Per altri cento passi o più, Mastro Ash non scomparve del tutto. Percepii la sua presenza, e qualche volta perfino lo intravidi che mi camminava accanto, mezzo passo più indietro, quando non tentavo di guardare direttamente verso di lui. Come facessi a vederlo, come facesse lui ad essere presente ed al contempo assente, non lo so. I nostri occhi ricevono una pioggia di fotoni senza massa o carica dalle particelle sciamanti come un bilione di soli… così mi aveva insegnato il Maestro Palaemon, che era quasi cieco. A causa del ricadere di quei fotoni, noi crediamo di vedere un uomo, e talvolta l’uomo che crediamo di vedere può essere illusorio come Mastro Ash o anche di più.
Sentivo con me anche la sua saggezza: era stata una saggezza malinconica ma reale. Mi sorpresi a desiderare che egli fosse stato in grado di accompagnarmi, anche se mi resi conto che questo avrebbe significato che la venuta del ghiaccio era sicura.
— Io sono solo, Mastro Ash — dissi, non osando voltarmi indietro, — quanto, non lo avevo compreso fino ad ora. Anche tu eri solo, credo. Chi era la donna che tu hai chiamato Vine?
Forse immaginai soltanto la sua voce che rispondeva: — La prima donna.
— Meschiane? Sì, la conosco, ed è molto bella. La mia Meschiane era Dorcas, ed anch’io sento la sua mancanza, e quella di tutti gli altri. Quando Thecla divenne parte di me, pensai che non mi sarei mai più sentito solo di nuovo, ma ora essa è talmente parte di me che siamo come una persona sola, e posso sentire la mancanza degli altri. Di Dorcas, di Pia, la ragazza dell’isola, del piccolo Severian, di Drotte e di Roche. Se Eata fosse qui, lo abbraccerei.
«Soprattutto, mi piacerebbe rivedere Valeria. Jolenta era la donna più bella che abbia mai visto, ma nel volto di Valeria c’era qualcosa che mi ha lacerato il cuore. Ero soltanto un ragazzo, credo, anche se allora non mi sembrava così. Strisciai fuori dal buio e mi trovai in un luogo chiamato l’Atrio del Tempo. Alcune Torri… le Torri della famiglia di Valeria… si levavano su tutti i lati di essa, e nel centro c’era un obelisco coperto di meridiane, e, anche se ricordo di aver visto la sua ombra sulla neve, non poteva ricevere la luce del sole per più di due o tre turni di guardia al giorno, perché le torri lo tenevano in ombra la maggior parte della giornata. La tua comprensione è maggiore della mia, Mastro Ash… mi puoi dire perché l’hanno costruito in quel modo?
Il vento che giocava fra le fronde s’impadronì del mio mantello, sollevandomelo dalle spalle. Lo assicurai di nuovo e tirai su il cappuccio.
— Stavo seguendo un cane — ripresi. — Lo chiamavo Triskele, e dicevo, anche a me stesso, che mi apparteneva, anche se non avevo il diritto di tenere un cane. Era un giorno d’inverno quando lo avevo trovato. Stavamo facendo il bucato… lavavamo le lenzuola dei clienti… e lo scarico si era intasato di stracci e garze. Io avevo cercato di evitare quel lavoro, ma Drotte mi ordinò di andare fuori e di sbloccarlo. Il vento era terribilmente freddo, a causa dell’arrivo del tuo ghiaccio, suppongo, anche se allora non lo sapevo… Gli inverni si stavano facendo peggiori ogni anno. E, naturalmente, quando avessi aperto il canale di scolo, ne sarebbe uscita un’ondata di acqua sporca che mi avrebbe bagnato le mani.
«Ero arrabbiato perché ero il più anziano eccetto Drotte e Roche, e ritenevo che quel lavoro avrebbe dovuto essere affidato ad apprendisti più giovani. Stavo cercando di smuovere l’intasamento con un bastone quando lo vidi, dall’altra parte del Vecchio Cortile. I Custodi della Torre dell’Orso avevano tenuto un combattimento privato la notte precedente, credo, e le bestie morte giacevano fuori dal loro portone in attesa del becchino. C’erano un arsinottero ed uno smilodonte e parecchi lupi. Il cane era steso in cima al mucchio. Suppongo fosse stato l’ultimo a morire, e, a giudicare dalle sue ferite, era stato un lupo ad ucciderlo. Naturalmente, non era veramente morto, ma lo sembrava.
«Mi avvicinai per guardarlo… una scusa per smettere quello che stavo facendo in quel momento e per soffiarmi sulle dita. Era rigido e freddo come… ecco, come qualsiasi cosa avessi mai visto. Una volta ho ucciso un toro con la mia spada, e, quando giaceva morto nel suo sangue, sembrava ancora leggermente più vivo di quanto mi fosse apparso Triskele. Comunque, protesi una mano e gli accarezzai la testa. Era grossa come quella di un orso, e gli avevano tagliato gli orecchi in modo che rimanevano solo due piccole punte. Quando lo toccai, aprì gli occhi. Balzai di nuovo dal lato opposto del cortile, e conficcai con tanta forza il bastone nell’intasamento da farlo passare dall’altra parte, perché temevo che Drotte mandasse Roche a vedere cosa stavo facendo.
