La preoccupazione per l’uomo stesso e il suo destino devono sempre costituire l’interesse primario di ogni sforzo tecnico, la preoccupazione per i grandi problemi irrisolti riguardanti l’organizzazione del lavoro e la distribuzione dei beni, così che le creazioni della nostra mente rappresentino per l’umanità una benedizione e non una maledizione.
Per alcuni di noi, ovviamente, niente è abbastanza.
Questa frase può essere presa in due modi diversi, no? Non voglio dire con questo che è vero il contrario. Non è vero nemmeno per i Vivi, indipendentemente dalle loro patetiche pretese di una "aristocratica vita di ozio". Già. Non esiste uno solo di noi che non sappia che è così. Noi Muli siamo sempre stati in grado di riconoscere la ribollente insoddisfazione. La vediamo quotidianamente nello specchio.
"Il mio QI non è stato potenziato come quello di Paul."
"I miei genitori non si sono potuti permettere le modificazioni genetiche che ha Aaron."
"La mia ditta non è diventata famosa come quella di Karen."
"La mia pelle non ha la grana fine come quella di Gina."
"Il mio collegio elettorale ha più pretese di quello di Luke. Quelle sanguisughe di votanti pensano forse che io sia una miniera inesauribile?"
"Il mio cane è meno all’avanguardia nelle modificazioni genetiche rispetto a quello di Stephanie."
Fu, in effetti, il cane di Stephanie che mi fece decidere di cambiar vita. So che effetto possono avere le mie parole. Non c’è nulla che riguardi l’inizio del mio servizio per l’Ente governativo di controllo degli Standard Genetici che non suoni ridicolo. Perché non cominciare proprio dal cane di Stephanie? Esso conferisce alla storia un certo brio satirico. Potrei parlarne a pranzo e a cena per interi mesi.
Sempre, ovviamente, che qualcuno vada ancora a pranzo o a cena.
Il brio satirico è una merce così deperibile!
Stephanie portò il suo cane nel mio appartamento nell’Enclave di Sicurezza di Bayview una domenica mattina di luglio. Il giorno prima avevo acquistato alcuni cesti di fiori alla BioForms di Oakland ed essi si riversavano a cascata fuori dalla ringhiera del terrazzo, un tumulto di azzurri dalle sfumature più varie, da superare quelle della Baia di San Francisco, sei piani sotto: cobalto, celeste, acquamarina, azzurro, grigio-azzurro, turchese, ceruleo. Io ero stesa sulla sdraio in terrazzo, mangiando biscotti all’anice e studiando i miei fiori. I geni modificati avevano modellato ogni bocciolo in un tubo che vibrava dolcemente, dotato di una estremità a cupola. I boccioli erano abbastanza lunghi. In verità, la mia terrazza spumeggiava di flaccidi e azzurri peni vegetali. David se n’era andato una settimana prima.
— Diana — disse Stephanie attraverso lo scudo a energia-Y che si estendeva nello spazio fra i battenti della portafinestra aperta. — Toc, toc.
— Come hai fatto a entrare nell’appartamento? — le chiesi, un po’ seccata. Non avevo dato a Stephanie il mio codice di sicurezza. Non mi piaceva a sufficienza.
— Il tuo codice è infranto. È sulla rete della polizia. Pensavo che avresti gradito saperlo. — Stephanie era un poliziotto. Non era nella polizia distrettuale, lavoro duro e sporco da effettuare giù fra i Vivi. Non la nostra Stephanie. Possedeva una ditta che forniva robot di pattuglia per la sicurezza nelle enclavi. Aveva progettato i robot personalmente. La sua impresa, che godeva di un successo stupefacente, aveva firmato contratti con un ragguardevole numero di enclavi di San Francisco, anche se non con la mia. Dirmi che il mio codice si trovava nella rete dei robot rappresentava il suo sgradevole modo di provocarmi poiché la mia enclave utilizzava una diversa forza di polizia.
Mi stesi nuovamente sulla sdraio e allungai una mano per prendere un drink. I fiori azzurri più vicini si spinsero verso la mia mano.
— Stai facendo avere loro un’erezione — disse Stephanie attraversando la portafinestra. — Oh, biscotti all’anice! Ti dispiace se ne do uno a Katous?
Il cane la seguì dalla fresca oscurità del mio appartamento, si bloccò, strizzando gli occhi nella splendente luce del sole, e annusò l’aria sospettoso. Era chiaramente, aggressivamente, illegalmente modificato a livello genetico. L’Ente governativo per il controllo degli Standard Genetici poteva consentire qualche aggiustamento alla moda sui fiori, ma non con i tipi animali superiori ai pesci. Le regole erano chiarissime, sottolineate da cause legali, dalle durissime sanzioni pecuniarie, che le rendevano ancora più chiare. Nessuna modificazione genetica che causi dolore. Nessuna modificazione genetica che crei un armamento, nella più ampia delle definizioni. Nessuna modificazione genetica che "muti l’aspetto fisico o fondamentali attività interne tali da creare alterazioni che deviino in modo significativo, la creatura dagli altri membri, non soltanto della sua specie, ma anche della sua razza". Un collie poteva essere addestrato a correre su una sola zampa, ma avrebbe fatto bene ad assomigliare ancora a Lassie.
E, in nessun caso, una qualsiasi modificazione genetica che fosse ereditaria. Nessuno voleva un altro fiasco come quello degli Insonni. Perfino i miei fiori "penili" erano sterili. Gli esseri umani modificati geneticamente, noi Muli, sono stati tutti creati individualmente, oggetti da collezione unici creati "in vitro". Così viene mantenuto l’ordine nel nostro mondo ordinato. Così afferma il giudice capo della Corte Suprema, Richard J. Milano, scrivendo la sentenza nella causa per LINBECKER CONTRO ENTE GOVERNATIVO PER IL CONTROLLO DEGLI STANDARD GENETICI. "L’umanità non deve essere alterata al di là della riconoscibilità, perché vorrebbe dire perdere ciò che significa essere umani. Due mani, una testa, due occhi, due gambe, un cuore funzionante, la necessità di respirare, mangiare e defecare, questa è l’umanità nella sua continuità. Noi siamo ’gli’ esseri umani."
O, in questo caso, "i" cani. Eppure ecco lì Stephanie, teoricamente una rappresentante della legge, in piedi sulla mia terrazza affiancata da una vivente violazione da galera della ECGS, dal pelo rosa. Katous aveva quattro adorabili orecchie rosa, diritte in modo identico, auricolari Rockettes. Aveva un simpatico codino da coniglio in pelo rosa. Aveva immensi occhi marroni, di una dimensione tre volte maggiore a qualsiasi occhio da cane che il giudice Milano avrebbe approvato, che gli conferivano uno sguardo languido e afflitto. Era talmente adorabile e dall’aria così vulnerabile che avevo voglia di prenderlo a calci.
— Ho sentito che David se n’è andato — disse Stephanie, chinandosi per dare da mangiare il biscotto all’anice a quell’ammasso di pelo tremante. Mi chiesi se Stephanie sapesse che katous era il termine arabo per "gatto". Certo che lo sapeva.
— David se n’è andato — confermai io. — Eravamo arrivati a un bivio.
— E chi sarà il prossimo?
— Nessuno. — Sorseggiai il mio drink senza offrirne uno a Stephanie. — Penso di vivere da sola per qualche tempo.
— Davvero? — Toccò un fiore color acquamarina: il dito venne avvolto dal soffice petalo tubolare. Stephanie sogghignò. — Quel dommage. Che mi dici di quel fornitore di software tedesco con cui hai parlato tanto a lungo alla festa di Paul?
— Che mi dici del tuo cane? — ribattei mordace. — Non è tremendamente illegale per essere il cane di uno sbirro?
— Ma tanto grazioso. Katous, di’ ciao a Diana.
— Ciao — disse Katous.
Staccai lentamente il bicchiere dalle labbra.
I cani non sapevano parlare. La struttura vocale non lo permetteva, la legge non lo permetteva, il QI canino non lo permetteva. Tuttavia il "ciao" latrato da Katous era stato perfettamente chiaro. Katous sapeva parlare.
Stephanie si appoggiò contro la portafinestra, godendosi l’effetto della sua granata. Avrei dato qualsiasi cosa per essere in grado di ignorarla, per proseguire con una conversazione neutrale e disinteressata. Non ci riuscii.
— Katous — dissi io — quanti anni hai?
Il cane mi fissò con enormi occhi afflitti.
— Dove abiti, Katous?
Nessuna risposta.
— Sei modificato geneticamente?
Nessuna risposta.
— Katous è un cane?
C’era forse un’ombra di triste sconcerto nei suoi occhi marroni?
— Katous, sei felice?
Stephanie disse: — Il suo vocabolario è di sole ventidue parole. Però ne capisce di più.
— Katous, vuoi un biscotto? Biscotto, Katous?
Il cane agitò il ridicolo codino e si mise a piroettare sul posto. Non aveva unghie sulle zampe. — Biscotto! Per favore!
Io allungai un biscotto della stessa marca delle madeleines di Proust. Magnifiche: croccanti, fragranti di anice, ricche di burro. Katous lo prese con gengive rosate, prive di denti. — Grazie, signora!
Guardai Stephanie. — Non è in grado di difendersi. È un ritardato mentale, sveglio abbastanza da saper parlare, ma non a sufficienza da capire il suo mondo. A che serve?
— A che servono i tuoi fiori penili? Dio, se sono sensuali! Te li ha dati David? Sono magnifici.
— Non me li ha dati David.
— Li hai comperati tu? Dopo che lui se n’è andato, immagino. Una forma di sostituzione?
— Un promemoria della fallibilità maschile.
Stephanie rise. Sapeva che stavo mentendo, ovviamente. David non era mai stato fallibile in quel campo. O in qualsiasi altro. Il fatto che se ne fosse andato era colpa mia. Non sono una persona facile con cui vivere. Stuzzico, ficco il naso dappertutto, litigo, cerco freneticamente debolezze da giustificare le mie. Peggio ancora, lo ammetto solamente ben dopo che è accaduto il fatto. Distolsi lo sguardo da Stephanie e fissai attraverso un varco tra i fiori la Baia di San Francisco, tenendo il drink ghiacciato in mano.
Suppongo che sia una grave pecca del mio carattere, quella di non sopportare di restare per più di dieci minuti nella stessa stanza con una persona come Stephanie. Lei è intelligente, piena di successo, spiritosa, audace. Gli uomini le cadono ai piedi e non soltanto per il suo aspetto modificato geneticamente, capelli rossi, occhi viola e gambe lunghe un metro e mezzo; nemmeno per la sua intelligenza potenziata. No, lei possiede la forma estrema di attrazione per i logori maschi: niente cuore. Rappresenta una sfida perenne, una varietà infinita che non stanca il cliente perché il prezzo è costantemente al rialzo. Non può essere realmente amata e non può essere realmente fatta soffrire, perché non gliene importa niente. L’indifferenza accoppiata a quelle gambe, è irresistibile. Ogni uomo pensa che lui sarà diverso per lei, ma non lo è mai.
"La gelosia" aveva sempre detto David "corrode l’anima."
Io gli avevo sempre risposto che Stephanie era priva di anima. Aveva ventotto anni, sette meno di me, il che significava sette anni di progresso nell’evoluzione tecnologica disponibile dell’Homo sapiens. Erano stati sette anni molto fertili. Suo padre era Harve Brunell, della Brunell Power. Per la sua unica figlia aveva acquistato ogni modificazione genetica sul mercato e alcune di esse non erano arrivate proprio legalmente. Stephanie Brunell rappresentava la penultima realizzazione della scienza americana, della potenza e dei valori.
Appena dopo Katous.
Lei colse un azzurro fiore penile e lo rigirò oziosamente fra le mani. Mi stava facendo soffocare dalla mia stessa curiosità, riguardo a Katous. — E così è davvero finita fra te e David. A proposito, l’ho visto fugacemente ieri sera alla festa acquatica di Anna. Da una certa distanza. Si trovava sul sentiero dei gigli.
Io chiesi con indifferenza. — Oh? Con chi?
— Decisamente solo. E sembrava proprio bellissimo. Penso che si sia fatto sostituire nuovamente i capelli. Adesso sono biondi e ricci.
Io mi stiracchiai e sbadigliai. Sentivo i muscoli del collo rigidi come corde di duragem. — Stephanie, se vuoi David, vagli pure dietro. "A me" non interessa.
— Davvero? Ti dispiace se mando il tuo "primitivo" robot-domestico a prendere un’altra caraffa di questo drink ghiacciato? Almeno il tuo robot funziona… il tasso di guasti fra i robot-poliziotti è aumentato ancora. Sono tentata di pensare che le concessionarie dei pezzi siano tutte di proprietà di deficienti se non fossero possedute da alcuni dei miei migliori amici. Come si chiama il tuo robot?
— Hudson — dissi — un’altra caraffa.
Fluttuò via. Katous lo guardò impaurito, indietreggiando in un angolo della terrazza. L’assurdo codino del cane sfiorò un fiore pendulo. Immediatamente il fiore si arrotolò attorno alla coda e Katous guaì scattando in avanti, tremando.
Dissi: — Un cane modificato geneticamente, con un briciolo di coscienza di sé, che ha paura di un fiore? Non ti pare un po’ crudele?
— È tenuto a essere una bestiolina ultra-viziata. A dire il vero Katous è un prototipo beta, testato per il mercato estero. Disponibile secondo l’Atto di esenzione speciale per la ripresa economica, Sezione 14-C. Animali domestici non agricoli per l’esportazione.
— Pensavo che il presidente non avesse firmato l’Atto di esenzione speciale. — Il Congresso vi aveva dibattuto per settimane. Crisi economica, bilancio commerciale sfavorevole, rigidi controlli dell’ECGS, minaccia alla vita per come la conosciamo. Il solito.
— Lo firmerà la prossima settimana — disse Stephanie. Mi chiesi quale dei suoi amanti avesse influenza al Campidoglio. — Non possiamo permetterci di non farlo. La lobby delle modificazioni genetiche diventa ogni mese più potente. Pensa a tutte quelle ricche e vecchie signore cinesi, europee e sudafricane che smanierebbero per avere un costosissimo cagnolino grazioso in modo nauseante, dipendente, senziente in modo poco minaccioso, di breve vita e privo di denti.
— Dalla vita breve? Niente denti? Le caratteristiche di razza dell’ECGS…
— Verranno derogate per gli animali da esportazione. Nel frattempo io sto soltanto effettuando un beta-test per un amico. Oh, ecco che arriva Hudson.
Il robot fluttuò attraverso la portafinestra con una caraffa ghiacciata di vodka non-ti-scordar-di-me. Katous sgattaiolò via, con le quattro orecchie tremanti. Nella fuga urtò un vaso di fiori i quali cercarono di arrotolarsi attorno a lui. Un lungo e flaccido petalo gli si posò delicatamente sopra gli occhi. Katous guaì e si divincolò, lo sguardo impazzito. Sfrecciò attraverso la terrazza.
— Aiuto! — gridò Katous.
Da quella parte della terrazza avevo piantato della polvere di luna in cassette poco profonde fra i paletti, in modo da avere un bordo basso che non mi impedisse la vista della Baia. La terrorizzata fuga di Katous lo mandò a sbattere contro il campo dei sensori della polvere di luna. Essa rilasciò una nuvola di fibre azzurre dal profumo dolciastro, sottili quanto cotone egiziano. Il cagnolino le respirò e guaì nuovamente. La nuvola di polvere di luna risultò per qualche istante traslucida, una nebbia fragrante attorno a quegli occhi enormi, terrorizzati. Katous prese a correre in un tondo, quindi balzò alla cieca. Si scaraventò tra i paletti largamente distanziati e finì oltre il margine della terrazza.
Il rumore del suo corpo che colpiva l’asfalto sottostante giunse ai sensori di Hudson.
Io e Stephanie corremmo alla ringhiera. Ai nostri piedi la polvere di luna rilasciò un’altra nuvola di fibre. Katous giaceva spiaccicato sul marciapiede, sei piani sotto.
— Maledizione! — esclamò Stephanie. — Quel prototipo costava un quarto di milione in Ricerca e Sviluppo!
Hudson disse: — C’È STATO UN RUMORE NON REGISTRATO PROVENIENTE DALL’INGRESSO AL PIANO TERRA. DEVO ALLERTARE LA SICUREZZA?
