TRE UOMINI E TRE NIGHTCLUB

Ho trascorso tre sere a parlare coi proprietari di tre club, e ho scoperto tre sfaccettature differenti della stessa città. Venerdì sono andato a trovare Billy Russiter, proprietario dell’elegante Carlton di…


Cole fece una smorfia d’impazienza. Premette il pulsante di scorrimento veloce finché non trovò la parte dell’articolo dedicata al club Anestesia.


…il particolarissimo senso dell’umorismo di Stuart Cole si svela in pieno nel nome del locale e nel suo arredamento. Tutti noi, naturalmente, andiamo al bar per anestetizzarci, per calmare il dolore con l’alcol e con la distrazione di uno spettacolo, per perderci tra la folla. Il club è (o meglio era, prima che quasi tutti i mobili venissero distrutti e la vernice fosse graffiata via) dipinto e arredato in modo da ricordare una corsia d’ospedale. La fila centrale di tavoli è costituita di letti singoli da ospedale, solo che al posto dei materassi ci sono ripiani di legno; qua e là spuntano piedistalli per fleboclisi, armadietti di medicinali, e alle pareti sono appesi diagrammi clinici. Ovviamente, molto dell’effetto, compreso il bianco delle pareti, si perde quando le luci si abbassano e un gruppo attacca a suonare sul piccolo palco…

Stu Cole è un uomo di mezz’età, forse più giovane di quanto non sembri, invecchiato dalle difficoltà della vita e dai molti lavori difficili che ha svolto. Sta perdendo i capelli, e la sua espressione cortese non riesce a nascondere le rughe di preoccupazione.


Cole aggrottò la fronte poi cominciò a leggere l’intervista.


Overview: — Sei giunto qui da New York City, dieci anni fa?

Cole: — Vivevo a New York da otto anni, sì. Però sono nato nella zona costiera. Sono cresciuto a Oakland e Berkeley. Ho una grande affinità con la Costa. Ho sempre sognato San Francisco, ed erano sogni molto vividi!, anche dopo sei anni di residenza a New York. Probabilmente è per questo che sono tornato.

Overview: — Cosa facevi a New York?

Cole: — È una domanda troppo generica. Se vuoi sapere come facevo a sopravvivere, allora… Be’, ho iniziato come checca.

Overview: — Una prostituta di sesso maschile?

Cole: — Già. Volevi un’intervista sincera, giusto? In genere andavo con vecchi gay, ma mi è capitata anche qualche coppia eterosessuale. Io non ero particolarmente gay, ma se mi pagavano riuscivo a cavarmela piuttosto bene. Però era una vita grama. Ho smesso quando un tale mi ha piantato sotto la pioggia, nel cortile dietro una stazione ferroviaria di Queens. Mi ha sbattuto fuori dalla macchina mentre mi stavo rivestendo. Ho vinto una borsa di studio e sono andato all’università.

Overview: — E so che ti sei laureato con la lode ma hai rifiutato la laurea. Perché?

Cole: — Pensavo che la laurea fosse una cosa elitaria, inutile, che serve solo ad allontanarti dall’uomo comune. Io non volevo allontanarmi dall’uomo comune. Mi sono sempre sentito, come dire?… alienato, forse, dalla gente, e questo non ha fatto che accrescere il mio bisogno di appartenere a qualcuno, a qualcosa. Per cui, probabilmente, per tutta la vita ho cercato solo una situazione che mi desse la sicurezza di appartenere. Avevo bisogno di una famiglia. Non ho mai avuto rapporti stretti coi miei genitori. Mia sorella chissà dov’è finita. Adesso, tutto quello che ho è il mio club, e la mia… be’, sì, tutta quanta questa fottuta città.

Overview: — Strano. La gente che abita a San Francisco ha uno spiccatissimo senso di appartenere alla città. Qualcuno è addirittura fanatico su questo punto.

Cole: — Credo di essere fanatico anch’io. Fanatico… Ma non nel senso di pensare o così, o niente. C’è un sacco di gente che dà fuori di testa perché la città è piena di turisti. Per me i turisti fanno parte dell’ambiente. La sopravvivenza della città dipende da loro. Da un certo punto di vista, questa è una città unica perché è terribilmente compressa. Voglio dire, quasi tutti vivono su questa minuscola penisola, su queste colline ripide. Il che significa che le comunità latine e le comunità nere e i filippini e i cinesi e i giapponesi e i gay, gay da per tutto, e gli arabi e gli indiani e i bianchi della media borghesia si sfiorano di continuo, che i diversi ghetti si fondono l’uno nell’altro. Per cui si crea un forte senso di comunità, credo.

Overview: — Avverto una certa incertezza nel tuo modo di parlare, Stu. Sembra quasi che oscilli tra il linguaggio dell’uomo della strada e il linguaggio del laureato…

Cole (ride): — Be’, c’è educazione ed educazione. Per quanto mi riguarda, ho scoperto che l’educazione della strada è più utile. Comunque sì, penso di essere uno strano miscuglio. Ho conosciuto parecchie persone che appartengono a quella che i giornali chiamano malavita, un sacco di artisti e fotografi… Probabilmente cerco solo di entrare a fondo in questa città, in tutte le sue parti. Dieci anni fa, quando ho assunto una marea d’impegni, quando mi sono indebitato fino al collo per dare vita al club, forse cercavo di trovare un terreno neutrale per entrare in contatto con la città nella sua totalità. Per un po’ il club è rimasto identico a tanti altri, ma io avevo bisogno di modificarlo. Ma lo sai che qui vengono i tipi più diversi di persone? Voguer, neo-punk, transessuali, cibernetici, la gente più perbene che uno possa incontrare e i peggiori relitti…

Overview: — Però mi sembra che tu te lo stia cercando, coi programmi che offri. Show multimedia, artisti di cabaret, gruppi soul, gruppi rock, complessi jazz, band da hit parade… E adesso Catz Wailen…

Cole: — Catz la conosco da tanto tempo. All’inizio di ogni decennio è destino che spunti qualcuno come lei. Per ripulire l’atmosfera. Negli anni Sessanta ci sono stati Bob Dylan e Lou Reed e Hendrix, negli anni Settanta Patti Smith, negli anni Ottanta John Lydon…

Overview: — La metti in una compagnia molto illustre.


