Mentre la Pardi Queen sorvolava pesantemente quello strano miscuglio cosmico sperduto negli spazi che era il grande parco dei divertimenti del sistema solare (Pardi = Parco Divertimenti) e la zona neutra che lo circondava, il portello centrale si aprì e molte astrolance vi entrarono: poi il portello si chiuse, nel grande salone fu immessa nuovamente l’aria e i passeggeri furono liberi di discendervi dalle scalette interne.
Trenta astrolance dai finestrini di cristallo si erano posate sul pavimento. Erano dipinte a colori vivaci e ciascuna ostentava vistosamente il nome dell’hotel che l’aveva mandata.
Powell si aprì un varco tra la folla e salì sulla piccola astrolancia nera della polizia. Il sergente Al Bible lo attendeva con aria depressa.
— Abbiamo fatto fiasco.
Un campanello diede il segnale della partenza. La lancia venne chiusa ermeticamente e, non appena il portello dell’astronave si aprì, si lanciò nello spazio. Dal finestrino Powell osservava Pardi che splendeva come un tappeto trapunto d’oro.
Anni e anni prima Pardi non era che un piatto disco meteorico di mezzo miglio di diametro. Un fanatico dell’igiene aveva innalzato al di sopra del disco un emisfero trasparente di aria in sospensione colloidale, vi aveva installato un generatore atmosferico e una colonia. D’allora in poi, Pardi si era ingrandito sempre più fino a divenire una vasta e regolare piattaforma che si estendeva nello spazio per centinaia di miglia.
Le colonie dei vari pianeti e satelliti avevano tentato di ricreare su questo nuovo mondo il loro ambiente d’origine. Il Marte in miniatura era rosseggiante e desolato, ma dei laghi di acqua azzurra vi portavano un’inusitata nota ridente. Venere in miniatura era velata di brume, il gigantesco emisfero sovrastante la colonia di Giove comprendeva in sé la cosiddetta Riserva naturale di Pardi, che accoglieva in ogni suo miglio quadrato più esemplari di fauna, flora, clima di ogni altro pianeta.
— Raccontatemi tutto, Al — disse Powell.
— Abbiamo seguito le istruzioni. Abbiamo usato con Hassop il sistema del Furbo e del Tonto. Il tonto è stato tolto di mezzo dalla ragazza di Reich…
— Ah, c’entra una ragazza?
— Un tipino molto sveglio, si chiama Duffy Wygs.
Powell trasalì. — Ma come, se l’ho interrogata io stesso! Non avrei mai… — Si interruppe e scosse il capo. — Pare che anch’io abbia fatto fiasco, Al. Impara a stare in guardia quando incontri una bella ragazza!
— Bene, come vi stavo dicendo — proseguì Bible — lei si è liberata del tonto e quando il furbo è partito all’attacco, ecco che Reich arriva a Pardi in preda a commozione cerebrale!
— Come mai?
— Astroyacht privato. Ha avuto un incidente in pieno spazio ed è riuscito a compiere un atterraggio di fortuna. Un morto e tre feriti, Reich incluso. Una falla a prua dello yacht. Meteora o altro frammento cosmico. Hanno subito portato Reich all’ospedale dove ci immaginavamo che si sarebbe fermato per un po’. Quando ci diamo d’attorno, Reich è scomparso. Io agguanto un interprete, una telespia, e me ne vado in giro a fare indagini in ben quattro lingue in uso nel sistema solare. Nessuna traccia.
— Il bagaglio di Hassop?
— Sparito anch’esso.
— Maledizione! Dobbiamo acciuffare Hassop e il suo bagaglio, Al. Solo così possiamo scoprire il movente del delitto. Hassop è il capo dell’Ufficio Codici della Sacramento. Abbiamo bisogno di lui per via di quell’ultimo messaggio mandato da Reich a D’Courtney e della risposta…
— Il lunedì prima del delitto?
— Sì. Questo scambio di messaggi fu probabilmente la scintilla che provocò il delitto. Inoltre Hassop ha con sé i registri segreti della situazione finanziaria di Reich. È probabile che essi possano dimostrare alla Corte che Reich aveva i suoi buoni motivi per uccidere D’Courtney.
— Per esempio?
— Alla Sacramento circola la voce che D’Courtney aveva messo Reich con le spalle al muro. Ho fatto cantare Jerry Church e ho capito tutto. Ma si tratta di una situazione delicata. Siamo in grado di dimostrare che Reich ebbe l’occasione di compiere il delitto. Siamo in grado di indicare il metodo usato. Lo stesso dicasi per il movente. Ma questi tre elementi sono come i tre picchetti di una tenda indiana, ognuno resiste se resistono gli altri due. Questa è l’opinione del signor Peetcy. E questa è la ragione per cui ci serve Hassop.
— Giurerei che i due non hanno lasciato Pardi. A meno che io non sia diventato del tutto idiota.
— Non deprimetevi troppo per il fatto che Reich vi abbia gabbato. Ne ha gabbati tanti. Incluso il sottoscritto.
Bible scosse il capo.
— Comincerò subito a scrutare in tutti i cervelli di Pardi per scoprire dove si celano Reich e Hassop — disse Powell mentre l’astrolancia infilava la via d’accesso a Pardi. — Ma voglio prima confermare un mio sospetto. Mostratemi il cadavere.
— Che cadavere?
— Quello ricuperato dall’incidente capitato a Reich.
Nell’obitorio notarono subito il cadavere adagiato su uno strato di aria gelata: un povero corpo maciullato, dalla pelle di un pallore cereo in contrasto con una fiammeggiante barba rossa.
— Keno Quizzard — brontolò Powell.
— Lo conoscete?
— Uno della malavita. Lavorava per Reich ed era diventato troppo pericoloso per essere ancora di qualche utilità. Cosa scommettete che l’incidente è stato organizzato per simulare un assassinio?
— Diavolo — esplose Bible. — Ma gli altri due erano feriti per bene, e lo yacht malridotto!
— Ah, sì, loro due feriti per bene e lo yacht in pezzi. E allora? La bocca di Quizzard è chiusa per sempre e Reich si sente più tranquillo, Al. Noi abbiamo spaventato Quizzard che ha tentato di battersela. Reich l’ha colto al volo e si è preso buona cura di lui. Non riusciremo mai a provarlo, naturalmente, ma non ne avremo bisogno se riusciremo a scovare Hassop. Questo sarà sufficiente per accompagnare il nostro amico Reich alla Camera di Disintegrazione.
Powell cominciò un giro di ricognizione per le varie bolle.
Girava da ore quando sentì alle sue spalle la presenza di una ragazza. Poi il tipo psichico di lei lo colpì, e Powell si voltò di colpo.
— Bene, Duffy! — disse.
Il cipiglio di lei si mutò rapidamente in un sorriso. — Ah, il signor Powell, il segugio. Mi dovete ancora un ballo.
— Vi devo le mie scuse.
— Mi fa piacere. Nessuno me ne fa mai abbastanza. Quale motivo vi induce a farmi le vostre?
— Non vi stimo più.
— È la storia della mia vita. — Gli diede il braccio e si incamminò con lui lungo il vialetto. — Mi avete osservata meglio e…
— E mi sono accorto che siete la persona più astuta che Reich abbia alle sue dipendenze.
— Sono astuta. E ho reso qualche servizio a Ben. Ma che c’è in tutto questo?
— Vi siete mangiata la pedina che avevamo messo in gioco dietro Hassop, Duffy. Congratulazioni.
Il viso vivace si alzò verso di lui, mezzo serio, mezzo divertito. — Di che cosa diavolo state parlando?
— Avevamo messo in gioco una pedina dietro Hassop. Una pedina, in questo caso, è un agente a cui viene assegnato il compito di seguire una persona sospetta.
— Capito. E che cos’è un Hassop?
— Un tale che lavora per Ben Reich. Il capo del suo Ufficio Codici.
— Che cosa ho fatto a questo vostro spione?
— Seguendo le istruzioni di Ben Reich, avete sedotto il brav’uomo, e lo avete allontanato dai suoi doveri, tenendolo seduto davanti al piano per giorni e giorni…
— Un momento! — disse Duffy vivamente. — Quel giannizzero era della polizia?
— Sì.
— E pedinava questo Hassop?
— Sì.
— Hassop… un tipo molto pallido? Capelli color paglia? Scialbi occhi celesti?
Powell annuì.
— Lo sporco verme — mormorò Duffy. — E voi pensate che io mi presti a questi loschi servizi, vero? Voi… telespia! Io guadagno abbastanza denaro per avere più di una telespia alle mie dipendenze! Reich mi chiese di fargli un favore. Disse che quassù c’era un tale che lavorava intorno a un interessante cifrario musicale. Voleva che io lo bloccassi. Come potevo sapere che si trattava di un vostro giannizzero, mascherato da musicista?
Powell la fissò stupito. — Volete dire che non sapevate niente?
— Avanti, scrutatemi per bene. Se Reich non fosse nella Riserva, potreste captare a fondo l’inganno.
— Ferma! — Powell l’interruppe d’improvviso. Indagò minutamente e profondamente nel pensiero di lei, poi si volse e cominciò a correre.
— Ehi! — urlò Duffy. — Qual è il verdetto?
— Medaglia al valore — le gridò Powell, volgendo appena il capo. — Ve l’appunterò io non appena avrò recuperato un uomo sano e salvo.
— Non voglio un uomo qualunque, voglio voi!
Powell trovò il sergente Bible al teatro Globo, dove Diana Clerisy, la meravigliosa attrice esper, commuoveva migliaia di spettatori con le sue interpretazioni. Bible, indifferente al fascino della signorina Clerisy, esaminava, persona per persona, il pubblico. Powell lo prese per un braccio e lo trascinò fuori per parlargli con comodo.
— È nella Riserva — disse Powell. — Ha portato Hassop con sé. Anche il bagaglio di Hassop. Alibi perfetto. È rimasto scosso dall’incidente e ha bisogno di riposo. Ha bisogno anche di compagnia. È a otto ore da qui.
— La Riserva, eh? — rifletté Bible. — Duecentocinquanta miglia di animali, geografia e clima da far impazzire.
— Se vogliamo liberare Hassop, dobbiamo balzare su un elio e fare una rapida ricognizione in quella zona.
— Nella Riserva è vietato il transito a qualsiasi mezzo meccanico.
— Ma questa è una situazione di emergenza! Peetcy ha bisogno di avere Hassop a sua disposizione.
— E allora lasciate che ci pensi Peetcy a trattare con le autorità di Pardi. Vedrete che non si riuscirà a ottenere un permesso speciale prima di tre o quattro settimane.
— Già. Nel frattempo Hassop sarà morto e sepolto. Che ne dite di usare il radar o il sonar? Potremmo individuare la località in cui si trova Hassop e…
— Non si possono portare con sé apparecchi di nessun genere nella Riserva, se escludete le macchine fotografiche. Dovete trascinarvi sui vostri propri piedi, là dentro, portarvi con voi i vostri viveri. Munirvi di uno speciale schermo protettivo che impedisca agli animali di farvi sparire in un solo boccone. Se volete riscaldarvi, dovete farvi il vostro fuoco. Se volete andare a caccia dovete costruirvi armi di fortuna. Siete solo contro la natura. E vi fanno firmare un documento nel quale vi dichiarate pienamente responsabile della vostra sorte, nel caso che la natura abbia la meglio.
— Come faremo allora a trovare Hassop?
— Firmiamo il documento e andiamo a cercarlo a piedi, così come siamo.
— Noi due? Percorrere duecentocinquanta miglia quadrate di territorio dalle più varie caratteristiche geografiche? Di quanti agenti potete disporre?
— Forse dieci.
— Venticinque miglia quadrate a testa. Impossibile.
— Forse potreste tentar di convincere le autorità di Pardi… No. Anche se ci riusciste non potremmo radunarli in meno di una settimana. Non potreste per caso radunarli mediante trasmissioni telepatiche?
— Noi non possiamo trasmettere il nostro pensiero a nessuno se non a un’altra telespia, così… Un momento! Mi è venuta un’idea. Un essere umano è considerato alla stregua di un apparecchio meccanico? No, vero? Benissimo, allora. Farò una rapida azione di reclutamento e porterò con me nella Riserva il mio radar privato.
Fu così che un improvviso amore per la natura colse un eminente avvocato proprio nel pieno di una serie di delicate transazioni contrattuali in una delle lussuose sale da conferenza di Pardi. Lo stesso genere di amore invase anche la segretaria di un famoso scrittore, un giudice di pace, un medico, un teleanalista incaricato di vagliare i candidati che aspiravano a un posto nella Associazione alberghiera, un disegnatore, un ingegnere, il presidente della famosa Amalgamated Union’s Grievance Committee, il sovrintendente alla cibernetica di Titano, un segretario di psicologia politica, due membri di Gabinetto, cinque membri del Parlamento, e decine e decine di altri esper che si trovavano a Pardi per lavoro o vacanza.
Con la stessa aria di gaia spensieratezza e gli abiti più impensati, essi varcarono i confini della Riserva. Quelli che avevano avuto notizia della spedizione per tempo indossavano abiti semplici e sportivi. Altri non avevano avuto il tempo di organizzarsi; e le guardie che stavano ai cancelli con l’incarico di ispezionare il contenuto dei bagagli e trattenere gli oggetti illeciti, videro un pazzo tutto azzimato, in abito ufficiale da diplomatico, avviarsi decisamente con un gran fagotto in spalla alla volta della Riserva. In realtà tutti questi amanti della natura improvvisati avevano con sé delle carte particolareggiate della Riserva accuratamente divise in settori.
Con straordinaria rapidità di movimenti i nostri uomini si sparsero qua e là avanzando indomiti in quel cosmo in miniatura comprendente i più varii tipi di clima e le più disparate caratteristiche geografiche. La linea di trasmissione telepatica sussultava assiduamente mentre commenti e informazioni andavano e venivano lungo quel radar umano di cui Powell occupava la posizione centrale.
Nevica, qui. La tempesta imperversa.
Paludi e zanzare in questa zona.
Nessuno sa com’è fatto esattamente un serpente a sonagli?
Non morderlo, ti raccomando!
Maledetta natura!
Gente in vista, Pres. Settore 17.
Trasmettetene l’immagine, signor Presidente!
È un orso!
Lo chiamate un orso? Da noi, su Titano…
Mi insegue!
Non correre! Convincilo con le buone!
Accidenti, c’è un lago qui davanti a me e io non so nuotare!
Ma non ci sono laghi nel tuo settore, Julie. Sono tutti nel mio.
Scusami. Era un miraggio.
Maledetta geografia!
Come si fa ad arrampicarsi su un albero?
Salici sopra.
Ah!
Come hai fatto a salire, dottore?
Con l’aiuto di un’alce.
La chiamate alce? Noi su Titano…
Attenzione: gente in vista. Settore 37.
Nulla che interessi.
Nessuno ha mai telespiato una scimmia?
Una volta ho scimmiottato una telespia.
Oh, signore. Mandate questo individuo su Titano!
E lo chiamate un gioco di parole? Su Titano noi…
Qualcosa in vista, Pres. Settore 60. Eccoti il quadro…
Passate alla larga.
Quanto durerà tutto questo?
Sono a circa otto ore di distanza da noi.
No, sono in vantaggio di otto ore sulla partenza, ma può darsi che siano più vicini.
Avverti tutti, Pres.
Può darsi che Reich non sia andato molto avanti. Può essersi cercato un posticino di suo gusto nelle vicinanze dei cancelli.
Di suo gusto per far che?
Per compiervi un omicidio.
Ah!
Come si fa a convincere un gatto selvatico a non mangiare un tale?
Usa la psicologia politica.
Oh, cielo…
Non funziona?
Magnificamente!
E allora che altro c’è?
Il gatto sta divorandomi il cilindro.
A proposito di cilindri, una volta, su Titano… Gente in vista, Pres.
Nasconditi. Sono Reich e Hassop.