— No, Hudson — risposi io. — Nessuna azione. — Guardai l’ammasso di pelo rosa insanguinato. Dispiacere e disgusto mi inondarono: dispiacere per il terrore di Katous, disgusto per Stephanie e me.
— Oh, bene — disse Stephanie. Le sue labbra perfette si contrassero. — Forse il QI "aveva" bisogno di essere potenziato. Non ti vedi già i titoli dei tabloid dei Vivi? CANE SCEMO SI TUFFA NELLA MORTE. PRESO DAL PANICO PER UN BOUQUET PENILE. — Tirò indietro la testa e si mise a ridere, mentre i capelli rossi le ondeggiavano nella brezza.
"Mercuriale", aveva detto una volta David di Stephanie. "Ha dei capricci intriganti e mercuriali."
A livello personale non ho mai trovato i titoli dei tabloid dei Vivi buffi quanto sembrano trovarli tutti gli altri. Scommetterei inoltre che né "penile" né "bouquet" si trovino nel dizionario dei Vivi.
Stephanie alzò le spalle e si allontanò dalla ringhiera. — Immagino che Norman ne debba semplicemente fare un altro. Con il lavoro di Ricerca e Sviluppo già completato la società non dovrebbe finire in bancarotta. Forse potrà perfino dedurlo dalle tasse. Hai sentito che Jean-Claude ha inoltrato richiesta di deduzione al Fisco per gli embrioni che lui e Lisa hanno alla fine deciso di non impiantare in un surrogato? Li ha buttati e ha dedotto le spese di sette anni di deposito degli embrioni come deprezzamento economico, basandosi sul fatto che un erede faceva parte di una pianificazione strategica a lungo termine e che il revisore fiscale l’aveva effettivamente autorizzato. Nove embrioni fertilizzati, tutti con costosissime modificazioni genetiche. Poi lui e Lisa hanno deciso che, dopotutto, non volevano affatto dei bambini.
Fissai il mucchietto di pelo rosa da buttare, poi l’ampia Baia azzurra e presi la mia decisione. In quel preciso istante.
— Conosci Colin Kowalski? — chiesi a Stephanie.
Rifletté brevemente. Aveva una memoria eidetica. — Sì, mi sembra di sì. Sarah Goldman me lo ha presentato a teatro qualche anno fa. Alto, con capelli mossi e scuri? Modificazione genetica minima, vero? Non mi ricordo che fosse bello. Perché? È il tuo sostituto per David?
— No.
— Aspetta un attimo… non fa parte dell’ECGS?
— Sì.
— Penso di averti già detto — proseguì Stephanie irrigidita — che la compagnia di Norman aveva un permesso speciale di beta-test per Katous, no?
— No. Non lo hai fatto.
Stephanie si morse l’impeccabile labbro inferiore. — A dire il vero il permesso è in sospeso. Diana…
— Non ti preoccupare, Stephanie. Non denuncerò la tua violazione mortale. Ho solo pensato che potessi conoscere Colin. Darà una stravagante festa per il 4 di Luglio. Potrei farti avere un invito. — Mi stavo godendo il suo disagio.
— Non penso che mi interessi una festa organizzata da un Agente della Squadra Purezza. Sono sempre così noiosi, così rigidi sulla genetica, un manganello che si abbatte sull’innovazione nel nome di un patriottismo fasullo. No, grazie.
— Pensi che l’idealismo sia fasullo?
— La maggior parte del patriottismo lo è. Sia quello, sia il sentimentalismo da Vivi. Dio, l’unica cosa sopportabile di questo paese proviene dalla tecnologia della modificazione genetica. La maggior parte dei Vivi ha un aspetto di merda e si comporta in modo anche peggiore… anche tu hai detto che non sopporti di averli attorno.
Lo avevo detto, sì. C’era moltissima gente che non sopportavo di avere attorno.
Stephanie era in una lista elettorale, il genere di persona che non arriva mai in una campagna per olo-video. — Senza i cervelli modificati geneticamente nelle enclavi di sicurezza, questo sarebbe un paese di deficienti ambulanti, incapaci perfino della basilare sopravvivenza. A livello personale, penso che l’azione migliore del "patriottismo" sia un virus letale, modificato geneticamente, che spazzi via chiunque a parte i Muli. I Vivi non contribuiscono a nulla e dissanguano tutto.
Misurando attentamente le parole dissi: — Ti ho mai detto che mia madre era una Viva? Che è stata uccisa mentre combatteva per gli Stati Uniti nel Conflitto Cinese? Era sergente maggiore.
A dire il vero mia madre era morta quando io avevo due anni, la ricordavo a malapena. Stephanie ebbe tuttavia il buon gusto di apparire imbarazzata. — No, e avresti dovuto farlo prima di lasciarmi pronunciare questa filippica. Questo però non cambia le cose. Tu "sei" un Mulo. Sei modificata geneticamente. Esegui un lavoro utile.
Quest’ultima affermazione era generosa oppure maligna. Ho fatto svariati lavori, nessuno dei quali di utilità duratura. Ho una teoria sulla gente che finisce con l’avere una catena di carriere a breve termine. Si tratta, incidentalmente, della stessa teoria che ho sulla gente che finisce con l’avere una catena di amori a breve termine. Questo avviene perché ogni nuovo amore/lavoro rivela una nuova inadeguatezza interna. Con uno si scopre la propria capacità di essere pigri; con un altro di essere petulanti e così via. La somma di troppi mestieri o di troppi amori, quindi, risulta la stessa: un diagramma di prestazioni varie che scende a picco, inevitabilmente, verso il quadrante inferiore destro. Tutte le proprie debolezze stanno lì, esposte. Quella che è mancata a un amore o a un mestiere verrà evidenziata dal successivo.
Negli ultimi dieci anni ho lavorato nel campo della sicurezza, degli olo-video di intrattenimento, della politica per la contea, delle concessionarie per la manifattura di mobilia (più di una), della legge sui robot, del catering, dell’istruzione, della sincografia applicata, della sanità. Nulla di azzardato, nulla di perduto. Eppure David, che era venuto dopo Russel, dopo Anthony, dopo Paul, dopo Eugene, dopo Claude, non aveva mai definito "me" "mercuriale". Il che era certamente indicativo di qualche cosa.
Non avendo reagito alla stilettata di Stephanie lei la ripeté, sorridendo in modo premuroso. — "Tu sei" un Mulo, Diana. Svolgi un lavoro utile.
— Sto per farlo — risposi io.
Lei si versò un altro drink. — Ci sarà David a questa festa di Colin Kowalski?
— No. Sono certa di no. Si troverà però alla campagna per la raccolta di fondi che Sarah terrà sabato. Abbiamo entrambi accettato di andare alcune settimane fa.
— E tu ci andrai?
— Non penso.
— Capisco. Se però tu e David avete realmente chiuso…
— Vagli dietro, Stephanie. — Non la guardai in faccia. Da quando David se n’era andato avevo perduto tre chili e mezzo e tre amici.
Diciamo che mi sono unita all’ECGS perché ero stata piantata in asso, che ero disgustata di Stephanie e di tutto quello che rappresentava, che ero stanca della mia vita in quel momento estremamente noioso, che ero semplicemente alla ricerca di un nuovo brivido. Diciamo che sono stata impulsiva.
— Sarò fuori città per qualche tempo — dissi.
— Oh? Dove andrai?
— Non sono ancora sicura. Dipende. — Lanciai un’ultima occhiata al costosissimo cagnolino, spiaccicato, ultimo ritrovato della tecnologia e dei valori americani.
Diciamo che sono stata una patriota.
La mattina dopo presi un volo per recarmi nell’ufficio di Colin Kowalski in un complesso governativo a ovest della città. Dal cielo, gli edifici e le ampie zone di atterraggio formavano un disegno geometrico, circondato da strisce informi di alberi carichi di fiori gialli brillanti. Immaginai che gli alberi fossero modificati geneticamente in modo da fiorire per tutto l’anno. Alberi e prati si interruppero bruscamente al perimetro della bolla formata dal campo di sicurezza a energia-Y. Al di fuori di quel cerchio incantato il terreno tornava ai cespugli, punteggiato da alcuni Vivi impegnati in una corsa di scooter.
Dalla mia aeromobile ero in grado di scorgere l’intero tracciato, una linea gialla rilucente di energia-Y larga quasi un metro e lunga circa otto "contorti chilometri. Uno scooter a base piatta sfrecciò dalla navetta di partenza, guidato da una figura con una tuta rossa che, alla sua velocità e alla mia altitudine, non era niente di più di una macchia confusa. Ero stata a qualche corsa di scooter. Il dispositivo gravitazionale era programmato in modo tale da restare esattamente quindici centimetri al di sopra della pista. Dei coni a energia-Y posti sotto al fondo ne determinavano la velocità: più forte era l’inclinazione rispetto al tracciato a energia, più veloce poteva andare lo scooter e più difficile diventava da controllare. Al pilota era permessa una sola maniglia, oltre a un pomolo attorno al quale poter agganciare un ginocchio. Doveva essere come cavalcare con la sella laterale a ottantacinque chilometri all’ora… non che alcuno dei Vivi avesse mai sentito parlare di selle laterali. I Vivi non leggevano libri di storia. Né altro.
Gli spettatori erano appollaiati su inconsistenti panche lungo la pista per gli scooter. Applaudivano e gridavano. Il pilota era arrivato a metà percorso quando un secondo scooter venne lanciato dalla navetta. La mia aeromobile era stata autorizzata ad atterrare dal campo di sicurezza governativo che si era inserito sui miei comandi per guidarmi all’interno. Mi girai sul sedile per tenere d’occhio il tracciato degli scooter. A quell’altezza ero in grado di vedere più chiaramente il primo pilota. Egli aumentò l’inclinazione dello scooter, anche se quella parte della pista era sconnessa, insinuandosi fra rocce, buche e cumuli di sterpaglia tagliata. Mi chiesi come facesse a sapere che il secondo scooter stava guadagnando terreno rispetto a lui.
Vidi il primo pilota sfrecciare verso un masso parzialmente interrato. La linea gialla della pista vi scivolava sopra. Il pilota spostò il proprio peso verso il centro, cercando di rallentare. Aveva aspettato troppo. Lo scooter si impennò e schizzò via, mentre il pilota volava a terra. Colpì con la testa il margine del masso a oltre un chilometro e mezzo al minuto.
Un istante dopo il secondo scooter sfrecciò, con i suoi coni a energia, esattamente a quindici centimetri dal cranio fracassato del primo pilota.
La mia aeromobile scese lentamente al di sotto delle cime degli alberi e atterrò fra due aiuole di sgargianti fiori modificati geneticamente.
Colin Kowalski mi venne incontro nell’atrio, un severo ingresso neo-Wrightiano di un grigio deprimente. — Mio Dio, Diana, sei pallidissima. Cosa c’è?
— Niente — risposi io. Nonostante nelle corse di scooter la morte sia una costante, non avevo mai assistito a un tale evento personalmente e tanto da vicino. Il cranio fracassato non era apparso più sostanziale di un fiore.
— Hai bisogno di una boccata di aria fresca — disse Colin. — Andiamo a fare una passeggiata?
— Una che? — chiesi io, sconcertata. Avevo appena preso un po’ d’aria fresca. Quello che volevo era sedermi.
— Il dottore non ti ha prescritto delle passeggiate tranquille? Nelle tue condizioni? — Colin mi prese per un braccio e questa volta fui tanto sveglia da non dire "Le mie, cosa?" Il vecchio addestramento ritornava velocemente alla memoria. Colin aveva paura che l’edificio non fosse sicuro.
Come poteva non essere sicuro un complesso governativo sotto un campo a energia-Y di massima sicurezza? Quel posto doveva essere plurischermato, bloccato, controllato costantemente. C’era solamente un gruppo di persone delle quali si poteva anche solo remotamente sospettare che avessero sviluppato monitor così radicalmente non individuabili…
Restai stupita di me stessa. Il mio cuore perse effettivamente un colpo. Apparentemente riuscivo ancora a provare interesse in qualcosa che non fossi io stessa.
Colin camminò con me oltre un grazioso giardino di meditazione verso un esteso prato aperto. Camminammo lentamente, come si confaceva a uno nella mia condizione, qualsiasi essa fosse.
— Colin, tesoro, sono incinta?
— Hai il morbo di Gravison. Diagnosticato soltanto due settimane fa nell’Enclave Medica John C. Frémont, dopo i tuoi ripetuti ricoveri a causa delle vertigini.
— Non ci sono ricoveri nella mia documentazione medica.
— Adesso ci sono. Tre casi nel giro degli ultimi quattro mesi. Una errata diagnosi di sclerosi multipla. I tuoi problemi medici sono una delle cause per cui David Madison ti ha lasciata.
A dispetto di me stessa, mi contrassi al suono del nome di David.
Colin e io avanzammo ancora un po’. Il tempo sotto la cupola era mite, nell’aria un profumo di fresco. La mano di Colin sul mio braccio era una sensazione gradevole. Stephanie aveva torto: era bello, anche se il suo aspetto fisico non era stato modificato geneticamente. Folti capelli scuri, zigomi alti, un corpo forte. Peccato che fosse così moralista. Il rispetto quasi religioso per il proprio lavoro, anche se il lavoro non vale nulla, porta a un crollo del desiderio sessuale. Riuscivo a immaginare Colin che ispezionava le amanti nude alla ricerca di violazioni all’ECGS. E quindi denunciarle.
Dissi: — Stai correndo troppo, tesoro. Perché i cambiamenti nella documentazione medica? Non ho ancora nemmeno detto di essere disposta a giocare.
— Abbiamo bisogno di te, Diana. Non avresti potuto contattarmi in un momento migliore. Washington ci ha tagliato nuovamente i fondi, una caduta del dieci per cento da…
— Risparmiami la lezione politica, Col. Per che cosa hai bisogno di me?
Sembrava leggermente offeso. Un moralista. I suoi fondi, tuttavia, erano stati tagliati. I fondi di tutti erano stati tagliati. Washington è un sistema di tipo binario: il denaro può soltanto entrare e uscire. Ne stava uscendo più di quanto non ne stesse entrando. Molto di più: mantenere una nazione di Vivi era costoso da quando gli USA non avevano più l’esclusiva dei brevetti mondiali per l’economica energia-Y che aveva reso originariamente possibile la cosa. In aggiunta, i macchinari vetusti, a lungo sottoposti a una scarsa manutenzione, diventavano inutilizzabili a un ritmo crescente. Perfino Stephanie, con tutti i suoi soldi, se n’era lamentata. Il settore pubblico doveva risentirne anche di più. Le spese deficitarie erano ormai illegali da quasi un secolo. Colin non pensava che io lo sapessi già?
Egli disse irrigidito: — Non avevo intenzione di propinarti una lezione. Ho bisogno di te per un lavoro di sorveglianza. Sei addestrata, sei pulita, nessuno potrà rintracciare elettronicamente i tuoi movimenti. Qualora poi essi attirassero l’attenzione di qualcuno, il morbo di Gravison rappresenta una perfetta copertura.
Era vero, fino a quel punto. Ero "addestrata" perché quindici anni prima avevo preso parte a un programma di addestramento non documentato, così segreto che i suoi agenti non erano mai stati impiegati. Quanto meno io non lo ero stata ma, c’è anche da dire, che me n’ero andata prima che fosse finito. Avevo incontrato Claude. Forse però era qualcun altro. Anche Colin Kowalski era stato inserito nel programma che aveva segnato l’inizio della sua carriera governativa. Io ero pulita perché del programma non appariva nulla su alcuna banca dati, da nessuna parte.
C’era tuttavia qualcosa che Colin non mi stava dicendo, qualcosa che non quadrava perfettamente nei suoi modi. Dissi: — Di chi, specificamente, non attirerò l’attenzione? — Tuttavia pensavo di conoscere già la risposta.
— Insonni. Né del Rifugio, né di quel gruppo di Huevos Verdes. La Isla, intendo dire.
Huevos Verdes. Uova verdi. Mi chinai e feci finta di aggiustarmi un sandalo, per nascondere un sorrisetto. Non avevo mai sentito dire che gli Insonni avessero il senso dell’umorismo.
Dissi, attraverso una crescente eccitazione: — Perché il morbo di Gravison fornirebbe una copertura perfetta? Che cos’è il morbo di Gravison?
— Un disturbo mentale. Provoca un’estrema irrequietezza e agitazione.