— Sporco bastardo — mormorò fra sé Cole, e si costrinse a continuare a leggere.


Cole: — Se lo merita di stare in compagnia con gente del genere. È…

Overview: — Qualche anno fa sei spuntato alla ribalta della vita politica cittadina, e poi sei scomparso.

Cole: — Oh, ho scritto qualche petizione, le ho fatte circolare, ho raccolto firme per i referendum, ho pubblicato qualche articolo, ho sostenuto un candidato… Non molto…

Overview: — Però correva voce che volessi presentarti per le elezioni del consiglio comunale.

Cole: — Ho preso in considerazione l’idea e ho concluso che non avevo troppe possibilità. Comunque sì, penso che m’interessino la vita politica e l’amministrazione della città, cose un po’ al di là dell’industria dello spettacolo. Probabilmente m’identifico con San Francisco. I problemi della città sono i miei problemi.

Overview: — Però hai sollevato un certo scandalo quando hai cercato di far passare la proposta che per gli affari di minore importanza si continuasse a usare denaro contante.

Cole: — Gli intrighi dell’Uee spaventano la gente.

Overview: — E di cosa avrebbe paura la gente?

Cole: — Del potere dell’organizzazione. Ci tiene tutti sotto i piedi perché controlla il modo in cui facciamo i nostri affari. E una situazione pericolosa. Prova a immaginare, tanto per fare un esempio, che la criminalità organizzata acquisti il controllo del Tif tramite l’Uee. Dato che tutte le transazioni avvengono per via elettronica, e dato che gli strumenti elettronici si possono comandare anche a distanza, potrebbero impossessarsi illegalmente di denaro, oppure… Ma non credo di dover entrare nei particolari.

Overview: — So che il tuo è uno di quei locali che hanno ricevuto un avvertimento dai vigilantes.

Cole: — Sì. Mi hanno incollato l’avvertimento sulla porta. Mi ci sono volute due ore per tirarlo fuori. Ma si sbagliano. Non è vero che io ho perdonato la prostituzione. Non l’ho nemmeno condannata. La gente è quello che è. Le prostitute esisteranno sempre. Adesso che la prostituzione è una cosa semi-legale, come fumare l’erba, che esiste un sindacato, è tutto molto più sicuro. Questo nuovo puritanesimo è assurdo, uomo. È sospetto.

Overview: — Come sarebbe a dire, sospetto?

Cole: — Sarebbe a dire che quella gente è troppo ben organizzata. Attaccano i vizi che rendono un sacco di soldi, il gioco, la prostituzione, ma non attaccano i nuovi programmi del governo per la distribuzione gratuita della droga, che servono solo a tenere calma una marea di drogati. Penso che lavorino per qualcuno che fa già i soldi col vizio e che vuole farne ancora di più…


Lo schermo si spense. Restò solo la scritta: DEPOSITATE I DOLLARI IN FONDI TIF PER ALTRI DIECI MINUTI. Cole scrollò le spalle e uscì dalla cabina. Tornò al club, riflettendo.

I rumori che provenivano dai bar si alzavano e si abbassavano al suo passaggio. Era una sera dolce, tiepida. Arrivò nei pressi dell’Anestesia. La voce amplificata di Catz echeggiava tra gli edifici tutt’attorno. Cole ripensò alle immagini psi che lei gli aveva trasmesso. Un brivido freddo gli corse lungo la schiena.

Si fermò davanti all’ingresso del club. La band aveva smesso di suonare, per permettere a Catz di recitare una delle sue poesie. Cole restò ad ascoltare la città, ad analizzare i suoni. Guardò, studiò le sue impressioni. Ciò che stava cercando era lì. Era la presenza della città, la Gestalt superiore che armonizzava ogni diversità, la relazione invisibile fra il vetro rotto di una finestra e l’antenna di una limousine, il rapporto insondabile fra l’odore del vino vomitato e il profumo di un negozio di fiorista… La presenza che solo un idiota non avrebbe cercato. Perché comprendendo quella presenza, apprendendone gli attributi, in genere si riusciva a capire se dietro l’angolo era nascosta una gang micidiale, oppure se stava per scoppiare un incendio nel palazzo in cui si abitava. Magari si fuggiva d’improvviso da un certo posto, senza sapere perché; quello lo si scopriva il giorno dopo, leggendo i giornali, E quella presenza era lì, in quel momento. Ma se lo sconosciuto era davvero ciò che Catz diceva…

Poi Cole capì. La presenza era lì dov’era lui, fuori. Ma la personalità, la strana intelligenza che presiedeva ai rumori dell’attività cittadina, era smorzata, quasi assente. Localizzata. Per strada si avvertiva appena. Perché la personalità della città era dentro, racchiusa in un uomo che aspettava nel suo club. Dentro, con un cappello logoro e occhiali a specchio.

Cole annuì fra sé.

“Cercavo di trovare un terreno neutrale per entrare in contatto con la città nella sua totalità.”

Cole entrò nel suo club.

Eccolo lì. Non ebbe nessuna difficoltà a individuare l’uomo con gli occhiali a specchio.

Catz gli stava parlando, vicinissima, come fossero vecchi amici. Cole si fece strada tra la folla, gli occhi puntati sullo sconosciuto. Voleva parlargli, disperatamente; non aveva idea di cosa gli avrebbe detto.

