DUEEE!

Cole, incredulo, fissava la comunicazione. Era fermo sulla porta del suo appartamento in un mostruoso, piovoso, ventoso lunedì mattina di maggio, e leggeva e rileggeva la comunicazione arrivata con la posta. — E doveva proprio arrivare di lunedì — mormorò. Passò le dita sulla gialla scheda perforata, coi fori che sembravano finestre di un orizzonte sterminato. Le lettere stampate elettronicamente, rosse, imperiose, intimavano: VI PREGHIAMO DI VERSARE LA SOMMA DI 300.000 DOLLARI A FAVORE DELL’lNTERFONDO. RIMETTERLI A J. SALMON, UFFICIO ESAZIONI ELETTRONICHE. CAUSALE: CANONI DI NOLEGGIO ARRETRATI…

— Canoni di noleggio arretrati — ripeté Cole. Il sapore di caffè che aveva in bocca (lo stomaco gli bruciava, non avrebbe dovuto bere caffè a stomaco vuoto) era nauseante. “Il sapore della putrefazione”, pensò, e sputò nella pattumiera in corridoio.

Stringendo la scheda, rientrò nell’appartamento, chiuse la porta. Attento a ogni gesto, mise la scheda sul televisore pieno di polvere. Si chinò sul notiziatore installato sul fianco della tivù, premette l’interruttore, aspettò che la tivù si scaldasse, poi diede un’occhiata alla pagina di giornale apparsa sullo schermo… Il presidente approva i tempi massimi richiesti dal Tif… Cole fece scorrere in fretta la pagina, fermandosi su frammenti di notizie… sarà tempo fino a novembre 1994 per passare al Sistema Monetario Elettronico, anche se i governatori della Louisiana e Washington hanno protestato, chiedendo più tempo… Il senatore Wiley sostiene che è stato concesso tempo a sufficienza, dato l’alto numero di città che già usano il Trasferimento Istantaneo… risoluzione delle Nazioni Unite per reperire i fondi per la Rete Elettronica Monetaria del Villaggio Globale…

E poi il notiziatore si spense. E Cole ammiccò, stupito. Guardò la spina, ma era inserita nella presa. Apparve un’altra immagine, un disegno animato, Disegnetti sconci, un programma di pornografia elementare per bambini: un organo genitale maschile stilizzato, indipendente dal corpo ma dotato di gambette proprie, rincorreva una vagina altrettanto mobile. Cole spense il televisore, restò a guardare le immagini dei due organi sessuali in movimento frenetico che svanivano. “E che cavolo?” pensò. Premette di nuovo l’interruttore, accese il notiziatore. — Cosa cavolo è successo alle notizie? — borbottò. Non apparve nessuna notizia. Invece, sullo schermo si formarono lettere elettroniche: SERVIZIO NOTIZIE SOSPESO CAUSA MANCATO PAGAMENTO CANONI ARRETRATI UEE…

— Figli di puttana! — urlò, e spense l’apparecchio prima che Disegnetti sconci facesse in tempo a riapparire.

Arrivò al telefono. Le sue dita premettero automaticamente la tastiera. Restò a guardare, impaziente, furibondo, il piccolo schermo, aspettando che si materializzasse l’immagine del suo avvocato.

— Ufficio di Arthur Topp. Posso esservi utile? — chiese la voce di un ragazzo. Doveva essere il segretario, nonché amante, di Art.

— Sì… — rispose Cole, fissando lo schermo spento, mentre i suoi sospetti si facevano sempre più atroci. — Devo parlare con Art. Sono Stu Cole.

— Preferite parlare senza immagine, signore? — Il ragazzo sembrava irritato. Era una villania chiamare senza mostrarsi, mentre rientrava nei diritti del destinatario della chiamata lasciare spento lo schermo.

— No, no, però… il mio apparecchio non funziona. Dovrò farlo aggiustare.

— Capisco.

Una pausa, un clic. — Stu? Dov’è la tua immagine? Hai paura di sembrarmi troppo brutto il lunedì mattina? — La voce di Topp, senza video.