— E tu hai pensato immediatamente a me. Grazie, tesoro.
Egli sembrò seccato. — Conduce spesso a viaggiare senza meta. Diana, non è una cosa da ridere. Sei l’ultima degli agenti segreti che siamo sicurissimi non compaia su alcuna documentazione precedente al tempo in cui il Rifugio ha prodotto quei cosiddetti Super-Insonni nella stazione orbitale protetta. Be’, adesso non è più protetta. L’abbiamo stipata di personale dell’ECGS. Abbiamo smantellato completamente i laboratori: il Rifugio non farà più pericolosi trucchetti modificati geneticamente. La traditrice Jennifer Sharifi e la sua cellula di rivoluzionari non usciranno più di galera.
Le parole di Colin mi colpirono per la loro riduttività: una riduttività particolarmente grigia, di tipo governativo. Quello che lui aveva chiamato "pericolosi trucchetti modificati geneticamente" di Jennifer Sharifi era stato un tentativo terroristico di utilizzare virus letali alterati per tenere in ostaggio cinque grandi città. Questo incredibile, ardito, folle terrorismo era stato un tentativo di costringere gli Stati Uniti a concedere la secessione del Rifugio. L’unico motivo per cui il Rifugio non aveva avuto successo era stato che la nipote di Jennifer Sharifi, Miranda, per chissà quali contorte condotte politiche di tipo familiare, aveva consegnato i terroristi ai federali. Era avvenuto tutto tredici anni prima. Miranda Sharifi aveva allora sedici anni. Lei e altri ventisei bambini coinvolti nel tradimento erano stati apparentemente modificati, a tal punto a livello genetico, da non pensare più nemmeno come esseri umani. Una specie differente.
Esattamente ciò che l’ECGS era tenuto a impedire.
Eppure eccoli qui i ventisette Super-Insonni, che camminavano in giro vivi, un fatto compiuto. Qualche anno addietro i Super si erano trasferiti in un’isola che avevano "costruito" al largo della costa dello Yucatan. Non si trattava di una costruzione galleggiante, come quella delle Isole Artificiali, ma di roccia che arrivava giù fino alla piattaforma continentale. Nessuno sapeva come avessero fatto gli Insonni a sviluppare la nanotecnologia per realizzarla. Un sacco di gente smaniava per scoprirlo. La nano-tecnologia era ancora agli albori. Al massimo, i nano-scienziati riuscivano a fare a pezzi le cose, non a costruirle. Apparentemente questo non era vero a La Isla.
Un’isola, dice la legge internazionale, che sia antecedente all’esistenza di persone che sono in grado di crearne una, è una struttura naturale. A differenza di una nave o di una stazione orbitale, non ricade sotto la Legge di Riforma Fiscale sui Costrutti Artificiali del 2050 e non deve, necessariamente, battere bandiera nazionale. Può essere rivendicata da, o per, un dato paese, o venire assegnata a esso come un protettorato da parte delle Nazioni Unite. I ventisette Super, più i seguaci, si erano insediati sull’isola che aveva approssimativamente la forma di due ovali incastrati. La Isla era stata rivendicata dagli Stati Uniti: le potenziali tasse sulle imprese dei Super-Insonni erano immense. Tuttavia le Nazioni Unite avevano assegnato l’isola al Messico, che si trovava a circa trenta chilometri di distanza, perché collegialmente scontente degli americani. Il Messico, sfruttato e angariato per svariati secoli dagli Stati Uniti, era felicissimo di ricevere qualsiasi somma di denaro La Isla avesse voluto pagare per la tranquillità dei propri abitanti.
I Super avevano edificato la loro tenuta sotto la copertura dei più sofisticati campi energetici esistenti. Impenetrabile. Apparentemente i Super, con il loro potere cerebrale all’ennesima potenza non erano dei geni solo sugli studi riguardanti la modificazione genetica, ma in ogni campo. Energia-Y. Elettronica. Tecnologia gravitazionale. Dalla loro isola, chiamata in modo ufficiale anche se poco fantasioso, La Isla, hanno venduto brevetti su un mercato mondiale a cui gli Stati Uniti possono offrire soltanto prodotti triti e ritriti a prezzi gonfiati. Gli Stati Uniti devono mantenere 120 milioni di Vivi improduttivi; La Isla nessuno. Non l’avevo mai sentita chiamare prima di allora Huevos Verdes. Si traduceva come "uova verdi", ma nel dialetto spagnolo significava "testicoli verdi". Fertili e possenti palle. Colin lo sapeva?
Mi chinai per raccogliere un filo di erba verdissima modificata geneticamente. — Colin, non pensi che se i Super avessero voluto tirare fuori dalla galera Jennifer Sharifi e i loro altri nonni lo avrebbero già fatto? È ovvio che i contro-rivoluzionari di successo vogliano la banda dei senior esattamente dove voi l’avete sbattuta.
Egli apparve ancor più seccato. — Diana, i Super-Insonni non sono divinità. Non possono controllare tutto. Sono semplicemente esseri umani.
— Pensavo che l’ECGS dicesse che non lo sono.
Egli ignorò la battuta. O forse no. — Mi hai detto ieri che credevi nella necessità di fermare gli esperimenti illegali di modificazione genetica. Esperimenti che potrebbero irrevocabilmente cambiare l’umanità per come la conosciamo.
Mi venne in mente Katous che giaceva spiaccicato sul marciapiede e Stephanie che rideva sul terrazzo. "Biscotto! Per favore!" Avevo realmente detto a Colin che credevo fosse necessario fermare l’ingegneria genetica, ma non per motivi semplici come i suoi. Non obbiettavo affatto su irrevocabili cambiamenti nell’umanità: a dire il vero mi sembrava molto frequentemente un’ottima idea. Non avevo tuttavia alcuna fiducia nel genere di alterazioni che sarebbero state scelte. Dubitavo di coloro che effettuavano le scelte, non delle scelte in sé. Eravamo già andati troppo avanti nella direzione di Stephanie che considerava le forme di vita senzienti usa e getta come la carta igienica. Un cane oggi, un costoso e improduttivo Vivo domani, chi il giorno dopo? Sospettavo che Stephanie fosse capace di un genocidio se le fosse servito per i propri scopi. Sospettavo che lo fossero molti Muli. A volte lo pensavo anche di me stessa. Dubitavo che Colin potesse capire tutto questo.
— Esatto — confermai io. — Voglio contribuire a fermare gli esperimenti illegali di modificazione genetica.
— E io voglio che tu sappia che so che sotto quei tuoi modi frìvoli c’è un serio e leale cittadino americano.
Oh, Colin. Nemmeno il QI potenziato gli permetteva di vedere il mondo in un modo diverso rispetto a quello dualistico. Accettabile/non accettabile. Buono/cattivo. Acceso/spento. La realtà era tanto più complessa. E non c’era solamente questo, lui mi stava mentendo.
Non mi avrebbe confidato nulla di importante di questo progetto, qualsiasi cosa fosse. Ero stata reclutata troppo frettolosamente, ero troppo frivola, troppo inaffidabile. Che io avessi abbandonato l’addestramento prima che fosse completato rappresentava di fatto inaffidabilità, slealtà, inaccettabilità per qualsiasi cosa importante. Ecco il modo di pensare dei tipi del governo. Forse hanno ragione.
Qualunque compito di sorveglianza Colin mi avesse affidato sarebbe stato rigorosamente di appoggio, di terzo livello. Esisteva una teoria al proposito nel lavoro di sorveglianza: di basso costo, limitato, fuori controllo. Era iniziata come una teoria di ingegneria robotica, ma era ben presto passata al lavoro di polizia. Se ci sono moltissimi investigatori con compiti limitati, non finiranno col convergere in un singolo, prematuro punto di vista rispetto a quello che stanno cercando. In questo modo possono far saltare fuori qualcosa di completamente inaspettato. Colin mi voleva in qualità di jolly.
La cosa non mi interessò. Quanto meno mi avrebbe portato fuori San Francisco.
Colin disse: — Almeno durante gli ultimi due anni i Super sono entrati negli Stati Uniti singolarmente o in coppia, in incognito anche rispetto alla documentazione elettronica. Viaggiano in svariate città di Vivi ed enclavi di Muli, quindi se ne tornano a La Isla. Vogliamo sapere perché.
Io mormorai: — Forse hanno il morbo di Gravison.
— Scusa, cosa hai detto?
— Ho detto: avete fatto qualche progresso nel penetrare a Huevos Verdes?
— No — rispose lui, ma non me lo avrebbe detto comunque. Non aveva affatto colto l’allusione sessuale.
— E chi dovrò tenere sotto sorveglianza? — Adesso l’eccitazione era una piccola bolla nella mia gola, ancora sorprendente. Era passato molto tempo dall’ultima volta in cui qualcosa mi aveva eccitato. A parte David, ovviamente, che aveva messo le sue spalle sexy, il suo fascino verbale e il suo senso di superiorità in attesa, pronto per cadere pesantemente e temporaneamente nel bel mezzo della vita di qualche altra donna.
Egli disse: — Seguirai Miranda Sharifi.
— Ah.
— Ho una completa serie di informazioni demografiche e un kit per te in un armadietto alla stazione della ferrovia a gravità. Ti farai passare per una Viva.
Questo era un parziale insulto: Colin stava insinuando che il mio aspetto fisico non fosse sufficientemente spettacolare da essere identificato subito come modificato geneticamente. Lasciai correre.
Colin disse: — Ha fatto solamente un viaggio fuori dall’isola personalmente. Quando avverrà il secondo tu andrai con lei.
— Come farai a essere sicuro che si tratta di lei? Se utilizzano camuffamenti sia estetici sia elettronici potrebbe avere lineamenti, capelli e perfino proiezioni cerebrali diverse per mascherare le proprie.
— Vero. Hanno però le teste leggermente deformi, un po’ troppo grosse. Quello è difficile da nascondere.
Era una cosa che, ovviamente, sapevo. Tutti lo sapevano. Tredici anni prima, quando i Super erano arrivati per la prima volta dal Rifugio, le loro grosse teste avevano dato la stura a una serie di battutacce. In realtà il loro metabolismo iper-stimolato e la chimica cerebrale alterata avevano causato altre anomalie, essendo la modificazione genetica umana una cosa davvero complessa. I Super non sono, ricordai, persone particolarmente belle.
Dissi: — Non hanno le teste poi così grosse, Colin. Da determinati punti di vista è perfino difficile evidenziarle.
— Abbiamo anche la documentazione delle scansioni corporali a infrarossi. Le abbiamo dal processo. Non puoi spostare la posizione del fegato o mascherare il tasso di digestione del duodeno.
Il che era comunque abbastanza generico. Le scansioni a infrarossi non sono nemmeno ammissibili in tribunale come segni di identità. Sono troppo inaffidabili. Era tuttavia meglio di nulla.
Tutto ciò era meglio del nulla con David, del nulla di Stephanie, del qualcosa di Katous. "Grazie, signora."
Colin disse: — I viaggi da Huevos Verdes sono in aumento. Stanno progettando qualcosa. Abbiamo bisogno di scoprire cosa.
— Sì, señor - risposi io. Non sembrò divertito.
Passeggiammo quasi fino al perimetro della bolla di sicurezza. Al di là del suo debole scintillio era arrivata una navicella addetta al trasporto corpi per il pilota di scooter morto. Riuscii appena a vedere alcuni Vivi che lo caricavano sulla navetta, al limite estremo del mio campo visivo potenziato geneticamente. I Vivi stavano piangendo. Issarono il corpo nella navetta ed essa cominciò ad avanzare lungo il tracciato. Dopo circa quattro metri si udì un improvviso rumore stridente e la navetta si fermò. La macchina funeraria, così come, ultimamente, molti altri macchinari più importanti, si era apparentemente rotta.
I Vivi restarono immobili a fissarla, sconcertati e impotenti.
Entrai insieme con Colin nell’Edificio G-14 mostrando un’espressione abbacinata, come avrebbe avuto, occasionalmente, una vittima del morbo di Gravison.
Quando ho scoperto del procione che c’aveva la rabbia la prima cosa che ho fatto è stato di correre dritto filato giù nel caffè per dircelo ad Annie Francy. Ho corso per tutta la strada, io. Non è più così facile. Tutto quello che riuscivo a pensare era che forse Lizzie era già al sicuro, lei, con Annie in cucina, forse Lizzie non era nel bosco. Forse.
— Corri, vecchio! Corri, vecchio cazzone! — mi strillò un ragazzino da un vicolo fra l’albergo e il deposito. Stavano sempre lì i delinquentelli, quando il tempo era bello. Me lo ero dimenticato, io, altrimenti me ne passavo per la via più lunga, quella del fiume. Ma quel pomeriggio erano troppo pigri, o troppo pochi, per darmi la caccia. Non gli ho detto un cazzo di niente del procione.
Alla servo-entrata del caffè, dove ci dovrebbero entrare solo i robot, bussai, il più forte che potevo, gridando come un ossesso. — Annie Francy! Fammi entrare!
I cespugli alla mia destra si sono agitati e mi è venuto quasi un collasso, a me. I procioni vengono lì per prendere la roba che casca giù dai robot da trasporto. Ma era solo un serpente. — Annie! Sono io… Billy! Fammi entrare!
La bassa porta si è aperta. Io mi sono trascinato dentro a ginocchioni. Era stata Lizzie, proprio lei, che era riuscita a capire come fare aprire la servo-entrata senza un segnale da robot. Annie non ci sarebbe mai riuscita.
Erano lì tutte e due. Annie stava pelando mele e Lizzie armeggiava con il robot che avrebbe dovuto pelare le mele. Che ormai non funzionava più da un mese. Non che Lizzie lo poteva mettere a posto. Era sveglia, lei, ma aveva ancora solo undici anni.
— Billy Washington! — mi ha detto Annie. — Stai tremando tutto! Che è successo?
— Procioni con la rabbia — ho boccheggiato io. Il cuore mi stava battendo forte come una cascata. — Quattro. Registrati sul monitor della zona. Vicino al fiume, dove Lizzie… Lizzie va a giocare…
— Sssttt! — ha detto Annie. — Ssssttt, caro. Lizzie è qui, adesso. È al sicuro, lei.
Annie mi ha abbracciato mentre io me ne stavo a boccheggiare sul pavimento come una specie di orsacchiotto afflitto. Lizzie mi ha guardato, lei, coi grossi occhi neri sbarrati e scintillanti. Pensava probabilmente che un procione con la rabbia era una cosa interessante. Non ne ha mai visto uno, lei. Io sì.
Annie era grande e morbida, una donna color del cioccolato con due seni che sembravano cuscini. Non mi aveva mai voluto dire quanti anni aveva, lei, ma tutto quello che avevo dovuto fare era stato chiederlo al terminale al caffè o all’albergo. Aveva trentacinque anni. Lizzie non assomigliava manco per niente a sua madre. Aveva la pelle più chiara ed era ossuta, lei, con i capelli rossastri legati in treccine. Non aveva ancora né i fianchi né il seno. Quello che aveva era il cervello. Annie era molto preoccupata per questo. Lei non riusciva a ricordarsi di un tempo quando eravamo solo persone, non Vivi. Io me lo ricordavo, io. A sessantotto anni si ricordano un sacco di cose. Io mi ricordavo di un tempo quando Annie poteva essere orgogliosa del cervello di Lizzie.
Io mi ricordavo di un tempo quando essere stretto da una donna come Annie significava più che boccheggiare per il cuore malconcio.
— Stai meglio, caro? — ha detto Annie. Mi ha tolto le braccia e a me mi sono mancate subito. Sono un vecchio pazzo, io. — Adesso dicci tutto da capo, piano piano.
Io avevo ripreso fiato. — Quattro procioni con la rabbia. Il monitor della zona urlava a morte. Devono essere venuti giù, quelli, dalle montagne. Il monitor li faceva vedere vicino al fiume che si muovevano verso il paese. I bio-allarmi lampeggiavano rosso scuro. Poi il monitor si è spento e non c’è stato verso di farlo riaccendere di nuovo. Jack Sawicki l’ha preso a calci, lui, e l’ho fatto anche io. Quei procioni potrebbero essere dappertutto.
— È stato mandato il robot di guardia per ammazzarli, prima che il monitor si è rotto?
— Anche il robot di guardia è rotto.
— Merda. — Annie ha fatto una smorfia. — La prossima volta voto contro quel Samuelson.