Si fermò a un metro di distanza, fissò la propria immagine riflessa nelle lenti dell’uomo. Catz parlava dolcemente, le labbra vicine all’orecchio dell’uomo; i ritornelli ripetuti all’infinito della disco music impedivano a Cole di udire la voce di Catz. Una dozzina di domande si presentarono all’improvviso nella mente di Cole. Sembravano tutte idiote. Ma voleva chiedere: — Città, dove hai nascosto mia sorella Pearl? È alcolizzata e non la vedo da otto mesi. Credo che sia morta, oppure che si trovi a Oakland. Oakland non è la morte, però è senz’altro il coma. — E poi: — Città, non esiste un posto migliore dell’appartamento di due stanze nel quartiere Mission dove io possa vivere? — E: — Città, perché il mio migliore amico doveva morire sulla statale sotto le ruote di un semirimorchio? Hai qualcosa contro quelli che fanno l’autostop? — E: — Città, perché mi hai fatto comperare questo night-club quando tutti i miei amici mi consigliavano di presentarmi candidato alla carica di consigliere comunale? — Ma Cole non disse nessuna di queste cose. Fissò le lenti a specchio degli occhiali e, assurdamente, gli venne voglia di piangere. Si tolse il grembiale e lo gettò a terra. Per quella sera non l’avrebbe più usato, decise.

Una cameriera si avvicinò a parlare a Città. La disco si abbassò un attimo e Cole udì: — Quelli del tavolo cinque vorrebbero offrirvi da bere, signore. — Città annuì e la seguì nella foresta di giacche di scintiplastic e ghette zebrate verso il tavolo cinque, dove sedevano quattro voguer dall’espressione vacua, disperatamente ansiosi di divertirsi. La donna indossava un vestito di frammenti di vetro, gli uomini abiti trasparenti di plastica intrecciata, con gli orli di neon azzurri e rossi; uomini e donna portavano pennacchi di piume di struzzo e cinture di pelle di leopardo. Quell’estate, era chic vestire animali in via d’estinzione.

Città era a una dozzina di metri dai quattro voguer. Cole lo vide scomparire per un attimo tra la folla. Quando si era infilato nella calca umana, indossava ancora il cappello e l’impermeabile logoro; dieci secondi dopo, riapparve con una scintillante camicia di rete metallica, una fusciacca di seta rossa, ghette di raso giallo, niente cappello, stivaletti a punta di colore scuro, e gli stessi occhiali con la montatura in metallo nero e lenti a specchio.

Catz aveva ragione. Una città camminava fra gli uomini.

Catz restò alle spalle di Città, lo ascoltò parlare con il gruppo al tavolo. Cole non vedeva il viso di Città, ma capiva, dalle espressioni di fascino orripilato dei quattro snob, che Città stava parlando con loro. Catz rideva. Cole si avviò verso il tavolo; e più si avvicinava, più forte diventava la disco music, per quanto lui si allontanasse dagli altoparlanti…

Normalmente, mentre lavorava al banco non sentiva la musica diffusa dagli altoparlanti alti due metri che circondavano la pista da ballo. Aveva imparato a escludere la musica. Chiunque avesse prestato attenzione, per ore e ore, ai soliti brani disco incisi sui nastri da novanta minuti, era destinato a una crisi isterica, oppure al coma. La perfezione meccanica del ritmo incessante, l’evocazione di emozioni senza la minima emozione, l’inesorabilità ipnotica di mille variazioni sugli stessi giri armonici: la sostanza labirintica della paranoia.

Invece, in quel momento Cole ascoltava. La musica lo avvicinava maggiormente a Città.

E più si avvicinava al tavolo, più la musica gli esplodeva nelle orecchie. I quattro voguer si erano alzati, stavano urlando. La voce del nastro ripeteva: GIRATE IN TONDO NON VI DOVETE MAI FERMARE/ATTENTI ALL’UOMO CHE IL RASOIO STA PER AFFILARE/GIRATE IN TONDO NON VI DOVETE MAI FERMARE/ATTENTI AL SUONO DEL RASOIO DA AFFILARE/GIRATE IN TONDO…

Le parole, composte dal computer come la musica, erano tutte lì, si ripetevano sino allo sfumare del brano.

Arrivò al tavolo. Città aveva smesso di parlare coi quattro, li stava osservando. Sotto il suo sguardo, uno dei voguer tolse dallo stivale alto fino al ginocchio un agopugnale e lo infilò nel petto sgargiante di un altro voguer. Il destinatario di quel dono freddo e sottilissimo tremò e urlò e cadde all’indietro, precipitò su un altro voguer che stava tentando di violentare la moglie dell’uomo che aveva estratto l’agopugnale. La donna martellava la testa e le spalle dello stupratore con una bottiglia di gomma. Catz e i clienti guardavano, sogghignando. Con espressione leggermente seccata, Rich il buttafuori mise fine alla scena scaraventando all’esterno tutti e quattro.

Città si girò verso Cole. Non indossava più quegli abiti scintillanti: adesso portava un completo nero con camicia bianca e cravatta blu, come Cole. Città s’avviò alla porta. Cole lo seguì senza fare domande, senza esitare un solo istante. Catz fece segno alla band di chiudere lo spettacolo con qualche brano strumentale e uscì con loro.

Quando Città arrivò sul marciapiede, si verificò un incidente fra cinque auto, come se il traffico si prostrasse davanti a lui nella genuflessione del metallo lacerato. Un frammento di paraurti cromato sfiorò la testa di Cole, andò a seppellirsi nella parete di mattoni. Nella notte esplodeva l’elettricità della tensione urbana. Città guardò il groviglio di automobili, annuì, s’incamminò. Passando sui corpi dei quattro voguer che continuavano a lottare e a sanguinare sul marciapiedi, Catz e Cole seguirono Città. Si tennero dietro di lui, sulla sua sinistra, guardandolo dall’angolo degli occhi.

Alle loro spalle, un furgoncino Ford Stomper azzurro, una Volkswagen gialla thug, una Ford Falcon color oro del ’69, una Lincoln Continental bianca a elettricità e un maggiolino Vw rosso erano aggrovigliate inestricabilmente, giunte a quel matrimonio mortale da cinque direzioni diverse: un pentagramma di metallo contorto, gomme ridotte a brandelli, benzina che s’incendiava, frammenti di vetro e carne tinta di rosso.

Dal petto di Città, come costante sottofondo, usciva la musica del nastro disco, idiota, interminabile, ripetitiva, una cianografia audio della topografia urbana.

La musica composta dal computer echeggiava fra i muri e faceva tremare le vetrine dei negozi e strappò un sospiro a Cole. Catz fischiettava al ritmo della disco, saltellava, tirava calci ai bidoni della spazzatura.