— Lo schermo non funziona più. Me l’ha scollegato l’Uee. Mi hanno scollegato anche il notiziatore. Cercano di spaventarmi per costringermi a pagare. Tra un po’ mi toglieranno anche l’audio.

— Mamma Uee ce l’ha con te, eh?

— Senti, sarebbe una battuta sarcastica o cosa? Credi che non esistano legami tra la compagnia telefonica e il Tif? Sarebbe impossibile…

— Okay. Allora, devi soldi all’Uee?

— Sì. Io… No! No, sono loro che dicono che gli devo dei soldi. È per questo che ho bisogno di te.

— A me devi ancora qualcosa — disse Topp, in tono più divertito che serio.

— Uh-huh. Ti pago, ti pago subito, e per questa faccenda ti do metà onorario in anticipo. Senti, si tratta di canoni di noleggio.

— Oh. — Nella voce di Topp c’era una nota di disperazione. — Quello.

— Stammi a sentire, non è impossibile opporsi…

— Se vuoi arrivare fino alla corte federale… Ma ci vorrà tempo. Un sacco di tempo. Sono presi fino al collo da tutte le denunce che sono piovute dopo quella faccenda di terrorismo nucleare in Oregon.

— Cosa? E chi è stato denunciato? Non hanno mai arrestato il colpevole, quindi come possono…

— Hanno denunciato il governo perché l’Fbi se lo sarebbe lasciato sfuggire sotto il naso. Hanno denunciato il governo per negligenza. Voglio dire, le famiglie di duecentomila persone circa… Famiglie disseminate in tutta la nazione, parenti. È stupido che prendano in considerazione le denunce, perché sanno già che se concederanno risarcimenti a qualcuno stabiliranno un precedente, e sanno che lo stesso tizio, o un altro con le stesse idee, lo rifarà. Un’altra città, magari la nostra, finirà nel fungo dell’atomica solo perché un idiota al secondo anno di università riuscirà a fabbricarsi da solo una bomba atomica e cercherà di ricattare…

— Okay, okay… La metteranno a tacere, questa faccenda. Comunque, noi dovremo ben cominciare da qualche parte…

— Ma senti un po’ — lo interruppe Topp, con fretta eccessiva — una città intera, tutta quanta la città di Salem, nell’Oregon, è scomparsa, è soltanto un cratere, e la stessa cosa potrebbe succedere qui, merda. E logico che si verificherebbe un trauma sociale, e persino la corte federale cerca un capro espiatorio, e siccome l’Fbi è un bersaglio molto comodo…

— Parli di questa storia solo perché non vuoi parlare dei canoni di noleggio! — urlò rabbiosamente Cole. — Piantala.

— Come vuoi tu.

Silenzio. Si udiva soltanto una scarica dall’altoparlante sotto il piccolo schermo rettangolare. Lo schermo si trovava sopra l’apparecchio telefonico in plastica rossa.

Poi Topp disse: — Non posso. Tu e io lo sappiamo che i canoni di noleggio sono una maledetta palla, un trucco di quelli dell’Uee per mettersi in tasca…

— Sì. Questo non m’importa. Sono abituato a pagarmi le protezioni. Però a me hanno chiesto di pagare gli arretrati tutti in un colpo… Insomma, agli altri offrono una possibilità, anni di dilazione. A me chiedono gli arretrati per tutto il tempo che ho usato gli impianti Tif… E lo sai perché?

— Perché? — chiese Topp, anche se lo sapeva già. Cole lo immaginava intento a fumare una sigaretta.

— Perché io lascio entrare le puttane nel mio club e quelle se ne fregano delle tasse e della protezione, e l’Uee vorrebbe metterci le mani sopra. E invece loro non vogliono lasciarsi irreggimentare.

— Stai dicendo cose pericolose. Sembra quasi che siano una banda di delinquenti, Cristo. — Topp lo stava avvertendo che probabilmente il suo telefono era sotto controllo dell’Uee, che lo stavano ascoltando.

— Mettila un po’ come vuoi — disse Cole. — È per questo che ce l’hanno con me, mi avevano già avvertito… E sanno che sono stato io a scrivere la petizione in cui si chiedeva che i negozi più piccoli potessero continuare a usare denaro contante, e sanno che sono stato io a…

— Porco giuda, Cole!