Come!
Attenzione a non destare sospetti. Tieniti alla larga. Anche il resto di voi può andarsene a casa. Tutti i miei ringraziamenti. D’ora in poi bisogna che m’arrangi da solo.
Lascia che ci divertiamo anche noi ora che viene il bello, Pres. Li circonderemo tutti insieme e…
Bisogna agire d’astuzia, ora. Non voglio che Reich si accorga che ho intenzione di sottrargli Hassop. Tutto deve sembrare naturale.
Quel miglio quadrato della Riserva era costituito da un tratto di giungla acquitrinosa, intricata, grondante umidità. Come cadde la notte, Powell strisciò lentamente verso i fuochi che Reich aveva acceso in uno spiazzo che s’apriva lungo le rive di un laghetto. Le acque erano infestate da coccodrilli e ippopotami. Gli alberi e il suolo brulicavano di vita. L’intera giungla era un selvaggio tributo all’abilità e alla sapienza degli ecologi della Riserva che sapevano controllar la natura a bacchetta.
In omaggio a tale natura, lo schermo difensivo di Reich era in piena azione.
Powell udiva il ronzio delle zanzare che si abbattevano contro la barriera formata dallo schermo. Non poteva arrischiarsi a mettere in azione il suo, perché gli schermi frusciavano leggermente e Reich aveva l’udito fino. Powell avanzò di qualche pollice e cominciò a captare.
Hassop era lusingato dal fatto di trovarsi con Reich. Reich, intento a lavorare febbrilmente intorno a un rudimentale, possente arco, progettava con torva passione l’incidente che lo avrebbe allontanato ancora di un poco dalla disintegrazione. Era per costruirsi quest’arco e queste frecce che aveva perduto le otto ore di vantaggio su Powell. Non si può uccidere un uomo in un incidente di caccia, se non si va a caccia.
Mentre Reich sollevava l’arco, evitando accuratamente di alzare lo sguardo su Hassop, ma con gli occhi della mente fissi su quel cuore pulsante che era il suo bersaglio, Powell si spinse rapidamente avanti. Prima che avesse percorso dieci piedi, un senso di allarme si infiltrò nel cervello di Reich, che si alzò di scatto, in tutta la sua prestanza. Strappò dal fuoco un tizzone ardente e lo lanciò verso la fitta oscurità in cui Powell si teneva celato. L’idea e la sua esecuzione furono così improvvise che Powell non poté prevenire l’atto. E si sarebbe trovato in piena luce, se Reich non avesse dimenticato l’esistenza della barriera protettiva. Essa arrestò il tizzone a mezzo volo e lo fece cadere al suolo.
— Per Dio! — urlò Reich e si volse di scatto ad Hassop.
— Che c’è, Ben?
Reich si portò la freccia all’altezza di un orecchio e puntò l’arco sul corpo di Hassop. Hassop si rannicchiò a terra.
— Ben, fa’ attenzione! Stai mirando proprio a me.
Hassop fece un balzo laterale mentre Reich scoccava la freccia.
— Ben, per l’amor di… — D’improvviso Hassop si rese conto delle intenzioni di Reich. Correndo disperatamente andò a urtare contro l’invisibile barriera mentre un’altra freccia gli sfiorava la spalla.
— Ben! — urlò.
— Figlio di un cane — grugnì Reich e scoccò un altro dardo.
Powell balzò in avanti e si avvicinò alla barriera. Superarla era impossibile. Là dentro, Hassop fuggiva gridando, mentre Reich lo inseguiva.
Powell si ritrasse nell’oscurità, cercando disperatamente una soluzione. Gli urli di Hassop stavano risvegliando la giungla, e si udivano rombi e strida. Powell entrò in comunicazione con il flusso telepatico. Null’altro che cieco terrore, furore cieco, ciechi istinti intorno a lui.
Vale la pena, si disse Powell. Bisogna che sfondi questa barriera.
Si trincerò tutto dietro i suoi schermi mentali, dissimulando tutti i suoi pensieri e sentimenti tranne: Paura, terrore, paura…
Tutti gli uccelli si destarono stridendo. Le scimmie lanciarono a loro volta acute grida scuotendo i rami degli alberi in fughe improvvise. Un susseguirsi di cupi tonfi giunse dal lago dove gli ippopotami si alzavano atterriti dai loro giacigli di mota. La giungla tremò del potente barrito degli elefanti, del tumulto della loro fuga precipitosa. Reich udì e si sentì gelare, dimenticando Hassop che ancora fuggiva singhiozzando, urtando ora contro l’una ora contro l’altra parete della barriera.
Gli ippopotami furono i primi a sfondarla. Poi seguirono i wapiti, le zebre, gli gnu, a torme pesanti, possenti. I costruttori del famoso schermo protettivo non avevano mai pensato a un’irruzione di questo genere. Nulla avrebbe potuto resistere a una simile carica selvaggia.
La barriera di Reich si abbatté con un secco rumore di vetro tagliato.
Gli ippopotami calpestarono il bivacco. Powell avanzò nel buio, afferrò il braccio di Hassop e trascinò l’uomo semi-impazzito verso il mucchio dei bagagli, e riuscì a impadronirsi del prezioso rullo. Sempre trascinando Hassop con sé, impiegò le sue facoltà telepatiche per farsi strada tra l’orda degli animali in fuga.
Dietro un grosso tronco Powell si fermò a riprendere fiato e mise al sicuro il rullo in una delle sue tasche. Hassop continuava a singhiozzare. Powell avvertì la presenza di Reich a trenta metri di distanza, il dorso appoggiato a un eucalyptus, l’arco e le frecce ancora stretti nelle mani serrate. Era sconvolto, furibondo, atterrito… ma sano e salvo. Powell lo voleva conservare tale per la disintegrazione.
Sganciatosi lo schermo protettivo dalla cintura, Powell lo lanciò oltre lo spiazzo verso le braci del bivacco dove Reich l’avrebbe certamente trovato. Poi si voltò sospingendo l’inebetito Capo dell’Ufficio Codici verso i cancelli.
E così, finalmente, il caso Reich era pronto per l’istruttoria, per quel temibile cacciatore di fatti e prove che era il giudice Peetcy.
Powell e i suoi uomini erano riuniti appunto nell’ufficio di Peetcy. Nel centro della stanza era stata portata una tavola rotonda e su di essa era stato costruito un modellino trasparente delle camere incriminate della villa Beaumont, in cui figuravano automi in miniatura riproducenti le fattezze dei personaggi coinvolti nel delitto. Si trattava di un capolavoro dei tecnici del laboratorio legale; i modelli erano straordinariamente somiglianti agli originali. Sulla tavola erano anche accumulati i documenti raccolti nel corso dell’indagine, pronti per essere presentati a quella specie di spauracchio che era Peetcy.
Peetcy stesso occupava l’intera parete circolare del suo ufficio. I suoi molti occhi ammiccavano, dardeggiando freddi sguardi sui presenti. La sua memoria prodigiosa produceva sibili e ronzii. La sua bocca, un altoparlante, era aperta in un’espressione di stupore per l’umana stupidità. Le sue mani, gli innumerevoli tasti di una complicata macchina per scrivere, posavano accanto ai rulli del nastro, pronti a richiamare tutti alla realtà dei fatti.
Il signor Peetcy era il Calcolatore Legale di Accuse dell’ufficio del Procuratore Distrettuale; era una specie di giudice, in realtà, le decisioni del quale erano per tutti inappellabili.
— Per cominciare non incomoderemo Peetcy — disse Powell al Procuratore Distrettuale. — Daremo prima un’occhiata ai modelli e ne controlleremo l’azione in rapporto ai vari elementi raccolti. I vostri uomini hanno i dati temporali. Se vi capita di notar qualcosa che sia sfuggito ai nostri bravi collaboratori prendetene nota.
Fece un cenno a Kr I/2t il sempre insoddisfatto Capo Laboratorio, che premette un pulsante. Istantaneamente il modello s’illuminò e i pupazzi cominciarono a muoversi. L’accompagnamento acustico creava una perfetta illusione di realtà. Si udivano echi di musiche, risate, voci. Nel salone di casa Beaumont un minuscolo pupazzo pneumatico raffigurante Marie Beaumont salì lentamente sul palco con un libriccino in mano.
— A questo punto sono le ventitré e nove minuti — disse Powell al Procuratore. — Guardate l’orologio posto sopra il modellino: è sincronizzato con lo svolgersi dell’azione.
In silenzio i rappresentanti della sezione legale studiavano la scena e prendevano rapide annotazioni, mentre gli automi riproducevano atti e movimenti rivelati dai Molecolari, riferiti dai testimoni e scoperti dagli agenti di Powell. Nella casa in miniatura le luci si spensero. Il gioco della Sardina cominciò. La figurina di Reich entrò allora nella sala da musica, vi incontrò Duffy Wygs e il giovane Chervil, salì alla camera delle orchidee, tramorti i custodi e entrò nella stanza per assassinare D’Courtney.
Il piccolo dramma giunse a termine con l’uscita in massa degli ospiti dalla sala di proiezione, e l’irruzione nella camera delle orchidee dove i pupazzi si radunarono intorno al minuscolo cadavere. Là essi s’irrigidirono in un grottesco quadretto.
— E questo è il quadro completo — disse Powell. — Ora rivediamocelo punto per punto e passiamolo a Peetcy. Anzitutto l’occasione… I Rivelatori Molecolari non possono sbagliare. Reich salì due volte come abbiamo visto nel modellino; una volta per compiere il delitto, una seconda con la folla. Avvocati, non avete nessuna difficoltà da opporre?
— Quel gioco della Sardina — disse il Procuratore Distrettuale.
— Reich acquistò il libro e lo mandò a Marie Beaumont.
— Come faceva a sapere che avrebbe organizzato proprio quel gioco?
— Conosceva la sua passione per i giochi di società. Sardina era l’unico gioco la cui istruzione si potesse leggere chiaramente nel libro.
Il Procuratore si grattò la testa. — Ce ne vuole per convincere Peetcy. Ma non sarà male tentare.
Crabbe, che stava riprendendosi visibilmente, sbottò indignato: — Non ho mai approvato l’uso di questo mostro meccanico. E non sono d’accordo nemmeno adesso.
Son cominciò a introdurre nell’orecchio di Peetcy i dati già vagliati. — Avete pienamente ragione, signor commissario.
— Ora il metodo — disse Powell. — Prima questione: Come ha fatto Reich a tramortire i custodi? Kr I/2t?
— E inoltre, signori… — proseguì Crabbe.
— Ionizzatore Rhodopsin — interruppe Kr I/2t. Porse a Powell una sfera di materia plastica e Powell la mostrò agli altri. — Un tipo a nome 1/4 Maine l’ha sviluppata per la polizia privata di Reich. Ho pronta la formula empirica del procedimento perché possa essere vagliata da Peetcy, e ho qui pure l’esemplare costruito da noi. Nessuno vuol provarlo?
— E inoltre, signori miei…
— Oh, provate voi, Crabbe — disse Kr I/2t con offensiva gaiezza. — Non crederete mai alle nostre parole se non farete l’esperienza da voi stesso. Non c’è nessun pericolo. Semplicemente sarete non compos per sei o sette…
Il bulbo di materia plastica esplose tra le dita di Powell. Un vivido bagliore azzurro si accese proprio sotto il naso di Crabbe. Sorpreso a metà del suo discorso, il commissario s’afflosciò sul pavimento.
— Buon Dio! — esclamò il Procuratore. Gettò un’occhiata severa a Kr I/2t. — La copertura era troppo sottile, Kr I/2t. Ora guardate un po’ che cosa avete fatto al signor commissario Crabbe.
— Che cosa ho fatto?
— Passate i dati a Peetcy — disse il procuratore cercando di controllare il proprio tono di voce per non scoppiare a ridere. — Sono sicuro che non avrò nulla da ridire in merito.
Adagiarono il commissario su una poltrona. — Ora il metodo con cui è stato compiuto il delitto — ripeté Powell. — Osservate attentamente i miei gesti, signori. La mano è più rapida dell’occhio. — Mostrò a tutti una rivoltella del museo della polizia. Tolse i bossoli dagli scomparti e da uno dei bossoli estrasse il proiettile. — Ecco come si è comportato Reich, avuta tra le mani l’arma consegnatagli da Jerry Church prima del delitto: ha finto, cioè, di scaricarla. Un alibi falso.
— Falso, ma come? La pistola è scarica. È questa la deposizione di Church?
— Sì. Controllate, prego, sui vostri incartamenti.
— Allora è inutile incomodare Peetcy sottoponendogli questo problema. — Il Procuratore Distrettuale gettò via le sue carte con moto di disgusto. — Come può un bossolo uccidere se non contiene proiettile? In questi documenti non si dice che Reich abbia ricaricato l’arma.
— La ricaricò.
— Ma no — insistette Kr I/2t. — Non c’erano proiettili nella camera.
— Come, se l’avete scoperto voi stesso, Kr I/2t. Quel pezzetto di plastica che avete rinvenuto nella bocca di D’Courtney. Ricordate? Mentre non c’era traccia di zucchero candito nello stomaco.
Kr I/2t spalancò tanto d’occhi. Powell sogghignò. Prese un contagocce e riempì d’acqua una capsula di materia plastica, la inserì nell’estremità aperta del bossolo, e introdusse questo nell’arma. Alzò la pistola, mirò a una piccola sporgenza di legno, sul bordo della tavola su cui era collocato il plastico della casa e tirò il grilletto. Si udì una sorda detonazione e il legno si frantumò.
— Ma è un trucco! — esclamò il Procuratore Distrettuale. — C’era qualcosa nel bossolo oltre l’acqua.
— Con una carica di polvere, si può lanciare un’oncia d’acqua a una velocità sufficiente per sfondare la testa della vittima, se si spara per il palato. Ecco perché Reich dovette far fuoco entro la bocca. Ecco perché Kr I/2t rinvenne quel pezzetto di plastica e null’altro. Il proiettile, naturalmente, era scomparso.
— Passate a Peetcy — disse il Procuratore, con voce fioca. — Per Dio, Powell, comincio a credere che siamo di fronte a un caso vero e proprio.
— Benissimo. Ora, il movente. Ci siamo impadroniti dei libri mastri di Reich. Essi danno un quadro completo della sua situazione finanziaria. D’Courtney aveva messo Reich con le spalle al muro. Reich chiese la fusione con la D’Courtney. Fu respinta. Allora egli uccise D’Courtney. Ci trovate qualcosa da ridire?
— Io no, ma Peetcy? Passategli questi elementi e vediamo.
Introdussero nel mostro gli ultimi dati esaminati, e fecero scattare una leva da Fermo a In movimento. Gli occhi di Peetcy ammiccarono, meditabondi; dal suo stomaco venne un lieve suono sordo; la sua memoria sussultò. Powell e gli altri aspettavano con ansia crescente. Un campanello cominciò a squillare, e i tasti della macchina a battere.
— CON IL CONSENSO DELLA CORTE. I PERORANTI DELLE ECCEZIONI PREGIUDIZIALI E LE FIRME ILLEGALI. VEDETE IL PROCESSO HAY CONTRO COHOES, E LA LEGGE APPLICATA NEL PROCESSO SHELLEY. STOP.
— Ma che diavolo va dicendo? — Powell guardò Son.
— Si diverte a far di questi scherzi, qualche volta — spiegò Son.
Lo lasciarono riscaldare per cinque minuti buoni, poi lo misero in azione nuovamente. Di nuovo i suoi occhi ammiccarono, lo stomaco brontolò, la memoria sibilò, mentre Powell e i suoi due uomini attendevano ansiosamente. Il duro lavoro di un mese poteva esser reso vano dalla decisione di Peetcy. I tasti cominciarono a battere.
— VERBALE 921,088. SEZIONE C-1. MOVENTE PASSIONALE DEL DELITTO INSUFFICIENTEMENTE DOCUMENTATO. VEDI PROCESSO HANRAHAN, 1202 CORTE SUPREMA 19 E GLI ALTRI FONDAMENTALI PROCESSI SEGUENTI.