Cole sussurrò a Catz, che adesso canticchiava e stava chiudendo la cerniera lampo della giacca di pelle nera: — Cos’ha detto ai voguer da renderli così furibondi?

Lei rise. — All’uomo col coltello ha detto che il suo migliore amico, quello che è stato pugnalato, fa l’amore con sua moglie. L’uomo col coltello ha colpito il suo migliore amico perché sono amanti, e quindi avrebbe dovuto andare a letto soltanto con lui, e invece lo ha tradito con sua moglie.

— Ho afferrato l’idea. E il violentatore?

— Il violentatore era fratello della vittima. È tutta una vita che desidera la sorella. Città gli ha spiegato che la sorella ha avuto rapporti col fratello maggiore ma che lui la disgusta, e che continua a prenderlo per il naso e si diverte un mondo a vedere quanto lui la desideri, ma non gli permetterebbe mai di toccarla.

— E loro hanno capito che era la verità. Non hanno mai messo in dubbio la sua parola.

— No, non l’hanno messa in dubbio. Città è indiscutibile come una nube di temporale. Tu dubiti di lui?

— No. Sono qui, non vedi? Ma dove stiamo andando? Perché lui è qui stasera? Perché si è incarnato tra di noi? E come ha fatto?

— Vuole conoscersi dall’esterno. Un motivo abbastanza naturale. Si sta studiando, prova i riflessi, indaga, assapora, e si difende. Come? L’inconscio collettivo ha posseduto e trasmutato un uomo. Lui rende tutto vero, risolve tensioni, dà un senso ai drammi della vita portando i destini al loro epilogo.

— Parli per enigmi solo per tormentarmi. Ti piace vedermi confuso, Catz.

Lieto di conoscerti, sai come mi chiamo?/Confonderti è la natura del gioco che amo.

Era il momento più intenso della sera di sabato. Tutti camminavano verso una loro destinazione, e con gli occhi della mente vedevano solo quella destinazione, e ben poco d’altro. Le destinazioni sono come carote che danzano davanti agli occhi dei somari. Così, nessuno si accorse che Città emetteva disco music senza avere una radio o un registratore.

In lontananza, i lineamenti severi delle strade convergevano in una patina di veli ammalianti, rifrazioni di luci al neon, di insegne, di lampioni, di metallo; scintillii diffusi in una nube di fumo di sigarette, vapori che uscivano da tombini, e ossido di carbonio.

Il vento tiepido recava odori di cibo e di rifiuti. Cole si sentiva male.

Ed era nervoso. La città gli sembrava vivida in modo innaturale: i suoi suoni; i ragazzi che fischiavano, gli stantuffi che gemevano, le macchine che ansavano. Tutto troppo forte.

Mal di testa e nausea contribuivano a farlo sentire uno straccio. Soprattutto, avrebbe voluto che l’orribile disco music s’interrompesse. Ma l’idea di lasciare Città non lo sfiorò nemmeno.

Stavano attraversando Chinatown, e metà delle insegne si erano trasformate in ideogrammi enigmatici. La salita si fece più ripida, il mal di testa di Cole più insistente. Giunti in cima alla collina, si fermarono ad ammirare l’orizzonte. Le luci che delimitavano l’orizzonte sembravano esili raggi che uscissero dai fori di una scheda per computer. Città scrutò l’orizzonte. Il diagramma angolare delle luci si rifletté nelle lenti dei suoi occhiali, e la sua bocca si aprì leggermente a sussurrare un nome incomprensibile.

Risate infantili echeggiarono sulla sinistra. Città si diresse da quella parte, verso una stradina buia. La spazzatura si ammucchiava sui marciapiedi, davanti alle porte sul retro di drogherie cinesi, tra un gran fetore di pesce e verdure marce.

Proseguirono in fretta, in silenzio, per quindici isolati, uscirono da Chinatown, scesero lungo una collina ripida. Adesso si trovavano in un quartiere residenziale di case vittoriane alte e arroganti, vicinissime l’una all’altra.

Città si arrestò di colpo, si girò a contemplare le case sulla sinistra. L’urlo della disco si ridusse a un sussurro.

Si spalancarono le porte di tre case adiacenti. Ne uscirono cinque persone: una coppia da ognuna delle due case più vicine, una vecchia dalla casa più lontana. Avevano tutti un aspetto florido. Corsero giù per gli scalini di legno, divorarono i sentieri bui, si precipitarono verso Città, Cole e Catz immobili sotto un lampione. Cole guardò Città, rimase stupefatto. Città indossava un vestito grigio di taglio tradizionale, scarpe marroni tirate a lucido, costose.

Le due coppie erano composte di persone di mezza età dell’alta borghesia. Un uomo e una donna con visi squadrati, da tedeschi, i capelli grigio-neri tagliati corti. L’uomo portava un cravattino nero mezzo slacciato; quasi senza rendersene conto, se lo stava aggiustando. L’altra coppia era in pigiama e vestaglia: l’uomo grassoccio e sulla via della calvizie, la bocca spalancata sotto i baffi, correva nervosamente sul marciapiede in ciabatte; la moglie fissava Città da dietro lenti spesse; i suoi capelli grigio-topo erano raccolti in una retina. La quinta persona, una donna anziana, indossava una vestaglia bianca, un accappatoio azzurro frusto, ciabatte, e una retina per capelli ornata da rose rosse di plastica. Nella destra stringeva una torcia elettrica, nella sinistra una piccola pistola nichelata. I suoi occhi cerchiati di borse erano scuri, avevano un’espressione amara. Fu lei a parlare per prima.

— Quale sarebbe l’emergenza? — Si girò a guardare la sua casa, quasi si aspettasse di vederla divorata dalle fiamme. — Ho sentito… — Aggrottò la fronte.

L’altra donna in vestaglia disse con voce tremula: — Tu cos’hai sentito? Noi abbiamo sentito qualcuno urlare: «Emergenza! Correte in strada!». Gridava talmente forte che stavano per scoppiarmi i timpani. Dio, credevo che fosse un allarme della difesa civile…

— Sì, sì, anche noi abbiamo sentito la stessa cosa — intervenne l’uomo con un leggero accento tedesco. — Era una voce dal tono ufficiale. «Emergenza! Tutti in strada!» — Si girarono a fissare Città, in attesa di una spiegazione.