— Non credere che io debba star zitto, Topp! Lo sanno già. Se mi stanno ascoltando, non racconto niente di nuovo.

— Okay. Lo sanno che sei stato tu a scrivere il manifesto contro la rivoluzione monetaria elettronica. — La voce di Topp era stanca.

Cole esitò. Gli era venuta un’idea nuova. — Topp, ti hanno…?

— Solo minacce.

— Allora non accetti di difendermi?

— No, a meno che non voglia farmi espellere dall’ordine.

— Non vorrai dirmi che è una cosa legale, uomo. Non possono…

— Senti, i giudici di qui hanno anche loro un conto in banca, e l’Uee può sempre trovare una scusa per rovinare quelli che non stanno al gioco. Dalle nostre parti, non potresti mai avere una sentenza equa. E, come ti ho detto, la corte federale è impegnata fino al collo per mesi. Potresti rivolgerti al… ehm… — Topp tacque, poi, esitando: — Be’, senti… Ecco…

— Hai deciso che è meglio non darmi consigli? — chiese Cole, amaro.

— Ho un pranzo che mi aspetta. Un pranzo di lavoro importantissimo.

— Già. Ci avrei scommesso. Spero che ti vada tutto di traverso — ruggì Cole, interrompendo la comunicazione.

Soprappensiero, prese un sigaro da un armadietto a fianco del telefono, lo accese, se lo infilò tra i denti e si mise a fumare, infilandosi le mani nelle tasche dei calzoni. Raggiunse il divano e, lo sguardo perso nel nulla, si sedette.

Il divano rosso, coi cuscini logori sistemati di sbieco, tagliava un angolo del soggiorno. Cole aveva di fronte il televisore portatile, spento. La stanza era completamente bianca, coi pannelli per l’illuminazione incassati nel soffitto bianco. Gli unici elementi decorativi erano le fotografie scattate da Cole: foto della città. Di Città. Cole era un fotografo dilettante.

— Non venderò la mia macchina fotografica — mormorò, guardandole. — La mia Nikon, no. Prima venderò il club. — Tirò una boccata di fumo e disse: — Piantala di parlare da solo, idiota. — Poi rise.

Sulle pareti erano disseminate più di trenta fotografie in bianco e nero, disposte in modo da ricordare la suddivisione in quartieri della città. Quasi tutte erano panoramiche aeree estremamente dettagliate, prese dall’elicottero per turisti.

La città come circuito elettronico.

— Non venderò nemmeno il club. Vadano a farsi fottere, quei bastardi — disse a voce piuttosto alta. E si grattò la testa nel punto in cui stava perdendo i capelli, fece una smorfia quando avvertì la presenza di un foruncolo, serrò la bocca grande, forte. Per un attimo, si preoccupò. Pensò che stava invecchiando, che stava mettendo pancia, che aveva l’abitudine di parlare da solo; pensò a Pearl, si chiese se dovesse assumere un detective per trovarla, ma poteva permettersi un detective? E pensò all’avviso dell’Uee. — Quando? — chiese a nessuno.

Si alzò, arrivò al televisore, prese in mano la scheda… IL SERVIZIO A FAVORE DEL CLUB ANESTESIA HA TERMINE DAL 24 APRILE E NON RIPRENDERÀ FINCHÉ IL PAGAMENTO NON VERRÀ EFFETTUATO. — Dal ventiquattro aprile. Lo sanno che non posso trovare tutti quei soldi — mormorò. — E i prestiti bancari li controllano loro. “Smettila di parlare da solo” pensò.

— Hai fatto tutti gli sforzi possibili per non pensare a me, e riconosco che ci stai riuscendo con un successo non indifferente — disse qualcuno, ma non c’era nessuno.

— Cosa? Merda! — esclamò Cole. Si irrigidì, intrecciò le braccia sul petto come a difendersi. Si guardò attorno: nessuno. Finché i suoi occhi non scoprirono il viso sullo schermo del televisore.

