2 Riunione a Londra

Quattro giorni prima, a Londra, nella sede della Reale Società Astronomica, si era tenuta un’importante riunione. Non era stata la Reale Società Astronomica a convocarla, ma l’Associazione Astronomica Britannica, associazione formata essenzialmente da astronomi dilettanti.

Chris Kingsley, professore di astronomia all’Università di Cambridge, nel primo pomeriggio prese il treno, diretto a Londra per quella riunione. Era un fatto insolito che lui, il più teorico dei teorici, intervenisse a una riunione di osservatori dilettanti. Ma aveva sentito parlare di certe inspiegabili inesattezze nella posizione dei pianeti Giove e Saturno. Kingsley non ci credeva, ma a suo avviso lo scetticismo doveva sempre avere una base solida. Perciò voleva sentire cosa avrebbero raccontato quei bei tipi.

Quando giunse a Burlington House, in tempo per il tè delle quattro, notò con sorpresa che c’erano numerosi altri astronomi professionisti, e perfino l’Astronomo Reale. Si era appena seduto quando il dottor Oldroyd, presidente, avviò la riunione con queste parole:

«Signore e signori, ci siamo qui riuniti per discutere alcune nuove interessanti scoperte. Ma prima di dar la parola al primo oratore, voglio dirvi quanto siamo compiaciuti di veder qui fra noi tanti illustri ospiti. Nutro fiducia che ad essi non parrà di aver sprecato il tempo che ci hanno concesso, e confido quindi che si dimostrerà ancora una volta la funzione che spetta agli astronomi dilettanti.»

A queste parole Kingsley rispose con una risatina repressa e alcuni suoi colleghi si agitarono sulla sedia. Il dottor Oldroyd continuò:

«Ho l’onore di cedere la parola al signor George Green.»

Il signor George Green balzò dalla sua sedia, a metà della stanza, e si affrettò verso il podio stringendo nella destra un gran fascio di carte.

Per i primi dieci minuti Kingsley ascoltò con cortese attenzione il signor Green, il quale andava mostrando le lastre impressionate col suo telescopio privato. Ma quando i dieci minuti furono diventati un quarto d’ora, cominciò ad agitarsi e la mezz’ora successiva fu un vero tormento: accavallava le gambe, la destra sulla sinistra e viceversa, si volgeva ogni momento a guardare l’orologio sulla parete. Ma non servì a nulla: il signor George Green non mollava la presa. L’Astronomo Reale fissava Kingsley con un sorriso tranquillo. Gli altri colleghi gongolavano, e non staccavano mai gli occhi da Kingsley: cercavano di calcolare fra quanto ci sarebbe stata l’esplosione.

Ma l’esplosione non ci fu, perchè il signor Green all’improvviso parve ricordarsi dell’argomento del suo discorso. Piantando la descrizione del suo adorato telescopio, cominciò a buttar là dati e cifre: pareva un cane che si scuote l’acqua di dosso dopo aver fatto il bagno. Aveva osservato Giove e Saturno, ne aveva misurata con cura la posizione e aveva trovato alcune discrepanze rispetto all’Almanacco Nautico. Corse alla lavagna, scrisse i dati seguenti, e poi si rimise a sedere:

Discrepanza in

longitudine

Discrepanza in

declinazione

GIOVE

+ 1 minuto 29 secondi

— 49 secondi

SATURNO

+ 42 secondi

— 17 secondi

Kingsley non potè sentire il grande applauso offerto al signor Green come compenso della sua fatica. Soffocava di rabbia. Era venuto alla riunione pensando di sentir parlare di discrepanze nell’ordine di non più di qualche decimo di secondo al massimo. Queste discrepanze si possono attribuire a misurazioni imprecise di astronomi incompetenti. Oppure di qualche sottile sbaglio di natura statistica. Ma le cifre che il signor George aveva scritto sulla lavagna erano assurde, fantastiche, così grosse che le avrebbe vedute un cieco: il signor George Green doveva aver fatto qualche svarione spaventoso.

Non si creda per questo che Kingsley fosse un intellettuale snob: tuttavia per principio era contrario ai dilettanti. Meno di due anni prima, proprio in quella sala, aveva ascoltato la relazione di un tale assolutamente sconosciuto; si era subito accorto del valore e della competenza di quel lavoro, e fu il primo a elogiarlo pubblicamente. La bestia nera di Kingsley era l’incompetenza, non quella, per così dire, domestica, ma l’altra, quella che si ostenta in pubblico. Sotto tale aspetto era pronto a andare in bestia, di qualunque cosa si trattasse, arte, musica o scienza.