— Il movente passionale? — mormorò Powell. — Ma Peetcy è matto? Si tratta di un movente economico. Controlla C-1, Son.
Son controllò. — Tutto bene qui.
— Mettilo in azione ancora.
Misero in azione Peetcy per la terza volta. Questa volta rispose a tono.
— VERBALE 921,088. SEZIONE C-1. MOVENTE ECONOMICO INSUFFICIENTEMENTE DOCUMENTATO. VEDI PROCESSO ROYAL 1197 CORTE SUPREMA 388.
— Scusatemi — disse Powell agli altri. — Bisogna che trasmetta subito la mia opinione a Son. — Si volse a Son. — Pensaci, Charley. A me è parso di avvertire in queste ultime parole un rimprovero a una nostra effettiva manchevolezza.
Francamente, Pres, non sono al corrente di nessun…
Se tu fossi al corrente, non si tratterebbe di una manchevolezza, ma di truffa da parte nostra. Lasciami pensare che cosa abbiamo potuto dimenticare… Oh! Naturalmente! Powell si rivolse agli altri, parlando a voce alta:
— Son ha trascurato un particolare. Avendo Hassop a nostra disposizione siamo ancora in grado di interpretare il codice. Sappiamo che Reich chiese la fusione e che gli fu rifiutata. Ma non abbiamo ancora decifrato l’offerta definitiva e il rifiuto. Ecco che cosa vuole Peetcy.
— Come fate a sapere che l’offerta venne rifiutata? — chiese il Procuratore Distrettuale.
— L’ho saputo da Reich stesso attraverso T8. Fu una delle ultime cose che captai nel suo cervello prima che fosse ucciso. Ti dico io che cosa dobbiamo fare, Son, introdurre una supposizione. Supponendo che il fatto dell’offerta e del rifiuto sia incontestabile, che cosa ne pensa Peetcy?
Son estrasse dalla mostruosa macchina un pezzo di nastro, lo collegò a quello principale e, dopo averlo corredato degli adeguati particolari, lo inserì di nuovo. Ormai ben riscaldato, Peetcy rispose in trenta secondi: VERBALE 921,088. ACCETTANDO LA SUPPOSIZIONE PROBABILITÀ DI SUCCESSO 97,99 %.
Gli uomini di Powell sogghignarono, risollevati. Powell estrasse la strisciolina e la porse al Procuratore Distrettuale con un sorriso di trionfo.
— Per Dio — disse il Procuratore. — Novantotto per cento! E io che mi ritenevo fortunato quando si raggiungeva il settanta!
La porta dell’ufficio si aprì ed entrarono due uomini tutti sudati.
— Ecco il codice — disse Powell. — L’avete decifrato?
— Sì, l’abbiamo decifrato, ma ora siete fritto, Powell, l’intero processo va a monte.
— Che cosa diavolo intendete dire?
— Reich avrebbe eliminato D’Courtney perché D’ Courtney avrebbe rifiutato la fusione? Avrebbe avuto i suoi buoni motivi finanziari per uccidere D’Courtney? Li aveva un accidente!
— Reich spedì il messaggio: YYJI TTED BBCB UUFE AALK QQBA a D’Courtney — soggiunse l’altro. — Il che significa: PROPONIAMO FUSIONE NOSTRI INTERESSI PARI CONDIZIONI COMPARTECIPAZIONE.
— Dannazione, questo è quel che vado dicendo da tanto tempo. E D’Courtney rispose: WWHG. Era un rifiuto. Reich lo disse a T8. T8 lo riferì a me.
— Siamo spiacenti, Powell. WWGH significa esattamente il contrario: ACCETTIAMO OFFERTA. Non riuscirete mai a convincere nessuna Corte del sistema solare che Reich aveva motivo di uccidere D’Courtney. Il vostro caso è liquidato.
Powell rimase immobile, i pugni serrati. D’improvviso afferrò la figura in miniatura rappresentante Reich e gli torse la testa. S’accostò a Peetcy, strappò le striscioline su cui figuravano i dati vagliati, le gualcì fino a ridurle in una pallottola che gettò nel mezzo della stanza. Poi sferrò un tremendo calcio alla sedia su cui era sdraiato Crabbe. Sotto gli occhi atterriti degli agenti sedia e commissario finirono sul pavimento. — Maledetto voi, siete sempre seduto su quella sedia! — disse Powell e si precipitò fuori dell’ufficio.
Disintegrazione! Distruzione! Esplosione! Le porte della cella si spalancano. Lo sfavillìo della stellile si frantuma in una pioggia di pugnali e proiettili. E, più addentro, la libertà attende, avvolta nel manto del buio e della fuga nell’ignoto!
Chi è là fuori dalla cella? L’Uomo senza Volto. Si guarda intorno. Minaccioso. Muto.
Fuggi per gli spazi! C’è tempo e sicurezza nella solitudine di quest’astrolancia lieve come il velluto. Il portello! Si apre. Ma io non posso. Sono solo. L’Uomo senza Volto. Si guarda intorno. Minaccioso. Muto.
Ma io sono innocente, Vostro Onore. Non proverete mai la mia colpa. Nell’aula? L’Uomo senza Volto.
Si guarda intorno. Minaccioso. Muto. Batte il martello.
Quel battere si mutò in un bussare alla porta della cabina. — Siamo sopra New York, signor Reich. Un’ora allo sbarco.
— Benissimo — mugolò Reich. — Ho sentito.
Saltando fuori dal letto ancora attanagliato dal terrore dell’incubo, si aggirò nella cabina vacillando. Gettò la sua biancheria e i suoi abiti nel raccoglitore, scelse indumenti nuovi nel distributore e li dispose in bell’ordine per indossarli.
Entrò nel bagno, si sbarbò, fece doccia, vaporizzazioni e bagni d’aria per dieci minuti. Barcollava ancora. Passò nel gabinetto per i massaggi e premette il pulsante della scritta Sali termici. Si udì una sorda detonazione e Reich fu sbattuto a terra, mentre alcuni frammenti lo colpivano violentemente alla schiena.
Con un’istintiva reazione si precipitò nella stanza da letto, afferrò la sua valigia e cercò la scatola dei bulbi esplosivi che portava sempre con sé. Non c’era.
Reich cercò di ricomporsi. Sentendo acuto il bruciore del sale penetrato nelle ferite alla schiena, tornò nella stanza da bagno, tolse la corrente e diede un’occhiata al disastro avvenuto nel gabinetto dei massaggi. Qualcuno gli aveva sottratto la scatola durante la notte e aveva inserito un bulbo in ciascuno dei repulsori del massaggiatore automatico. La scatola vuota giaceva in un angolo.
Esaminò la porta della cabina. Evidentemente la serratura era stata forzata da un maestro. Ma chi? E perché?
Ritornò nel bagno, si deterse sangue e sale e si cosparse il dorso con un coagulante. Si vestì, bevve un caffè, e discese nel salone degli spettacoli dove dopo un accanito duello con il doganiere esper (Paura, Tensione, Ansietà cominciano già) saltò a bordo dell’astrolancia della Sacramento che lo attendeva per portarlo in città.
Dalla lancia telefonò alla Sacramento. Sullo schermo comparve il viso della sua segretaria.
— Notizie di Hassop? — chiese Reich.
— No, signor Reich. Nessuna notizia da quando avete chiamato l’ultima volta da Pardi.
— Datemi l’Ufficio Informazioni.
Lo schermo rivelò il salone della Sacramento tutto rilucente di cromo. West, intento a rilegare in volumi i fogli di dattiloscritti, alzò lo sguardo e sogghignò.
— Salve, Ben.
— Non aver quell’aria così allegra, Ellery — brontolò Reich. — Dov’è Hassop? Pensavo che con ogni probabilità tu…
West gli mostrò i volumi. — La storia della mia carriera alla Sacramento per i tuoi registri. Detta carriera si è conclusa stamattina alle nove.
— Che cosa?
— La Lega ha rotto i suoi rapporti con la Sacramento. Lo spionaggio al servizio di una compagnia è stato definito immorale.
— Ellery, non puoi andartene ora. Qualcuno mi ha teso un tranello sull’astronave stamattina. Devo scoprire chi è stato. Ho bisogno di una telespia.
— Mi dispiace, Ben.
— Non devi lavorare per la Sacramento. Ti farò un contratto personale per servizio privato. Lo stesso contratto che ha Breen.
— Breen? Lo psicanalista? Non ce l’ha più.
— Più?
— La disposizione è stata emanata oggi. Vieta ogni pratica telepatica a servizio di un singolo ente o di una singola persona. L’attività professionale delle telespie ha ora dei limiti ben precisi. La nostra opera deve giovare al maggior numero di persone possibile.
— È quel bastardo di Powell! — gridò Reich. — Sta mettendo in azione tutti i più luridi mezzucci da telespia che possa ideare quella sua mente tenebrosa per demolirmi.
— Ti sbagli, Ben. Powell non c’entra nulla in tutto questo. È stato T’sung Hsai, il nostro presidente. Il vecchio T-H ha finalmente esteso la sua giurisdizione al campo commerciale e ha emanato una serie di nuove disposizioni proprio questa mattina. Tu sei rimasto impigliato tra due di esse, ecco tuttol
— Voi dannate telespie parlate tanto di morale, ma vi battete con mezzi più sporchi di…
— A che serve inveire, Ben? Abbiamo sempre cercato di andare d’accordo. Non urtiamoci proprio ora!
— Va’ al diavolo! — tuonò Reich e interruppe la comunicazione. Nello stesso tono disse al pilota dell’astrolancia: — Conducetemi a casa!
Reich irruppe nel suo appartamento risvegliando ancora una volta i cuori dei suoi dipendenti al terrore e all’odio. Gettò la valigia al maggiordomo dalla faccia equina e si precipitò nell’appartamento di Breen.
Non c’era nessuno.
A grandi passi raggiunse le sue stanze e si accostò al telefono. Compose il numero di Gus T8. Lo schermo s’illuminò:
Reich fissò queste parole, stupito, e chiamò Jeremy Church. Sullo schermo apparve:
Imprecò e tentò di entrare in comunicazione con il casinò di Keno Quizzard. Di nuovo quelle parole:
Reich si aggirò incerto nel suo studio, poi si avvicinò al bagliore di vivida luce che era la sua cassaforte, nella speranza che il vecchio Reich avesse qualche consiglio da dargli. Mise la cassaforte in fase visibile: comparvero subito gli scaffali disposti ad alveare e allungò la mano per prendere la busta rossa. Mentre la stava afferrando udì un lieve suono secco. Si chinò di scatto e fece un balzo indietro, col viso nascosto tra le braccia. Qualcosa lo colpì con violenza a un fianco e lo sbatté contro la parete. Udì i passi frettolosi dei servi nel corridoio e urlò: — Non entrate! Nessuno!
Inciampò tra le rovine e si mise a frugare tra i resti della sua cassaforte. Trovò il disgregatore psichico che aveva sottratto alla donna dagli occhi rossi amica di Chooka Frood. Trovò il malefico fiore d’acciaio, la pistola a stiletto con cui aveva ucciso D’Courtney. Conteneva ancora quattro proiettili carichi d’acqua racchiusi in capsule di plastica. Si ficcò le due armi in tasca, prese dalla sua scrivania una nuova scatola di bulbi esplosivi, e uscì di corsa dalla stanza, senza badare ai servi che lo fissavano attoniti.
Reich discese bestemmiando rabbiosamente dal suo appartamento nella Torre al garage sotterraneo dove introdusse la chiave della sua Cavalletta nella fessura apposita e attese che l’apparecchio uscisse. Quando comparve, con la chiavetta infilata nella portiera, Reich fece girare la chiave nella serratura e spalancò la portiera per balzare a bordo. Ci fu una sorda esplosione. Reich si gettò a terra. Il serbatoio della Cavalletta saltò in aria, vomitando un rovinoso torrente di carburante e di frantumi di metallo. Reich si trascinò affannosamente verso la scala che conduceva all’uscita, la raggiunse, e vi s’infilò di corsa.
Una volta in strada, insanguinato, impregnato dell’odore del creosoto, fece cenno a una Cavalletta pubblica di fermarsi.
— Dove andiamo? — chiese il conducente.
Egli cercò di ricomporre i suoi pensieri. — Da Chooka Frood, Bastion West.
— Ma non vi lasceranno entrare conciato così.
— Chooka Frood! — ripeté Reich.
In un balzo la Cavalletta lo portò a destinazione. Reich passò come un lampo dinanzi al portiere, che invano cercava di protestare, e all’indignato usciere, e entrò nell’ufficio di Chooka. La donna sedeva alla scrivania, con addosso una blusa nerastra e sul viso un’espressione fosca che si mutò in apprensione quando Reich si trasse di tasca il disgregatore.
— Eccomi qua, Chooka — disse con voce rauca. — Già una volta ho usato questo disgregatore contro di voi. Mi sento in vena di ripetere la scenetta.
Lei urlò: — Magda!
Reich l’afferrò per un braccio e la trascinò attraverso l’ufficio. La donna dagli occhi rossi accorse rapida. Reich l’attendeva. La colpì alla nuca, seccamente.
Poi, ignorandola completamente, sibilò all’orecchio di Chooka: — Sistemiamo la faccenda. Perché tutti quei tranelli?
Chooka scosse con forza la testa, alquanto stranita.
— Già tre, finora. Uno sull’astronave proveniente da Pardi. Uno nel mio studio. Uno sulla mia Cavalletta. Quanti altri ne stai preparando, Chooka?
— Ma non sono stata io, Reich. Lasciatemi in pace!
— La serratura della mia cabina è stata forzata. La chiusura della mia cassaforte è stata forzata, la serratura della portiera della Cavalletta è stata forzata. Soltanto un delinquente di professione può aver fatto un lavoro simile. C’entri tu, non c’è dubbio, così sistemiamo le cose una volta per sempre. — Tolse la sicura al disgregatore. — Devo battere un uomo a nome Powell, io. Devo battere una compagnia a nome D’Courtney. Non ho tempo da perdere con te.
— Per amor di Dio — urlò Chooka. — Ma che cosa posso avere io contro di voi? È vero che mi avete messo la casa sottosopra. È vero che ve la siete presa con Magda e che per colpa vostra la ragazza D’Courtney mi è sfuggita; ma vi sembra che potrei tendervi insidie mortali solo perché mi avete minacciato con un disgregatore? Usate il cervello, se l’avete.
— Lo so usare bene. Se non si tratta di te di chi altro si può trattare?
— Keno Quizzard. Anche lui ha rapporti con la malavita. Vi ho sentito parlare di…
— Quizzard è morto. Chi altro può essere?
— Church.
— Non ha il fegato sufficiente per attaccarmi o l’avrebbe fatto dieci anni fa. Ora poi sta aspettando la mia ricompensa. Chi altro può essere?
— Come posso saperlo io? Vi sono parecchie centinaia di persone che vi odiano.
— Migliaia, ma chi potrebbe arrivare alla mia cassaforte? Chi saprebbe interrompere una combinazione di fasi magnetiche e…
— Forse nessuno ha scassinato la vostra cassaforte. Forse qualcuno è penetrato nel vostro cervello e ci ha captato la combinazione.
— Captato?
— Sì, captato. Forse avete fatto male a fidarvi di Church o c’è qualche altra telespia che ha tutte le sue buone ragioni per prepararvi la bara.
— Sì — bisbigliò Reich.
— Church?
— Powell! Non riesce a raccogliere gli elementi per un processo. L’ho bloccato con la canzonetta di Duffy Wygs. L’ho bloccato con il gioco della Sardina. Non riesce a comunicare con 1/4 Maine e a venire a capo del problema del Rhodopsin. Non riesce a rintracciare l’arma del delitto. È riuscito a mettere le mani sulla ragazza D’Courtney, ma a quest’ora lei è probabilmente al Kingston Hospital. Hassop è morto travolto dagli animali in fuga o s’è perduto nella giungla. A Powell non resta altro che tendermi dei tranelli.