Il televisore era spento. Però si vedeva qualcuno. Una linea bianca salì dal basso, cancellò l’immagine. Poi, l’immagine riapparve: la testa e le spalle di un uomo. La testa parlava.

— Città…

— Preferisci scordarti di me? — chiese il viso sullo schermo in bianco e nero.

— Vorrei dimenticare quello che è successo… Non te — rispose Cole. Aveva alzato le ginocchia sotto il mento, le teneva serrate con le braccia. Fissava il viso sicuro che appariva sul televisore: occhiali a specchio, tratti duri. Un busto di pietra incompleto. Il viso freddo dell’uomo che aveva visto travolto da un’automobile. La supermente della città.

— Ti sarebbe stato abbastanza difficile dimenticare, se fossi uscito — disse Città. — Avresti sentito le chiacchiere della gente. Se fossi arrivato fino in fondo alle notizie che leggevi prima, avresti trovato un articolo sulle “indagini” della polizia relative agli omicidi di sabato sera. Agli uomini che ho ucciso.

— Shh! — sibilò, istintivamente, Cole.

— Non ci stanno ascoltando — ribatté Città. — Non possono. — Le sue labbra sembravano muoversi con un secondo di ritardo rispetto alle parole che Cole udiva. — Qui, io sono parte di tutto — disse Città. — Tranne l’Uee. È come un cancro nel mio corpo. — La bocca dura si piegò in una smorfia. — Ma faccio in modo che loro non possano sentirmi…

— Ehi… — Cole si rilassò leggermente, appoggiò il sigaro su un posacenere, si protese. — Se qui dentro entrasse qualcun altro mentre tu mi parli… insomma… ti vedrebbe?

— Certo. Non sono un’allucinazione. Però non correre fuori a chiamare qualcuno. Sparirei, non mi vedresti più nemmeno tu. Io voglio parlare soltanto con te e Catz.

— Okay — disse Cole, e la sua voce risuonò fredda, meccanica, alle sue stesse orecchie. — Devo chiamare Catz?

— No. Avrà mie notizie più tardi… Adesso voglio farti vedere qualcosa. — L’immagine sul televisore cambiò. Adesso lo schermo mostrava (ripresi dall’alto, da un angolo del soffitto) quattro uomini seduti attorno a un tavolo, in un ufficio elegante, con le finestre di cristallo. — Riconosci l’uomo che si trova a capotavola, Cole? — L’immagine di Città era scomparsa, ma la sua voce giungeva chiara, con tutto il calore umano e l’amicizia del disco che scandisce i minuti per il servizio telefonico dell’ora esatta.

Cole guardò l’uomo seduto a capotavola: un tipo robusto, florido, con occhiali dalle lenti spesse e capelli bianchi (probabilmente un parrucchino) e lunghe basette bianche.

— Rufe Roscoe. Il gangster.

— Si. E gli altri?

Il tipo coi capelli pelo di carota e le lentiggini e la smorfia da idiota era…

— Salmon. L’avvocato del Tif.

— Sì. Non conosci gli altri?

— No.

— Allora stai a sentire…

Altre voci uscirono dall’altoparlante della tivù. Salmon stava dicendo: — … Rusk ci ha venduto la sua parte al prezzo a cui l’aveva acquistata per la faccenda delle tasse! Boswell ha guadagnato il quattro per cento, col che arrivavamo al quarantadue per cento, dopo di che abbiamo…

— Lascia perdere — lo interruppe Roscoe, impaziente.

Adesso quanto abbiamo?

Salmon sorrise. — Il cinquatatré per cento.

— Splendido! — disse Roscoe, anche se il suo viso non rifletteva nessuna passione per il bello. Sembrava che avesse appesa ucciso qualcuno e ne fosse felice.

— Però… — iniziò Salmon, esitante.

Roscoe si protese in avanti.

Salmon disse: — …c’è questo Topp che parla un po’ troppo col procuratore distrettuale. Hanno una mezza idea di denunciarci: acquisizione illegale di azioni, forse violazione della legge anti…

— Il procuratore distrettuale… — l’interruppe Roscoe. Lo disse a voce molto bassa, ma Salmon, attento, si fermò subito. Roscoe si appoggiò all’indietro sulla poltrona. — Il procuratore distrettuale è vecchio. Se gli venisse un attacco cardiaco nessuno resterebbe sorpreso. Io conosco un dottore… Be’, lo faremo sparire. E magari anche Topp.