— Volete rivedere i vostri bambini stanotte? — Era la prima volta che Cole sentiva parlare Città. Una voce fredda ma risonante. Il viso di Città era cambiato di nuovo. La stessa mascella forte, ma adesso il suo naso era adunco, le labbra serrate nell’espressione querula di un burocrate con una certa autorità. Stessi occhiali opachi. Con un gesto deciso, ufficiale, infilò la mano nella tasca interna della giacca, estrasse un lungo portafogli nero, l’aprì, mostrò un distintivo da vice-ispettore della polizia di San Francisco.

— I nostri… bambini? — chiese la donna più anziana, cercando di nascondere l’ansia.

— Sì. Se mi seguite subito. Lasciate pistola e torcia elettrica nella cassetta della posta e venite con me.

Adesso? A quest’ora? — chiese la matrona in abito nero.

Città annuì e indicò la strada dietro di loro.

Cole si girò e restò stupito davanti ai due tassi che attendevano, i fari accesi e le portiere spalancate. Non li aveva sentiti arrivare.

I visi dei due autisti erano nascosti dall’ombra.

Non ci furono altre discussioni. Salirono tutti sui tassi. La vecchia si accomodò sul sedile anteriore del tassi di Cole; le due coppie salirono sull’altro. La disco music che usciva da Città, seduto accanto a Cole, era dolce e lontana. Cole sospettava che la vecchia non la sentisse.

Catz si trovava alla destra di Città. Città spinse Cole contro la portiera. Il braccio di Cole era premuto contro il fianco di Città, un fianco duro e freddo come il granito. Il gomito di Città, appoggiato all’anca di Cole, pesava come una sbarra di ferro. Città era inerte, guardava fisso davanti a sé. Cole riuscì a vedere da vicino, per la prima volta, gli occhiali di Città.

Le stanghette non poggiavano sulle orecchie di Città. Erano lunghe solo un centimetro, un centimetro e mezzo, e affondavano direttamente nelle tempie, fondendosi con carne e ossa. La montatura delle lenti opache si univa alla pelle sopra le orbite, impedendo a Cole di vedere gli occhi. Ammesso che esistessero occhi dietro le lenti. Gli occhiali non avevano ponte. Tra le due lenti, la montatura affondava nella pelle e nella cartilagine del naso. Gli occhiali facevano parte del suo cranio.

Nessuno aveva dato un indirizzo all’autista. E l’autista non aprì bocca, nemmeno una volta. Sembrava che sapesse già dove andare. Cole riusciva appena a intravedere il profilo della sua testa. Il trassametro non era scattato; registrava ancora zero.

Le luci dei lampioni scivolavano via veloci. L’auto, una Sabo brasiliana che andava ad alcol di canna da zucchero, correva sull’asfalto quasi in perfetto silenzio. La donna sul sedile anteriore singhiozzava, e Cole la sentì mormorare: — Marie…

I tassi si fermarono uno dietro l’altro, e tutti scesero.

Si trovavano ad Hyde Street, a qualche isolato dal club Anestesia, nel quartiere di Tenderloin, paradiso della prostituzione.

Senza attendere di essere pagati, i due tassisti ripartirono. L’uomo coi baffi si strinse nella vestaglia e restò a guardare i due tassi, stupefatto. La sua sorpresa si mutò in apprensione quando scoprì che il poliziotto con gli occhiali se n’era andato e lo aveva lasciato su un angolo di strada a mezzanotte, in pigiama, circondato da prostitute e invertiti e da Catz e Cole che, ne era sicuro, gli sarebbero saltati addosso da un momento all’altro…

Cole gli batté sulla spalla, uscì in un sorriso che sperava rassicurante ma che probabilmente era solo sciocco. Cole sentiva il bisogno di spiegarsi. Ma sarebbe stato inutile cercare di spiegare che il nero col cappello bianco a falde larghe e gli occhiali a specchio, il nero che stava parlando con un protettore nero, era il “poliziotto” che li aveva portati lì, che poi non era per niente un poliziotto ma un uomo che non era un uomo a cui Catz aveva dato il nome di Città. Inutile.

Quindi: — Come vi chiamate, signore? — chiese Cole, amabilmente.

— Chester Jones, e voglio informarvi che sono avvocato, e che se questo è un maledetto…

— In nome di Cristo, ma perché ci troviamo qui? — l’interruppe l’uomo più anziano, quello vestito di nero.

Cole si girò, vide Città scomparire nel vecchio palazzo col protettore.

Cole era abbandonato a se stesso. — Io sono… ah… l’agente investigativo Dubois — mentì. — Lavoro… lavoro in incognito. In quanto a quello che facciamo qui… — Esitò. Cosa facevano lì? Andò a casaccio: — Siamo qui per ricongiungervi ai vostri figli.

— Il mio Roy? Lo avete visto? Roy Jones? È… — cominciò il signor Jones. — È un ragazzo alto, pallido…

— Il mio Roy! Il mio Roy! — strillarono le prostitute, ridacchiando. Una nera con parrucca bionda e lustrini sugli occhi batté il palmo contro il palmo di una ragazza bianca con parrucca nera e occhi tinti di scuro. A turno, le due prostitute imitarono l’atteggiamento pensoso del signor Jones, agitando le mani e canticchiando: — Il mio Roy, ee! Il mio caro Roy, ee!

La signora col vestito da sera nero, ignorando le prostitute, chiese a Cole: — Lucilie Schmidt? — Gli si avvicinò, lo implorò con gli occhi. — L’avete vista?

— Ah, vedrete che sistemeremo la sua situazione, signora — rispose Cole, che non sapeva che altro dire. Poi si tirò vicino Catz. — Catz, fammi una lettura psi. Hai idea di cosa vuole fare con questa gente? Insomma, se i loro figli si sono dati alla prostituzione, a cosa serve…

— Li farà riconciliare coi genitori, in un modo o nell’altro. O se ne tornano coi genitori e aggiustano tutto, oppure mettono fine al rapporto in un altro modo, cioè lo distruggono per sempre. A lui non importa. Quello che conta è sistemare le cose, in una maniera o nell’altra. Sta solo mettendo alla prova le sue connessioni. Non vuole formulare giudizi morali. Le prostitute fanno parte di una città. Lui non ha niente in particolare contro le prostitute.