— Pensi che fa una differenza? Sono tutti uguali. Ma tu tieni dentro Lizzie, tu, fino che qualcuno non fa qualcosa contro quei procioni, Lizzie, tu rimani dentro, mi hai sentito?
Lizzie ha annuito. Poi, visto che era Lizzie, si è messa a discutere. — Ma chi, Billy?
— Chi, cosa?
— Chi farà qualcosa contro i procioni? Se il robot di guardia è rotto?
Nessuno le ha risposto. Annie ha preso in mano il coltello e ha ricominciato a pelare le mele. Io mi sono accomodato meglio contro il muro. Niente sedie, ovviamente: nella cucina del caffè non ci doveva stare nessuno, a parte i robot. Annie ci aveva fatto irruzione per la prima volta nel settembre scorso. Non aveva mai dato fastidio ai robot mentre che preparavano la roba da mangiare per la catena del cibo. Si era presa solo un po’ di zucchero qui, un po’ di soia sintetica lì, un po’ di frutta fresca dai rifornimenti del servo-bidone e si era messa a cucinare delle cose. Cose deliziose; nessuno sapeva cucinare come Annie. Torte di frutta che ti facevano venire l’acquolina in bocca solo a guardarle. Polpettoni fumanti e piccanti. Biscotti leggeri come l’aria.
Lei aggiungeva quella roba direttamente nei cestini della catena del cibo che finivano nel caffè per venire presi con i gettoni-pasto della gente. Quei pazzi probabilmente non se n’erano manco accorti, loro, di quanto erano più buoni i suoi piatti rispetto alla solita roba che girava sul nastro trasportatore giorno e notte. E ovviamente, con l’olo-terminale che andava a tutta birra e la musica da ballo che suonava tutto il tempo, nessuno aveva mai sentito lei e Lizzie lì dietro, anche se avessero fatto saltare per aria l’intera, maledetta cucina.
Ad Annie piaceva cucinare, diceva lei. Le piaceva tenersi occupata. A volte pensavo che per essere una che cercava di tirar su Lizzie come una buona Viva, Annie stessa era più che un po’ Mulo. Ovviamente io non glielo avevo mai detto a lei, Annie. Io ci tenevo alla mia testa.
Annie ha cominciato a canticchiare mentre pelava le mele. Ma Lizzie non l’ha smessa con le domande. Ha detto di nuovo: — "Chi" farà qualcosa contro i procioni?
Annie ha corrugato la fronte. — Forse arriverà qualcuno ad aggiustare il robot di guardia.
I grossi occhi di Lizzie sono rimasti immobili. Fa venire i brividi quando fissa con uno sguardo così duro senza mai strizzare gli occhi. — Non è venuto nessuno ad aggiustare il robot che pela le mele. Non è arrivato nessuno ad aggiustare il robot pulitore nel caffè. Tu hai detto ieri che pensavi che i Muli non ci mandavano nessuno, nemmeno se si rompeva il robot principale della soia sintetica.
— Be’, non lo pensavo davvero, io — ha detto Annie. Si è messa a pelare più in fretta. — Se "quello" si rompe nessuno mangia più in paese!
— Si potrebbe dividere. Dividere il cibo che la gente ha preso dalla catena del cibo prima che quella si rompeva.
Io e Annie ci siamo guardati a vicenda. Una volta io avevo visto un paese dove si era rotto il caffè. Erano finite morte sei persone. E quello quando la ferrovia a gravità funzionava regolarmente, e la gente si era potuta trasferire in un altro paese del distretto.
— Sì, tesoro — ha detto Annie. — La gente può dividere.
— Ma tu e Billy non pensate che lo farebbe.
Annie non ha risposto. Non le piace dire bugie a Lizzie. Io ho detto: — No, Lizzie. Moltissime persone non dividerebbero.
Lizzie mi ha puntato addosso i suoi occhi neri e scintillanti. — Perché non dividerebbero?
Io ho detto: — Perché la gente non ha più l’abitudine a dividere. Adesso si aspetta di avere la roba. Ha il diritto alla roba… ecco perché eleggiamo i politici. I politici Muli pagano le tasse, loro, e le tasse sono i caffè e i depositi, le unità mediche e i bagni che permettono ai Vivi di andare avanti a vivere sul serio.
Lizzie ha detto: — Ma la gente divideva di più quando eri giovane tu, Billy? Allora divideva di più?
— A volte. Per lo più la gente lavorava per quello che voleva.
— Basta così — ha detto Annie in modo tagliente. — Non continuare a riempirle la testa con quello che è passato, Billy Washington. Lei è una Viva. Non continuare a parlare anche tu come se eri un Mulo! E tu Lizzie, smettila di parlare di questo.
Ma nessuno può fermare Lizzie una volta che lei è partita. È come una ferrovia a gravità. Come era la ferrovia a gravità, prima di quest’anno. — A scuola mi dicono che sono fortunata perché sono una Viva. Posso vivere come un’aristocratica mentre i Muli si fanno tutto il lavoro. I Muli servono i Vivi, i Vivi hanno il potere, noi, con i voti. Ma se noi ci abbiamo il potere, come è che non possiamo farci aggiustare il robot pulitore, il robot per pelare le mele e il robot di guardia?
— Da quando in qua vai a scuola? — ho detto io scherzando, cercando di far deragliare Lizzie, cercando di evitare che Annie si arrabbiava di più. — Io pensavo che tu giocavi e basta, al fiume con Susie Mastro e Carlena Terrei. Sei una Viva galla, tu!
Lei mi ha guardato come se anche io ero un robot rotto.
Annie ha detto per tagliar corto: — Tu "sei" fortunata a essere una Viva. E dirai così a chiunque te lo chiede, per caso.
— Chi, per esempio?
— "Chiunque." E poi non dovresti comunque andare troppo a scuola. Non vedi mai gli altri bambini se ci vai tanto. Vuoi diventare uno scherzo di natura? — L’ha guardata con la fronte aggrottata.
Lizzie si è rivolta di nuovo a me. — Billy, chi farà qualcosa contro quei procioni con la rabbia se nessuno rimette a posto il robot di guardia?
Io ho lanciato un’occhiata ad Annie. Mi sono alzato in piedi, io, sbuffando. — Non so, Lizzie. Tu vedi solo di restare dentro, d’accordo?
Lizzie ha detto: — Ma se uno di quei procioni con la rabbia morde qualcuno?
Ho avuto il buon senso, io, di rimanermene zitto. Alla fine Annie ha detto: — L’unità medica funziona ancora.
— E se si rompe?
— Non si romperà.
— E se si rompe "davvero"?
— Non lo farà!
— Come fai a "saperlo"? — ha chiesto Lizzie e alla fine io ho capito che si trattava di una specie di gara di scooter privata fra mamma e figlia. Non la capivo, io, ma riuscivo a vedere che Lizzie era in testa. Ha detto di nuovo: — Come fai tu a sapere che non si romperà anche l’unità medica?
— Perché se lo farà la Congressista Land ci manderà qualcuno per ripararla, lei. L’unità medica è parte delle sue tasse.
— Non ha mandato nessuno per riparare il robot pulitore. Nemmeno il robot che pela le mele. E neanche…
— L’unità medica è una cosa diversa! — ha ribadito seccamente Annie. Ha mozzato con un colpo talmente duro una mela che la la polpa è schizzata via dal tavolino che io avevo rubato per lei al caffè.
Lizzie ha detto: — Perché l’unità medica è una cosa così diversa?
— Perché sì e basta! Se si rompe l’unità medica le persone potrebbero morire. Nessun politico lascia che i Vivi muoiono. Sennò non viene più rieletto!
Lizzie si è messa a riflettere. Io ho pensato che la gara di scooter era terminata e ho ripreso a respirare più tranquillamente. Ultimamente mi pareva che combattevano tutto il tempo. Lizzie stava crescendo, lei, e io odiavo questa cosa. Mi rendeva più difficile tenerla al sicuro.
Lei ha detto: — Ma la gente potrebbe anche morire per i procioni con la rabbia. E allora come mai tu hai detto che probabilmente il Supervisore Distrettuale Samuelson non manderà nessuno a riparare il robot di guardia, ma la Congressista Land manderebbe qualcuno per riparare l’unità medica?
Mi sono messo a ridere. Non ho potuto farne a meno… era così sveglia, lei. Annie mi ha guardato male e ho provato subito dispiacere per avere riso. Annie ha detto seccamente: — E allora forse mi ero sbagliata, io! Forse qualcuno riparerà il robot di guardia! Forse io non capisco niente, io!
Lizzie ha detto tranquilla: — Ma anche Billy ha detto che nessuno lo riparerà. Billy, come mai tu…
Io le ho risposto: — Perché anche i Muli non hanno più tutti i soldi che avevano per pagare le tasse. Oggi come oggi si rompono troppe cose. Devono scegliere, loro, che cosa va riparato.
Lizzie ha detto: — Ma perché i politici Muli hanno meno soldi per le tasse? E come mai si rompe così tanta roba?
Annie ha rovesciato le mele pelate in una ciotola della catena del cibo e ci ha buttato sopra una pastella come se era fango.
— Perché anche gli altri paesi hanno l’energia economica, adesso. Venti anni fa noi eravamo gli unici che potevano farne e adesso non più. Ma la rottura delle cose…
Annie è esplosa: — Credi alle bugie che i politici ci dicono nei notiziari? La Land, Samuelson e Drinkwater? Stronzate! Tutte bugie, tutte le volte che aprono quelle boccacce dicono bugie… vogliono solo smetterla di pagare le giuste tasse! Le tasse che noi ci siamo guadagnati con i nostri voti! E io ti ho sempre detto di non riempire la testa della bambina con quelle bugie di seconda mano da Muli, Billy Washington!
— Non sono bugie — ho detto io, ma odiavo di fare arrabbiare Annie con me più di quanto odiavo quando lei si arrabbiava con Lizzie. Mi faceva male al cuore. Vecchio pazzo.
Lizzie se n’è accorta. Era fatta così, lei: tutta insisti e insisti un momento, tutta dolcezza quello dopo. Mi ha abbracciato. — Non importa, Billy. Non è arrabbiata con te, lei. Nessuno è arrabbiato con "te". Noi ti vogliamo bene.
L’ho stretta forte, io. Era come stringere un uccellino… ossa sottili e un cuore palpitante nella mano. Profumava di mele.
La mia defunta moglie Rosie e io non avevamo mai voluto bambini. Non so che cosa pensavamo.
Tutto quello che ho detto a voce alta, però, è stato: — Tu non uscire, tu, finché quei procioni con la rabbia non sono stati uccisi da qualcuno.
Annie mi ha lanciato un’occhiataccia. Mi ci è voluto un momento per capire che lei aveva paura che Lizzie ricominciava tutto da capo: "uccisi da chi, Billy"? Ma Lizzie non ha ricominciato. Ha soltanto detto, dolce come un frutto di bosco: — Non uscirò. Resterò dentro.
Adesso però era Annie che non voleva più lasciare perdere. Io non capisco le mamme. Annie ha detto: — E resti lontana dalla scuola per un po’, Lizzie. Non sei un Mulo, tu.
Lizzie non ha risposto.
Annie voleva soltanto quello che era meglio per Lizzie. Io lo sapevo. Lizzie doveva vivere a East Oleanta, unirsi a una loggia, andare alle gare di scooter, gironzolare per il caffè, scegliersi qui i suoi amanti, fare qui dei bambini. Annie voleva che Lizzie era integrata. Come una Viva galla, non una specie di scherzo di natura, finto Mulo che nessuno accettava. Qualunque mamma lo avrebbe voluto. Annie poteva intrufolarsi nella cucina del Caffè Congressista Janet Carol Land per cucinare un po’, ma era comunque una Viva, fino in fondo.
E Lizzie non lo era.
Molto tempo fa, quando io andavo a scuola e il paese era diverso, ho imparato una cosa. Adesso è tutto confuso, ma continua a girarmi per la mente. Era un periodo prima dei Muli e dei Vivi. Prima dei Caffè e dei Depositi. Prima che i politici pagavano le tasse per noi, invece che al contrario. Era da quando facevano ancora gli Insonni e si poteva leggere su di loro nei giornali. Quando c’erano i giornali. Questa cosa era sulla modificazione genetica, ma significava un’altra cosa che non era modificata geneticamente. Era naturale. Lizzie impara a scuola che i Muli sono inferiori, loro, perché i Muli devono essere modificati geneticamente in modo da svolgere il lavoro per fornire tutte le cose che hanno bisogno i Vivi. Ma questa parola non era del genere naturale che fa noi Vivi superiori ai Muli. Riguardava un altro genere naturale, un genere che si crea da solo, ma che ti fa diverso dagli altri Vivi naturali che hai attorno. La parola spiegava perché Lizzie faceva così tante domande da Mulo, lei, quando non era un Mulo e non aveva nessuna modificazione genetica da Mulo, eppure quella parola l’aveva nei geni. Come era possibile? Come dicevo, ero confuso, io, riguardo alla parola e a come funzionasse. Però la ricordavo.
La parola era "reversione".
Ho guardato Lizzie guardare sua madre che appoggiava il piatto delle mele sul nastro trasportatore del cibo, quello è passato sotto il raggio riscaldatore poi attraverso la parete che dava sul caffè. Qualcuno lo avrebbe scelto, utilizzando il gettone-pasto del Senatore Mark Todd Ingalls. Annie si è messa a cucinare qualcosa d’altro. Lizzie stava seduta sul pavimento, con i pezzi del robot che pela le mele, rotto. Mentre la madre non la guardava lei esaminava ogni pezzo, studiando come potevano andare insieme e quando mi ha sorriso, i suoi occhi neri scintillavano e dardeggiavano, brillanti come stelle.
Quella sera ci siamo riuniti al caffè per parlare dei procioni con la rabbia. Quaranta persone, per non contare i ragazzini. Paulie Cenverno aveva realmente visto uno dei procioni malati, con le zampe posteriori che tremavano come se erano spezzate, la bocca schiumante, giù vicino alla Pista degli Scooter Senatore James Richard Langton dall’altra parte del paese, al fiume. Qualcuno ha detto che dovevamo mettere le sedie in circolo per fare una vera riunione, ma nessuno lo ha fatto. All’altra estremità del caffè l’olo-terminale era acceso e la musica da ballo andava a tutta birra. Nessuno ballava a parte quelli nell’ologramma, manichini sorridenti a dimensione reale fatti di luce, belli abbastanza da essere Muli. A me non piacciono. Non mi sono mai piaciuti. Puoi vederci attraverso i profili.
— Abbassate quella musica così che possiamo sentirci mentre parliamo! — ha latrato Paulie. La gente china sui tavolini presso il nastro trasportatore del cibo non ha nemmeno alzato lo sguardo. Probabilmente erano tutti fatti. Paulie si è avvicinato e ha abbassato il rumore.
— Be’ — ha detto Jack Sawicki — che cosa facciamo per quei procioni con la rabbia?
Solo poche persone hanno fatto risolini, ed erano le più stupide. Come dice sempre Annie: qualcuno deve tenere le riunioni, anche se farlo è un lavoro da Muli. Jack è il sindaco, lui. Non può farci niente. East Oleanta non è grossa abbastanza da avere un regolare sindaco Mulo: nessun Mulo vive qui e noi non ne vogliamo attorno. Così abbiamo eletto Jack e lui fa quello che deve fare.
Qualcuno disse: — Chiama il Legislatore della Contea Drinkwater sul terminale ufficiale.
— Già, chiamiamo il Piscione!
— Il Supervisore Distrettuale Samuelson ha la concessionaria dei robot da guardia.
— Allora chiama Samuelson!
— Sì, e già che ci sei fai un’altra protesta cittadina perché quel maledetto deposito non distribuisce più se non una sola volta alla settimana! — Questa era Celie Kane. Non l’ho mai vista non arrabbiata.
— Già. A Rutger’s Corners hanno ancora le distribuzioni due volte alla settimana.
— Io ho dovuto mettermi questa tuta per due giorni di fila!
— Io sono stato malato, ho perso una distribuzione e adesso sono a corto di carta igienica.
Alla prossima elezione il Supervisore Distrettuale Aaron Simon Samuelson era un ragno spiaccicato. Jack Sawicki però, lui sapeva come tenere una riunione.
— D’accordo, gente. Adesso tutti zitti. Stiamo parlando dei procioni con la rabbia, non delle distribuzioni del deposito. Adesso chiamerò semplicemente i nostri Muli.