— Sospetto, signore, che sarebbe meglio limitarci a spaventare Topp. Se comincia a sparire troppa gente di un certo gruppo…

— Okay. Se sa che controlliamo la maggioranza delle azioni del Tif, tornerà con la coda fra le gambe… — Roscoe sorrise, guardò distrattamente fuori dalla finestra…

L’immagine scomparve, fu sostituita da Città.

— Come hai fatto a riprendere quella scena? — chiese Cole.

— Roscoe ha la mania di registrare tutto. Un po’ come Nixon e i nastri della Casa Bianca, solo che Roscoe non ha imparato niente dagli errori di Nixon. Comunque, registra le riunioni perché quelli del sindacato criminale attaccano un collega solo quando sanno di poter salvare le loro schifose code nude, e Roscoe è convinto che se tiene registrazioni audiovisive inconfutabili di quello che combinano assieme, se anche gli altri tentassero di deporre contro di lui in segreto, con la protezione dell’Fbi, potrebbe sempre rovinarli tutti. Gli altri membri del suo clan lo sanno, e la cosa serve da deterrente contro il tradimento. Provvede lui stesso a caricare e scaricare la cinepresa. I nastri li tiene chiusi in una camera di sicurezza.

— È stupido. Il rischio che la polizia se ne impossessi senza la sua autorizzazione è più grave di ciò che vuole prevenire. È proprio dai idioti conservare quei nastri. Se i poliziotti ricevessero dalla magistratura l’ingiunzione di aprire la camera di sicurezza…

— Sì — disse Città. — Per fortuna non lo capisce. È fanatico delle proprie idee e maledettamente testardo. Crede di essere infallibile.

— Allora perché non fai vedere questi nastri al questore capo, sul suo televisore?

— È venduto all’Uee. E poi, non potrei comunicare con lui. Mi sarebbe molto difficile. Penserebbe di stare impazzendo. Tu… In un certo senso è come se tu mi evocassi. Non ho problemi a raggiungerti. A ogni modo, come unica prova i nastri non funzionerebbero, perché noi ce li saremmo procurati in maniera illegale. Prove acquisite illegalmente.

— Già. Perché dovremmo rubarle. E a questo punto sarebbe difficile convincere la polizia a chiedere un’ingiunzione… Ehi, ma come hai fatto a proiettarmi un nastro che Roscoe tiene chiuso in camera di sicurezza?

— In questo momento il nastro è sul videoregistratore. Roscoe lo stava guardando, studiava le facce dei suoi complici in cerca di indizi di tradimento… è un altro dei motivi per cui registra le riunioni… e lo hanno interrotto. Ha lasciato il videoregistratore acceso. Io ho fatto scorrere il nastro all’indietro e poi l’ho rimandato avanti. Te l’ho trasmesso qui via collegamento elettronico. L’alimentazione…

— Ma questo è un televisore!

— No, è una parte di me. Un televisore è un canale d’uscita per la città. Un neurone del mio cervello. I mezzi che uso per trasformare l’immagine in impulsi elettronici che poi faccio passare nei cavi d’alimentazione e trasmetto al tuo apparecchio… be’, sono troppo complicati per spiegarli in due parole. E non mi resta molto tempo per parlare con te. Comunque, è una forma di telecinesi. Manipolo i segnali elettronici col pensiero. Di notte, ho a mia disposizione l’energia di ogni accumulatore cerebrale della città. Il cervello immagazzina elettricità. Quando la gente dorme, io riesco ad assorbirla… Di giorno ho solo l’energia di quelli che dormono durante il giorno. Pochi, quindi ho una potenza limitata. Anche se mi vengono in soccorso quelli che guardano la televisione, dato che in genere anche quello è un modo di dormire… Io sono il totale delle percezioni inconsce di ogni cervello della città. E sono anche Rufe Roscoe, sono il qualcosa di autodistruttivo che è in lui.