Questa volta era proprio una caldaia piena di rabbia. Tante erano le idee che gli balenavano in mente che non sapeva scegliere la frase adatta. E prima che riuscisse a decidersi, il dottor Oldroyd saltò su all’improvviso:

«Ho il grande piacere,» disse, «di dare la parola all’Astronomo Reale.»

L’Astronomo Reale aveva pensato di dir poche, precise parole, ma ora non seppe resistere alla tentazione di fare un discorso più lungo, solo per il piacere di guardare in viso Kingsley. Per Kingsley non poteva esserci tormento maggiore che sentir ripetere quel che aveva detto il signor George Green: eppure l’Astronomo Reale fece proprio questo. Per prima cosa fece proiettare le diapositive con su fotografata l’attrezzatura dell’Osservatorio Reale, quindi fece vedere gli astronomi al lavoro e le varie parti dei telescopi; poi continuò, spiegando nei particolari come funziona un telescopio, e in termini che parevano scelti apposta per farsi capire da un bambino tardivo. E tutto questo fece con tono misurato, sicuro, e non esitante, come quello del signor Green. Dopo circa 35 minuti di questa commedia sentì che la salute di Kingsley doveva essere in pericolo, e perciò decise di venire al sodo.

«I nostri risultati confermano all’ingrosso quel che vi ha già detto il signor Green. Giove e Saturno sono fuori di posizione, in misura press’a poco eguale a quella già dichiarata dal signor Green. Fra i suoi risultati e i nostri vi sono certe piccole discrepanze, ma nelle linee generali siamo d’accordo.

«L’Osservatorio Reale ha anche osservato che i pianeti Urano e Nettuno sono fuori di posizione, non certo nella stessa misura di Giove e di Saturno, ma tuttavia in misura apprezzabile.

«Debbo infine aggiungere che ho ricevuto una lettera da Grottwald di Heidelberg: mi dice che l’Osservatorio di Heidelberg ha ottenuto risultati in perfetto accordo con quelli dell’Osservatorio Reale.»

Non appena fu tornato al suo posto, il presidente si rivolse ai presenti:

«Signori, avete sentito questo pomeriggio risultati che io oserei definire di primissima importanza. La riunione di oggi sarà forse una pietra miliare nella storia dell’astronomia. Non voglio rubarvi altro tempo, perchè ritengo che voi tutti avrete molte cose da dire. In particolare ritengo che avranno molto da dirci i nostri teorici. Vorrei aprire la discussione chiedendo al professor Kingsley se ha osservazioni che gli piacerebbe fare.»

«No di certo, almeno finchè resta in vigore la legge contro la diffamazione,» disse un astronomo a bassa voce, rivolto al vicino.

«Signor presidente,» cominciò Kingsley, «durante i discorsi dei due precedenti oratori ho avuto tempo a sufficienza per fare un calcolo piuttosto lungo.»

I due astronomi si scambiarono un sorriso furbesco, e anche l’Astronomo Reale sogghignò dentro di sè.

«Forse ai presenti interesserà conoscere le conclusioni a cui sono giunto. Se sono giusti i risultati che ci sono stati presentati oggi — dico, se sono giusti — allora ciò significa che in prossimità del sistema solare deve esistere un corpo finora sconosciuto. E la massa di questo corpo sconosciuto deve esser pari, o forse maggiore, di quella di Giove stesso. Se non è possibile supporre che i risultati a noi sottoposti derivino da un banale errore di osservazione — dico un banale errore di osservazione — non è nemmeno possibile supporre che per tanto tempo nessuno abbia scoperto un corpo di così grande masse, esistente nel sistema solare o alla periferia di esso.»

Kingsley si rimise a sedere. Gli astronomi di professione capivano la struttura generale del suo ragionamento, e quel che vi stava sotto: conclusero che Kingsley aveva fatto centro.