Ha sbloccato il terminale ufficiale. Si trova in un angolino del caffè. Jack ci ha tirato la sedia proprio vicino, così che aveva quasi la pancia che gli appoggiava sulle ginocchia. Qualche delinquentello della banda dei vicoli è entrato con spavalderia nel caffè, portandosi le mazze di legno. Si sono diretti verso la catena del cibo ridendo e schiaffeggiandosi a vicenda, bevuti o fatti. Nessuno gli ha detto di chiudere il becco. Nessuno osava farlo.
— Attivare il terminale — ha detto Jack. Non gli importava di parlare da Mulo davanti a noi. Niente di tutte quelle stronzate tipo "io non eseguo ordini io li do, sono un Vivo gallo, io". Jack era un buon sindaco.
Ma io me ne sto bene attento a non dirglielo.
— Terminale attivato — ha detto il terminale. Per la prima volta mi sono chiesto che cosa avremmo fatto se quell’affare si rompeva come il robot che pelava le mele di Annie.
Jack ha detto: — Messaggio per il Supervisore Distrettuale Aaron Simon Samuelson, copia al Legislatore della Contea Thomas Scott Drinkwater, copia al Senatore James Richard Langton, copia alla Rappresentante di Stato Claire Amelia Forrester, copia alla Congressista Janet Carol Land. — Jack si è leccato le labbra. — Priorità Due.
— Uno! — ha gridato Celie Kane. — Fai una Priorità Uno, bastardo!
— Non posso, Celie — ha detto Jack. Era un uomo paziente. — La Uno è per i disastri come un attacco, un incendio o un’inondazione all’impianto di energia-Y. — Questo avrebbe dovuto farci sorridere. Un impianto a energia-Y non può prendere fuoco, non si può rompere in nessun modo con i suoi scudi da Mulo. Niente ci può entrare dentro e solo l’energia può uscire fuori. Ma Celie non sa come si fa a sorridere, lei. Il suo papà, il vecchio Doug Kane, è il mio migliore amico, ma anche lui non ci può fare niente con lei. Non ci è mai riuscito, nemmeno quando lei era piccola.
— Questo è un disastro, testa di merda! Uno di quei procioni uccide il mio bambino e ti faccio a pezzi con le mie mani, Jack Sawicki!
— Ehi, calmati, Celie — ha detto Paulie Cenverno. Qualcuno ha mormorato "strega". La porta si è aperta ed è entrata Annie, tenendo Lizzie per la mano. I delinquentelli alla catena del cibo stavano ancora gridando e spintonandosi.
Il terminale ha detto: — Restate in attesa, prego. Collegamento in atto con l’unità mobile del Supervisore Distrettuale Samuelson. — Un minuto dopo è apparso l’ologramma, non a dimensione reale come quello dell’OLO-TV, ma un piccolo Samuelson di venti centimetri seduto alla sua scrivania e vestito con un’uniforme azzurra. Pareva avere quarant’anni, lui, ma ovviamente con le modificazioni genetiche non si può mai dire. Aveva folti capelli grigi, spalle larghe e occhi azzurri scintillanti… bello come tutti loro. Qualche persona strascicò i piedi per terra. Se i votanti non guardano i canali dei Muli, le uniche persone che vedono che non sono vestite con le tute sono i tecnici di Samuelson alla distribuzione al deposito due volte alla settimana. Adesso una volta alla settimana.
All’improvviso mi sono chiesto se quello era proprio Samuelson. Forse era solo una registrazione.
— Sì, Sindaco Sawicki? — ha detto Samuelson. — In che cosa posso esserle utile, signore?
— Ci sono almeno quattro procioni con la rabbia a East Oleanta, Supervisore. Forse di più. Il monitor di zona li ha individuati prima di rompersi. Abbiamo visto i procioni, proprio in paese. Sono pericolosi. Le avevo già detto, io, due settimane fa che il robot guardiacaccia si era rotto.
Samuelson ha risposto: — I compiti di guardiacaccia sono stati presi in concessione dalle Imprese Sellica. Ho notificato loro la cosa, signore, non appena lei l’ha notificata a me.
Ma Jack non aveva intenzione di bersi quelle stronzate. Come ho detto, era un buon sindaco. — Non ce ne frega niente di chi è tenuto a fare quel lavoro! È sua responsabilità che venga fatto, Supervisore. Ecco perché l’abbiamo eletta.
Samuelson non ha cambiato espressione. È stato in quel momento che ho stabilito che era una registrazione. — Mi dispiace, sindaco, lei ha ragione. È mia responsabilità. Me ne occuperò immediatamente, signore.
— È quello che mi ha già detto due settimane fa. Quando il robot di guardia si è rotto.
— Sì, signore. I fondi sono stati… sì, lei ha ragione, signore. Mi dispiace. La cosa non verrà trascurata nuovamente, signore.
Dietro di me, Paulie Cenverno ha bofonchiato: — Dobbiamo essere duri con i Muli. Ricordargli chi dà i voti.
Jack ha detto: — Grazie, Supervisore. E un’altra cosa…
— Ehi! — ha gridato uno dei delinquentelli all’altra estremità del caffè: — La catena del cibo si è fermata!
È piombato giù un silenzio mortale.
L’ologramma di Samuelson ha detto in modo tagliente: — Cosa c’è? Qual è il problema? — Per un minuto è sembrato quasi una persona vera.
Il furfante ha gridato di nuovo: — Quel fottuto aggeggio si è fermato e basta! Si è mangiato il mio gettone-pasto e si è fermato! Gli sportelli della roba da mangiare non si aprono! — Ha strattonato tutti gli sportellini in plastichiara delle nicchie e nessuno ha ceduto.
Jack è corso dall’altra parte del caffè, con la pancia che gli ballonzolava sotto la tuta rossa. Ha infilato un suo gettone-pasto nella gettoniera e ha pigiato il pulsante di una nicchia. Il gettone è scomparso e la nicchia non si è aperta. Jack è tornato di corsa al terminale.
— È rotto, Supervisore. Quel maledetto nastro trasportatore del cibo è rotto. Deve fare qualcosa e decisamente in fretta. Questo non può aspettare due settimane!
— Certo che no, sindaco. Come lei sa il caffè non fa parte delle mie tasse, è sovvenzionato e mantenuto dalla Congressista Land. Le notificherò tuttavia personalmente la cosa, e verrà lì un tecnico da Albany entro un’ora. Nessuno morirà di fame nel giro di un’ora, sindaco Sawicki. Tenga calmi i suoi elettori.
Celie Kane si è messa a strillare: — Riparare come il robot da guardia, vuole dire? Se i miei bambini soffriranno la fame anche solo un giorno, bastardo di un Mulo…
— Chiudi il becco — le ha detto Paulie Cenverno, con voce minacciosamente bassa. A Paulie non piace vedere maltrattare apertamente i Muli. Lui dice che anche loro hanno dei sentimenti.
— Nel giro di un’ora — ha ripetuto Jack. — Grazie per il suo aiuto, Supervisore. Conversazione terminata.
— Conversazione terminata — ha detto Samuelson. Ci ha sorriso, con lo stesso sorriso dei suoi ologrammi elettorali, mento alto e occhi scintillanti. L’immagine è scomparsa. Qualcosa però deve essere andato storto perché la voce non è andata via, è solo sembrata diversa. Ancora quella di Samuelson, ma di un Samuelson che non avevamo mai visto o sentito nelle campagne elettorali: — Cristo, che c’è adesso! Quei deficienti, imbecilli… sono tentato di… oh! — Il terminale ha fatto un gemito e si è spento.
Una donna a un tavolino lontano si è messa a gridare. Il delinquente con la mazza di legno più grossa le aveva strappato via il cibo e se lo stava mangiando. Jack, Paulie e Norm Frazier si sono lanciati alla carica e hanno assalito il ragazzo. I compagni di quello hanno reagito. I tavolini hanno cominciato a fracassarsi e la gente ha cominciato a scappar via. Qualcuno aveva appena cambiato canale OLO-TV e una gara di scooter in Alabama aveva preso a rombare, a dimensione reale. — Fuori! Fuori!
All’esterno le luci a Energia-Y illuminavano a giorno la Main Street. Potevo sentire il cuore che mi batteva all’impazzata ma non ho rallentato, io. La gente infuriata non aveva buon senso. Poteva succedere qualunque cosa. Ansimavo accanto ad Annie, mentre lei correva con i grossi seni ballonzolanti e Lizzie seguiva veloce e silenziosa come un cerbiatto.
Arrivato nell’appartamento di Annie sulla Jay Street sono collassato su un divano. Non era per niente comodo, come i divani che ricordavo, quelli morbidi che si tenevano in casa tanto a lungo, che prendevano la forma del tuo corpo.
D’altra parte, però, la sintoplastica non prendeva mai i parassiti.
Lizzie ha detto con gli occhi scintillanti: — Pensate che arriverà qualche Mulo per aggiustare la catena del cibo nel giro di un’ora?
Io ho boccheggiato: — Lizzie… stai zitta.
— Ma che succede se fra un’ora non è venuto nessun Mulo a…
Annie ha detto: — Adesso stai zitta, Lizzie o non vorrai che arrivano i Muli a riparare "te"! Billy è meglio che tu resti qui per questa notte. Non si può sapere che cosa potrebbero fare quei pazzi al caffè.
Mi ha portato una coperta, una di quelle che aveva ricamato lei con fili di lana a colori vivaci presi dal deposito. Altri ricami erano appesi sulle pareti, intessuti con pezzi di lattina che le ragazzine usano per fare i gioielli, con pezze di tute strappate, con qualsiasi cosa sgargiante Annie era riuscita a trovare. Tutti gli appartamenti della Jay Street sembrano uguali. Sono stati costruiti tutti nello stesso periodo circa dieci anni prima, quando qualche senatore è arrivato dalle retrovie e ha avuto bisogno di una grossa campagna elettorale. Stanze piccole, pareti di pietra spugnosa, mobili di sintoplastica di una distribuzione da deposito, ma quella di Annie è uno dei pochi che a me sembra proprio una casa.
Annie ha fatto andare Lizzie a letto. Poi è tornata, lei, e si è seduta su una sedia vicina al divano.
— Billy… hai visto quella donna al caffè?
— Quale donna? — Era bello stare seduti così vicini.
— Quella in piedi, appoggiata alla parete in fondo. Portava una tuta verde. Non abita a East Oleanta.
— E allora? — mi sono accoccolato sotto la bella coperta di Annie. A volte vengono dei viaggiatori anche se non quanti ne arrivavano un tempo adesso che la ferrovia a gravità non funziona più regolarmente. I gettoni-pasto valgono per ogni posto nello stato, arrivano dai senatori degli Stati Uniti e non era tanto difficile ottenere un gettone di cambio interstatale. Forse è ancora così. Io non viaggio tanto.
— Sembrava diversa — ha detto Annie.
— Diversa come?
Annie ha serrato stretto le labbra, riflettendo. Aveva le labbra scure e brillanti come more, quello inferiore così pieno che, premendolo contro l’altro lo faceva semplicemente sembrare ancora più succoso. Ho dovuto guardare da un’altra parte.
Mi ha detto lentamente: — Diversa come un Mulo.
Mi sono seduto sul divano. Mi è scivolata via la coperta. — Vuoi dire modificata geneticamente? Io non ho visto nessuno del genere.
— Non aveva modificazioni genetiche di bellezza. Bassa, con lineamenti contratti, fronte bassa e una testa un po’ troppo grossa. Ma era un Mulo, lei. Lo "so". Billy… pensi che era una spia dell’FBI?
— A East Oleanta? Non abbiamo nessuna organizzazione sotterranea, noi. Tutto quello che c’è è qualche marcio delinquentello che vuole rovinare la vita al resto di noi.
Annie ha continuato a serrare strette le labbra. Il Legislatore della Contea Thomas Scott Drinkwater gestisce la concessionaria di polizia. Ha un contratto con un’associazione che utilizza sia robot, sia agenti Muli. Non li vediamo spesso. Non mantengono la pace per le strade e non gliene frega niente dei furti perché c’è sempre merce nel deposito. Quando però c’è un assalto, un omicidio oppure uno stupro, eccoli che arrivano. Proprio l’anno scorso Ed Jensen è stato denunciato per avere ammazzato la più grande delle ragazze Flagg quando il ballo a una loggia si è fatto troppo violento. Jensen è stato processato ad Albany per un reato che va dai venticinque anni all’ergastolo. Al contrario, nessuno ha subito il processo per l’uccisione con l’arco da caccia di Sam Taggart nei boschi due anni fa. Penso che però allora avevamo un’altra concessionaria.
Lì l’FBI è una cosa del tutto diversa. Lo sono tutte le organizzazioni federali. Non vengono dai Vivi a meno che non è minacciato qualcosa dei Muli e una volta che sono arrivati, non mollano l’osso.
— Be’ — ha detto cocciutamente Annie — tutto quello che so io è che quella era un Mulo. Li sento dalla puzza.
Non avevo voglia di mettermi a discutere ma non volevo nemmeno che si preoccupava. — Annie, l’FBI non ha nessun motivo per venire a East Oleanta. E poi i Muli non hanno teste grosse e lineamenti contratti, loro… non permettono ai loro figli di nascere in quel modo.
— Be’, spero che hai ragione tu. Non abbiamo bisogno di nessun Mulo in visita a East Oleanta. Se ne devono restare a casa loro e lasciare noi nella nostra.
Non ho potuto farne a meno e le ho detto molto delicatamente: — Annie… hai mai sentito parlare dell’Eden?
Lei sapeva che non volevo dire della Bibbia. Non con quel tono di voce. Mi ha detto seccamente: — No. Mai sentito parlare, io.
— Sì, invece. L’ho capito dalla tua voce. Hai sentito parlare dell’Eden.
— E se è così? Sono stupidaggini.
Non ho potuto lasciare perdere. — Perché sono stupidaggini?
— "Perché"? Billy, pensaci. Come potrebbe esistere un posto, anche sì nelle montagne, che i Muli non conoscono? I Muli si occupano di tutto, incluse le montagne. Hanno aeromobili e aerei per vedere tutto. Comunque, perché dovrebbe mai esistere un posto senza Muli? Chi farebbe tutto il lavoro?
— I robot — ho risposto io.
— Chi farebbe i robot?
— Forse noi?
— Lavoro di Vivi? Ma "perché", nel nome del cielo? Noi non dobbiamo lavorare, abbiamo i Muli che fanno tutto per noi. Abbiamo il diritto di essere serviti dai Muli e dai loro robot… noi li eleggiamo! Perché dovremmo volere andare in un posto senza servitori pubblici?
Era troppo giovane, lei. Annie non ricorda il tempo prima delle votazioni in OLO-TV, delle concessionarie che fanno robot a basso costo e della Missione del Santo Vivere che era dappertutto, dando un sacco di soldi a tutte le chiese, spiegando le cose sui gigli dei campi, sulla sacralità della gioia e sulla preferenza di Dio per Maria invece che per Marta. Annie non si ricorda di tutti i gruppi per ogni genere di democrazia, ognuno che ci mostrava come in una democrazia l’uomo comune era il vero padrone dei suoi servitori pubblici. Scuole per la Democrazia. Irlandesi-americani per la Democrazia. Nativi dell’Indiana per la Democrazia. Neri per la Democrazia. Io non so. I robot hanno preso in carico tutto il lavoro duro e noi eravamo contenti di darglielo a loro. I politici hanno cominciato a parlare di pane e giochi del circo e a chiamare i votanti "signore" e "signora" e a costruire i caffè, i depositi, i circuiti per gli scooter e gli edifici per le logge. Annie non ricorda. Le piace cucinare e cucire e non passa tutto il tempo fra gare di scooter, narco-feste, balli nelle logge e amanti, come alcuni, ma non ha però mai tenuto un’ascia in mano, brandendola, o una zappa o un’accetta o un martello. Non ricorda.
A quel punto ho improvvisamente capito, perché io avevo brandito pesanti attrezzi, io, in una squadra per i lavori stradali in Georgia, quando avevo appena pochi anni in più di Lizzie. E ricordavo di quanto mi faceva male la schiena come se si stava per rompere e la pelle si riempiva di ustioni sotto il sole, e le mosche pizzicavano sulle piaghe aperte e la notte ero così stanco e pieno di dolori che piangevo. Ecco il lavoro che facevamo, noi, non qualche tranquillo assemblaggio di robot da Muli. Ricordavo la paura di perdere quel pulcioso lavoro quando non esisteva tutto questo, quando il caposquadra arrivava un venerdì e ti diceva: — È fatta Billy Washington. Hai chiuso — e tutto quello che volevi fare tu era prendere un pugnale e infilzarglielo violentemente nel cuore perché come avresti fatto a mangiare, a pagare la pigione, a restare in vita?