— Siete pazzo, Reich.
— Ah, sì? Perché mi ha sottratto Ellery West e Breen? Sa che l’unica difesa di cui io possa disporre contro i suoi tranelli è una telespia.
— Ma come può un poliziotto comportarsi come voi dite, Reich?
— E perché no? Chi sospetterebbe di un poliziotto? Al suo posto io farei la stessa cosa. Benissimo, ora lo ripagherò della stessa moneta! — S’avvicinò a Chooka e la obbligò ad alzarsi. — Chiama Powell. Digli di venire qui subito.
— No, Reich…
— Ascoltami, dannata chiromante. Bastion West è proprietà della D’Courtney. Ora che il vecchio D’Courtney è morto, il proprietario sono io. Tu dipendi da me, Chooka. Vuoi continuare i tuoi affari? Telefona a Powell.
— È una telespia. Quando arriverà capirà subito che mento.
— Aspetta un minuto — disse Reich, poi si trasse la pistola-stiletto di tasca e la ficcò tra le mani di Chooka. — Digli che la ragazza D’Courtney l’ha lasciata qui. È l’arma che mandò D’Courtney dritto all’inferno.
— E gliela consegnate?
Reich rise. — Prima di averla cadrà in un tranello.
Spinse Chooka verso l’apparecchio telefonico, la seguì e si avvicinò allo schermo rimanendone però al di fuori. Nella mano brandiva il disgregatore con aria significativa.
La donna compose il numero di Powell. Mary Noyes apparve sullo schermo, rispose a Chooka e andò a chiamare Powell. Poi apparve l’ispettore, il magro viso sofferente, gli occhi scuri segnati da grandi ombre.
— Io… io ho qui qualcosa che potrebbe interessarvi, signor Powell — balbettò Chooka. — L’ho trovato per caso. La ragazza che avete portato via da casa mia l’ha lasciato qui. È la pistola che ha spedito suo padre dritto all’inferno. Vedete?
— È proprio lei, per Dio! — esclamò Powell. — Sarò da voi nel minor tempo che una Cavalletta può impiegare ad arrivarci.
Lo schermo si oscurò. Reich uscì a precipizio dalla Casa Arcobaleno e si infilò di corsa per i vicoli di Bastion West, finché non avvistò una Cavalletta pubblica. Lasciò cadere una moneta nella serratura, aprì la portiera e vi si infilò. Cerca di non pensare si disse. Cerca di non far piani. Affidati completamente al tuo istinto.
Reich lottò contro se stesso e il proprio autocontrollo per le tre miglia che lo separavano da Hudson Ramp. L’istinto assassino lo spinse a intrufolarsi nel giardino di Powell dal retro. Non seppe neppur lui il perché. Mentre apriva la portiera della Cavalletta, una voce metallica disse: — Attenzione, prego. Siete responsabile degli eventuali danni causati a questo apparecchio. Lasciate il vostro nome e indirizzo. Se saremo costretti a ricercarvi di nostra iniziativa, vi saranno addebitate le spese.
— Sarò responsabile di fatti ben più gravi — brontolò Reich.
— Si trattasse solo di questo! — Si calò sotto un fitto cespuglio fiorito e attese, con il disgregatore pronto a scattare. Allora comprese perché aveva deciso d’intrufolarsi in tal modo. La ragazza che aveva risposto al telefono attraversò di corsa il giardino dirigendosi alla Cavalletta. Reich attese. Nessun altro uscì dalla casa. La ragazza si girò verso di lui prima ancora di averlo udito. Una esper, evidentemente. Fece scattare la leva alla posizione di morte, ma l’istinto lo fermò di nuovo. Uccidi la ragazza in casa. Mettile addosso qualche bulbo esplosivo in modo che Powell caschi nella trappola. La paralizzò con il disgregatore, poi la prese per un braccio. In casa, Reich scorse nel salotto un lungo divano in stile moderno e vi adagiò la ragazza. Lei lottava contro di lui con tutte le sue energie tranne che con quelle del suo corpo paralizzato. Egli ebbe un ghigno selvaggio, si chinò e la baciò sulla bocca, poi la imbavagliò.
— I miei rispetti a Powell — disse alzando il disgregatore.
Qualcuno l’osservava.
Lanciò un rapido sguardo intorno al salotto. Non c’era nessuno. Si volse di nuovo alla ragazza. — Siete voi che mi date questa impressione con la vostra telepatia, esper? — Poi alzò l’arma. L’abbassò di nuovo.
Qualcuno lo stava osservando.
Questa volta Reich esplorò il salotto, guardando sotto le sedie, dentro gli armadi; perlustrò anche la cucina e il bagno. Nessuno. Ritornò in salotto, da Mary Noyes, poi pensò di salire al piano superiore. Si diresse alle scale, cominciò a salire, e si fermò con un piede a mezz’aria.
Qualcuno lo stava osservando. Si volse e la vide.
Lei era alla sommità delle scale, inginocchiata a scrutare attraverso le sbarre della ringhiera. Era vestita come una bambina, con un aderente pagliaccetto, i capelli ravviati all’indietro e raccolti con un nastro. Barbara D’Courtney.
— Sono Baba — disse.
Reich, tremante, le fece un lieve cenno. Lei discese le scale tenendosi cautamente aggrappata alla ringhiera.
— Non dovrei farlo — disse. — Sei un amico di papà?
Reich sospirò. — Io…
— Papà è dovuto andar via — cinguettò — ma torna subito. Se sarò buona mi porterà un regalo. Cerco di esserlo ma è terribilmente difficile. Tu sei buono?
— Torna subito vostro padre?
Lei annuì. — Hai baciato zia Mary. L’ho visto. Papà bacia me. Mi piace. A zia Mary piace? — Gli prese una mano fiduciosamente. — Quando divento grande sposo papà. Tu hai una bambina?
Reich scosse Barbara e la fissò in viso. — Credete che io mi lasci abbindolare così facilmente? Che cosa avete detto a Powell?
— È il mio papà — disse lei. — Quando gli chiedo perché il suo nome è differente dal mio prende un’aria strana. Tu come ti chiami?
— Credete di farvi beffe di me con questa commedia? Rispondetemi! Che cosa gli avete raccontato?
Lei incominciò a piangere, cercando di liberarsi dalla sua stretta. — Lasciatemi andare!
Reich la trascinò verso il divano dove Mary Noyes giaceva ancora paralizzata. Gettò la ragazza accanto a lei e di nuovo arretrò con l’arma spianata. D’improvviso la ragazza si drizzò in ascolto. Il suo viso perse quell’espressione infantile per contrarsi in una rigida smorfia. Balzò dal divano, si mise a correre, si arrestò di scatto, poi fece l’atto di aprire una porta. Si lanciò in avanti, i biondi capelli ondeggianti, gli oscuri occhi dilatati dal terrore… un improvviso bagliore di selvaggia bellezza.
— Papà! — gridò. — In nome di Dio! Papà!
Reich ebbe un tuffo al cuore. La ragazza correva verso di lui. Lui si tese in avanti per afferrarla. Lei fece un balzo a sinistra.
— No! — gridò. — No! Papà!
Reich l’afferrò mentre si divincolava e gridava. La ragazza s’irrigidì di colpo e si tappò le orecchie. Reich fu nella camera delle orchidee. Udì l’esplosione e vide sangue e materia cerebrale colare dal cranio di D’Courtney. La vide accasciarsi sul corpo immobile.
Reich ansimò e si batté insieme le nocche delle dita fino a farsi male, per riscuotersi. Non aveva mai previsto la possibilità di avere un testimone. Dannato Gus T8! Un momento. Non si trovava in casa Beaumont. Si trovava…
— Hudson Ramp numero 33 — lo informò Powell dalla porta di ingresso.
Reich si girò di scatto, alzò il disgregatore.
— Non ci provate — lo ammonì seccamente Powell.
— Figlio di un cane — urlò Reich. — Maledetta telespia!
Powell si curvò a sinistra, poi a destra, e diresse un vigoroso flusso di energia telepatica verso l’ulna di Reich. L’arma cadde a terra. Reich cercò di sostenersi vacillando, aggrappandosi, cozzando dappertutto. Powell lo colpì con tre colpi fulminei — nuca, addome, basso ventre — che ebbero l’effetto di una paralisi alla spina dorsale. Reich s’accasciò al suolo, contorcendo il viso per la nausea, il naso sanguinante.
— Credete di sapervi battere duramente, ma non ci riuscite — brontolò Powell. S’avvicinò a Barbara D’Courtney, ancora stesa sul pavimento e l’aiutò ad alzarsi. — Tutto bene, Barbara?
— Ciao, papà. Ho fatto un brutto sogno.
— Sono stato io a provocarlo. Si trattava di una prova necessaria per questa mia grande bambina.
— Dammi un bacio.
La baciò in fronte. — Stai crescendo in fretta — disse con un sorriso. — Solo ieri balbettavi come una bambina piccola.
— Sto crescendo in fretta perché tu hai promesso di aiutarmi.
— Si, l’ho promesso, Barbara. Puoi salire in camera tua da sola o ti ci devo portare io come ieri?
— Ci vado da sola.
S’aggrappò fermamente alla ringhiera e cominciò a salire. Prima di raggiungere l’ultimo scalino si volse a Reich e gli mostrò la lingua, poi scomparve.
Powell s’accostò a Mary Noyes, le tolse il bavaglio e le tastò il polso.
— Prima posizione — disse a Reich. — Doloroso, ma fra un’ora si sarà rimessa. Dovrei farvela pagare, ma a che servirebbe? Non imparereste la lezione. Non siete proprio buono a nulla.
— Uccidetemi — mugolò Reich contorcendosi. — Uccidetemi o fatemi rialzare e, per Dio, sarò io a uccidervi!
Powell raccolse il disgregatore. — Provate a flettere un poco i muscoli. Questa paralisi non dovrebbe durare più di pochi secondi. — Si sedette con l’arma sulle ginocchia. — Avete fatto fiasco decisamente. Ero uscito di casa da soli cinque minuti quando mi sono accorto che la storia di Chooka era una frottola. Naturalmente gliel’avete suggerita voi.
— Voi siete pieno di frottole! — urlò Reich — voi e i vostri principi morali!
— Chooka ha detto che si trattava dell’arma che uccise D’Courtney — continuò Powell imperturbabile. — È vero, ma lei non poteva saperlo. Così me ne sono tornato indietro.
Reich si rialzò con grande sforzo, ansimando orribilmente.
D’improvviso infilò una mano in tasca ed estrasse la scatola di bulbi esplosivi. Powell s’inarcò e sferrò un violento calcio nello stomaco a Reich.
I proiettili schizzarono lontano. Reich s’accasciò su un divano.
— Quando imparerete che non si può prendere di sorpresa una telespia? — disse Powell. Si avvicinò alla scatola e la raccolse. — Un intero arsenale oggi, vero? Vi state comportando più come un individuo ricercato che come un uomo libero. Notate bene che ho detto libero, non innocente.
— Libero per quanto tempo? — disse Reich tra i denti. — Neppur io ho mai parlato d’innocenza. Ma libero per quanto tempo?
— Avevo tutti gli elementi per istruire un processo fatale per voi. Ogni particolare era esatto. L’ho controllato anche ora, quando ho captato i vostri pensieri in presenza di Barbara. C’è stata un’unica lacuna che mi ha respinto in alto mare. Siete libero, Reich. Il vostro caso è stato archiviato.
Reich spalancò tanto d’occhi. — Archiviato il mio caso?
— Potete deporre le armi, Reich, nessuno vi darà delle noie.
— Questo è un altro dei vostri stratagemmi da telespia!
— Vi spiegherò tutto allora. So ogni cosa di voi. So quanto avete offerto a Gus T8… Che cosa avete promesso a Jerry Church… Dove avete pescato quel gioco della Sardina… Come avete usato le capsule Rhodopsin di Wilson 1/4 Maine… Come avete scaricato la pistola per crearvi un alibi e come poi l’avete ricaricata con acqua. Fin qui gli anelli della catena si saldano completamente. Metodo e opportunità. Ma rimaneva la lacuna del movente. La Corte esige che il movente sia dimostrato con prove obiettive e io non ho potuto produrle.
— Voi mentite!
— Potrei accusarvi di violazione di domicilio e tentato omicidio, ma è un’accusa insufficiente e probabilmente riuscireste a scaricarvene. I miei soli testimoni sarebbero una telespia e una ragazza ammalata.
— Devo credervi? Non avete nessun elemento, Powell. Vi ho battuto su tutta la linea. Ecco perché ora cercate di prendermi in trappola. — Reich si interruppe di colpo. — Questa è probabilmente la trappola più pericolosa e io ci sono caduto. Che dannato idiota.
— State zitto — sbottò Powell — quando vi agitate così non riesco a captare un bel niente!
Powell si concentrò su Reich poi il suo viso impallidì. — Ecco! Peetcy aveva ragione. Movente passionale e noi pensavamo che si divertisse a dir sciocchezze. L’immagine di Reich e di Barbara unite come due fratelli siamesi… Il senso di colpevolezza di D’Courtney. Non c’è da stupirsi se Reich non poté uccidere me e Barbara da Chooka… Ma il delitto non ha più importanza ora. La cosa è ben più profonda e più pericolosa di quel che io abbia mai immaginato.
S’interruppe, si volse e fissò Reich con occhi fiammeggianti. — Ma sapete fino a che punto siete pericoloso? Sa un flagello di essere letale? La morte è cosciente di essere morte?
Reich stralunò gli occhi in viso a Powell, sconvolto.
— Perché chiederlo a voi? — mormorò Powell. — Voi non sapete di che cosa sto parlando. Non lo saprete mai.
Si accostò al bar, riempì due coppe di brandy e le fece trangugiare a Reich una dopo l’altra. Reich s’ingozzò e sputacchiò rabbiosamente.
— Sappiate questo — disse Powell. — Il processo contro di voi è chiuso a causa di questi tranelli, di queste insidie in cui cadete. Se avessi conosciuto prima la loro esistenza avrei infranto i miei principi e vi avrei ucciso.
Reich smise di sputacchiare.
— Quando avete offerto la fusione a D’Courtney egli vi rispose WWHG, che significa accetto. Non avevate ragione di ucciderlo. Questa era la nostra lacuna!
Reich impallidì. — WWHG: rifiuto.
— No, accetto. Quando lo seppi mi resi conto che non avrei potuto chiedere la vostra condanna. Ma non sono io l’uomo che vi insidia, che tenta di uccidervi. C’è un altro che tenta di uccidervi perché sa che siete sfuggito alla disintegrazione. Lui ha sempre saputo quanto io ho scoperto solo ora: che voi siete una spaventosa minaccia per tutto il nostro futuro.
Reich si alzò a fatica dal divano. — Chi è? Chi è?
— Il vostro antico nemico, Reich. Non riuscirete mai a sfuggirgli… a nascondervi… e io spero che non riuscirete mai a mettervi in salvo.
— Chi è?
— L’Uomo senza Volto.
Reich gli volse le spalle e uscì barcollando dalla casa.
Devi pensare. Che cosa ti è accaduto? Perché non pensi?
Paura, Tensione…
Mentiva. Una gigantesca trappola. WWHG: rifiuto. Ma perché mentiva? A che gli può servire?
…Ansietà, cominciano già.
L’Uomo senza Volto. Breen potrebbe averlo raccontato a Powell. Anche Gus 18. Pensaci!
Paura…
Non c’è nessun Uomo senza Volto. Si tratta solo di un incubo.
Tensione…
E i tranelli, allora? Ero nelle sue mani: perché non l’ha fatta finita con me? E mi ha detto che sono libero. Che cosa medita? Pensaci!