Kingsley guardò fisso il ferroviere che gli chiese il biglietto, mentre saliva sul treno per Cambridge delle 8,56. L’uomo arretrò di un paio di passi, perchè l’ira di Kingsley non si era placate dopo il pasto appena consumato, un pasto formato da robe scadente cucinata male e servita con una certa alterigia in un ambiente pieno di pretese ma sporco. Solo il prezzo era stato ragguardevole. Kingsley avanzò lungo il treno in cerca di uno scompartimento dove potesse, tutto solo, sfogare la sue rabbia. Mentre traversava in fretta un vagone, scorse una nuca che gli parve di riconoscere. Scivolò nello scompartimento e piombò a sedere accanto all’Astronomo Reale

«Prima classe, belle e comoda. Bella cosa lavorare per il governo, vero?»

«Si sbaglia, Kingsley. Vado a Cambridge per una festa dell’Università.»

Kingsley, ancora ben conscio di quell’esecrabile pasto, lo guardò torvo.

«Si trattano bene quegli straccioni del Trinity College,» disse. «Fanno festa il lunedì, il mercoledì, il venerdì e gli altri giorni della settimana si concedono quattro pasti tondi tondi.»

«Non è proprio come dice lei. Oggi mi sembra arrabbiato, Kingsley. C’è qualche guaio?»

Bisogna proprio dire che l’Astronomo Reale gongolava.

«Arrabbiato! vorrei sapere chi non lo sarebbe. Avanti, A. R., cosa significava quella pagliacciata di oggi?»

«Tutto quello che si è detto oggi era realtà, semplice e schietta.»

«Realtà? Avreste fatto meglio a mettervi a ballare sui tavoli, sarebbe stato più serio. Pianeti spostati di un grado e mezzo! Che roba!»

L’Astronomo Reale prese dalla reticella la borsa e ne trasse un mucchio di carta zeppe di numeri.

«Questi sono i fatti,» disse. «Nella prima cinquantina di pagine troverà le osservazioni di tutti i pianeti, coi dati degli ultimi mesi, giorno per giorno. Poi c’è una tavola con le osservazioni ridotte a coordinate eliocentriche.»

Kingsley studiò in silenzio per quasi un’ora quelle carte, fino a che il treno non fu giunto a Bishop’s Stortford. Poi disse:

«Ma non vede, A. R., che non c’è la minima possibilità di tirar fuori i piedi da questo garbuglio? C’è tanta roba che non è facile dire se è tutta genuina. Posso tenere le tavole per un paio di giorni?»

«Kingsley, se lei immagina che io sia capace di prendermi il fastidio di mettere in piedi un complicato… garbuglio, come dice lei, con lo scopo principale di farle uno scherzo, di farla arrabbiare, allora le dico che ha un’opinione eccessiva di sè.»

«Diciamolo in un altro modo,» rispose Kingsley. «Ci sono due possibili ipotesi: e tutte e due a prima vista mi paiono impossibili, ma una deve essere quella giusta. La prima è questa: un corpo sinora sconosciuto, con una massa pari a quella del pianeta Giove, ha invaso il sistema solare. La seconda ipotesi eccola: L’Astronomo Reale è diventato matto. Non voglio offenderla, ma francamente la seconda ipotesi mi sembra meno incredibile della prima.»

«Quello che ammiro in lei, Kingsley, è la maniera con cui riesce a non attenuare le cose che pensa.» L’Astronomo Reale restò un momento soprappensiero. «Perchè non si dà alla politica?»

Kingsley sogghignò. «Mi può dare quelle tavole per un paio di giorni?»

«Che cosa intende farne?»

«Be’, due cose. Devo prima controllare il peso di tutta la questione, e poi scoprire dove si trova l’intruso.»

«E come intende far ciò?»

«Partirò dalle osservazioni su uno dei pianeti e procederò a ritroso: mi sembra che il migliore debba essere Saturno. Così determinerò la distribuzione del corpo intruso, o del materiale intruso, se esso non ha la forma di un corpo compatto. Sarà lo stesso procedimento con cui J.C. Adams e Leverrier hanno determinato la posizione di Nettuno. Poi, una volta pescato il materiale intruso svolgerò il ragionamento inverso. Calcolerò le modificazioni intervenute per gli altri pianeti, Giove, Urano, Nettuno, Marte eccetera. E una volta fatto questo confronterò i miei risultati con le sue osservazioni di questi altri pianeti. Se i miei risultati si accorderanno con le sue osservazioni allora sarò certo che non c’è stato da parte sua il desiderio di prendermi in giro. Se invece non concordano… Be’!»