— Ehi, ma hai mai sentito che una puttana, anche di quelle più giovani, torni a casa così, sui due piedi? Specialmente con tutte le altre che ti stanno a guardare? Quando io facevo la checca, non…

— Merda. Non ti ricordi quando facevi il ladro, Stu, quando vivevi con quegli idioti nella Cinquantatreesima di New York? Non c’erano dei momenti che ti sentivi così a pezzi, così distrutto, che se i tuoi genitori ti fossero spuntati davanti in quei dieci minuti avresti accettato di tornare con loro solo per vincere la solitudine? Giusto? Non hai mai vissuto momenti del genere?

— Sì. Certo. Erano momenti che venivano così, ogni tanto. E se mio padre avesse scelto il minuto giusto… Ah, capisco. E immagino che Città sappia qual è il momento migliore. Ma perché si prende il disturbo di…

— Se vuoi capire come funzionano le reazioni chimiche, devi mescolare gli elementi che reagiscono meglio — lo interruppe Catz, indicandogli le scale. Città stava scendendo, e davanti a lui c’era una ragazzina.

— Mamma, che madonna ci fai tu qui? — chiese la ragazza, arrivando in strada. Era piccola, grassoccia e bionda: indossava calzoni e camicetta attillati, portava le trecce, e il trucco era scarso. Cercava di darsi l’aspetto della studentessa universitaria. I clienti ne andavano pazzi.

Fissò suo padre. La madre le corse incontro e Lucilie si arrese all’abbraccio, lanciando occhiate di scusa alle altre prostitute, roteando gli occhi… Però, due minuti più tardi, rifiutò di sciogliersi dalla madre. Stava piangendo, e sussurrava rabbiosamente: — Piantatela, stronze! — alle passeggiatrici che ridevano. Il padre se ne stava rigidamente in disparte, pronto a scaricare sulla figlia la rabbia che gli si leggeva in viso, quando Città, tornato nei panni del poliziotto, disse: — Questo vostro atteggiamento così duro è fuori luogo. Nel 1986, voi avete pagato cinquemila dollari a un ragazzo che aveva una Chevrolet blu. Ricordate perché avete sborsato quei soldi?

Schmidt guardò in faccia Città. Di fronte all’implacabilità della città di San Francisco racchiusa in un solo uomo, era inutile negare.

Il viso di Schmidt, che fino a quell’attimo era un monumento di durezza, un concentrato di risentimento nei confronti della figlia, si sciolse in lacrime. L’uomo gettò le braccia attorno alla moglie e alla figlia.

Il signore e la signora Jones aspettavano, tenendosi per mano sotto un lampione.

— Non vorrete dirci che il nostro ragazzo si trova qui… — cominciò il signor Jones.

— Quel bar — ribatté Città, indicando il Back Door Club, mezzo isolato più a nord. — Vostro figlio si prostituisce, si vende per la droga. Adesso è lì dentro. Andate…

— Città protese una mano e toccò Jones sulla spalla. Jones rabbrividì, si strinse alla moglie.

— Mi sento strano — mormorò, accarezzandosi la spalla. — Come se qualcosa fosse entrato in me…

— Roy non vi resisterà. La mia autorità è con voi. Abbracciatelo, e lui vi seguirà. È pronto ad arrendersi. Toccatelo, ma non dite nulla e non giudicatelo mai.

— Non posso entrare là dentro come se fossi un tipo da marciapiede — obiettò Jones. — Sono avvocato. Sono l’avvocato della Ivory Meats, ed è un lavoro che comporta una certa responsabilità verso l’immagine della ditta, e… e se quello è un locale da passeggiatrici, be’, io non scenderò fra le passeggiatrici…

— Per strada ci passeggiamo tutti — disse Città. — Oppure voi siete capace di volare? Forza, andate.

Lentamente, il signore e la signora Jones s’incamminarono lungo la strada. Stringendosi nelle vestaglie, scomparvero oltre la porta d’ingresso del Back Door Club.

Era l’una di notte. Il traffico era scarso, la strada quasi deserta, le loro voci cominciavano a echeggiare. Poi: — Marie! — urlò la donna più anziana, seduta sugli scalini. Balzò in piedi, corse tra il gruppo di prostitute stupefatte. Un isolato più in giù, una figura snella si girò a guardare.

— Marie! — gridò la vecchia, correndo goffamente verso la figura.

Marie si mise a correre nella direzione opposta. Il suo gemito risuonò fioco nel ruggito della città: — Va’ a farti fottere! Lasciami in pace!

Aveva mezzo isolato di vantaggio sulla madre, e la distanziava sempre di più. Città annuì, in modo quasi impercettibile. Il suolo tremò per un attimo. Marie inciampò, e cadde a viso in giù, restò stordita una trentina di secondi, il tempo sufficiente perché sua madre la raggiungesse.

Il protettore nero col doppiopetto di velluto verde scese di corsa dalle scale e puntò l’indice sul petto di Città. — E tu chi cazzo credi di essere, stronzo? Eh? Dov’è quell’altro tizio, quello col cappello bianco? — Città non rispose. Il nero si aggiustò gli occhiali scuri: lenti a specchio che fissavano altre lenti a specchio, riflettendo all’infinito le stesse immagini. — Stai cercando di fottermi o cosa? Tu non sei un porco di poliziotto. Ho sistemato tutto coi ragazzi e questo non fa parte dell’affare. Ehi, sto parlando con te, stronzo. Se perdo quelle pollastre perdo duecento bigliettoni a… — S’interruppe.

Boccheggiò. Balbettò qualcosa.