— Hai ragione — le ho detto senza guardarla. — Non c’è Eden per noi. Adesso me ne dovrei tornare a casa.
— Resta — ha detto con gentilezza Annie. — Ti prego, Billy. In caso che c’è qualche problema al Caffè.
Come se era possibile irrompere in un appartamento di pietra spugnosa. O come se un vecchio malridotto poteva essere di reale aiuto a lei o a Lizzie. Ma sono rimasto.
Nell’oscurità riuscivo a sentire come Annie e Lizzie si muovevano nelle loro camere. Camminando, sdraiandosi, rigirandosi e addormentandosi. In un certo momento della notte la temperatura deve essere scesa perché ho sentito accendersi il calorifero a energia-Y. Sono stato ad ascoltare il loro respiro, una donna e una bambina e ben presto mi sono addormentato.
Però ho sognato di pericolosi procioni, malati e carichi di morte.
Non mi sono mai abituato al fatto che le altre persone non vedano colore e forme.
No. Non è esatto. Li vedono. È solo che non li "vedono" nella mente, dove è importante. Le altre persone non percepiscono la sensazione di colori e forme. Non possono vedere attraverso i colori e le forme la verità del mondo, come succede a me, nelle forme che esso crea nella mia mente.
E non è nemmeno questo.
Le parole sono difficili per me.
Io penso che le parole fossero difficili per me anche prima dell’operazione che mi ha reso il Sognatore Lucido.
Le immagini, tuttavia, sono chiare.
Riesco a vedermi come uno sporco, ottuso, affamato ragazzino di dieci anni che ha viaggiato da solo attraversando mezza nazione per andare da Leisha Camden, l’Insonne più famosa del mondo. Riesco a vedere il volto di lei quando le chiesi di farmi "diventare qualcuno". Riesco a vedere i suoi occhi quando mi vantai: "Un giorno, io, possiederò il Rifugio".
Il Rifugio, la Stazione Orbitale dove tutti gli Insonni, eccetto Leisha Camden e Kevin Baker, si erano autoesiliati. Mio nonno, uno stupido manovale, era morto durante l’edificazione del Rifugio. Io ho pensato, nella mia patetica arroganza da ragazzetto di dieci anni, di poterlo possedere. Ho pensato che se avessi imparato a parlare come Muli e Insonni, se avessi imparato a comportarmi come loro, se avessi imparato a pensare come loro, avrei potuto avere ciò che loro avevano. Denaro. Potere. Opportunità.
Quando immagino ora quel bambino, le forme nella mia mente sono nitide ma distanti, in lontananza.
Miranda Sharifi erediterà una partecipazione di maggioranza delle azioni del Rifugio. Quando i suoi genitori, Insonni, moriranno. Sempre che lo facciano mai. "Quello che appartiene a me appartiene a te, Drew" aveva detto Miranda. Lo aveva detto moltissime volte. Miranda, una Super-Insonne, spesso mi spiega le cose svariate volte. È molto paziente.
Nonostante tutte le sue spiegazioni, però, io non capisco ciò che Miri e i Super stanno facendo a Huevos Verdes. Mi sembrò di capirlo otto anni fa, quando fu creata l’isola. Da allora, però, ci sono state moltissime altre parole. Sono in grado di ripetere le parole, ma non percepisco le loro forme. Sono parole prive di una forma solida: auxotropi, interazioni allosteriche, nano-tecnologia, fotofosforillazione, formule di conversione di Lawson, evoluzione assistita neomarxista. Nella maggior parte dei casi non faccio altro che annuire e sorridere.
Io sono tuttavia il Sognatore Lucido. Quando fluttuo sul palcoscenico e porto una folla di grezzi Vivi nella trance del Sogno Lucido e musica, e parole e combinazione di forme scorrono dal mio subconscio attraverso la strumentazione hardware di progettazione Super, tocco le loro menti in posti che non sapevano nemmeno di possedere. Percepiscono le cose più in profondità, esistono in modo più beato, divengono più completi.
Quanto meno per la durata del concerto.
Quando il concerto è terminato, le persone del pubblico sono leggermente cambiate. Possono rendersene conto oppure no. I Muli che pagano per le mie rappresentazioni, considerandole spazzatura occulta, pane e giochi del circo per le masse, non se ne rendono conto. Leisha non se ne rende conto. Io so, tuttavia, di avere controllato il mio pubblico e di averlo cambiato e che sono l’unico al mondo con quel potere. L’unico.
Cerco di ricordarlo quando mi trovo insieme con Miranda.
Leisha Camden era seduta a tavola di fronte a me e disse: — Drew, che cosa stanno facendo a Huevos Verdes?
Io sorseggiai il caffè. Su un piatto c’erano dell’uva fresca e frutti di bosco modificati geneticamente, con biscottini al burro che profumavano di limone e zenzero. C’era panna fresca per il caffè. La biblioteca, nella tenuta di Leisha nel Nuovo Messico, era arieggiata e dall’alto soffitto, i suoi colori chiari e di terra riecheggiavano il deserto che si stendeva al di là delle grandi finestre. Qua e là, fra i monitor e le scansie di libri, si trovavano sculture aggraziate e severe di artisti che non conoscevo. Si sentiva suonare una specie di musica antica e delicata.
Le chiesi: — Che musica è?
— Claude de Courcy.
— Mai sentito nominare.
— "Sentita". Compositrice per liuto del Sedicesimo secolo. — Leisha lo disse con impazienza, il che non faceva altro che mostrare quanto fosse tesa. Di solito le forme che creava nella mia mente erano perfettamente nitide, lineari, rilucenti di iridescenza.
— Drew, non mi hai risposto. Che cosa stanno facendo Miri e i Super a Huevos Verdes?
— Sono otto anni che ti rispondo, non lo so.
— Continuo a non crederti.
La guardai. Durante l’anno precedente si era tagliata i capelli: forse una donna si stancava di acconciare i propri capelli dopo centosei anni. Aveva ancora l’aspetto di una trentacinquenne. Gli Insonni non invecchiavano e, per il momento, non morivano, eccetto che per incidenti o omicidi. I loro corpi si rigeneravano, un inaspettato effetto collaterale della loro bizzarra struttura genetica. La prima generazione di Insonni, a differenza di quella di Miranda, non era stata alterata così profondamente da non poter controllare il proprio aspetto fisico. Leisha sarebbe stata bella fino alla morte.
Mi aveva allevato. Mi aveva educato, ai limiti della mia intelligenza, che poteva essere stata normale, un tempo, ma che non si sarebbe mai potuta paragonare al quoziente intellettivo geneticamente modificato e potenziato dei Muli, figuriamoci poi degli Insonni. Quando restai menomato per uno stupido incidente, all’età di dieci anni, Leisha mi comprò la prima carrozzella elettrica. Leisha mi aveva amato quando ero bambino e aveva respinto il mio amore quando ero diventato un uomo e io mi ero dato a Miranda. Oppure Miranda si era data a me.
Appoggiò entrambi i palmi delle mani sulla tavola e si sporse in avanti. Sapevo cosa stava per arrivare. Leisha era un avvocato. — Drew… non hai mai conosciuto mio padre. Morì quando frequentavo la facoltà di legge. Lo adoravo. Era l’essere umano più cocciuto che io abbia mai incontrato. Era disposto a piegare qualsiasi regola gli avesse intralciato il cammino, ma non era un tiranno. Era soltanto implacabile. Ti fa pensare a qualcuno di tua conoscenza? Non suona un po’ come Miri?
— Sì — dissi io. Ma dove andavano a prendere tutte quelle parole Leisha, Miri e il resto di loro? Queste parole in particolare erano adeguate. — Fa pensare a Miranda.
— E un’altra cosa su mio padre — disse Leisha, guardandomi direttamente. — Logorava le persone. Ha logorato due mogli, una figlia, quattro partner commerciali e, alla fine, il proprio cuore. Li ha proprio logorati. Era capace di distruggere quello che amava appassionatamente, applicando semplicemente i propri standard impossibili nel tentativo di migliorarlo.
Appoggiai la tazza di caffè.
— Drew, te lo chiedo per l’ultima volta. Che cosa sta facendo Miri a Huevos Verdes? Devi capire, io ho paura per lei. Miri differisce da mio padre in una cosa fondamentale. Non è una solitaria. È disperatamente alla ricerca di una comunità. Si strugge di appartenere a qualcosa nel modo in cui solo un outsider può farlo. E non ci riesce. Lo sa. Ha fatto finire in galera sua nonna e la sua banda, quindi gli Insonni l’hanno respinta. Lei è talmente superiore rispetto ai Muli che loro non la possono accettare per principio: è una minaccia troppo grande. L’idea che stia cercando di trovare una base di comunicazione comune con i Vivi è ridicola. Non esiste linguaggio comune.
Distolsi lo sguardo, fissando fuori dalla finestra, il deserto. Non si vede mai una luce altrettanto cristallina da nessun’altra parte.
Leisha disse: — Tutto ciò che Miri ha, all’infuori di te, sono ventisei altri Super-Insonni. Ecco il fatto. Sai che cosa ti fa diventare rivoluzionario, Drew? Essere un outsider che guarda dentro, con il desiderio idealistico di creare l’unica vera comunità giusta, unito alla certezza di "essere in grado" di farlo. Gli idealisti che si trovano all’interno non diventano rivoluzionari. Divengono semplicemente riformatori. Come me. I riformatori pensano che le cose necessitino di qualche miglioramento, ma che la struttura di base sia solida. I rivoluzionari pensano a spazzare via tutto e a ricominciare da capo. Miri è una rivoluzionaria. Una rivoluzionaria con seguaci Super-intelligenti, una tecnologia inimmaginabile, immense quantità di denaro e ideali appassionati. Ti meravigli del fatto che io sia spaventata?
"Che cosa stanno facendo a Huevos Verdes?"
Non riuscii a incrociare lo sguardo con quello di Leisha. Le sgorgavano fuori così tante parole, così tante definizioni complicate. Le forme nella mia mente erano scure, confuse, infuriate, con una scia di pericolosi cavi, duri quanto l’acciaio. Non erano però le forme di Leisha. Erano le mie.
— Drew — disse ora dolcemente Leisha, l’outsider mi pregava. — Per favore, dimmi che cosa sta facendo.
— Non lo so — mentii.
Due giorni dopo mi trovavo seduto su una motolancia che sfrecciava sul mare aperto in direzione di Huevos Verdes. Il sole del Golfo del Messico era accecante. Il mio pilota, un ragazzino lentigginoso di circa quattordici anni che non avevo mai visto prima di allora, era abbastanza giovane da godersi la corsa sull’acqua. Puntò il muso della motolancia a gravità verso il basso quel tanto da sfiorare l’oceano e far sollevare schizzi bianco-azzurrini. Il ragazzino sogghignò. La seconda volta che lo fece voltò improvvisamente la testa per assicurarsi che non mi stessi bagnando, seduto sulla mia carrozzella elettrica in fondo all’imbarcazione. Aveva chiaramente dimenticato che io mi trovassi lì. L’improvviso senso di colpa e la diversa angolazione cambiarono il suo volto e io lo riconobbi. Uno dei bis-nipoti di Kevin Baker.
— Non sono per niente bagnato — dissi e il ragazzino sogghignò nuovamente. Ovviamente Insonne. Adesso lo potevo capire per la forma che lui creava nella mia mente: compatta, dai colori sgargianti e dai movimenti rapidi e scattanti. Nato possedendo il mondo. Ovviamente, poi, nessun rischio per la sicurezza di Huevos Verdes.
Con le difese che aveva, Huevos Verdes, non avrebbe rischiato in sicurezza nemmeno se i passeggeri fossero stati traghettati dal direttore dell’Ente governativo di controllo degli Standard Genetici.
Avevo faticato parecchio per capire il triplo scudo di sicurezza attorno a Huevos Verdes.
Il primo scudo, uno scintillio traslucente, si sollevava dal mare a trecentocinquanta metri circa di distanza dall’isola. Sferico, lo scudo si estendeva anche sott’acqua, fendendo la roccia dell’isola stessa come un uovo che racchiudeva tutto. Terry Mwakambe, il più strano genio dei Super, era stato l’inventore del campo di difesa. Non esisteva niente di simile in nessuna parte del mondo. Esso analizzava il DNA e nulla che non fosse registrato nelle banche dati poteva superarlo. Né i delfini, né gli uomini-rana della marina, né i gabbiani, né le alghe fluttuanti. Nada.
Il secondo scudo, un centinaio di metri oltre quello, bloccava tutta la materia non vivente che non fosse accompagnata da un DNA che "era" immagazzinato nelle banche dati. Nessun vascello robotico privo di equipaggio che trasportasse alcuna cosa — sensori, bombe, spore — avrebbe potuto passare quel campo. Indipendentemente da quanto fosse piccolo. Se non c’era un codice del DNA registrato ad accompagnarlo, non lo superava. Ci lanciammo attraverso il debole scintillio azzurrino dello scudo come attraverso una bolla di sapone.
Il terzo scudo, alle banchine, era controllato manualmente e monitorato a livello visivo. Il DNA registrato doveva essere vivo e parlante. Non so come potessero verificare uno stato narcotizzato. Non venimmo toccati da nulla, quanto meno da nulla che io potessi sentire. Il progetto era di Terry Mwakambe. Il monitoraggio era assegnato a tutti, a turno. La paranoia era di Miri. A differenza di sua nonna, non voleva che i Super si staccassero permanentemente dagli Stati Uniti ma, come sua nonna, aveva nondimeno costruito un rifugio protetto che i rappresentanti ufficiali del governo non potessero toccare. Un santuario. Lo aveva soltanto fatto meglio rispetto a Jennifer Sharifi.
— Permesso di attraccare — disse con espressione seria il ragazzino lentigginoso. Mimò un mezzo saluto militare e sorrise. Per lui si trattava ancora di un’avventura.
— Salve, Jason — disse Christy Demetrios. — Salve, Drew. Venite dentro.
Jason Reynolds. Ecco il nome del ragazzo. Adesso lo ricordavo. Il figlio di Alexandra, la nipote di Kevin. Qualcosa di lui mi colpì la memoria, una nervosa forma vivace, come una fila di perline. Non riuscivo a ricordare.
Jason attraccò. Una trentina di metri di vegetazione modificata geneticamente, fiori, cespugli e alberi, tutto facente parte del progetto. Le piante crescevano fino al margine dell’acqua. Quando il mare si faceva minaccioso, si accendeva uno scudo a energia-Y in grado di proteggere da un uragano perfino la più delicata rosa modificata geneticamente. Al di là del giardino, si stagliavano repentinamente le mura della tenuta, sottili come carta, più resistenti del diamante. Miri mi aveva detto che erano spesse soltanto una dozzina di molecole, costruite da nano-macchinari di seconda generazione a loro volta fatti da nano-macchinari. Nella mente vidi la bianchezza glassata delle mura, cui non poteva aderire alcuno sporco, come un movimento rosso scuro, denso e inarrestabile quanto la lava.
Lì nulla era arrestabile.
— Drew! — Miri mi corse incontro, indossando pantaloncini bianchi e una camiciona, la massa dei suoi capelli scuri legata con un nastro rosso. Aveva messo un rossetto rosso. Sembrava ancora più una sedicenne che non una ventinovenne. Mi abbracciò forte sulla carrozzella e io sentii il veloce battito del suo cuore contro la guancia. Il Super-metabolismo è molto più accelerato rispetto al nostro. La baciai.
Mi mormorò nei capelli: — Questa volta è passato troppo tempo. Quattro mesi!
— È stata una bella tournée, Miri.
— Lo so. Ho visto sedici rappresentazioni in olo-visione e le statistiche dei concerti sembrano buone.
Mi si accovacciò in grembo. Jason e Christy erano discretamente svaniti. Ci trovavamo soli nello sfolgorante giardino appena creato. Accarezzai i capelli di Miri non volendo ascoltare ancora le statistiche riguardanti le rappresentazioni.
Miri disse: — Ti amo.
— Anch’io ti amo.