«Benissimo,» disse l’Astronomo Reale, «ma come pensa di poterlo fare in un paio di giorni?»

«Oh, servendomi di un calcolatore elettronico. Per fortuna ho già un programma scritto per i calcolatori di Cambridge. Mi ci vorrà tutto domani per modificarlo un po’ e per iscrivervi alcuni moduli necessari alla soluzione del problema. Ma domani sera dovrei essere pronto per iniziare i calcoli. Senta, A.R., perchè non viene al laboratorio, dopo la festa? Se lavoriamo fino a domani notte, dovremmo sistemare tutto in breve tempo.»


La giornata dopo fu molto sgradevole: freddo, pioggia e nebbia sottile sulla città di Cambridge. Kingsley lavorò tutta la mattinata e tutto il pomeriggio davanti a un fuoco scoppiettante, nel suo appartamento all’Università. Lavorava sodo, tracciando sulla carta degli strani scarabocchi di cui diamo un breve esempio, un esempio cioè del codice grazie al quale si poteva ordinare al calcolatore come compiere i calcoli e le operazioni necessarie:

T

Z

0

A

23

(

1

U

11

(

2

A

2

F

3

U

13

(

Verso le tre e mezzo uscì dall’Università, ben imbacuccato e riparando sotto l’ombrello un voluminoso fascio di carta. Prese la via più breve per Corn Exchange Street, entrò nell’edificio dov’era la macchina calcolatrice, la macchina che in una notte faceva calcoli per cui normalmente sarebbero occorsi cinque anni. L’edificio era stato una volta una vecchia scuola di anatomia e alcuni sussurravano che fosse abitato dai fantasmi, ma Kingsley non ci pensava neppure, e dalla stradicciola imboccò l’entrata laterale.

Ma non andò subito alla calcolatrice, che in quel momento altri stavano adoperando. Doveva ancora tradurre lettere e cifre in una forma che la macchina potesse interpretare. Per far questo usò una macchina per scrivere di tipo speciale, che cioè faceva uscire una fettuccia di carta con dei fori: quei fori corrispondevano ai simboli impressi. Proprio quei fori erano le istruzioni da passare alla calcolatrice. Bisognava che tutte le migliaia di fori fossero al posto giusto; altrimenti la macchina avrebbe sbagliato i calcoli. La scrittura quindi doveva essere fatta con precisione meticolosa, una precisione al cento per cento, davvero.

Solo verso le sei Kingsley ritenne che ogni cosa fosse a posto, controllata e ricontrollata. Si diresse all’ultimo piano dell’edificio dov’era la calcolatrice. Nella stanza c’era un piacevole caldo secco, graditissimo in quell’umida giornata fredda di gennaio: era il calore delle molte migliaia di valvole. Si sentiva il ronzio familiare dei motori elettrici e il ticchettio della telescrivente.

L’Astronomo Reale aveva trascorso una giornata piacevole, in visita a vecchi amici, e una serata deliziosa alla festa dell’Università. Ora — era quasi mezzanotte — avrebbe preferito andarsene a dormire, piuttosto che al laboratorio matematico. Ma forse sarebbe stato meglio andare a vedere cosa faceva quel matto. Un amico si offri di accompagnarlo in macchina, e insomma eccolo qui, sotto la pioggia, in attesa che gli aprissero la porta. Finalmente comparve Kingsley.

«Oh, salve, A. R.,» disse. «È venuto proprio al momento giusto.»

Salirono diverse rampe di scale fino alla calcolatrice.

«Ha già qualche risultato?»

«No, ma credo che ogni cosa sia pronta. C’erano diversi sbagli nei miei appunti di stamani ed ho impiegato le ultime ore a scoprirli. Spero di averli eliminati tutti, mi pare. Se tutto va bene con la calcolatrice, fra un’ora o due dovremmo avere qualche buon risultato. È andata bene la festa?»

Erano quasi le due del mattino quando Kingsley disse: «Be’, quasi ci siamo. Fra un paio di minuti ci saranno i primi risultati.»

E infatti cinque minuti dopo si udì nella stanza un rumore nuovo, il fracasso del punzone ad alta velocità: ne uscì una strisciolina di carta lunga quasi dieci metri. I fori sulla carta davano i risultati di un calcolo per ottenere il quale a un uomo sarebbe occorso un anno intero.