Il braccio proteso, il palmo della mano all’ingiù, le dita divaricate, Città innaffiò l’asfalto di denaro. Biglietti da cento dollari piovevano dalla sua mano, si materializzavano nello spazio fra un dito e l’altro, scendevano, verdi e fruscianti, sul marciapiede e sulla strada. I riflessi automatici ebbero il sopravvento. Nessuno si mise a discutere il fenomeno.

Il protettore e le prostitute si chinarono a quattro zampe per raccogliere i soldi. Catz, ridendo, si unì al rito. Cole prese un biglietto di banca e lo studiò. Era vero. Se lo infilò in tasca. Quando Città abbassò il braccio e smise di far piovere denaro, sul marciapiede c’erano almeno diecimila dollari. Il Tif aveva reso inutile il denaro in quasi tutti i campi, ma gli uffici dell’Interfondo accreditavano sulle carte di credito il denaro contante. Una delle prostitute, una messicana col rossetto di un rosso luminescente e un’immensa parrucca bionda, decise di circuire la fonte di tanta abbondanza. Abbracciò Città e gli infilò una mano tra le gambe. Cole seguì le sue dita che frugavano. Città non si mosse. La donna gli palpò l’inguine. E si ritrasse, orripilata. — È… eh… è come… — balbettò. — È tutto… — Si coprì la bocca con una mano, girò sui tacchi, corse su per le scale, svanì nel palazzo.

Stavano tornando il signore e la signore Jones. Fra i due c’era un ragazzo magro.

Piangevano tutt’e tre. Per tre motivi diversi. Il signor Jones piangeva perché era l’avvocato di una fabbrica di carne in scatola di proprietà della mafia che serviva da copertura per lo spaccio della droga e suo figlio era un prostituto, e per quanto il signor Jones facesse ogni sforzo non riusciva proprio a ricordare la differenza importante che correva tra le loro due professioni. E la moglie piangeva per suo figlio e il figlio piangeva per la sua eroina.

Più in giù, Marie stava lottando con sua madre. Rotolavano avvinghiate sul marciapiede, si tiravano calci e pugni, ed erano tutt’e due in lacrime. Cole, automaticamente, si avviò verso di loro. Lo accompagnava la disco music, parodia elettronica di una marcia funebre, sempre più forte al suo avvicinarsi. Quando aveva quasi raggiunto Marie e la madre, la disco gli risuonava nelle orecchie col fragore di un tuono, e una delle due figure scure sul marciapiede non si muoveva più. L’altra stava sollevando un braccio in aria, lo lasciava ricadere con tutta la sua forza sul corpo immobile della madre. — Marie… — mormorò Cole.

Poi udì delle urla spaventate alle sue spalle.

La disco music s’interruppe di colpo.

Cole girò su se stesso, corse verso Città e Catz.

Tre berline gialle avevano formato una U, circondando i gradini del palazzo dove il protettore, le prostitute e Catz si stavano ancora riempiendo le tasche di soldi. Città, a gambe divaricate, fissava i fanali delle auto.

Un taxi, imperscrutabile come quello che aveva portato lì Cole, corse via con i Jones, gli Schmidt, e i loro figli. Svoltò a sinistra, girò un angolo, scomparve.

Catz si stava mettendo in piedi, sbatteva gli occhi alla luce dei fari. Cole raggiunse gli altri.

Dalla berlina più vicina stava scendendo un uomo. Stringeva in mano una pistola.

— Catz, buttati giù! — urlò Cole. — Sono vigilantes, stupida!

Sei uomini, il viso coperto da calze di nylon che li rendevano simili a cariatidi rosee, stavano spingendo contro il muro le prostitute e il loro uomo. Il protettore cercò di salvarsi mostrando manciate di denaro; uno dei vigilantes gli tirò un calcio nello stomaco. Quando il negro si piegò in due, un altro vigilante lo colpì al cranio col calcio della pistola. Vellutoverde si accasciò a faccia in giù.

Una delle donne stava urlando: — Ehi, non fate paura a nessuno, stronzi!

Una pistola sparò, fumo rosso ed echi rabbiosi; il ginocchio destro della prostituta esplose. La donna cadde. Le altre si chinarono su di lei, bestemmiando, piangendo.

Cole, lontano una decina di metri, rallentò, si tenne nascosto nell’ombra. I vigilantes non si erano ancora accorti di lui perché facevano troppo rumore da soli: toccavano le passeggiatrici che urlavano, ridendo. Quattro uomini erano entrati nel palazzo per tirare fuori le altre prostitute. Avevano intenzione di ucciderle tutte, subito. Una macchina della polizia stava per entrare nella strada, ma appena vide la berlina gialla, senza targa, dei vigilantes, si tolse di mezzo. I poliziotti potevano sempre dire di aver ricevuto una chiamata e non aver visto niente.

Due degli uomini col le calze di nylon stavano urlando a Città. Uno gli diede un pugno d’avvertimento, o meglio, tentò; poi restò a massaggiarsi la mano ferita, mentre il suo amico tirava un colpo sul viso di Città con la canna della pistola. Città era immobile, fermo come un albero. Indossava di nuovo l’impermeabile e il cappello di feltro. E gli occhiali a specchio.

Il più piccolo dei due, di colpo, sparò al plesso solare di Città. Tre volte. Città sobbalzò leggermente, ma gli effetti dei colpi su di lui si fermarono lì. Se ne stava immobile con le mani sui fianchi, e poi aprì la bocca…

Da quella bocca spalancata uscì il suono d’una sirena. Cole si coprì le orecchie con le mani. Le finestre accanto a lui tremarono violentemente; la sporcizia depositata sui vetri si disperse in nuvole scure. Era una sirena d’allarme, che dalla gola di Città risuonava cinquanta volte più forte del solito. La polizia doveva arrivare. Non potevano fingere di non aver sentito una sirena del genere.

I vigilantes, le mani sulle orecchie, corsero alle loro macchine.