La baciai nuovamente, questa volta per evitare di guardarla in viso. Sarebbe stato accecante, incandescente per l’amore. Lo era sempre quando mi vedeva. Sempre. Da tredici anni. "Era capace di una ossessività completa" aveva detto Leisha di suo padre. "Logorava le persone."
— Mi manchi così tanto quando sei via, Drew.
— Anche tu mi manchi. — Questo era vero.
— Vorrei che tu potessi restare per più di una settimana.
— Anche io. — Questo non era vero. Ma non esistevano parole.
A quel punto mi guardò a lungo. Qualcosa si mosse dietro ai suoi occhi. Con grande attenzione, per non far male alle mie gambe menomate, scese dalle mie ginocchia, allungò le mani e sorrise. — Vieni a vedere il lavoro al laboratorio.
Capii subito di cosa si trattava: Miri mi stava offrendo il meglio che aveva. Il regalo più prezioso del mondo. La cosa di cui io volevo disperatamente essere parte, anche se non avrei mai potuto capirla, perché non esserne parte significava essere insignificanti. Poco importanti. Mi stava offrendo ciò di cui avevo maggiormente bisogno.
Io non potevo fare di meno.
La feci sedere sulle mie ginocchia, mi costrinsi a muovere le mani sul suo seno. — Dopo. Prima non possiamo starcene un po’ soli…
Il volto di lei aveva la forma curva della gioia, troppo sfolgorante per poter essere di qualsiasi colore.
La camera da letto di Miri, come tutte le altre camere da letto a La Isla, era spartana. Letto, toeletta, terminale, un tappeto verde ovale di un materiale soffice inventato da Sara Cerelli. Sulla toeletta un vaso verde di fiori fragranti modificati geneticamente che non riconobbi. Quelle persone, che potevano ottenere qualsiasi lusso, vi indulgevano raramente. L’unico gioiello che Miri aveva mai portato era l’anello che le avevo dato io, una sottile vera incastonata di rubini. Non avevo mai visto gli altri Insonni portare alcun tipo di gioiello. Tutte le loro stravaganze, mi aveva detto una volta Miri, erano di tipo mentale. Perfino la luce era comune: piatta, senza ombre.
Pensai alla biblioteca di Leisha nella casa del Nuovo Messico.
Miri si sbottonò la camicia. Il suo seno aveva lo stesso aspetto di quando lei era sedicenne: pieno, latteo, coronato da pallide areole scure. Si sfilò i pantaloncini. Aveva i fianchi larghi, la vita tozza. Il pelo pubico era cespuglioso, irto e dello stesso nero dei capelli, sempre legati dal nastro rosso. Allungai la mano e sciolsi il fiocco.
— Oh, Drew, mi sei mancato tanto…
Mi sollevai dalla carrozzella fino al suo letto stretto e poi la tirai sopra di me. Il suo seno si schiacciò sul mio petto, soffice sul duro. In tournée o no, allenavo la parte superiore del corpo in modo fanatico, per compensare le gambe menomate. A Miri piaceva. Le piaceva sentire le mie braccia che la serravano contro di me. Le piaceva che le mie spinte fossero dure, decise, perfino violente. Cercai di darle tutto questo, ma questa volta rimasi molle.
Mi guardò con espressione interrogativa, scostandosi i neri capelli cespugliosi dalla faccia. Non incrociai il suo sguardo. Allungò una mano e cominciò a massaggiarmi dolcemente.
Era successo soltanto poche volte, tutte recentemente. Miri prese a massaggiare con maggior vigore.
— Drew…
— Dammi qualche minuto, amore.
Lei sorrise con aria incerta. Cercai di concentrarmi e poi di non concentrarmi.
— Drew…
— Ssssst… soltanto un minuto.
Le grigie forme del fallimento mi ghermirono la mente.
Chiusi gli occhi, strinsi più forte Miri e pensai a Leisha. Leisha nel crepuscolo del Nuovo Messico, una indefinita forma dorata contro il tramonto. Leisha che cantava per farmi addormentare quando avevo dieci anni. Leisha che correva nel deserto, agile e snella, inciampando nella tana di un topo-canguro e storcendosi una caviglia. L’avevo riportata in braccio fino alla tenuta, col suo corpo leggero e dolce fra le mie braccia di diciottenne. Leisha al funerale di sua sorella, con le lacrime che le facevano riflettere tutta la luce, nuda nel dolore. Leisha nuda come non l’avevo mai vista…
— Ohhhh — cantilenò Miri trionfante.
Rotolai in modo da trovarmi sopra. Miri preferiva così. Spinsi forte, poi più forte. Le piaceva davvero duro. Alla fine la sentii rabbrividire sotto di me e mi lasciai andare.
In seguito rimasi immobile con gli occhi chiusi, Miri accovacciata accanto a me con la testa sulla mia spalla. Per un breve trafiggente momento ricordai come era stato l’amore fra noi un decennio prima, all’inizio, quando il solo tocco della sua mano poteva farmi rabbrividire e ribollire. Cercai di non pensare, di non avvertire alcuna forma.
Era tuttavia impossibile creare il vuoto nella mente. Ricordai improvvisamente la cosa che mi era passata per la testa riguardo a Jason Reynolds, il bis-nipote di Kevin Baker. L’anno precedente, il ragazzo aveva rischiato di affogare. Era uscito con una motolancia sul Golfo tuffandosi direttamente nell’uragano Julio. Huevos Verdes lo aveva trovato soltanto perché Terry Mwakambe aveva sviluppato un misterioso dispositivo per rintracciarlo e Jason era stato strappato alla morte.
Quando si era ripreso, Jason aveva ammesso di sapere che l’uragano era in arrivo. Non stava cercando di suicidarsi, aveva detto con espressione seria. Tutti gli avevano creduto: gli Insonni non si suicidano. Sono troppo innamorati delle loro menti per porre loro fine. Mentre tutti incombevano sul suo letto, i genitori, Kevin, Leisha, Miri, Christy e Terry, Jason aveva detto con un filo di voce che non sapeva che il mare si sarebbe agitato tanto e tanto in fretta. Aveva solamente voluto sentire la barca ballare un bel po’. Aveva soltanto voluto guardare l’immenso e infuriato cielo e sentire la pioggia che lo sferzava. Lui, un Insonne, aveva soltanto voluto sentirsi vulnerabile.
Miranda sussurrò: — Nessuno riesce mai a farmi sentire come sai fare tu, Drew. Nessuno.
Tenni gli occhi chiusi, facendo finta di dormire.
Nel tardo pomeriggio andammo nei laboratori. Sara Cerelli e Jonathan Markowitz erano già lì: indossavano pantaloncini corti ed erano a piedi nudi. Uno dei requisiti del progetto prevedeva che, in tutti gli stadi, nulla dovesse essere sterile.
— Salve, Drew — disse Jon. Sara fece un cenno col capo. La loro concentrazione sul lavoro creava forme chiuse e indistinte nella mia mente.
Un goccia di tessuto era appoggiata su un basso vassoio aperto posto su un banco del laboratorio, collegata a macchinari tramite sottili tubi e anche più sottili cavi. Dozzine di monitor circondavano le stanze. Nulla di ciò che vi veniva mostrato mi risultava comprensibile. Il tessuto sul vassoio aveva il colore della carne, un bruno grigiastro, ed era privo di una forma particolare. Sembrava potesse cambiare sagoma, filtrando in qualcosa d’altro. Durante la mia ultima visita, Miri mi aveva detto che non poteva farlo. Nessun Insonne è schizzinoso. Non lo sono neanche io, ma le forme che strisciavano dentro e fuori dalla mia mente mentre osservavo quella cosa erano pallide, chiazzate e puzzavano di umido, anche se risultavano nette come diamanti nei contorni. Come le mura di Huevos Verdes costruite tramite nanotecnologia.
Dissi stupidamente: — È vivo.
Jon sorrise. — Oh, certo. Ma non senziente. Quanto meno non… — La sua voce si affievolì e io mi resi conto che non riusciva a trovare le parole giuste perché tutti i termini che sceglieva sarebbero stati troppo semplici, troppo incompleti per le sue idee… e tuttavia ancora troppo difficili perché io potessi seguirlo. Miri mi aveva detto che Jon, ben più degli altri, eccetto Terry Mwakambe, pensava secondo concetti matematici. La stessa cosa valeva comunque per tutti loro, anche per Miri: la sua parlata era rallentata di un quarto di battuta. Mi ero trovato a parlare anch’io così soltanto un mese prima. Lo stavo facendo con il bis-nipote di Kevin Baker che aveva quattro anni.
Miri tentò di spiegare: — Il tessuto è un computer organico di macro-livello, Drew, con una limitata programmazione di simulazione di organi, inclusi i sistemi nervoso, cardiovascolare e gastrointestinale. Abbiamo aggiunto i loop di feedback auto-monitorizzanti di Strethers e assemblatori sub-molecolari auto-riproducentesi a braccio singolo. Può avvertire i processi biologici programmati e relazionare dettagliatamente su di essi. Ma non possiede né sensibilità né volontà.
— Oh — commentai io.
La cosa si mosse leggermente sul vassoio. Io distolsi lo sguardo. Miri, ovviamente, se ne accorse. Si accorge sempre di tutto.
Disse con espressione tranquilla: — Ci stiamo avvicinando. Ecco cosa significa. Da quando abbiamo fatto la scoperta della batteriorodopsina, ci stiamo avvicinando moltissimo.
Mi costrinsi a guardare nuovamente la cosa. Sottilissimi capillari pulsavano sotto la superficie. Le forme umide e pallide nella mia mente continuavano a strisciare come larve sulla roccia.
Miri disse: — Se versiamo una soluzione nutriente sul vassoio, Drew, può selezionare e assorbire ciò di cui ha bisogno e scinderlo per trarne energia.
— Che genere di soluzione nutriente? — Avevo imparato abbastanza durante la mia ultima visita da essere in grado di porre quella domanda.
Miri fece una smorfia. — Proteine e glucosio, nella maggior parte. C’è ancora parecchia strada da fare.
— Hai risolto il problema di trarre l’azoto direttamente dall’aria? — Avevo memorizzato questa domanda. Essa mi creò una forma cava e metallica nella mente. Miri però sorrise in modo raggiante.
— Sì e no. Abbiamo progettato il micro-organismo, ma la ricettività del tessuto sta ancora fallendo sul fattore Tollers-Hilbert, specialmente per quanto riguarda le fibrille epidermiche. Per quanto invece attiene al problema dell’endocitosi dell’azoto tramite ricettore… nessun progresso.
— Oh — dissi io.
— Lo risolveremo — disse Miri un quarto di battuta troppo lentamente. — È solo questione di progettare i giusti enzimi.
Sara disse: — Noi chiamiamo questa cosa Galwat. — Lei e Jon si misero a ridere.
Miri spiegò velocemente: — Da Galatea, sai. E da Erin Galway. Oltre a John Galt, il personaggio immaginario che voleva fermare il motore del mondo. Ovviamente, poi, dalle equazioni di trasferimento di Worthington…
— Ovviamente — commentai io. Non avevo mai sentito parlare né di Galatea, né di Erin Galway, né di John Galt, né di Worthington.
— Galatea viene da un mito greco. Uno scultore…
— Adesso andiamo a vedere le statistiche sulla mia rappresentazione — dissi. Sara e Jon si lanciarono un’occhiata. Io sorrisi e tesi una mano verso Miri. Lei l’afferrò con forza, e io la sentii tremare.
(Veloci forme frementi mi riempirono la mente, sottili come carta. Spesse soltanto una dozzina di molecole. Si appoggiarono su una roccia, ruvida, dura e vecchia quanto la Terra. Il fremito si fece sempre più veloce, la sottile carta chiara divenne rosso incandescente e la roccia si frantumò. Nel suo cuore c’era un biancore lattiginoso, che pulsava di vene indistinte.)
Miri chiese: — Non vuoi vedere l’ultimo lavoro di Nikos e Alien sul Depuratore Cellulare? Sta procedendo molto più velocemente di questo! Inoltre Christy e Toshio hanno fatto un passo avanti rivoluzionario sulla programmazione per il controllo degli errori nell’assemblatore di proteine…
— Adesso vediamo le statistiche sulla rappresentazione.
Lei annuì una, due, quattro volte. — Le statistiche sono buone, Drew. C’è però uno strano picco nei dati nel secondo movimento del tuo concerto. Terry dice che lì dovresti cambiare direzione. È piuttosto complicato.
— Allora me lo spiegherai — dissi io con espressione piatta.
Il suo sorriso era abbacinante. Ancora una volta Sara e Jon si lanciarono un’occhiata a vicenda e non dissero nulla.
La prima volta che Miri mi aveva mostrato come comunicavano i Super fra loro, non ero riuscito a crederci. Era accaduto tredici anni prima, subito dopo che erano scesi dal Rifugio. Lei mi aveva condotto in una stanza con ventisette olo-palchi posti su ventisette scrivanie da terminale. Ognuno di essi era stato programmato per "parlare" un linguaggio diverso, basato sull’inglese, ma modificato rispetto alle stringhe di pensiero del proprietario. Miri, sedici anni, mi aveva spiegato una delle sue stringhe di pensiero.
— Supponiamo che tu mi dica una frase. Una sìngola frase.
— Hai un bel seno.
Lei era arrossita, una chiazza marrone sulla pelle scura. Aveva effettivamente un bel seno e dei bei capelli. Essi compensavano un po’ la grossa testa, il mento bitorzoluto e il portamento goffo. Non era graziosa ed era troppo intelligente per non saperlo. Volevo farla sentire graziosa.
Aveva detto: — Scegli un’altra frase.
— No. Usa quella.
Lo aveva fatto. Aveva parlato al computer e l’olo-palco aveva cominciato a formare una forma tridimensionale di parole, immagini e simboli collegati insieme da scintillanti linee verdi.
— Vedi, mette in evidenza le associazioni che crea la mia mente, basandosi sull’archivio di stringhe di pensiero passate e su algoritmi che rappresentano il mio modo di pensare. Da sole poche parole, estrapola, prevede e rispecchia. Il programma è chiamato in effetti "specchio mentale". Cattura circa il novantasette per cento dei miei pensieri, circa il novantadue per cento delle volte e poi io posso aggiungere il resto. La parte migliore è…
— Tu pensi in questo modo per ogni frase? Ogni "singola frase"? — Alcune delle associazioni erano ovvie: "seno" collegato con nutrire un bambino, per esempio. Ma perché mai il bambino era poi collegato con qualcosa che si chiamava "Costante di Hubble" e perché nella stringa era compresa anche la Cappella Sistina? Oltre a un nome che non conoscevo: Chidiock Tichbourne?
— Sì — aveva detto Miri. — Ma la parte migliore…
— Pensate tutti in questo modo? Tutti i Super?
— Sì — aveva risposto tranquillamente lei. — Anche se Terry, Jon e Ludie pensano fondamentalmente tramite concetti matematici. Sono più giovani del resto di noi, rappresentano il successivo ciclo di riprogrammazione del QI.
Non avrei mai saputo effettivamente che cosa significassero le mie parole per lei in tutti i loro livelli. Nemmeno una delle mie parole. Mai.
— Ti spaventa, Drew?
Mi aveva guardato dritto negli occhi. Potevo avvertire tutta la sua paura, e la sua determinazione. Il momento era importante. Continuava a crescere nella mia mente una incombente parete bianca cui nulla poteva aderire, finché non trovai la risposta giusta.
— Io penso in forme per ogni frase.
Il sorriso le aveva completamente mutato i lineamenti del volto, aprendoli e illuminandoli. Avevo detto la cosa giusta. Fissai la scintillante complessità verde dell’olo-palco mentre un globo tridimensionale che ruotava lentamente lo stipava di piccole immagini, equazioni e, soprattutto, parole. Così tante parole complicate.
— Allora siamo uguali — aveva detto Miri felice. Io non l’avevo corretta.
— La parte migliore — aveva sparato velocemente Miri, ormai completamente a proprio agio — avviene dopo che la stringa di pensiero estrapolata si è formata e, se necessario, è stata rimaneggiata: il programma principale la traduce negli schemi di pensiero di tutti gli altri ed essa riappare in quel modo sui loro olo-palchi. Simultaneamente su tutti e ventisette i terminali. In questo modo siamo in grado di bypassare le parole e avere l’idea completa di quello che stiamo pensando, trasmettendo più efficientemente l’uno con l’altro. Be’, non l’idea completa. C’è sempre qualcosa che si perde nella traduzione, specialmente in quella rivolta a Terry, Jon e Ludie. Ma è di gran lunga migliore rispetto al linguaggio. Proprio come i tuoi concerti sono migliori rispetto al sognare a occhi aperti privo di assistenza.