Città s’interruppe, mentre Cole cercava di assorbire quelle informazioni.

Poi Città chiese: — Perché pensi che abbia scelto te, Cole?

— Perché?

— Perché… in questo momento non stai urlando di terrore. Sei nervoso, ma non disorientato. Quasi tutti resterebbero orripilati se apparissi loro così, se parlassi direttamente, se raccontassi queste cose. Tu comprendi istintivamente la Grande Realtà Urbana. Le geometrie segrete della città.

— Huh… Se lo dici tu.

— E poi, Cole, le tue pareti sono coperte di miei ritratti.

Cole sorrise. Città, no.

— Già… — cominciò Cole, allontanando lo sguardo dallo schermo. — Quindi immagino che tu… che tu voglia che io… faccia qualcosa per te. Giusto?

— Bisogna fermarli.

— Quei delinquenti? — Cole guardò la scheda perforata dell’Uee e annuì. — Il club è la mia unica ragione di vita.

— Sì. Quei delinquenti…

“Solo i delinquenti?” si chiese Cole.

— Forse — disse — potrei assoldare qualcuno che penetri nella camera di sicurezza e rubi i nastri. Se non la polizia, almeno i giornali potrebbero usarli come prova…

Città scosse la testa. — No. Nessuno riuscirebbe a entrare senza il mio aiuto. Tu ce la faresti, ma ti ucciderebbero subito se avessi i nastri. Per prima cosa, incoraggeremo le divisioni all’interno della loro organizzazione. Che si scannino a vicenda. I nastri li useremo solo dopo averli indeboliti. Li tireremo fuori quando avremo trascinato l’Uee in tribunale. Li passeremo ai giornali, metteremo le giurie contro di loro. Quando sarà il momento, te li farò avere. Ma ci sono altre cose da fare prima. E devi farle tu.

Cole scosse la testa.

Città annuì, cupo.

Cole scosse violentemente la testa. — Ehi, posso aiutarti nei tuoi piani, posso trovare gente che… che faccia quello che vuoi. Ma non sono in grado di farlo io. Non sono mica James Bond, amico. Sono giù di forma.

— Tu sei l’unico con cui io possa lavorare. Tu e quella donna. E forse nemmeno lei. Vedremo.

— Cosa diavolo posso fare, io?

— Un sacco di cose, con la mia assistenza. Hai visto cos’è successo ai vigilantes. Ai cosiddetti vigilantes.

Cole meditò. Prese il sigaro dal posacenere, lo riaccese, soffiò nubi di fumo purpureo. — Mi porteranno via il club — disse, per autoconvincersi. — E io non ho nient’altro. Quindi, se mi uccidono, chi se ne frega? — Però la mano gli tremava, e la cenere cadde troppo presto dalla punta del sigaro.

Un momento dopo, si sentì stordito. Come gli era successo quando era più giovane, quando si gettava in affari da solo.

— Credevo di avercela fatta — commentò. — Dieci anni fa, quando ho comperato il club. Credevo che sarebbe stato facile. E invece, ogni settimana una lotta continua solo per…

— Cole — lo interruppe Città — io posso aiutarti a fermarli. Posso far accadere cose che ti saranno senz’altro utili. Ma solo di notte. Ricordalo. Di giorno posso parlarti… qualche volta.

— Capisco.

— Stasera porta qui la donna, alle sette.

— Catz? Ma forse deve suonare…

— Verrà. Con te riesco a parlare attraverso la tecnologia, ma con lei ho un legame parapsichico più forte. È una sensitiva. Ci sarà utile, almeno per un po’.

— Come sarebbe a dire, per un po’?

Città ignorò la domanda. — Stasera lascia il club al tuo vice. Tu e Catz dovete comperare maschere e pistole. Andate al Pyramid Building. Salite al diciottesimo piano. Ci saranno delle guardie. Le sistemeremo.

La paura si arrampicò nella gola di Cole. Il senso di vertigine era scomparso. Il suo cuore era di piombo; e, sullo schermo della mente, si vide con un bersaglio a cerchi concentrici attaccato al petto. Si schiarì la gola, riuscì a dire: — Senti, non sono pronto a uccidere. Non ancora. Proprio non me la sento.