«Se ci ripenso, era come se avessi già posseduto l’Artiglio, più di un anno prima di averlo veramente. Non posso descrivere l’aspetto di Triskele quando i suoi occhi mi fissarono. Mi toccò il cuore. Non ho mai fatto rivivere gli animali, quando possedevo l’Artiglio, ma del resto non ci ho mai provato. Quando mi trovavo in mezzo a loro, di solito desideravo riuscire ad ucciderne uno in modo da avere qualcosa per mangiare. Adesso non sono più tanto sicuro che uccidere gli animali per mangiare sia una cosa che si debba fare. Ho notato che tu non avevi carne fra le provviste… solo pane, formaggio, vino e frutta secca. Forse che anche il tuo popolo, su qualsiasi mondo esso viva, la pensi alla stessa tua maniera?
Feci una pausa, sperando in una risposta, ma non ne giunse nessuna. Tutte le cime montane erano adesso illuminate dal sole, e non ero più certo se una qualche lieve presenza di Mastro Ash fosse ancora con me o se si trattasse solo della mia ombra.
— Quando avevo l’Artiglio — continuai, — ho scoperto che esso non faceva rivivere coloro che erano morti a causa di azioni umane, anche se è parso che curasse l’uomo scimmia cui avevo tagliato la mano. Dorcas riteneva che fosse perché ero stato io a ferirlo. Non saprei… non ho mai pensato che l’Artiglio sapesse chi era a possederlo, ma forse lo sapeva.
Una voce… non quella di Mastro Ash, bensì una voce che non avevo mai udito prima, mi gridò:
— Buon anno nuovo a te!
Sollevai lo sguardo e vidi, forse a quaranta passi di distanza, un ulano simile a quello che le notule di Hethor avevano ucciso sulla strada della Casa Assoluta. Non sapendo che altro fare, agitai una mano e gridai:
— Allora è Capodanno?
Spronò il suo destriero e mi si avvicinò al galoppo.
— Oggi è mezza estate, l’inizio del nuovo anno. Un anno glorioso per l’Autarca.
Tentai di ricordare una delle frasi che piacevano tanto a Jolenta.
— Il cuore è lo scrigno dei suoi sudditi.
— Ben detto! Io sono Ibar, della Settantottesima Xenagia, e pattuglio questa strada fino a sera, per mia sfortuna.
— Certo è legale usare questa strada.
— Assolutamente. A patto, naturalmente, che tu sia in grado d’identificarti.
— Sì — risposi, — naturalmente. — Mi ero quasi dimenticato il salvacondotto che Mannea aveva scritto per me, ma adesso lo presi e glielo porsi.
Quando ero stato fermato lungo il cammino verso l’Ultima Casa, non ero affatto certo che i soldati che mi avevano interrogato sapessero leggere. Ciascuno di essi aveva fissato il foglio con aria competente, ma poteva darsi che fosse bastato loro il sigillo dell’Ordine e la scrittura chiara e vigorosa, anche se leggermente eccentrica, di Mannea. L’ulano sapeva senza dubbio leggere: potevo scorgere i suoi occhi spostarsi lungo le righe, e, credo, li vidi perfino soffermarsi alle parole “onorevole ricovero”.
Ripiegò con cura la pergamena ma non me la rese.
— Così, sei un servitore delle Pellegrine.
— Sì, ho questo onore.
— Allora stavi pregando. Quando ti ho visto, ho creduto che stessi parlando da solo. Io non apprezzo molto le sciocchezze religiose. Abbiamo lo stendardo della xenagia a portata di mano e l’Autarca ad una certa distanza, e questi sono tutti gli ossequi ed i misteri di cui ho bisogno. Ma ho sentito dire che sono brave donne.
— Io sono credente — replicai annuendo, — forse un po’ più di te. Ma lo sono davvero.
— Sei stato mandato a svolgere un compito per conto loro. Quanti giorni fa?
— Tre.
— Adesso stai tornando al lazzaretto di Media Pars?
— Spero di raggiungerlo prima del tramonto. — Annuii ancora.
— Non ci riuscirai — replicò, scuotendo il capo, e mi porse la pergamena. — Prenditela comoda, questo è il mio consiglio.
Presi la pergamena e la riposi nella mia giberna.
— Stavo viaggiando con un compagno, ma ci siamo separati. Mi chiedo se tu lo abbia visto. — E gli descrissi Mastro Ash, ma l’ulano scosse il capo.
— Terrò gli occhi aperti e gli dirò da che parte sei andato, se lo vedo. Ora… vorresti rispondere ad una mia domanda? Non è ufficiale, quindi, se vuoi, puoi rispondere che non sono fatti miei.