Ansietà…
È il tuo nemico. Non riuscirai mai a sfuggirgli… a nasconderti… a metterti in salvo… No, non è l’Uomo senza Volto. È Powell!
Una mano gli toccò la spalla.
— Signor Reich?
Reich si rese conto che pioveva a dirotto. Giaceva su un fianco, le ginocchia piegate, fradicio, tremante di freddo. Si trovava sulla spianata dell’Inlet Bombe. Intorno gli alberi frusciavano, grondanti. Una figura era curva su di lui.
— Chi siete?
— Galen Chervil. Quello della festa di Marie Beaumont. Posso farvi quel famoso favore, signor Reich?
— Non leggetemi nel pensiero, ve ne prego.
— Ma no, signor Reich. Non lo facciamo, d’abitudine… — Il giovane Chervil s’interruppe. — Non sapevo che foste al corrente che ero una telespia.
— Vi conosco tutti, dannati…
— Non parlate così, signor Reich. Mi fate venir voglia di darvi ragione.
Il giovane Chervil lo prese sotto per le ascelle e l’aiutò a rialzarsi, fissando quel suo viso spaventato.
— Siete stato assalito, signor Reich?
— Cosa? No.
— Un incidente, signore?
— No, io… Oh, andatevene all’inferno!
— Certo, signore, ma pensavo aveste bisogno di aiuto e vi devo un favore, ma…
— Tornate qui. — Reich si abbrancò al tronco di un albero, si drizzò in piedi e fissò Chervil con occhi iniettati di sangue. — Siete pronto a farmi qualunque favore?
— Ma certo, signor Reich.
— Il mio problema è il delitto, Chervil. Voglio scoprire chi sta tentando di uccidermi. Mi farete questo favore? Leggerete il pensiero di chi vi indicherò?
— Suppongo che la polizia sia in grado di…
— La polizia? — Reich rise e agitò una mano disperatamente. — Voglio captare il pensiero di un pezzo grosso, Chervil. Il commissario stesso. — Si staccò dall’albero e si avvicinò barcollando a Chervil. — Voglio fare una visitina al mio amico, il commissario Crabbe e fargli un paio di domande. Voglio che voi siate presente per dirmi la verità.
— Ma il commissario potrebbe seccarsi di essere telespiato.
— Non lo saprà — tuonò Reich. — Guardatemi, idiota. Sono distrutto… sono a pezzi… mi hanno assassinato per due terzi! Voglio questo favore. Dite che me lo dovete. Dunque siete disposto a venire con me nell’ufficio di Crabbe e a telespiarlo?
— Sì, signor Reich.
— Una telespia per bene! Che cosa strana. Andiamo.
Reich percorse la spianata alla cieca, come fosse solo un corpo, un corpo appena decapitato. Chervil lo seguì, soggiogato dalla furia che spingeva Reich alla centrale di polizia. Là giunto, Reich riacquistò tutta la sua prepotenza, passò come un fulmine dinanzi a impiegati e guardie e irruppe nell’ufficio tutto ebano e argento del commissario Crabbe.
— Mio Dio, Reich — Crabbe trasecolò. — Sei tu, non è vero?
— Sedetevi, Chervil — disse Reich. Si volse a Crabbe. — Sì, sono io. È la terza volta che per poco non mi fanno fuori, oggi. Questo ragazzo… — Reich indicò Chervil. — Questo ragazzo mi ha trovato sulla spianata dell’Inlet Bombe più morto che vivo. E dov’era quella dannata polizia?
— Che ti fanno fuori, dici? — Crabbe batté un gran colpo sulla sua scrivania. — Ma naturale! Powell è un idiota. Ho detto a Powell che eri innocente. Non ha voluto darmi retta. Anche quando Peetcy ha asserito che tu eri innocente, non ha voluto darsene per inteso.
— Il giudice ha detto che io sono innocente?
— Ma certo. Non c’è in corso nessun processo contro di te. Non andartene, Ben. Voglio parlarti di quell’elezione a senatore del sistema solare…
La porta si aprì e sbatté. Reich barcollò e lottò per riprendere i sensi. Vedeva accanto a sé tre Chervil. — Bene?
— Dice la verità, signor Reich — disse Chervil. — Il Calcolatore Legale d’Accusa ha proibito che si proceda contro di voi per l’assassinio di D’Courtney. Il signor Powell ha dovuto rinunciare al processo e… bene, la sua carriera ne è compromessa gravemente.
— È vero? — Reich lo afferrò per le spalle. — È vero?
— Sì, signor Reich.
— Sono stato assolto?
— Certo, signor Reich. Nessuno vi darà noie di nessun genere. — Reich scoppiò in una tonante risata di trionfo, passò dinanzi a Chervil e uscì dallo studio del commissario, ombra dell’uomo di Neanderthal torreggiante nei corridoi del quartier generale, insozzato di sangue e fango, ridendo e gemendo per lo sforzo di ridere, aggrappandosi a tutte le fiaccate energie della sua antica arroganza.
Rimase per un attimo fermo sui gradini, a contemplare le strade lucide di pioggia… il parco divertimenti al di là della piazza, un ammasso di edifici illuminati sotto un’unica cupola trasparente… i negozi lungo i marciapiedi, tutti luce e brusio, in quell’ora notturna in cui si riaprivano dopo il breve intervallo… i maestosi palazzi del quartiere degli affari sullo sfondo, immani cubi di duecento piani e la fitta rete delle vie sopraelevate che li congiungevano l’uno all’altro… le palpitanti luci delle Cavallette.
— Sarai mio! — affermò solennemente, con un’acuta risata isterica. — Vita, morte, riso, pianto, amore, tutto sarà mio!
Poi i suoi occhi colsero l’alta, malefica figura familiare che attraversava la strada, guardandolo da sopra una spalla. Una figura di nera ombra, raggiante di gioielli — le gocce di pioggia — lo sguardo fisso, minacciosa, muta, terribile…
Un Uomo senza Volto.
Come un albero secco, Reich cadde a terra, piegato in un rigido arco.
Alle nove meno un minuto dieci dei quindici membri del Consiglio della Lega degli Esper si adunarono nell’ufficio di T’sung Hsai. Ecco il verbale della seduta:
Richiesta di Azione di Massa, con Preston Powell quale Canale per il convogliamento dell’Energia Accumulata.
T’sung: Molto onorevole Powell, la vostra richiesta sconvolge questo mio vecchio cervello. Che cosa mai può richiedere l’applicazione di una misura eccezionale e tanto pericolosa?
Powell: Reich sta per divenire un Punto Focale della Galassia… Un fatale gradino tra un sicuro passato e un probabile futuro. In questo momento Reich è impegnato in una possente riorganizzazione delle sue energie. Se riesce a trovare il suo equilibrio prima che io intervenga, egli diverrà immune alla nostra realtà, invulnerabile al nostro attacco: sarà il mortale nemico della nostra Lega e della Logica e Realtà Galattiche.
Akins: Stai certamente esagerando, vero Powell?
Powell: Esaminate con me il quadro della situazione. Osservate come la posizione di Reich si proietti nel tempo e nello spazio. I suoi princìpi non diverranno i princìpi del mondo intero? La sua realtà non diverrà quella del mondo stesso? Non è egli, nella sua critica posizione di potenza, energia e intelligenza, una via sicura per portarci verso la distruzione?
T’sung: È la verità. Cionondimeno questa indegna persona è assai riluttante ad autorizzare l’Azione di Massa. Nei tentativi fatti in passato essa ha invariabilmente provocato la morte del Canale Energetico. Siete troppo prezioso perché possiamo perdervi, Powell.
Powell: Lasciatemi correre il rischio. Reich è uno dei rarissimi uomini che possono sconvolgere l’Universo… Un fanciullo ancora da questo punto di vista, ma prossimo a maturare. E tutta la realtà… gli Esper, i Normali, la Vita, la Terra, le Lune, il Sistema Solare, le Galassie, l’Universo stesso… tutta la Realtà è precariamente sospesa a questo suo risveglio. Non possiamo permettere che egli si risvegli alla Realtà dell’Errore. Io vi pongo questo problema.
Jordan: Tu ci chiedi di votare la tua morte.
Powell: La mia morte probabile contro la morte certa di tutto. Vi pongo il problema.
T’sung: È un’arma a doppio taglio. Non avete nessuna sicurezza che l’applicazione di questa misura avrà successo.
Akins: Lasciamo che Reich si risvegli come vuole. Abbiamo il tempo e la possibilità di attaccarlo a un altro bivio.
Powell: Insisto sul mio punto!
Decisione: La richiesta è accolta.
L’Assemblea viene sciolta.
Lancetta delle ore sulle nove.
Lancetta dei minuti su 0,1.
Lancetta dei secondi su morte.
Powell arrivò a casa mezz’ora dopo. Aveva fatto testamento, aveva pagato tutti i suoi debiti, sistemato ogni cosa. Alla Lega tutti erano rimasti sgomenti. Ci fu sgomento anche quando tornò a casa, perché Mary Noyes colse il quadro della situazione nell’istante stesso in cui egli entrò.
Poche storie, devo farlo!
Ma…
Esiste una possibilità che io sopravviva. Oh, una cosa. Il laboratorio vorrebbe fare un’autopsia del mio cervello se muoio. Il mio corpo dovrebbe esservi portato prima del "rigor mortis". Se non potranno avere il cadavere, cercheranno di avere almeno la testa. Pensaci tu per favore.
Pres!
Scusami. Sarebbe meglio che tu facessi i bagagli e portassi la bambina al Kingston Hospital. Non sarebbe al sicuro qui.
Non è più una bambina. È… Oh, Pres!
Mary gli volse le spalle e corse di sopra lasciando dietro di sé una familiare ondata di sensazioni, miste ora a terrore ora a lacrime. Powell sospirò, poi sorrise quando un’adolescente dal portamento grazioso apparve alla sommità delle scale. A metà scala ella sostò un attimo per lasciargli il tempo di abituarsi ai suoi abiti e ai suoi modi.
— Ebbene, siete il signor Powell, no?
— Sì. Buongiorno Barbara.
— E quale buon vento vi porta questa mattina al nostro piccolo regno? — Continuò a scendere, sfiorando appena lo scorrimano con la punta delle dita: inciampò all’ultimo gradino.
Powell la sostenne.
Lei alzò lo sguardo su di lui. — Voi rimanete qui, per favore. Io scenderò nuovamente dalle scale e scommetto che questa volta ci riuscirò perfettamente.
— Scommetto che non ci riuscirai.
Lei si volse, salì trotterellando, sostò un attimo alla sommità in un atteggiamento aggraziato e incominciò la grande discesa. — Non sono più la bimbetta che ero ieri. Sono cresciuta enormemente. Dovete considerarmi come una donna fatta ora. — Superò l’ultimo gradino e gli rivolse uno sguardo intento. — Va bene?
— Splendidamente, cara.
Improvvisamente Barbara rise, lo spinse verso una sedia e gli saltò in braccio. Powell brontolò.
— Piano, Barbara. Sei cresciuta enormemente e pesi tanto di più.
— Come mai ero convinta che foste mio padre? — domandò lei.
— E che cosa ci sarebbe da ridire se lo fossi?
— Vi sentite come un padre nei miei riguardi? Io non mi sento affatto come una figlia nei vostri riguardi.
— Ah, sì? E come ti senti?
— Io ho fatto la domanda per prima, così voi dovete rispondere per primo.
— I miei sentimenti verso di te sono quelli di un padre affezionato e devoto.
Arrossì di stizza e si alzò dalle sue ginocchia. — Volevo che foste serio perché ho bisogno del vostro consiglio.
— Scusami, Barbara. Che hai?
S’inginocchiò accanto a lui e gli prese una mano. — C’è una grande confusione in me quando penso a voi.
— Sì, lo so.
— E anche voi avete la stessa impressione.
— È vero. È così anche per me.
— È male?
Powell si alzò dalla sedia e cominciò a misurare la camera a grandi passi, con aria triste. — No, Barbara, non è male. Noi due siamo quattro persone: due in te e due in me.
— Perché?
— Sei stata ammalata, tesoro, così abbiamo dovuto farti ritornare bambina e lasciarti crescere di nuovo. Ecco perché in te ci sono due persone. La Barbara adulta interiormente, la bambina, esternamente.
— E voi?
— In me ci sono due adulti. Uno sono io. L’altro è un membro del Consiglio Direttivo della Lega degli Esper.
— Quando non mi sento come una figlia nei vostri riguardi, che cosa mi fa sentire così?
— Non lo so, Barbara.
— Dovete saperlo. Perché non lo dite? — Gli si accostò e gli mise le braccia intorno al collo. Una donna fatta dai modi infantili. — Se io vi amo…
Benone pensò Powell disperato. Ricordi Gally Chervil? Tocca a te ora. Che cosa farai ora? Riconoscerai la verità?
Sì. La risposta gli venne dalle scale. Mary stava scendendo con una valigia in mano. Ammetti la verità.
Non è una esper.
Dimenticalo. È una donna innamorata di te. Tu sei innamorato di lei. In nome di Dio, non sciupare quest’occasione.
Un’occasione che condurrebbe dove? A una breve vicenda se pure riesco a uscir vivo da questo pasticcio! È tutto quello che potrebbe esserci tra noi.
Ti sarà grata anche solo di questa speranza. Domandalo a me. Io lo so bene.
E se non esco vivo? Non le resterebbe altro che la vaga memoria di un mezzo amore.
Powell rise. — Bambina mia! Che cosa ti fa pensare che io ti voglia bene in questo modo? Non è così. Non lo è mai stato.
— Sì che lo è.
— Guarda me. Guarda Mary. Sei cresciuta, non è vero? Non riesci a capire?
In nome di Dio, Pres!
Scusa, Mary, ho dovuto servirmi di te.
Sto preparandomi a dirti addio, forse per sempre. Non è già abbastanza triste per me, questo?
Barbara fissò Mary. Poi Powell. Scoppiò in lacrime e disse singhiozzando: — Oh, andate via! Perché andate via?
— Sì, andiamo via, Barbara! — disse Mary.
Prese il braccio della ragazza e la condusse verso la porta.
— C’è una Cavalletta che aspetta, Mary.
Ci sono io che aspetto, Pres. Aspetto te, sempre. E ci sono i Chervil, gli Akins, i Jordan e…
Lo so. Voglio bene a tutti voi. Baci. Benedizioni.
Rimase sulla soglia seguendo con lo sguardo la Cavalletta che spariva nel cielo azzurro-acciaio, in direzione del Kingston Hospital. Era esausto. Si sentiva vagamente orgoglioso di se stesso per aver compiuto il sacrificio, ma nello stesso tempo si vergognava profondamente del fatto di sentirsi orgoglioso e lucidamente malinconico. Vedere dinanzi a sé l’immensa città, brulicante di quattordici milioni e mezzo di abitanti, e non c’era una sola anima per lui.
Il primo impulso venne, un sottile zampillo d’energia latente. L’avvertì distintamente e gettò un’occhiata al suo orologio. Dieci e venti. Così presto? Meglio prepararsi.
Rientrò in casa e salì in camera sua. La sua psiche cominciava a palpitare e vibrare mentre egli si curvava in se stesso a raccogliere quei minuscoli rivoli d’energia latente. Si cambiò d’abito, equipaggiandosi per qualsiasi tempo, e…
L’energia gli giungeva a torrenti, ora: un mare agitato di massa energetica fluiva in Powell.
Uscì di casa, vagabondò per le strade cieco, sordo, insensibile, immerso in quella massa ribollente di latente energia, come un veliero sorpreso da un tifone che lotta per trasformare il turbine che lo squassa in vento benefico che lo sospinga in salvo. Così Powell lottava per assorbire quel pauroso torrente, per accumulare quell’energia latente, per convogliarla in un’azione efficace e servirsene per la Disintegrazione di Reich prima che fosse troppo tardi.
Distruggete il labirinto.
Demolite il dedalo.
Annullate.
Demolite.
