Il risuonare dell’allarme di sovrapposizione a priorità assoluta lacerò l’aria nel cavernoso camerino dietro le quinte. Drew Arlen, l’unico occupante, voltò di scatto la testa in direzione dell’olo-terminale accanto alla toeletta. Lo schermo registrò l’impronta della sua retina e apparve il volto di Leisha Camden.
— Drew, hai sentito?
L’uomo sulla carrozzella, la parte superiore del corpo eccessivamente muscolosa sulle gambe avvizzite, riprese a truccarsi gli occhi. Si sporse in avanti verso lo specchio della toeletta. — Sentito cosa?
— Hai visto il "Times" delle sei?
— Leisha, devo essere in scena fra quindici minuti. Non ho sentito proprio niente. — Udì il suono della propria voce farsi sgradevole e sperò che lei non lo notasse. Perfino dopo tutto quel tempo. Perfino alla semplice vista dell’ologramma di lei.
— Miranda e i Super… Miranda… Drew, hanno costruito un’intera "isola". Al largo della costa del Messico. Hanno usato nano-tecnologia e gli atomi dell’acqua di mare, il tutto praticamente nel giro di una sola nottata!
— Un’isola — ripeté Drew. Corrugò la fronte davanti allo specchio, si passò l’ombretto insistentemente.
— Non si tratta di una costruzione galleggiante. È una vera e propria isola che arriva giù fino alla piattaforma continentale. Ne eri al corrente?
— Leisha, ho un concerto fra quindici minuti…
— Lo sapevi, vero? Sapevi quello che stava facendo Miranda. Perché non me lo hai "detto"?
Drew voltò la carrozzella elettrica per fissare i capelli dorati di Leisha, i suoi occhi verdi, la sua pelle perfetta modificata geneticamente. Sembrava avere trentacinque anni. Ne aveva novantotto.
Egli ribatté: — Perché non te lo ha detto Miranda?
L’espressione di Leisha si calmò. — Hai ragione. Avrebbe dovuto dirmelo Miranda e non lo ha fatto. Ci sono moltissime cose che non mi dice, vero, Drew?
Passò un lungo istante prima che Drew dicesse con un fil di voce: — Non è facile trovarsi fuori, tanto per cambiare, vero Leisha?
Lei rispose con altrettanta delicatezza: — Hai aspettato molto tempo per riuscire a dirmi una cosa simile, vero, Drew?
Egli distolse lo sguardo. Nell’angolo della immensa stanza qualcosa frusciò silenzioso: un topolino oppure un robot difettato.
Leisha disse: — Si trasferiranno in questa nuova isola? Tutti e ventisette i Super?
— Sì.
— Nessuno nella comunità scientifica è nemmeno al corrente del fatto che la nano-tecnologia abbia raggiunto queste capacità.
— Non lo ha fatto la nano-tecnologia di nessun altro.
Leisha disse: — Non mi lasceranno entrare su quell’isola, vero? Per niente?
Egli udì i complessi sottintesi nella voce di lei. La generazione di Insonni di Leisha, la prima generazione, non era in grado di nascondere i propri sentimenti. Al contrario la generazione di Miranda riusciva a nascondere ogni cosa.
— Vero — rispose Drew. — Non lo faranno.
— Proteggeranno l’isola con una qualche invenzione di Terry Mwakambe e tu sarai l’unico non-Super a cui sarà mai concesso di sapere quello che faranno lì.
Egli non rispose. Un tecnico infilò esitante la testa nell’arco della porta. — Dieci minuti, Signor Arlen, signore.
— Sì. Arrivo.
— Gran folla stasera, signore. Tutto strapieno.
— Sì. Grazie. — La testa del tecnico scomparve.
— Drew — disse Leisha, con voce incrinata. — Lei è per me una figlia quanto tu sei stato un figlio… Che cosa progetta di fare Miranda in quell’isola?
— Non lo so — disse Drew ed era allo stesso tempo una bugia e non, in modo che Leisha non avrebbe mai potuto comprendere. — Leisha devo essere sul palco fra nove minuti.
— Già — commentò stancamente Leisha. — Lo so. Tu sei il Sognatore Lucido.
Drew fissò ancora una volta la olo-immagine: l’amabile curva delle guance di lei, la pelle da Insonne priva di invecchiamento, il sospetto di lacrime negli occhi verdi. Era stata la persona più importante nel mondo di lui e nel più vasto mondo pubblico. Adesso, lei non lo sapeva ancora, era divenuta obsoleta.
— Già — disse lui. — Giusto. Io sono il Sognatore Lucido.
L’olo-palco si scurì ed egli tornò a truccarsi per lo spettacolo.