«Diamo un’occhiata,» disse Kingsley infilando la strisciolina nella telescrivente. Tutti e due guardavano le file di cifre, man mano che la macchina le scriveva.

«L’apparecchio non è di prima qualità, temo. Forse è bene che le spieghi. Le prime tre file ci danno i valori del gruppo di parametri che ho introdotto nei calcoli rispetto alle sue osservazioni.»

«E la posizione dell’intruso?» chiese l’Astronomo Reale.

«Posizione e massa possiamo leggerle nelle ultime quattro file. Ma non sono in forma perfetta… Le ho detto che l’apparecchio non è molto buono. Usando questi risultati voglio poi calcolare quale influenza l’intruso dovrebbe avere su Giove. Il nastro è qui proprio per questo.»

E Kingsley indicò la striscia di carta che era appena uscita dalla macchina.

«Ma prima devo fare qualche piccolo calcolo di persona, per tradurre quei numeri in una forma davvero conveniente. Intanto però avviamo la macchina e sapremo qualcosa su Giove.»

Kingsley premette alcuni pulsanti. Poi introdusse un grosso rotolo di carta nel dispositivo di lettura della macchina. Premette un altro pulsante e il dispositivo cominciò a svolgere il rotolo.

«Vede come funziona?» disse Kingsley. «Man mano che il rotolo si svolge, una luce compare attraverso i fori, poi entra in questa scatola e cade su di un tubo fotosensibile. In questo modo una serie di impulsi entrano nella macchina. Il rotolo che ho introdotto dá alla macchina gli ordini necessari per calcolare il mutamento della posizione di Giove. Ma la macchina per ore non ha avuto alcun ordine; non sa ancora nulla della posizione dell’intruso, della sua massa, della sua velocità. Per questo la macchina non può ancora funzionare.»

Kingsley aveva ragione. Appena giunta alla fine del lungo rotolo di carta la macchina si fermò. Kingsley indicò una piccola luce rossa.

«Significa che la macchina si è fermata, perchè le istruzioni non sono ancora complete. E ora, dov’è quel pezzo di carta che avevamo un momento fa? Ah, eccolo sul tavolo, accanto a lei.»

L’Astronomo Reale gli porse la lunga striscia di carta.

«Ecco, qui ci sono le informazioni mancanti. Quando gliele avremo date, la macchina ci dirà tutto sull’intruso.»

Kingsley premette un altro pulsante e cominciò a svolgersi il secondo rotolo di carta. Appena ebbe percorso il dispositivo di lettura, proprio come aveva fatto il primo, cominciarono a accendersi delle luci su una serie di tubi a raggi catodici.

«Ecco, funziona. Per un’ora, da questo momento, la macchina moltiplicherà centomila numeri di dieci cifre al minuto. Noi intanto facciamoci il caffè. Ne ho bisogno, non tocco cibo dalle quattro del pomeriggio di ieri.»

I due uomini lavorarono per tutta la notte. Si vedevano le prime luci dell’alba, un’alba squallida di gennaio, quando Kingsley:

«Be’, ci siamo. Abbiamo qui tutti i risultati, ma bisogna tradurli, prima di poter fare un confronto con le sue osservazioni. Farò venire una delle ragazze per questo. Senta A. R., le propongo di cenare con me stanotte e poi riprenderemo. O forse preferisce riposarsi un po’? Io rimango fino a che non arriva il personale del laboratorio.»

Dopo cena quella notte l’Astronomo Reale e Kingsley furono di nuovo insieme, nella camera di quest’ultimo, all’Erasmus College. La cena era stata ottima e si sentivano tutti e due molto bene, lì accanto al fuoco scintillante.

«Quante sciocchezze si sentono dire su quelle stufe a perfetta tenuta,» fece l’Astronomo Reale indicando il fuoco. «Dicono che sono molto scientifiche, ma a me pare che di scientifico non abbiano nulla. La forma migliore di calore è quella che si irradia da un fuoco scoperto. Le stufe a tenuta, invece, generano un mucchio d’aria calda che è assai sgradevole a respirare. Ti soffocano, senza scaldarti.»

«Giustissimo,» approvò Kingsley. «Nemmeno io ho mai adoperato una di quelle stufe. E le andrebbe un po’ di Porto, prima di ricominciare? o di Madera, di Chiaretto, di Borgogna?»