Infinito zero. Non c’è…
— Che cosa non c’è? — urlò Reich. Lottò per liberarsi dalle coperte e dalle mani che lo trattenevano. — Che cosa non c’è?
— Non ci saranno più incubi — disse una ragazza.
Reich aprì gli occhi. Si trovava in un letto di foggia antiquata. Con lenzuola e coperte all’antica. Duffy Wigs, fresca e candida, tentò di farlo appoggiare ai guanciali.
— Ero sveglio — disse egli gravemente. — Ho udito… non so che cosa ho udito. Infinito e zero. Cose importanti. Poi mi sono addormentato.
— Vi sbagliate — disse Duffy sorridendo. — Ora siete sveglio.
— Sono addormentato! — gridò Reich. — Mi devo svegliare, Duffy, devo ritornare alla realtà!
Duffy si chinò su di lui e lo baciò forte sulla bocca. — Che ne dite? Vi sembra reale?
— Non capisco. Ho avuto tante allucinazioni. Debbo riprendere il mio equilibrio prima che sia troppo tardi.
Duffy alzò vivamente le mani. — Anzitutto quel dannato dottore vi ha trovato svenuto, poi ha giurato che vi eravate rimesso… e ora guardatevi: psicopatico!
— Chi mi ha trovato svenuto?
— Rocky Martin. Un dottore mio amico. Di fronte al Comando di Polizia.
— E voi mi avete portato qui?
— Certo. Era il solo modo che avevo per offrirvi ospitalità nel mio letto.
Reich scoppiò in una risata. — Non mi avevate chiesto una volta che mi occupassi di voi per aprirvi una strada in società?
— Pensavo che vi avrei incontrato gente migliore.
— Ditemi che strada volete percorrere e l’avrete. Volete una strada da qui a Marte? L’avrete. Volete che trasformi l’intero Sistema Solare in una strada per voi?
— Carissimo, così modesto e così ubriaco.
— Ubriaco? Certo che ho bevuto.
Reich mise le gambe fuori dal letto e si rizzò in piedi, barcollando un poco, le mise un braccio attorno alla vita per sostenersi. — Perché non dovrei aver bevuto? Ho battuto D’Courtney. Ho battuto Powell. Ho davanti a me sessant’anni per dominare l’intero universo. Vi piacerebbe fondare una dinastia con me, Duffy?
— Non saprei come comportarmi, per fondare una dinastia.
— Cominciate con Ben Reich, per prima cosa sposatelo, poi…
— È abbastanza. Quando incominciamo?
— Poi metterete al mondo dei figli e vedrete Ben Reich impadronirsi della D’Courtney e fonderla con la Sacramento. Vedrete i suoi nemici cadere… così — Reich sferrò un calcio contro la gamba di una tavola da toilette di legno intagliato. Questa si sfasciò. — La Case Umbrel di Venere. Spacciata!
Reich sferrò un pugno su un tavolino da notte scolpito, e lo abbatté. La United Transaction di Marte. Stritolata e divorata. La GCI Combine di Ganimede, Callisto e Io. La Chemical Atomical di Titano… e poi la minutaglia: la Lega degli Esper, i moralisti, i patrioti… Spacciati! — Rovesciò un nudo marmoreo dal suo piedestallo che andò in pezzi.
— Siate furbo, signor Reich! — Duffy gli si appese al collo. — Perché sprecate tutte queste energie?
Egli la sollevò tra le braccia e la strinse fino a farla gridare. — Alcune parti del Sistema saranno dolci come te, Duffy, altre insopportabilmente nauseanti… Ma io le ingollerò tutte. — Scoppiò in una risata e la premette forte contro di sé. — Sconvolgeremo il mondo intero, Duffy, e lo ricostruiremo a nostro piacimento. Tu, io e la nostra dinastia.
La portò accanto alla finestra, scostò le cortine. Fuori la città era avvolta in un’oscurità vellutata. Solo le vie del cielo e le strade palpitavano di luce e qua e là gli occhi scarlatti di una Cavalletta foravano il buio.
— Voi là fuori! — Reich tuonò. — Potete udirmi? Tutti voi che state dormendo e sognando: d’ora in poi i miei sogni saranno i vostri.
Si aggrappò all’intelaiatura della finestra e sporse la testa nel buio, torcendo il collo per guardare più in alto. Quando si ritrasse, la sua faccia aveva un’espressione delusa.
— Voglio urlarlo alle stelle — disse. — Ma non ci sono, stanotte.
Duffy lo guardò incuriosita. — Che cosa non ci sarebbe?
— Le stelle. Dai un’occhiata in cielo. C’è solo la luna.
— Ma sempre è così! — disse Duffy.
— Ma no! Dove sono le stelle?
— Che stelle?
— Come diavolo posso sapere tutti i loro nomi? Non sono un astronomo io. Che cosa è accaduto delle stelle?
— Ma che cosa sono queste stelle? — chiese Duffy.
Reich l’afferrò selvaggiamente. — Astri incandescenti e irradianti luce. A migliaia e migliaia brillano nella notte. Che cosa diavolo hai? Non capisci?
Duffiy scosse il capo. Aveva il viso spaventato. — Non so di che cosa parli, Ben. — Egli l’allontanò da sé, andò nel bagno e vi si rinchiuse. Mentre si lavava e vestiva frettolosamente, la udì chiamare al telefono il Kingston Hospital, con voce sommessa.
— Lasciamo pure che si metta a raccontare la storia delle stelle — mormorò Reich, combattuto tra l’ira e il terrore. Ritornò nella stanza. Duffy riattaccò il ricevitore in fretta e furia e si volse a lui. — Aspettate qui — brontolò — vado a chiarire la questione.
— Quale questione?
— Quella delle stelle! — urlò.
Si precipitò in strada. In un vicolo deserto, si fermò e alzò di nuovo lo sguardo. C’era la luna. C’era un vivido punto di luce rossa… Marte. Ce n’era un altro… Giove. Null’altro. Oscurità. Pendeva sul suo capo, misteriosa, terrificante. Cominciò a correre, sempre con lo sguardo verso il cielo. Svoltando all’angolo del vicolo andò a urtare contro una donna. La prese per un braccio e le indicò il cielo. — Guardate! Vedete anche voi quello che vedo io? Le stelle sono scomparse!
— Che cosa è scomparso?
— Le stelle. Non vedete? Sono scomparse.
— Non so di che cosa parliate, siete forse un pilota? Venite, andiamo a ballare. — Le fuggì dalle grinfie e si mise a correre. A metà vicolo c’era una cabina telefonica. Vi entrò e chiamò l’ufficio informazioni.
— Che ne è delle stelle? — chiese Reich. — Quando sono sparite? Ormai il fatto dovrebbe essere stato segnalato. Qual è la spiegazione?
Si udì un lieve scatto, poi silenzio. — Volete ripetere più chiaramente la parola, prego?
— Stella! — urlò Reich. — S-t-e-1-l-a! Stella!
— Sostantivo o verbo?
— Andate al diavolo! Sostantivo.
— Spiacenti di non potervi dare l’informazione: non riusciamo a rintracciare la parola — annunciò la voce lontana.
Reich lanciò un’imprecazione, poi si sforzò di riprendere il dominio di sé. — Dov’è il più vicino Osservatorio?
— L’Osservatorio lunare di Croton Park dista trenta miglia in direzione Nord. Lo potrete raggiungere con il servizio Cavalletta della linea Nord 227. L’Osservatorio lunare fu fondato nell’anno duemila…
Reich riattaccò violentemente il ricevitore. — Impossibile darvi l’informazione? Sono tutti pazzi? — Corse per le strade in cerca di una Cavalletta pubblica. Una gli passò sopra il capo. Reich fece un cenno al conducente. L’apparecchio atterrò per caricarlo a bordo.
— Nord 227 — disse salendo. — L’Osservatorio lunare.
L’apparecchio si mise in moto. Reich si trattenne per cinque minuti, poi cominciò con noncuranza. — Avete notato il cielo?
— Ebbene, signore?
— Le stelle sono scomparse.
Risata compiacente.
— Ma non è uno scherzo — disse Reich. — È vero.
— Se non è uno scherzo, allora spiegatevi — disse il conducente. — Che cosa diavolo sono le stelle?
Prima che Reich avesse il tempo di esplodere, l’apparecchio lo depose nei pressi dell’Osservatorio. Egli sibilò: — Aspettatemi — e attraversò il prato di corsa.
Appena entrato, udì il cupo ronzìo del meccanismo della cupola, e il lieve ticchettìo dell’orologio dell’Osservatorio. La stanza era avvolta in un’oscurità rotta solo dal fioco chiarore dell’orologio luminoso. Riuscì a distinguere l’osservatore, una figura nebulosa, curva sull’oculare del telescopio.
— Sentite — disse Reich a bassa voce. — Spiacente di disturbarvi, ma dovete aver notato il fatto. Che cosa è accaduto? Dove sono le stelle?
La figura si raddrizzò lentamente, si volse a Reich. — Non ci sono stelle — disse. Era l’Uomo senza Volto.
Reich uscì a precipizio, discese i gradini di corsa e attraversò il prato dirigendosi all’apparecchio in attesa. Andò a sbattere contro i cristalli della cabina e cadde. Il conducente lo aiutò a rialzarsi. — Tutto bene, amico?
— Non so — brontolò Reich.
— Non è affar mio, ma penso che fareste bene a consultare una telespia.
Reich prese l’uomo per il bavero. — Sono Ben Reich della Sacramento.
— Vi avevo riconosciuto.
— Bene. Sapete che cosa posso darvi in cambio di un favore? Denaro, un nuovo lavoro, tutto quel che volete…
— Non potete far nulla per me amico, sono già sistemato al Kingston.
— Meglio così. Un individuo onesto, finalmente. Mi volete fare un grande favore?
— Certo, amico.
— Entrate in quell’edificio. Date un’occhiata all’uomo che sta al telescopio. Guardatelo bene. Tornate qui e descrivetemelo.
Il conducente si allontanò, scomparve per cinque minuti, poi tornò e riferì:
— Sui sessanta. Calvo. Faccia segnata da rughe profonde. Orecchie a sventola. Mento sfuggente.
— Non è nessuno… nessuno — mormorò Reich.
— Che cosa?
— Parlavo delle stelle — disse Reich. — Non ne avete davvero mai sentito parlare? Non le avete mai viste? Non sapete a che cosa mi riferisco?
— Non agitatevi troppo, amico. Vi dirò io qualcosa. Mi hanno insegnato tante cose al Kingston, per esempio che qualche volta uno si ficca in mente un’idea assurda. Per esempio che gli uomini abbiano sempre avuto un occhio solo ed ora all’improvviso ne abbiano due.
Reich lo fissò stupito.
— Così ve ne andate in giro urlando: Come mai tutto d’un tratto avete due occhi? e loro rispondono: Ne abbiamo avuti sempre due. E voi dite: Ma no che non li avevate. Mi ricordo benissimo che tutti avevamo un occhio solo. E ci credete, per Dio, e ce ne vuole del tempo per togliervi di mente quell’idea.
Il conducente gli batté un gran colpo sulla spalla. — Mi sembra che vi stia capitando qualcosa di simile a questa faccenda dell’occhio solo.
— Un occhio solo — ripeté Reich. — Due occhi. Paura. Tensione. Ansietà. Cominciano già.
— Come?
— Ho passato dei brutti momenti il mese scorso. Può darsi che abbiate ragione.
— Forse volete stare un po’ qui a sbizzarrirvi in quei vostri discorsi sulle stelle?
— Ma che mi importa delle stelle! Io posseggo il mondo intero. Che m’importa delle poche delusioni che fatalmente tutto questo comporta?
— Avete ragione, amico. Dove andiamo?
— Al Palazzo Reale.
— Come?
Reich rise. — Alla Sacramento — disse e continuò a ridere mentre fendevano il cielo illuminato dal chiarore dell’alba, verso l’alta torre della Sacramento.
Il personale notturno attendeva stancamente la fine del turno 12-8 quando Reich irruppe negli uffici.
S’accostò alla scrivania, subito seguito da segretari e sottosegretari, pronti a sottoporgli il carteggio più urgente.
— Tutto questo può aspettare — disse. — Chiamate a rapporto tutti i Capi Sezione e i Supervisori dell’organizzazione. Devo fare una comunicazione.
Questa era l’unica realtà. Lo squillo dei campanelli, l’eco degli ordini, la rapida apparizione di tanti visi intimoriti nel suo ufficio. Tutto questo non era che un preannuncio del futuro, quando i campanelli avrebbero squillato su tutti i pianeti e i Supervisori dell’organizzazione universale sarebbero accorsi alla sua scrivania con un’espressione di timoroso rispetto sul volto.
— Come tutti voi sapete — cominciò Reich — noi della Sacramento ci siamo sempre battuti con la D’Courtney, finché Craye D’Courtney non è stato ucciso. Ora abbiamo via libera. Possiamo iniziare l’attuazione del piano AA per assorbire la D’Courtney.
Fece una pausa, attendendo di udire l’eccitato mormorio che avrebbe dovuto seguire la sua comunicazione. Non ci fu nessuna risposta.
— Forse — disse — alcuni di voi non afferrano l’entità e l’importanza di questa notizia. Quelli di voi che ora sono ispettori di una città diverranno Ispettori di un Continente. Gli Ispettori di un Continente verranno messi a capo di un Satellite. Quelli che ora sono capi di un Satellite lo saranno di un pianeta. D’ora in poi la Sacramento dominerà il Sistema Solare. D’ora in poi tutti noi dovremo proporzionare i nostri pensieri all’entità del Sistema Solare.
Reich esitò, allarmato dagli sguardi vuoti che si vedeva intorno. Si rivolse al capo segretario. — Che diavolo c’è? Qualche cattiva notizia di cui non sono ancora al corrente?
— N… no, signor Reich.
— Allora? Che cosa avete? Tutti abbiamo atteso questo momento: che cosa c’è che non va?
— Io… n… non ho mai sentito parlare di questa organizzazione, signor Reich. Io… noi… — Il capo segretario gettò un’occhiata intorno come a chiedere aiuto. Dinanzi agli occhi increduli di Reich, tutto il personale scosse il capo in segno di profondo stupore.
— Intendo la D’Courtney di Marte! — gridò Reich.
— Di dove, signore?
— Uno dei dieci pianeti. Il quarto a partire dal Sole: Mercurio, Venere, Terra, Marte. Centoquarantuno milioni di miglia dal Sole: Marte!
Arretrarono un po’. Reich s’accostò di scatto ai segretari e strappò loro di mano il carteggio d’ufficio. — Qui dentro si parla della D’Courtney di Marte. Mio Dio, siamo in lotta con la D’Courtney da ben dieci anni!
Frugò tra le carte. In nessuna di esse si accennava alla D’Courtney e a Marte. Non ricorreva neppure il nome di Venere, di Giove, della Luna o degli altri satelliti. — Ho tutti i miei promemoria nella scrivania — gridò Reich. — Ne ho a centinaia! Mi state giocando qualche tiro…
Aprì i cassetti della scrivania. S’udì una violenta esplosione. Schegge di legno caddero tra il personale, Reich fu sbattuto contro la finestra.
— L’Uomo senza Volto — gridò Reich. Scosse la testa febbrilmente, e ritornò al problema primitivo: — Dove sono gli schedari? Vi mostrerò negli schedari… la D’Courtney e Marte e tutto il resto. E li mostrerò all’Uomo senza Volto.
Si precipitò negli archivi, strappò fuori uno schedario dopo l’altro, sparpagliando fogli, mucchi di piezocristalli, microfilm, coppie molecolari. Non un accenno alla D’Courtney o a Marte. Non un accenno a Venere, a Giove, agli Asteroidi, ai Satelliti.
Tre robusti impiegati all’Ufficio Informazioni entrarono di corsa negli Archivi.
— Calmatevi adesso, signor Reich, calmatevi…
— Andatevenel
— Calmatevi. Va tutto bene, signore.
