci siamo tanto divertiti a cogliere tutti in flagrante, proprio quel che si dice in flagrante.

— Un’altra volta, Marie carissima. — Reich tese la mano e si apprestò a prender congedo con un compito inchino. — I miei rispetti e molte grazie per…

S’interruppe, sbalordito. Sul candore abbagliante del suo polsino c’era una vivida macchia di sangue. In un silenzio di tomba, Reich vide apparire una seconda e poi una terza macchia. Ritirò in fretta la mano e una goccia rossa cadde sul palcoscenico dinanzi a lui, seguita da una lenta inesorabile pioggia di goccioline vermiglie.

— È sangue — urlò Marie. — Qualcuno perde sangue, su di sopra. Ben, in nome di Dio, non puoi andartene ora. Luci! Luci!

Sangue, filtrante dal soffitto, il sangue di D’Courtney. Non ancora sufficiente a colmare un cucchiaio, ma Reich vi si sentiva annegare.

Paura, Tensione, Ansietà cominciano già…

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