— Risponderò, se posso.
— Cosa farai, quando lascerai le Pellegrine?
Fui preso alquanto alla sprovvista.
— Ecco, non avevo affatto progettato di lasciarle. Un giorno, forse.
— Bene. Tieni a mente la cavalleria leggera. Hai l’aria di un uomo che sa menare le mani, e ci sarai sempre utile. Vivrai due volte di più di quanto riusciresti a vivere in fanteria, e ti divertirai il doppio.
Incitò la sua cavalcatura a proseguire e mi lasciò a riflettere su quanto mi aveva detto. Non ddubitavo che fosse stato serio nel consigliarmi di dormire lungo la strada, ma proprio quella serietà mi spinse ad affrettarmi maggiormente. Ho la fortuna di possedere lunghe gambe, cosicché, quando è necessario, posso camminare con la stessa velocità con cui la maggior parte degli uomini riesce a correre, e me ne servii, abbandonando ogni pensiero circa Mastro Ash ed il mio tormentato passato. Forse una qualche tenue presenza di Mastro Ash continuò ad accompagnarmi, forse essa mi accompagna ancora, ma, se è cosi, temo di non esserne consapevole.
Urth non aveva ancora distolto il volto dal sole quando arrivai alla stretta strada che il soldato morto ed io avevamo imboccato poco prima di una settimana fa. C’era sangue sulla pista, molto più di quanto ne avessi notato in precedenza. Da quanto mi aveva detto l’ulano, avevo temuto che le Pellegrine fossero state accusate di qualche cattiva azione, ma ora mi sentii certo che si riferiva solo al grande afflusso di feriti che erano stati condotti al lazzaretto, e che aveva deciso che mi meritavo una notte di riposo prima di dedicarmi ad accudirli. Una sovrabbondanza di feriti mi avrebbe dato l’occasione di dimostrare a Mannea la mia abilità, e di rendere quindi molto più probabile l’eventualità che Mannea mi accettasse quando avrei offerto di vendere me stesso all’Ordine, se solo fossi riuscito ad imbastire una storia plausibile per giustificare il mio fallimento all’Ultima Casa.
Superata l’ultima svolta della strada, tuttavia, vidi che le cose stavano in modo del tutto differente.
Dove era sorto il lazzaretto, il terreno sembrava essere stato arato da un branco di pazzi, arato e scavato… ed il suo fondo era già divenuto un basso laghetto circondato da alberi infranti.
Fino a quando non scese l’oscurità, camminai avanti e indietro. Stavo cercando qualche traccia dei miei amici ed anche dell’altare che conteneva l’Artiglio. Trovai la mano di un uomo, staccata al polso da un’esplosione: avrebbe potuto appartenere a Melito, o ad Hallvard, oppure all’Asciano o a Winnoc, non avrei saputo dirlo.
Quella notte dormii accanto alla strada. Quando spuntò il giorno, iniziai le mie indagini, e, prima di sera, ero riuscito a localizzare i superstiti, ad una mezza dozzina di leghe dal luogo originale. Passai da un letto all’altro, ma nella maggior parte i feriti erano privi di sensi e con la testa talmente fasciata che non avrei potuto riconoscerli. Era possibile che Ava, Mannea e la Pellegrina che si era seduta su uno sgabello ai piedi del mio letto fossero fra loro, anche se non le trovai.
L’unica donna che riconobbi fu Foila, e questo soltanto perché fu lei a riconoscermi ed a chiamare il mio nome mentre camminavo fra morenti e feriti. Mi avvicinai e tentai d’interrogarla, ma era molto debole e riuscì a dirmi ben poco. L’attacco era giunto senza preavviso, ed aveva fracassato il lazzaretto come un lampo. I suoi ricordi erano tutti riferiti a quanto era accaduto dopo, quando aveva udito le urla che per lungo tempo non avevano attirato nessun soccorritore ed era infine stata tirata fuori da soldati che ne sapevano ben poco di medicina. Promisi che sarei tornato a trovarla, una promessa che non sarei stato in grado di mantenere, e credo lo sapessimo entrambi.
— Ti ricordi quando tutti noi abbiamo raccontato le nostre storie? — mi chiese. — Ci ho pensato.
Risposi che sapevo che lo aveva fatto.
— Voglio dire, mentre ci stavano portando qui. Credo che Melito ed Hallvard e tutti gli altri siano morti. Tu sarai l’unico a ricordare, Severian.
Le assicurai che avrei ricordato sempre.
— Voglio che tu lo dica anche ad altre persone, nei giorni d’inverno o nelle notti in cui non c’è nulla da fare. Ti ricordi le storie?
— La mia terra è la terra dei distanti orizzonti, dell’ampio cielo…
— Sì — annuì, e parve assopirsi.
Ho mantenuto la mia seconda promessa, dapprima copiando le storie sulle pagine bianche che c’erano in fondo al libro marrone, poi riferendole qui, così come le avevo udite in quei lunghi, caldi meriggi.