— Non dovrai uccidere… non ancora — disse Città, e la sua voce era dura. L’immagine sullo schermo tremò, svanì… e riapparve, leggermente più confusa. — Non posso restare in contatto con te ancora per molto, Cole. Quindi stammi a sentire. Stasera io sarò con te. Non potrò manifestarmi fisicamente, a meno che non trovi l’ospite perfetto, la persona giusta da possedere…

Qualcosa di gelido e bruciante come il ghiaccio secco fece rabbrividire la schiena di Cole. L’ospite perfetto…

Città, con voce sempre più fioca, proseguì: — Devo andare. Stasera sarò con te. La donna mi sentirà, e tu saprai. Però non posso ucciderli, non ancora. Fanno parte dell’organizzazione, li sostituirebbero con altri. Dobbiamo scacciare dalla città quella cosa… Anche soltanto l’Uee è…

— Non so — mormorò Cole. — Non so se sia desiderabile, ammesso che sia possibile…

Fino a quel momento, la voce di Città era rimasta calma; adesso esplose in un urlo di rabbia, accompagnata da un fischio acuto, uno stridio doloroso che fece sobbalzare Cole. — È il burattinaio che vuole reggere i fili di tutti, Cole. Il Tif è una malattia mascherata da progresso! Stasera porta qui la donna.

E lo schermo si spense.

Cole restò a fissare lo schermo vuoto. Riusciva solo a pensare a qualcosa che, nella voce di Città, lo turbava. Quando Città aveva detto che il Tif era un burattinaio, che si trattava di un’enorme cospirazione, a Cole era tornata in mente la voce che aveva udito in un’altra occasione. Una voce sentita al telefono quando, per scherzo, lui e Catz avevano composto il numero del partito nazista americano e, sogghignando, erano rimasti ad ascoltare i deliri verbali sul comunismo ebreo, sulla cospirazione dei neri omosessuali. La voce del nazista aveva un tono di irragionevolezza inattaccabile… lo stesso tono di Città.

Però Cole sapeva già che avrebbe fatto quanto Città gli aveva chiesto.

Cole guardò le foto appese alla parete. Non avrebbe mai potuto abbandonare la città.

— Se ci aiuterà lui, a cosa servono le pistole? — chiese Catz.

Sedevano vicini sul sedile anteriore di una macchina presa a noleggio. Fra le tenebre. In mezzo a loro, sul sedile di vinile, c’era un sacchetto di carta, ben chiuso. Conteneva due .38 e due maschere di gomma.

— Hai sentito anche tu — ribatté Cole, guardando l’orologio. Il discorsetto di Città era stato talmente breve che non avevano avuto il tempo di fargli domande. Città si era limitato a snocciolare istruzioni dal televisore.

— Però non l’ha spiegato. Che bisogno c’è delle pistole, voglio dire.

— E perché ci sono guardie armate, e anche gli uomini in sala riunioni potrebbero essere armati. Roscoe lo sarà senz’altro. E Città non può fare niente per noi. Quindi, dovremo usare le pistole per spaventarli…

— Agitargliele sotto il naso? Tutto qui?

— Speriamolo.

Le mani di Cole erano serrate sul volante di fibra di vetro, e quando lui staccò i palmi per asciugarsi il sudore sui pantaloni si udì un risucchio.

— Non mettiamo nemmeno in dubbio la sua realtà — notò lei. Non c’era allarme nell’osservazione.

Cole annuì. — È curioso. Però, probabilmente è per questo che ci ha scelti… Noi due, uh… siamo come… — cercava disperatamente le parole.

— Mutazioni urbane? Aborigeni metropolitani? I selvaggi non si spaventano quando odono la voce degli spiriti della natura.

— Forse è così — concesse Cole. Si rendeva conto che stavano discutendo di concetti astratti solo per distogliere l’attenzione dai rischi che stavano per correre. Guardò l’orologio. Il suo cuore tremò. — È ora — disse.