Poi si ritirarono prudentemente, mentre il brusìo e il mormorìo aumentavano, i campanelli squillavano e voci lontane dicevano: — Chiamate il suo dottore. — Qualcuno chiami il Kingston. — Avete avvertito la Polizia? — No, meglio di no, niente scandali. — Chiamate qualcuno della Sezione Legale. — Non è ancora aperta l’infermeria?
Reich rovesciò gli schedari tra i piedi dei tre robusti impiegati, attraversò di corsa l’ufficio, raggiunse il corridoio esterno e l’ascensore pneumatico dove schiacciò il pulsante 57. La porta si aprì. Egli fece un passo avanti nel vuoto ed avvertì sotto i piedi il contatto della piastra d’acciaio. Poco dopo usciva al cinquantasettesimo piano.
Il Laboratorio della Sacramento era in ombra. Ancora tutto ansimante Reich raggiunse la biblioteca. Accese le luci e si avviò decisamente al Gabinetto delle Consultazioni. Una lamina di cristallo smerigliato, inclinata come un tavolo da disegno, era collocata dinanzi a una poltrona. Un complicato pannello di controllo era sistemato su di un lato.
Reich si sedette e schiacciò il pulsante pronto. Il cristallo s’illuminò, e una voce metallica chiese — Classe? — Reich schiacciò il pulsante scienza. — Sezione?
Reich premette astronomia.
— Problema?
L’Universo.
— Il termine universo nel suo significato fisico si riferisce a tutta la materia esistente.
— Com’è organizzata questa materia?
— La materia dà origine a complessi di grandezza diversa, dal più piccolo atomo alla più vasta entità materiale nota agli astronomi.
— Qual è la più vasta entità materiale nota agli astronomi? — Reich premette il tasto diagramma.
— Il Sole. — Sulla lamina di cristallo apparve una dardeggiante immagine del Sole.
— Ma e gli altri corpi celesti? E le stelle?
— Non ci sono stelle.
— E i pianeti?
— Non ci sono pianeti.
— E la Luna?
— Non ci sono Lune.
Reich trasse un profondo respiro; tremava. — Riproviamo. Ritorniamo al Sole.
Di nuovo l’immagine del Sole apparve sulla lamina di cristallo. — Il Sole è la più grande entità materiale nota agli astronomi — cominciò la voce metallica. Poi d’improvviso si interruppe. L’immagine scolorì, lentamente. La voce parlò di nuovo. — Non c’è neppure il Sole.
L’immagine scomparve, lasciando dietro di sé un’ombra che alzò lo sguardo su Reich… minacciosa, muta… L’Uomo senza Volto.
Reich afferrò la poltrona su cui sedeva e la scaraventò contro quella spaventosa apparizione. Poi si precipitò fuori dalla biblioteca nel corridoio. Giunto all’ascensore pneumatico premette il pulsante strada. La porta si spalancò, egli entrò barcollando, dal cinquantasettesimo piano fu deposto nel salone centrale della Torre della Sacramento.
Era affollata di impiegati che si affrettavano verso i loro uffici. Facendosi strada tra la calca Reich colse sguardi stupiti che si fissavano sul suo viso ferito e sanguinante. Poi si rese conto che dodici guardie in uniforme del servizio speciale della Sacramento gli si stavano avvicinando. Attraversò di corsa il salone, s’infilò in una porta girevole e uscì sul marciapiede. Là s’irrigidì di colpo, come se avesse messo piede in una caldaia di metallo incandescente.
Le vie erano illuminate; le strade sopraelevate palpitavano di improvvisi balenii lassù nel cielo; gli occhi delle Cavallette foravano il buio qua e là; i negozi splendevano… e al di sopra non vi era altro che una nera, profonda, opaca infinità.
— Il Sole! Dov’è il Sole?
Poi la prima guardia uscì per la porta girevole e Reich si infilò sotto un portico fiancheggiato da negozi splendenti e affollati. Al di là del portico c’era l’ingresso di un ascensore pneumatico che conduceva alle vie di traffico sopraelevate. Reich vi entrò, salì di settanta piani. Lassù, sporgente da un lato della Torre della Sacramento, c’era un piccolo parcheggio di macchine con una rampa che conduceva al passaggio aereo. Reich gettò qualche sovrana al guardiano e salì su una macchina. Premette semplicemente un pulsante su cui era scritto: In moto. La macchina si avviò. Ai piedi della salita premette a sinistra. Questo era tutto quel che aveva da fare, voltare la macchina a destra o a sinistra, fermarla, avviarla: il resto era automatico. Inoltre, il traffico delle macchine era limitato esclusivamente alle vie di circolazione celeste. Avrebbe potuto passare ore ed ore a circolare lassù, al di sopra della città.
Volgeva lo sguardo ora dietro, al di sopra della spalla, ora al cielo. Non c’era più il Sole… e la gente continuava tranquillamente a farsi gli affari propri come se non ci fosse mai stato. Si sentì tremare. Era forse un’altra idea fissa, come quella dell’occhio solo?
D’improvviso la macchina rallentò e si fermò. Egli si trovò bloccato lassù, a mezza strada tra la Torre della Sacramento e il Chanin Building.
Reich premette energicamente i pulsanti. Nessuna reazione. Scese, sollevò la parte anteriore e ispezionò l’interno. Poi scorse le guardie, laggiù in fondo alla via, dirette verso di lui di corsa, e comprese. Quelle macchine erano azionate da un sistema di trasmissione di energia. Avevano interrotto il passaggio dell’energia, là al parcheggio, e ora stavano per raggiungerlo.
Reich avanzò barcollando, in direzione del Chanin Building. La via, in quel punto, s’infilava entro l’edificio, formando una galleria fiancheggiata da negozi, ristoranti, teatri… ed anche un’agenzia di viaggi. Avrebbe potuto acquistare un biglietto, entrare in un piccolo siluro a un solo posto, e raggiungere in un baleno il più vicino campo d’aviazione. Ci sarebbe voluto un po’ di tempo perché si potesse riorganizzare e poi avrebbe messo su casa a Parigi.
Girò intorno alla pensilina, passò tra le macchine in corsa ed entrò correndo nell’agenzia. Pareva una banca in miniatura. Il banco era stretto, lo sportello a grata, protetto da uno schermo antifurto di materia plastica. Reich gettò alcune monete d’oro sul banco.
— Un biglietto per Parigi — disse. — Tenete il resto.
— Non esiste un luogo che porti questo nome! — gli fu risposto.
Reich cercò di vedere al di là dell’opaco schermo plastico e scorse… minaccioso, muto, in agguato… l’Uomo senza Volto.
Con le tempie che gli battevano, uscì, correndo alla cieca, nel passaggio aereo, fece un debole tentativo per evitare una macchina che sopravveniva, e venne lanciato in un mare di oscurità…
Abolite:
(Mineralogia, cristallografia, geologia e geografia fisica).
Dimenticate:
(Meteorologia, idrologia e sismologia).
Eliminate:
(Paleontologia, stratigrafia e paleogeografia).
Distruggete:…
Qualcuno gli teneva una mano sopra la bocca. Reich aprì gli occhi.
Si trovava in una piccola stanza dalle pareti a piastrelle, una stazione di polizia. Giaceva su un bianco lettino. Intorno a lui vi erano tre poliziotti in uniforme e altri individui non meglio identificati.
Lo sconosciuto gli tolse la mano dalla bocca. — Tutto bene — disse gentilmente. — Sono un medico.
— Siete una telespia? Ho bisogno di consultare una telespia. Ho bisogno che qualcuno scruti dentro il mio cervello per controllare se tutto va bene.
— Che cosa vuole? — chiese un poliziotto.
— Non so. Ha detto: una telespia. — Il medico si volse di nuovo a Reich. — Che cos’è una telespia?
— Un esper. Un lettore del pensiero. Un…
Il dottore sorrise. — Segno di euforia. Molti pazienti si comportano così dopo un incidente. Definiamo questa reazione umore da galera.
— Sentite — disse Reich esasperato. — Mi chiamo Reich. Ben Reich della Sacramento. Mi conoscete. Voglio fare una confessione. Portatemi da Preston Powell.
— Chi è Powell?
— Che cosa volete confessare?
— Ho ucciso Craye D’Courtney il mese scorso. In casa di Marie Beaumont. Voglio dirlo a Powell.
Gli agenti si guardarono l’un l’altro sbalorditi. Uno di essi andò in un angolo e alzò il ricevitore di un telefono di foggia antica. — Capitano? Abbiamo qui un tipo strano. Dice di essere un certo Ben Reich della Sacramento. Sostiene di aver ucciso un tale Craye D’Courtney il mese scorso. — Dopo una pausa, grugnì e riattaccò. — Pazzo — disse.
— Sentite — cominciò Reich.
— Ma sta bene? — chiese il poliziotto al dottore.
— È solo un po’ scosso.
— Sentite! — urlò Reich.
Il poliziotto lo fece drizzare in piedi e lo spinse verso l’uscita. — Non c’è nessun Preston Powell in servizio. Non sappiamo nulla di questo D’Courtney che avreste assassinato. Ora, fuori di qui. — E gettò Reich nella strada.
Reich vacillò, poi riacquistò l’equilibrio e rimase immobile, inebetito, smarrito. Poche luci ardevano per le strade. I passaggi aerei erano avvolti nell’ombra. Qua e là s’intravedevano fosse profonde.
Cominciò ad avanzare barcollando per le vie interrotte, premendosi le mani sullo stomaco.
— Tassì! — gridò. — Tassì! Cavalletta! Dove sono tutti? Tassì!
Non si vedeva nulla.
— Non c’è nessuno che possa udirmi? Sto male. Ho bisogno di aiuto… Devo andare a casa.
Non si vedeva nulla.
Lanciò un gemito acuto. Poi cominciò a canticchiare stancamente, inutilmente. — Otto, amico, cinque, amico, uno, amico! Tira disse Molla… paura, tensione, ansietà cominciano già!
Afferrò il braccio tremante di T8 e lo costrinse a entrare in casa di Marie Beaumont. Camminando chiamava con voce lamentosa: — Ehi, dove siete tutti? Marie?
T8 emise un singhiozzo isterico. Reich lo scosse rudemente. — Fate la vostra parte, su! In cinque minuti saremo fuori di qui. Allora potrete lamentarvi a piacer vostro.
— Se trovano il corpo prima che usciamo, siamo perduti!
— Chi lo può trovare?
— I guardiani.
— Sono fuori dal mondo.
— I servi.
— Non usciranno dalle cucine prima che il gioco sia finito. Vi assicuro io che in cinque minuti saremo al sicuro.
— Ma se c’imbottigliano qui, non riusciremo a rintracciare la ragazza. E…
— Non rimarremo imbottigliati. — Reich spalancò la porta della sala di proiezione.
— Ehi, dove siete tutti?
Nessuna risposta.
Non c’era nessuna porta, non c’era nessuna sala di proiezione. Egli si trovava in Park Mouth 9, a cercare la casa di Marie Beaumont, il luogo della morte di D’Courtney… e Marie Beaumont, cicalante, avvizzita, rassicurante.
C’era una tundra nera, invece. Una strana desolazione. Nulla.
— In nome di Dio! — gridò. — Dov’è ogni cosa? Smettetela di giocare a questo stupido gioco della Sardina! Ritornate indietro! Riempite lo spazio vuoto!
Da lontano, da quelle lande desolate avanzò una figura… si guardò intorno, minacciosa, muta. L’Uomo senza Volto. Reich lo osservò avvicinarsi, paralizzato.
Poi quella figura nebulosa parlò: — Non c’è spazio. Non c’è nulla.
L’urlo che Reich sentiva era la sua voce; quel martellìo incessante il suo cuore. Stava correndo, correndo a precipizio per uno strano sentiero incavato, senza spazio, senza vita, correndo mentre c’era ancora tempo, tempo, tempo…
Si imbatté in una figura d’ombra nera. Una figura senza volto. Una figura che disse: — Non c’è tempo. Non c’è nulla.
Reich arretrò. Si voltò. Cadde. Si trascinò privo di forze per quell’eterno vuoto, urlando: — Powell! Duffy! Hassop! Quizzard! T8! Church! Dove siete tutti? Per l’amor di Dio!
Ed era faccia a faccia con l’Uomo senza Volto, che disse: — Non esiste Dio. Nulla esiste tranne tu e io.
Reich alzò gli occhi e li fissò nel volto del suo mortale nemico, dell’uomo a cui non poteva sfuggire, il terrore dei suoi incubi, la rovina della sua esistenza.
Era…
Lui stesso.
D’Courtney.
Entrambi.
Due visi fusi in uno solo. Craye D’Courtney. Ben Reich. D’Courtney-Reich.
Non riusciva a emetter suono. Non riusciva a compiere un gesto. Non vi era né tempo né spazio né materia. Non vi era nulla tranne il suo pensiero agonizzante.
Padre?
Figlio.
Tu sei me?
Siamo noi.
Non capisco. Che è accaduto?
Hai perduto la posta, Ben.
Al gioco della Sardina?
No, al gioco del Cosmo.
Ho vinto. Ho dominato il mondo intero.
E per questo hai perduto. Per questo perdiamo.
Che cosa perdiamo?
La sopravvivenza.
Non riesco a capire.
La mia parte di noi capisce, Ben. Anche tu capiresti, se non mi avessi allontanato da te.
Come ho fatto ad allontanarti da me?
Con la tua corruzione.
Tu dici questo, traditore?
Io ho tradito senza passione, Ben. Ho tradito per distruggerti prima che tu potessi distruggere noi, per aiutarti a perdere il mondo e vincere la posta.
Che posta? Di quale gioco cosmico?
L’enigma. Il labirinto. Le Galassie, le Stelle, il Sole, i Pianeti, le Lune… questo era il problema che dovevamo risolvere. Noi eravamo la sola realtà. Tutto il resto era invenzione, balocchi con cui trastullarci, scenari, bambole, pupazzi, passioni fittizie. Era una realtà da burla quella che avremmo dovuto risolvere.
Io l’ho conquistata. Io l’ho posseduta.
Ma non sei riuscito a risolverla. Io non so quale sia la soluzione, ma non è certo furto, terrore, odio, ingordigia, assassinio, rapina. Tu non ci sei riuscito e tutto è stato distrutto, disperso.
Allora che sarà di noi?
Siamo finiti anche noi.
Perché? Chi siamo noi? Che cosa siamo?
Forse che il seme del nostro fittizio universo sapeva chi o che cosa era quando non trovava un terreno fertile in cui germogliare? Forse che lo sperma sapeva chi o che cosa era quando non trovava qualcuno da fecondare? Importa forse chi o che cosa siamo? Siamo falliti. Siamo finiti.
Ma esistevamo!
Forse se avessimo risolto l’enigma, Ben, il mondo avrebbe mantenuto la sua realtà e potremmo essere ancora tra le cose che conoscevamo e amavamo. Ma tutto è finito. La realtà si è mutata in ipotesi e tu ti sei svegliato infine… al nulla.
Torneremo indietro! Tenteremo di nuovo!
Non c’è ritorno. È finita.
Troveremo il modo. Ci deve essere qualcosa…
Non c’è nulla. È finita.
È questa la morte?
Come vi può essere morte quando non vi è mai stata vita? È finita. Noi ci dissolviamo, svaniamo, scompariamo. È…
Finito.
Trovarono i due uomini la mattina seguente nei giardini sovrastanti il vecchio canale di Harlen. Powell era seduto a gambe incrociate sull’erba umida, il viso segnato, il respiro faticoso. Reich era avvolto su se stesso, come un feto, completamente catatonico.
Trasportarono subito Powell a casa sua, nella Hudson Ramp, dove gli scienziati del Laboratorio della Lega si diedero subito da fare attorno a lui e poi si congratularono che per la prima volta nella storia della Lega l’Azione di Massa fosse stata applicata con successo. Non c’era nessuna fretta di occuparsi di Reich. Al momento opportuno, secondo la procedura opportuna, il suo corpo inerte fu trasportato al Kingston Hospital.