«Grazie, mi piacerebbe il Borgogna.»

«Benissimo, ho del buon Pommard ‘57.»

Kingsley versò due bicchieri abbondanti, si rimise a sedere e continuò:

«Ecco fatto. Ho i valori calcolati per Marte, Giove, Urano e Nettuno. Si accordano perfettamente con le sue osservazioni. Ho fatto una sorta di sinossi dei risultati fondamentali, qui su questi quattro fogli di carta, uno per pianeta. Guardi pure.»

L’Astronomo Reale per diversi minuti osservò i quattro fogli.

«È impressionante, Kingsley. Quella sua calcolatrice è davvero uno strumento fantastico. Ebbene, è contento ora? Ogni cosa torna. Ogni cosa dà credito all’ipotesi di un corpo esterno che abbia invaso il sistema solare. A proposito, ha già i particolari circa la massa, la posizione e il moto? Qui non li vedo.»

«Sì, li ho,» rispose Kingsley tirando fuori un altro foglio da un grosso fascicolo. «E qui cominciano i guai. La massa risulta pari a quasi due terzi di quella di Giove.»

L’Astronomo Reale sogghignò.

«Mi pare che alla riunione degli astronomi lei la stimasse almeno uguale a quella di Giove.»

Kingsley grugnì.

«Se pensa a tutte quelle distrazioni, non è stata una stima cattiva, A. R. Ma guardi la distanza eliocentrica: 21,3 unità astronomiche, solo 21,3 volte la distanza della Terra dal Sole. È impossibile.»

«Perchè?»

«A quella distanza si dovrebbe vedere facilmente a occhio nudo. Migliaia di persone l’avrebbero già visto.»

L’Astronomo Reale scosse il capo.

«Non è detto che la cosa debba essere un pianeta, come Giove o Saturno. Può darsi che abbia densità molto maggiore e più bassa luminosità. Può darsi così che sia un oggetto molto difficile da scorgersi a occhio nudo.»

«Ma anche in questo caso, A. R., un esame del cielo al telescopio avrebbe dovuto scoprirlo. Come lei vede è nel cielo notturno, a sud di Orione. Ecco le coordinate: Ascensione Retta 5 ore 46 minuti, Declinazione meno 30 gradi 12 minuti. Non conosco molto bene i particolari del cielo, ma dev’essere da qualche parte a sud di Orione, vero?»

«Quanto tempo è che non guarda in un telescopio, Kingsley.?»

«Oh, mi pare quindici anni.»

«Cosa le era successo?»

«Dovevo accompagnare un gruppo di visitatori all’osservatorio.»

«Be’, non crede che dovremmo andare all’osservatorio a vedere quel che c’è da vedere, invece di continuare a discorrere? Mi sembra che questo intruso, come continuiamo a chiamarlo, possa anche non essere affatto un corpo solido.»

«Vuol dire che potrebbe essere una nuvola di gas? Be’, in un certo senso potrebbe essere meglio così. In questo caso sarebbe molto più difficile vederla che non un corpo denso. Ma la nuvola dovrebbe essere ben localizzata, con un diametro non molto maggiore dell’orbita della Terra. Dovrebbe essere una nuvola abbastanza densa, di circa 10–10 grammi per cm3. Una minuscola stella in via di formazione, forse?»

L’Astronomo Reale assentì.

«Noi sappiamo che le nuvole di gas molto grandi, come la Nebulosa di Orione, hanno una densità media di forse 10–21 grammi per cm3. D’altro canto le stelle come il Sole, con una densità di un grammo per cm3, si formano costantemente entro le grandi nuvole di gas. Ciò significa con certezza che debbono esistere ammassi gassosi di ogni possibile densità fra, diciamo, 10–21 grammi per cm3 da un lato, e la densità stellare dall’altro. Il suo 10–10 grammi per cm3 è proprio al centro di questa gamma; e a me sembra assai plausibile.»

«Tutto ciò è molto vero, A. R. Io credo che debbano esistere nuvole di questa densità. Ma credo che lei abbia ragione quando mi chiede di andare all’osservatorio. Chiamo Adams perchè faccia venire un tassì; intanto lei finisca il suo vino.»