Catz si protese sul sedile posteriore, spostò su quello anteriore una grossa borsa in finta pelle che conteneva, nascosto in uno scomparto, un registratore a cassette. — Spero sia vero che le impronte vocali sono diverse per ogni persona. Altrimenti, tutto questo… — sistemò le maschere nella borsa, infilò il braccio nella tracolla — …potrebbe essere inutile.

Con gesti fatalistici, Cole infilò la pistola carica nella tasca interna della giacca. L’arma venne a trovarsi contro il suo muscolo pettorale sinistro, a calcio all’insù. Per nascondere il rigonfiamento, Cole si gettò sulla spalla sinistra l’impermeabile. Catz infilò la sua pistola nella borsa. E scesero dall’auto. Tutt’e due indossavano, sopra vestiti normali, tute militari.

Il rumore che le portiere fecero sbattendo parve troppo forte. Cole sobbalzò. Ricomponendosi, s’incamminò nella tiepida sera di maggio verso l’ingresso del Pyramid Building. — Diciottesimo piano — mormorò fra sé.

La strada era deserta. Si trovavano in un quartiere d’affari, praticamente morto dopo l’orario di chiusura degli uffici. Le voci della strada giungevano, deboli, da Market Street, qualche isolato più avanti. Una macchina si avvicinò, parve rallentare mentre raggiungeva Cole, e lui dovette fare uno sforzo per non mettersi a correre. Ma la macchina proseguì, girò l’angolo, scomparve.

E poi giunsero davanti all’ingresso dell’edificio. Cole si fermò, guardò in alto.

L’edificio a forma di piramide, alto e stretto, era privo di vita. Solo tre finestre al diciottesimo piano erano illuminate.

Cole guardò Catz, deglutì. Catz gli diede uno strattone al braccio. Assieme superarono le porte a vetri.

Una guardia in uniforme, armata, si trovava accanto all’ascensore. Ma aveva la schiena girata. Cole seguì la direzione dello sguardo della guardia. L’uomo fissava, a bocca spalancata, i due estintori appesi alla parete del corridoio che partiva sulla destra dell’ascensore. Gli estintori gettavano schiuma a pieno ritmo. I becchi sussultavano per la pressione, i cilindri di metallo vibravano contro la parete con un clangore monocorde. La guardia (che continuava a guardare gli estintori impazziti e che non si era accorta di Cole e Catz) s’incamminò lungo il corridoio scuotendo la testa, perplessa. Badando a schivare lo spruzzo di schiuma, protese le mani sui boccagli, cercò un interruttore per spegnere i due arnesi…

Cole e Catz, le mani sui calci delle pistole, corsero all’ascensore. La porta si spalancò immediatamente. Lanciarono un’occhiata alla guardia, ma era ancora girata di schiena. Salirono in ascensore, e a Cole parve di sentire il cuore di Catz che batteva all’unisono col suo. Quando la porta si chiuse, tutt’e due, contemporaneamente, lasciarono andare il fiato. Non dovettero nemmeno premere la tastiera. Il pulsante del diciottesimo piano si accese da solo, e l’ascensore cominciò a salire.

— Grazie, Città — sussurrò Cole, senza aspettarsi risposta.

Ma dall’altoparlante a fianco della tastiera uscì la voce di Città: — Mettetevi le maschere. Di sopra ce ne sono altri. Due guardie regolari e due gorilla, rispettivamente in corridoio e nell’ufficio interno. Le guardie sanno che è entrato qualcuno non autorizzato. Tengono d’occhio il quadrante dell’ascensore, e la guardia a pianterreno dovrebbe avvertirli quando arriva qualcuno. Quindi, è probabile che abbiano estratto le pistole. Io li terrò impegnati, ma state pronti a usare le pistole. Cercate di disarmarli senza far rumore.

Tirarono fuori le maschere di gomma (facce da vagabondi tristi, più o meno) e le infilarono. Immediatamente, a contatto della gomma, la pelle di Cole cominciò a sudare, a prudere.

Sotto quel viso irreale, la realtà era claustrofobica e appiccicosa.

Cole estrasse la pistola. La porta dell’ascensore si spalancò.

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