Otto giorni dopo Powell si alzò, fece un bagno, si vestì, salutò con riconoscenza le infermiere e uscì. Si fermò un momento da Sucre e Cie e ne uscì con un pacco, e poi proseguì verso il Comando della polizia per fare il suo rapporto al commissario Crabbe.
Passando, fece una capatina nell’ufficio di Son.
Salve, Chas. Peetcy ha dato la sua approvazione circa il movente del delitto D’Courtney?
È andato tutto a meraviglia. Il processo è durato un’ora. Reich andrà alla disintegrazione, ora.
Bene. È meglio che salga e lo dica chiaro e tondo a Crabbe.
Che cos’hai sotto il braccio?
Un regalo.
Per Crabbe?
No, i regali che faccio a lui sono sempre illegali.
Arrivederci.
Powell salì all’ufficio tutto ebano e argento di Crabbe. Crabbe fu corretto, ma freddo. Il caso D’Courtney non aveva certo migliorato i suoi rapporti con Powell.
— Dichiarato colpevole, eh? — disse con tono bellicoso. — Che io sia dannato se mi portate delle prove obiettive…
— Si trattava di un caso eccezionalmente complicato, signore — rispose Powell cortesemente. — Nessuno di noi riusciva a vederci chiaro. Neppure lo stesso Reich sapeva perché avesse ucciso D’Courtney. L’unico che ha afferrato la verità è stato il Calcolatore Legale di Accusa.
— Peetcy? E come ha fatto?
— Quando gli sottoponemmo per la prima volta gli elementi da noi raccolti, Peetcy dichiarò che il movente passionale non era sufficientemente documentato. Noi tutti eravamo convinti che si trattasse di movente economico. Così credeva anche Reich. Sotto questo pretesto la sua coscienza mascherava il vero movente del delitto, che era passionale. Non potremmo sostenere la nostra tesi su un piano obiettivo perché venimmo a sapere che, quando Reich propose a D’Courtney la fusione delle due compagnie, D’Courtney la accettò, ma Reich diede al messaggio cifrato un’interpretazione errata. Doveva accadere così. Reich doveva continuare a credere di voler uccidere D’Courtney per ragioni finanziarie.
— Perché?
— Perché non poteva fronteggiare il vero motivo.
— Qual era?
— D’Courtney era suo padre.
— Come! — esclamò Crabbe sbalordito. — Suo padre? Sua carne e sangue?
— Sì, signore. Tutto era dinanzi ai nostri occhi. Solo che non potevamo capire… perché neppure Reich poteva capire. Quella proprietà su Callisto, ad esempio, quella di cui si servì per allontanare dalla Terra il dottor 1/4 Maine, Reich la ereditò da sua madre, che l’aveva avuta da D’Courtney. Tutti noi eravamo convinti che il padre di Reich l’avesse in un modo o nell’altro sottratta a D’Courtney nel corso di qualche affare e l’avesse intestata a sua moglie. Ci sbagliavamo. D’Courtney l’aveva regalata alla madre di Reich come pegno d’amore alla madre di suo figlio.
Crabbe spalancò la bocca.
— E c’erano anche altri indizi. L’impulso al suicidio di D’Courtney, provocato da un grave complesso di colpa e di abbandono. Aveva ripudiato suo figlio. Quel pensiero lo perseguitava. Ora aggiungete l’immagine, da me intravista nel subcosciente di Barbara D’Courtney, di Ben Reich e di lei stessa uniti come fratelli siamesi. Oscuramente lei sentiva di essergli quasi sorella. Poi, l’incapacità di Ben Reich a uccidere Barbara: anch’egli sapeva la verità, nel profondo del subcosciente. Lui voleva uccidere lo spietato padre che l’aveva ripudiato, ma non riusciva a fare alcun male alla sorella.
— Quando avete scoperto tutto questo?
— Quando Reich mi attaccò per chiarire l’origine dei tranelli di cui era vittima.
— Dannazione, Powell, qualcuno doveva averglieli tesi! E se non voi chi altro?
— Reich stesso, signore!
— Reich?
— Egli uccise suo padre, e con ciò si liberò della sua carica d’odio. Ma la sua coscienza non poteva permettere che il delitto rimanesse impunito. Dal momento che la polizia non riusciva a condannarlo, la sua coscienza stessa entrò in azione. Questo il significato degli incubi di Reich.
— Dell’Uomo senza Volto?
— Sì, commissario. Era il simbolo del reale rapporto che univa Reich a D’Courtney. Non aveva volto perché Reich non poteva accettare la verità. Esso rappresentò dapprima la minaccia della condanna che sarebbe seguita all’esecuzione dei suoi criminosi progetti. Poi si trasformò nella condanna stessa per il delitto compiuto.
— I tranelli?
— Esatto. Reich tese a se stesso quei tranelli senza rendersene conto… in breve fuga dalla realtà cosciente. I trucchi dell’inconscio sono formidabili.
— Ma se Reich stesso non sapeva nulla di tutto questo, come avete fatto a capirlo voi?
— Abbiamo applicato la misura dell’Azione di Massa, signore. È assai difficile da spiegare, ma farò del mio meglio. La psiche di ogni essere umano si compone di energia latente e di energia accumulata. L’energia latente è la nostra riserva, la segreta risorsa naturale della nostra mente. L’energia accumulata è quest’energia latente quando viene chiamata a raccolta e utilizzata per qualche scopo specifico. Moltissimi di noi usano soltanto una minima parte dell’energia latente.
— Capisco.
— Quando la Lega ricorre all’Azione di Massa, ogni esper schiude per così dire la propria psiche e lascia che la sua energia latente fluisca verso un bacino di raccolta. Un solo esper si mette in contatto con il bacino e diviene il canale dell’energia latente. Egli l’accumula in sé e poi la utilizza, e con l’aiuto di essa può compiere cose grandiose… se riesce a controllarla. È un’operazione difficile e pericolosa. Come trovarsi lanciati verso la Luna, insieme a una carica di dinamite… anzi a cavallo di una carica di dinamite.
Crabbe sogghignò d’improvviso. — Mi piacerebbe essere una telespia — disse. — Mi piacerebbe vedere chiaramente l’immagine che vi passa per la testa in questo momento.
— Ma l’avete afferrata perfettamente, signore — sogghignò Powell di rimando.
Per la prima volta un senso d’intesa cordiale si era stabilito tra di loro.
— Era necessario — continuò Powell — mettere Reich faccia a faccia con l’Uomo senza Volto. Era necessario che lui vedesse la verità perché noi potessimo scoprire qual era. Servendomi del bacino di energia latente, ho immesso nel cervello di Reich un’idea fissa tipica di molti malati di mente… l’illusione, cioè, di essere la sola cosa reale in tutto il mondo.
— Ma come, io ho spesso… è davvero tanto tipica?
— È uno dei fondamentali mezzi di evasione mentale. Quando la vita diventa troppo dura per voi, voi cercate rifugio nell’idea che si tratta di un gigantesco trucco. Reich aveva già in sé le radici di questa illusione. Non ho fatto che svilupparle. Sono riuscito a distruggere tutto, per poco non mi sono spezzato nello sforzo… ma alla fine Reich è rimasto solo nel nulla con l’Uomo senza Volto. Allora, poiché non poteva guardare altrove, è stato costretto a guardare quel volto e vi ha visto se stesso e il proprio padre. Una volta raggiunto questo momento, avevamo tutto quanto ci serviva.
Powell prese il suo pacco e si alzò; Crabbe scattò in piedi e lo accompagnò alla porta tenendogli cordialmente una mano sulla spalla.
— Avete compiuto un’impresa formidabile, Powell. Tutto quanto posso dirvi è che deve essere una gran bella cosa essere un esper. Dovete sentirvi tutti molto felici.
Powell si fermò sulla porta. — Sareste felice di vivere in un ospedale, commissario?
— Un ospedale?
— Così viviamo noi esper, tutti noi. Nel reparto psichiatrico. Senza scampo, senza rifugio. Ringraziate il cielo di non essere una telespia, signore. Di vedere l’uomo solo nel suo aspetto esteriore. Ringraziate il cielo di non aver mai visto le passioni, gli odii, le gelosie, le crudeltà, le malattie. Il mondo sarà un luogo meraviglioso quando tutti diventeranno esper, dotati delle adeguate facoltà. Ma fino allora, siate felice di essere cieco.
Uscì dal Comando, salì su una Cavalletta e si fece portare verso nord: al Kingston Hospital. Seduto nella cabina, con il pacco sulle ginocchia, contemplò affascinato la meravigliosa vallata dell’Hudson.
Poi apparve il Kingston Hospital, una vasta distesa di prati, di piscine, di ampie terrazze soleggiate, di campi sportivi, di padiglioni, di cliniche, tutto in uno squisito stile neoclassico. Mentre la Cavalletta planava, Powell riuscì a distinguere le figure dei pazienti e dei sorveglianti che, abbronzati e animati, giocavano e ridevano insieme.
Passò dall’Ufficio Visitatori, chiese dove si trovasse Barbara D’Courtney, e s’incamminò nella direzione che gli fu indicata.
Si videro nello stesso momento, in un vasto spiazzo d’erba fiancheggiato da terrazze di pietra e da luminosi giardini. Lei volò verso di lui, agitando le mani, ed egli si precipitò verso di lei. Poi, mentre si avvicinavano, furono colti entrambi da una specie di timidezza. Si fermarono, a qualche passo di distanza l’uno dall’altra, non osando guardarsi.
— Salve.
— Salve, Barbara. — Pausa. — Andiamo all’ombra.
Si ripararono all’ombra di una terrazza. Powell la guardò con la coda dell’occhio. Era più vivace che mai. E l’espressione da monella — quella che egli credeva fosse semplicemente da attribuirsi agli effetti del déjà éprouvé — era ancora sul suo viso. Lei aveva un’aria inesprimibilmente birichina, allegra, attraente. Ma era una donna fatta, ora. Lui non la conosceva.
— Sarò dimessa questa sera — disse Barbara.
— Lo so.
Si sedettero su una panchina di pietra. Lei gli volse uno sguardo pieno di gravità. — Voglio dirvi quanto vi sia grata.
— Per favore, Barbara. Mi mettete a disagio.
— Davvero?
— Vi conoscevo così bene da bambina, ma ora…
— Ora sono cresciuta di nuovo.
— Sì.
— Dovete approfondire la conoscenza, ora. Vogliamo vederci domani all’ora del tè? Va bene alle cinque? Un invito del tutto confidenziale.
— Sentite — disse Powell disperatamente. — Vi ho aiutato più volte a vestirvi. E vi ho pettinato, e vi ho raccomandato di pulirvi bene i denti.
Lei agitò graziosamente una mano, sorridendogli.
— Vi piaceva il pesce, ma non potevate soffrire l’agnello. Una volta me ne avete ficcato un pezzetto in un occhio.
— È stato tanto tempo fa, signor Powell.
— È stato due settimane fa, signorina D’Courtney.
Si alzò con aria maestosa. — Ma signor Powell! Se insistete su queste calunnie cronologiche… — Si interruppe e lo fissò. L’espressione da monella riapparve sul suo viso. — Cronologiche? — ripeté.
Lui depose il pacco e la prese tra le braccia.
— Signor Powell — mormorò. — Ciao, signor Powell.
— Mio Dio, Barbara-Baba, tesoro. Per un istante ho creduto che parlassi sul serio.
— Ti ricambiavo di tutte le tue cure per farmi crescere bene.
— Sei sempre stata una bambina vendicativa.
— Sei sempre stato un cattivo papà. — Si piegò un poco all’indietro e lo guardò. — Mary Noyes mi ha raccontato. Tutto.
— Davvero?
Barbara annuì. — Aveva ragione. Io sono pronta a tutto.
Lui rise, irradiando intorno a sé una grande ondata di felicità. — Non devi sentirti pronta a nulla. Siediti. Voglio chiederti una cosa.
Barbara sedette.
— Devo ritornare a quella notte.
— In casa Beaumont?
Annuì.
— Non è facile parlarne — bisbigliò lei, tristemente.
— Sarà affare di un minuto. Tu eri a letto, addormentata. Improvvisamente ti svegliasti e ti precipitasti nella camera delle orchidee. Ricordi il resto…
— Ricordo.
— Una domanda. Che grido ti svegliò?
— Lo sai.
Stando al capezzale del letto di Ben Reich, Powell vide i segni della consapevolezza, della pena, in quegli occhi stralunati, balenanti.
Il dottor Johnny Jeems posò una mano sul braccio di Reich. — È un ragazzo pieno di risorse. Abbiamo grandi speranze per lui.
Reich si agitò e si contorse.
— Come riesce l’operazione? — chiese Powell ansiosamente.
— Benissimo. Dovrebbe esser pronto per la rinascita entro un anno.
— È un ragazzo in gamba. Abbiamo bisogno di uomini come lui. Sarebbe stato un gran peccato perderlo.
— Perderlo? — ripeté Jeems, con aria stupita. — E in che modo?
— Tre o quattrocento secoli fa, Johnny, la polizia eliminava gente come Reich. Pena di morte, la chiamavano.
— Ma non ha senso; un uomo che ha il talento e il fegato di sfidare la società è potenzialmente un uomo di valore. Se non lo si liberasse da se stesso e non si sfruttassero i valori che sono in lui al più alto grado… ebbene, ci si renderebbe colpevoli di un criminale spreco di esseri umani.
— Erano molto in gamba in questo genere di sprechi, a quei tempi — disse Powell. Da sotto il braccio trasse il pacchetto. — Questo, per esempio, sarebbe stato definito un mostruoso sentimentalismo verso un rifiuto della società.
Jeems osservò in silenzio, con simpatia, Powell che tendeva il pacco a quanto ancora rimaneva di Reich. — È un regalo per voi, Ben. Prendetelo. — La strana creatura gettò uno sguardo a Powell, poi al regalo. Infine le mani incerte afferrarono il pacco, lacerarono la carta, ne trassero una manciata di magnifici bastoni di zucchero candito, specialità della Sucre et Cie e li ficcarono tra le labbra cascanti.
— Non si può dire che non abbia avuto regali — disse Jeems, accennando ai fiori, ai dischi, alle sculture, alla gabbia di vivacissimi animali provenienti da Venere, alle piante esotiche di Pardi che ricoprivano tavole e scaffali.
— Da parte del commissario Crabbe, dal vecchio T-H, dal dottor Wilson 1/4 Maine — disse Powell, leggendo i biglietti che accompagnavano i vari regali. Tacque un attimo. — Perfino Jeremy Church. Con tutto l’odio che nutriva contro Reich da quando l’aveva fatto espellere dalla Lega degli esper… maledizione, Johnny, è difficile crederci, no?
— Ma no — disse Jeems. — Perché? Un criminale è un malato. Naturale che lo si porti all’ospedale e che gli si mandino regali. In che altro modo si potrebbero trattare i criminali?
— In che altro modo? — ripeté Powell, gentilmente. Dal caos della mente lacerata di Reich uscì un brandello di pensiero: Powell — esper — Powell — amico…
Fu così improvviso, così inaspettato, così pieno di appassionata gratitudine, che Powell afferrò la spalla di Reich e cercò di abbozzare un sorriso, poi dovette voltarsi e correre via, verso il padiglione di Barbara.
Una mente malata era stata salvata. C’erano stati timori e delusioni, il sistema solare, Powell, Barbara e Reich stesso avevano corso un grave pericolo, un vecchio logorato dalle sue stesse colpe, troppo stanco per continuare a vivere, era stato assassinato. Ma una personalità malata era salva, ora. Un giorno tutto il genere umano sarebbe guarito. Fino allora gli esper dovevano guidare, custodire e proteggere un mondo malato di cecità psichica.
Ne valeva la pena?
Senza esitazioni, Powell decise che sì, ne valeva la pena.