Quando i due uomini giunsero all’osservatorio dell’Università il cielo era coperto: aspettarono molte fredde umide ore, ma quella notte non ci fu segno di stelle. Lo stesso la notte seguente, e poi un’altra ancora. Per questo Cambridge non ebbe l’onore di scoprire per prima la Nuvola nera, così come non aveva avuto l’onore, più di un secolo prima, di scoprire per prima il pianeta Nettuno.

Il 17 gennaio, cioè il giorno dopo la visita di Herrick a Washington, Kingsley e l’Astronomo Reale cenarono di nuovo insieme all’Erasmus College. Ancora una volta tornarono dopo cena nell’appartamento di Kingsley, ancora una volta sedettero davanti al fuoco a bere Pommard’ 57

«Grazie a Dio questa volta non dovremo star alzati tutta la notte. Spero che ci si possa fidare di Adams, e che mi avverta se il cielo si rischiara.»

«Però domani dovrei tornare a Herstmonceux,» disse l’Astronomo Reale. «Dopotutto abbiamo telescopi anche là.»

«Mi pare che anche lei si sia fatto mettere a terra da questo tempaccio. Guardi, A. R., secondo me dovremmo mostrare le nostre carte. Ho pronto un telegramma da mandare a Marlowe a Pasadena. Eccolo. Loro non hanno il fastidio del cielo coperto.»

L’Astronomo Reale dette un’occhiata al foglio che Kingsley gli porgeva.

PREGO INFORMARMI EVENTUALE ESISTENZA OGGETTO INSOLITO AT ASCENSIONE RETTA CINQUE ORE QUARANTASEI MINUTI DECLINAZIONE MENO TRENTA GRADI DODICI MINUTI STOP MASSA OGGETTO PARI DUE TERZI GIOVE VELOCITÀ SETTANTA CHILOMETRI SECONDO, DIREZIONE VERSO TERRA STOP DISTANZA ELIOCENTRICA VENTUNO VIRGOLA TRE UNITÀ ASTRONOMICHE STOP

«Devo mandarlo?» chiese Kingsley con ansia. «Lo mandi. Ho sonno,» disse l’Astronomo Reale nascondendo a male pena uno sbadiglio.


Alle nove del giorno seguente Kingsley aveva lezione, perciò prima delle otto si era già lavato, vestito, sbarbato. Era pronto il tavolo per la colazione. «Telegramma per lei, signore.»

Gli diede un’occhiata, era un cablogramma. Incredibile, pensò Kingsley, che la risposta di Marlowe fosse già arrivata. Ma fu anche più sorpreso quando ebbe aperto il cablogramma.

INDISPENSABILE PRESENZA IMMEDIATA RIPETO IMMEDIATA VOSTRA ET ASTRONOMO REALE AT PASADENA STOP PRENDETE AEREO PER NEW YORK ORE QUINDICI STOP BIGLIETTI PAN AMERICAN VICTORIA AIR TERMINAL STOP FORMALITÀ VISTI PASSAPORTO AT AMBASCIATA AMERICANA STOP MACCHINA ATTENDEVI AEROPORTO LOS ANGELES STOP HERRICK

L’aereo si alzò lentamente e puntò verso ovest

Kingsley e l’Astronomo Reale si accomodarono sui sedili. Era il primo momento di calma, da quando Kingsley aveva aperto il cablogramma di quella mattina. Per prima cosa aveva rimandato la lezione, poi aveva discusso tutto l’affare con il preside di facoltà. Non era facile lasciare la Università con così breve preavviso, ma finalmente tutto fu sistemato. Erano già le undici. Restavano tre ore per andare a Londra, ottenere il visto sul passaporto, prendere i biglietti e salire sull’autobus dell’aeroporto. Era stata proprio una corsa. Le cose andarono un po’ meglio per l’Astronomo Reale, che faceva spesso viaggi all’estero ed aveva quindi il visto già pronto.

Tutti e due tirarono fuori un libro da leggere durante il viaggio. Kingsley allungò gli occhi verso il libro dell’Astronomo Reale e vide una copertina smagliante, con su disegnata una banda di pistoleros che si sparavano addosso.

«Chissà cosa leggerà dopo,» pensava Kingsley.

Anche l’Astronomo Reale dette un’occhiata al libro di Kingsley: erano le Storie di Erodoto.

«Perdio, dopo questo leggerà Tucidide,» pensava l’Astronomo Reale.

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