La berlina di fronte a Città fece marcia indietro fino al marciapiede del lato opposto, si fermò di colpo, ripartì, caricò in avanti. Ci fu uno scontro frontale con Città. L’auto sobbalzò, rimbalzò all’indietro. Il motore urlava. Città era ancora in piedi. Però scrollò la testa, come per schiarirsi le idee. Da sotto il risvolto dei pantaloni cominciò a uscirgli del sangue che si raccoglieva nelle scarpe, e sanguinava anche dalla bocca. L’ululato della sirena si fece leggermente gorgogliante, ma non diminuì d’intensità. Le prostitute approfittarono della perplessità dei vigilantes. Si misero a correre, superarono Cole, sparirono dietro l’angolo. Tenendosi vicina al muro, trasalendo al suono della sirena, Catz raggiunse Cole, gli occhi puntati sulle auto dei vigilantes. Cole la fece entrare in un portone buio.

La macchina che aveva colpito Città fece di nuovo retromarcia. Il motore tossì, si spense. Un’altra auto si lanciò a marcia indietro, superò Cole sulla sinistra. Lui cercò qualcosa da tirare, qualcosa per fermarla. Ma la berlina riuscì ad accelerare per un intero isolato prima di scagliarsi contro Città. Questa volta, Città si scansò all’improvviso, e l’auto lo sfiorò e andò a fracassarsi nell’angolo dove la scala in cemento si univa alla facciata del palazzo, tutta di mattoni… La macchina girò su se stessa, sbatté il parafango contro il muro. Ci fu una caduta di cemento, un sibilo di vapore dal radiatore. Poi, a parte un ticchettio del motore, scese la calma più completa.

La calma più completa, per cinque secondi. Finché non cominciò a ululare una sirena della polizia, sempre più vicina.

L’auto in panne riuscì a ripartire, si lanciò dietro la terza macchina che era già lontana mezzo isolato e fuggiva a tutta velocità.

Cole guardò Città. Città, riverso sul marciapiede a qualche metro da lui, era un ammasso sanguinante di carne e vestiti. Il suo corpo martoriato non aveva quasi più nulla d’umano. Cole alzò gli occhi sul profilo di San Francisco, aspettandosi di vederlo deformarsi e crollare, ma la città era solida come sempre. Quindi, era idiota mettersi a piangere.

Cole guardò la pozza di sangue rosso scarlatto che si protendeva verso la strada.

Le due berline stavano girando l’angolo.

In quel momento, vedendo il sangue di Città che scorreva veloce, sicuro, sull’asfalto, Cole capì che i vigilantes non ce l’avrebbero fatta.

Lo capì anche Catz, che scoppiò a ridere.

I lampioni che sbarrarono la strada alle auto gialle non si piegarono come gomma. Schizzarono in basso come mossi da una mano rabbiosa, e i vetri si fracassarono sull’asfalto con uno stridio furibondo. Bloccarono ogni via d’uscita alle due berline. Sei degli otto vigilantes superstiti balzarono fuori dalle auto e si misero a correre, presi dal panico. Bestemmiando, si tolsero le calze di nylon. I due che, fianco a fianco, scapparono verso sud vennero fermati quasi simultaneamente dagli artigli di metallo che sbucarono dall’asfalto. Dapprima Cole pensò che fossero immense dita di metallo nero. Guardando meglio, scoprì che si trattava di quattro grosse tubature: esplosero con uno scatto secco sui due uomini, come una gigantesca trappola per topi. Li maciullarono all’istante. Quando Cole si girò a guardare gli altri quattro, erano morti anche loro. Grosse scintille blu uscivano ancora dai cavi che coprivano i cadaveri sussultanti.

Il terreno fu scosso da un brivido. Sotto l’unica berlina ancora in movimento, due tubature esplosero dall’asfalto, spruzzando attorno detriti neri e polvere bluastra. Con uno stridio raccapricciante, le tubature s’infilarono nella coppa dell’olio, aggredirono il motore, lacerarono i parafanghi, spinsero il motore fuori a metà dal cofano squarciato. Volarono via frammenti di metallo contorto, seguiti dal vapore e dal fumo che zampillarono dal muso accortocciato. L’auto s’inclinò sul metallo che l’aveva impalata, le ruote anteriori girarono, impotenti, sospese a un metro dal suolo; il serbatoio esplose, uccidendo il veicolo in una vampata rossa striata di nero.

Uno degli uomini era stato fatto a pezzi; l’altro era volato fuori dal parabrezza all’impatto delle tubature e adesso, assurdamente, abbracciava i meccanismi divorati dalle fiamme, nel punto in cui prima si trovava il cofano.

Punte contorte di acciaio gli uscivano dalla schiena.

Un fumo nero, oleoso, saliva ondeggiando verso l’alto, distorceva i visi che guardavano dalle finestre, li rendeva simili a maschere demoniache.

Le sirene erano sempre più vicine. A loro si unì il clangore delle autopompe.

Cole scoppiò a ridere con Catz.

Corsero fuori bambini, ad ammirare il disastro. Cole s’immerse nel silenzio. Pensava che fosse ora di tornare a casa.

— Stanotte posso restare da te? — chiese Catz. Assieme, senza fretta, si avviarono, fendendo la folla che usciva da bar e case.

— Che cavolo succede, Cristo santo? — chiese un uomo in bicicletta, un messicano. Cole scrollò le spalle, lo ignorò.

— Sicuro, Catz, sarò felice di ospitarti — disse Cole. — Ho un divano-letto.

— Qui c’è uno che è finito in marmellata, uomo! — urlò qualcuno alle loro spalle.

Cole si girò a guardare: sul marciapiede, gli occhiali di Città erano intatti, li fissavano.

— Sì, sarebbe grande — stava dicendo Catz. — Forse possiamo guardare la tivù o fare qualcos’ altro. — Cole si fece strada tra la folla che guardava qualcuno steso sul marciapiede, scavalcò il corpo della madre di Marie e proseguì, senza voltarsi indietro.

— Sicuro — disse Cole. — Ho la tivù a cavo, Catz. Dovrebbe esserci qualcosa. — Scrollò le spalle. — Non è ancora troppo tardi per guardare la televisione.

E così fecero. Guardarono un cane che doveva impersonare Kennedy in uno sceneggiato.

E più tardi restarono seduti nel più completo silenzio davanti alla finestra a guardare le luci della città, finché, all’alba, le luci si spensero; e un nuovo giorno scese sul paesaggio urbano.

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