Sognare a occhi aperti. L’unico modo di sognare che i Super Insonni conoscevano. Fino a quando non ero arrivato io.
Quando un Insonne cadeva nella trance del Sogno Lucido, il risultato era differente rispetto a quando lo faceva un Vivo. E anche un Mulo. I Vivi e i Muli possono sognare di notte. Hanno quel genere di connessione con il loro inconscio e io la dirigo e la intensifico in un modo per loro gradevole: sia tranquillizzante, sia stimolante. Mentre sognano lucidamente, essi si sentono — in alcuni casi per la prima volta nella loro vita — completi. Io li porto più avanti lungo la strada verso i loro veri se stessi, più profondamente al di sotto del velo della veglia. Io dirigo i sogni verso le più dolci tra le cose che li aspettano lì.
Gli Insonni invece non sognano di notte. La loro strada verso l’inconscio è stata interrotta geneticamente. Quando gli Insonni cadono nella trance da Sogno Lucido, mi aveva detto Miri, hanno "intuizioni" che non avevano mai avuto in precedenza. Riescono a risalire al di sopra della loro infinita giungla di parole, uscendo dallo stato di trance con soluzioni intuitive rispetto a problemi intellettuali. I geni spesso hanno agito così durante il sonno, dice Miri. Mi ha fornito l’esempio di grandi scienziati. Ne ho dimenticati i nomi.
Guardando il complesso disegno verbale sul suo olo-palco, ho potuto vederlo nella mente. Creava una forma simile a un sasso pallido e privo di caratterizzazioni, freddo di rammarico. Miri non avrebbe mai visto quella forma nella mia mente. Peggio ancora, non avrebbe mai saputo di non vederla. Pensava che, vedendo noi due in modo differente rispetto ai Muli, fossimo simili.
Io avevo voluto essere parte di ciò che stava accadendo a Huevos Verdes. Già allora mi ero reso conto che il progetto avrebbe cambiato il mondo. Chiunque non fosse stato attore nel progetto ne sarebbe stato il burattino.
— Già, Miri — le avevo detto sorridendo — siamo uguali.
Su un tavolo da lavoro in un altro laboratorio, Miri stese le statistiche di prestazione della mia tournée di concerti. La copia cartacea era per me: i Super analizzavano sempre tutto direttamente sui monitor o sugli ologrammi. Mi chiesi quanto fosse stato lasciato da parte o semplificato a mio beneficio. Terry Mwakambe, un ometto basso, scuro, dai lunghi capelli incolti, stava appollaiato immobile sul davanzale della finestra aperta. Alle sue spalle l’oceano scintillava di un profondo azzurro nella luce che si stava affievolendo.
— Guarda qui — disse Miri — a metà della tua rappresentazione di L’aquila. I dati sul livello d’attenzione si sono alzati e i cambiamenti attitudinali subito dopo la rappresentazione sono stati abbastanza intensi nella direzione della disposizione a correre rischi. Tuttavia le statistiche successive mostrano che, una settimana dopo, i cambiamenti nei soggetti si sono ridotti maggiormente rispetto a quelli dovuti ad altri tuoi pezzi. Un mese dopo ogni cambiamento è quasi completamente scomparso.
Quando eseguo un concerto, loro collegano fan volontari a macchinari che misurano il cambiamento delle onde cerebrali, la respirazione, la variazione nella dilatazione delle pupille… Prima e dopo il concerto i volontari affrontano test di realtà virtuale che ne misurano le attitudini. I risultati vengono trasmessi ai computer principali di Huevos Verdes. Quando le statistiche lo richiedono, io cambio quello che eseguo e come lo eseguo.
Ho smesso di definirmi un artista.
— L’aquila non funziona — disse Miri. — Terry vuole sapere se puoi comporre un pezzo differente che faccia appello all’immaginario inconscio riguardante la disposizione a correre rischi. Lo vuole per la trasmissione che farai domenica l’altra.
— Forse me la dovrebbe scrivere direttamente Terry.
— Sai che nessuno di noi è in grado di farlo. — In quel momento il suo sguardo si fece più intenso e la bocca le si addolcì. — "Sei tu" il Sognatore Lucido, Drew. Nessuno di noi è in grado di fare ciò che sai fare tu. Se hai l’impressione che ti… guidiamo esageratamente, è solo perché il progetto lo richiede.
Le sorrisi. Sembrava così preoccupata, così carica di passione per il suo lavoro.
Mi disse: — Ci credi che sappiamo quanto sei importante, Drew? Drew?
Risposi: — Lo so, Miri.
Il suo volto si scompose in schegge di luce, come tante spade nella mia mente. — Allora comporrai il nuovo pezzo?
— Sul correre i rischi — dissi. — Presentato come desiderabile, attrattivo e urgente. Giusto. Per domenica l’altra.
— È davvero necessario, Drew. Siamo ancora a mesi di distanza da un prototipo di laboratorio, ma la nazione… — Prese un fascio di carte. — Guarda. I guasti ai treni a gravità sono saliti all’ottanta per cento nel mese scorso. I rapporti del FCC sulle interruzioni nelle comunicazioni, saliti di un altro tre per cento. Le bancarotte salite del cinque per cento. La distribuzione di cibo, questo è cruciale, viene eseguita con il sedici per cento di efficienza in meno. Gli indicatori industriali crollano alla stessa sconcertante velocità. La sicurezza dei votanti è al lumicino. E la situazione del duragem…
Per una volta tanto la sua voce perse il tipico rallentamento di un quarto di battuta. — Guarda questi grafici, Drew! Non riusciamo nemmeno a localizzare l’origine dei guasti del duragem…
— Sì — dissi — ti credo. Là fuori le cose vanno male e stanno peggiorando.
— Non vanno peggio, sono apocalittiche!
La mente mi si riempì di fuoco cremisi e tuono blu marino, circondando una rosa di cristallo dietro a uno scudo impenetrabile. Miri era cresciuta al Rifugio. I bisogni essenziali e i comfort erano scontati. Sempre, per tutti, senza porre domande e senza rifletterci. A differenza di me, Miranda non aveva mai visto morire un neonato per incuria, una moglie picchiata da un marito disperato e ubriaco, una famiglia che sopravviveva di soia sintetica priva di gusto, un gabinetto che non funzionava per giorni. Non sapeva che a quelle cose si poteva sopravvivere. Come poteva riconoscere l’apocalisse?
Non lo dissi a voce alta.
Terry Mwakambe balzò giù dal davanzale. Non aveva detto una sola parola per tutto il tempo in cui ero stato nella stanza. Le sue stringhe di pensiero, diceva Miri, consistevano quasi interamente di equazioni. A quel punto però disse: — Pranzo?
Mi misi a ridere. Non ne potei fare a meno. Pranzo! L’unico legame fra Terry Mwakambe e Drew Arlen!
Una notte, in un’altra vita, Eugene che era venuto prima di Rex e dopo Claude, mi chiese a che cosa mi facevano pensare gli Stati Uniti. Era il genere di domanda che Gene preferiva: invitante alla grandiosità metaforica che, a sua volta, invitava al suo disprezzo. Gli risposi che gli Stati Uniti mi erano sempre apparsi come un potente bestione innocente, sontuosamente bello e con la capacità cranica di un piccolo cerbiatto. Guardate come distende gli agili muscoli alla luce del sole. Guardate come salta in alto. Guardate come corre con estrema grazia dritto filato sul percorso del treno in arrivo. Questa risposta aveva avuto la virtù di essere così pomposamente grandiosa che obbiettarvi sullo stesso piano sarebbe stato superfluo. Non era importante che la risposta fosse stata anche vera.
Certo che dalla "mia" ferrovia a gravità riuscivo a vedere abbastanza della carcassa sontuosa e mutilata. Eravamo giunti alle Montagne Rocciose a un quarto di velocità, così che i passeggeri Vivi potessero goderne la spettacolare vista. Maestose montagne di porpora e tutto il resto. Nessun altro guardò fuori dal finestrino. Io ci rimasi incollata, gustando tutta l’asinina superiorità della genuina meraviglia.
A Garden City, nel Kansas, cambiai per salire su un locale, sfrecciando attraverso la rigogliosa campagna a 350 chilometri orari, strisciando attraverso schifosissimi paesi di Vivi a zero all’ora. — Perché non "volare" semplicemente a Washington? — mi aveva chiesto Colin Kowalski, incredulo. — Dopo tutto non sei tenuta a far finta di essere una Viva. — Gli avevo risposto di voler vedere i paesi dei Vivi di cui stavo difendendo l’integrità contro la potenziale corruzione della genetica artificiale. Non aveva gradito la mia risposta più di quanto non avesse fatto Gene.
Be’, adesso li stavo vedendo. La carcassa mutilata.
Ogni paese appariva uguale. Le strade si aprivano a ventaglio dalla stazione della ferrovia a gravità. Case e condomini, alcuni di pura pietra spugnosa e alcuni con la pietra spugnosa aggiunta su edifici più antichi fatti di mattoni cotti o perfino di legno. I colori della pietra spugnosa erano appariscenti: rosa, arancione, cobalto e un popolarissimo verde. L’ozio aristocratico dei Vivi non era accompagnato da un gusto altrettanto aristocratico.
Ogni paese vantava un caffè comunale della dimensione dell’hangar di un aereo, un deposito per i beni di consumo, svariati edifici di logge, un bagno pubblico, un albergo, campi sportivi, una scuola dall’aspetto deserto. Ogni cosa era ricoperta da olo-insegne. Un po’ fuori del paese, appena visibile dalla ferrovia a gravità, c’erano l’impianto a energia-Y e le robo-industrie protette, che facevano funzionare il tutto. E, ovviamente, la pista degli scooter, inevitabile come la morte.
In un qualche punto del Kansas era salita sul treno una famiglia e si era catapultata sui sedili davanti a me. Papà, mamma, tre piccoli Vivi, due dal naso moccioso, tutti con un gran bisogno di dieta e di ginnastica. Rotoli di grasso ballonzolavano sotto la sgargiante tuta gialla di mamma Viva. Il suo sguardo mi sfiorò, proseguì e di colpo mi puntò come quello di un radar.
— Salve — dissi io.
Lei corrugò la fronte e dette una gomitatina al marito. Egli mi guardò, ma non corrugò la fronte. I cuccioli mi fissarono in silenzio, il maschietto, aveva circa dodici anni, con la stessa espressione di suo padre.
Colin mi aveva ammonito di non cercare nemmeno di passare per una Viva: aveva detto che non c’era alcuna possibilità che io potessi ingannare gli Insonni. Io gli avevo risposto che non volevo ingannare gli Insonni: mi volevo solamente mischiare alla fauna locale. Mi aveva detto che non ci sarei riuscita. Apparentemente aveva avuto ragione. Mamma Viva lanciò un’occhiata alle mie gambe lunghe modificate geneticamente, al mio volto studiato, al collo da Anna Bolena che era costato a mio padre un piccolo fondo fiduciario, e seppe. La mia tuta verde veleno, i gioielli di lattine da bibita (molto popolari, li si faceva da soli) e le lenti a contatto color cacca non fecero per lei la benché minima differenza. Papà Figlio non ne erano così sicuri ma, in fondo, non gliene importava molto.
— Mi chiamo Darla Jones — dissi allegramente. Avevo una tasca di sicurezza piena di vari tesserini con vari nomi, alcuni forniti dall’ECGS, altri di cui loro non sapevano nulla. È un errore lasciare che l’Ente ti fornisca completamente la copertura. Potrebbe arrivare il momento in cui ti vuoi nascondere da loro. Tutte le mie identità erano registrate nei data-base federali e sembravano avere un lungo passato, grazie a un amico di talento del quale l’ECGS non conosceva l’esistenza. — Me ne vado a Washington, io.
— Arnie Shaw — disse eccitato l’uomo. — Il treno si è già rotto?
— Nooo — risposi. — Però è probabile che lo farà.
— Che ci si può fare?
— Niente.
— Mantiene vivo l’interesse.
— Arnie — disse in modo tagliente mamma Viva interrompendo questo inconsistente excursus conversazionale — andiamo laggiù, noi. Ci sono altri sedili. — Mi lanciò un’occhiata che avrebbe incenerito la sintoplastica.
— Ma anche qui ci sono un sacco di posti, Dee.
— Arnie!
— Bye — dissi io. Si allontanarono mentre la donna bofonchiava sotto voce. Stronza. Avrei dovuto lasciare che i Super-Insonni trasformassero i suoi discendenti in cani da guardia a quattro arti privi di coda. O in qualsiasi altra cosa avessero in mente. Appoggiai la testa contro lo schienale e chiusi gli occhi. Rallentammo nell’attraversare un altro paese di Vivi.
Non appena lo lasciammo, la piccola Shaw tornò. Una bambinetta di circa cinque anni, gattonava lungo il corridoio come un micino. Aveva un visino impudente e lunghi capelli scuri e sporchi.
— Hai un bel braccialetto, tu. — Guardò languidamente l’atrocità di latta che avevo al polso, un ammasso intrecciato di una specie di lega leggera duttile come la cera calda. Un qualche votante infatuato lo aveva inviato a David, insieme agli orecchini, quando lui era candidato come senatore di Stato. Li aveva tenuti per scherzo.
Mi feci scivolare via il braccialetto dal polso. — Lo vuoi, tu?
— Davvero? — Aveva il volto radioso. Mi strappò il braccialetto dalle dita e si precipitò nuovamente lungo il corridoio, con la coda della camicia azzurra che si agitava. Io sogghignai. Un vero peccato che i micini crescendo diventavano inevitabilmente gatti.
Un minuto dopo mamma Viva si profilò all’orizzonte. — Tieniti il tuo braccialetto, tu. Desdemona, lei, ha i suoi gioielli!
Desdemona. Ma dove sentivano quei nomi? Shakespeare non viene recitato sulle piste degli scooter.
La donna mi guardò con un’espressione durissima. — Ascoltami bene, tu te ne devi stare con quelli del tuo genere e noi con quelli del nostro. Meglio così. Hai capito, tu?
— Sì, signora — le dissi e mi tolsi le lenti. I miei occhi sono di un intenso viola modificato geneticamente. La fissai con calma, le mani ripiegate in grembo.
Lei se ne andò camminando come una papera, bofonchiando. Colsi le sue parole: — Quella gente…
— Se scoprirò di non poter passare per una Viva — avevo detto a Colin — passerò per un Mulo semi-impazzito che cerca di passare per Vivo. Non sarei certo il primo Mulo che vuole tornare alla natura. Hai presente il tipo della classe lavoratrice che cerca pateticamente di passare per un aristocratico. Nascondersi in bella vista.
Colin aveva alzato le spalle. Avevo pensato che si fosse già rammaricato di avermi reclutata, ma mi ero quindi resa conto che lui sperava che le mie buffonate avrebbero distolto l’attenzione dei veri agenti dell’ECGS che si stavano indubbiamente recando a Washington. Il Foro Federale per la Scienza e la Tecnologia, conosciuto altrimenti come Tribunale Scientifico, stava per esaminare la richiesta di brevetto n. 1892-A. Ciò che rendeva tale richiesta di brevetto diversa da quelle che andavano dal numero 1 al 1891 era che questa veniva inoltrata dalla Impresa di Huevos Verdes. Per la prima volta da dieci anni, i Super-Insonni stavano chiedendo l’approvazione governativa per mettere sul mercato una invenzione di modifica genetica patentata negli Stati Uniti. Non avevano una possibilità su un milione, ovviamente, ma era tuttavia interessante. Perché adesso? Che cosa stavano progettando? E si sarebbe presentato personalmente qualcuno dei ventisette all’udienza del Tribunale Scientifico?
E se qualcuno lo avesse fatto, sarei stata in grado di tenerlo o tenerla sotto sorveglianza?
Guardai fuori dal finestrino del treno i campi curati dai robot. Grano o forse soia, non ero sicura di che aspetto avesse nessuno dei due, che cresceva. Dieci minuti dopo Desdemona tornò. Il suo viso fece capolino fra le mie gambe allungate: era strisciata lungo il pavimento, sotto i sedili, attraverso la sporcizia, il cibo caduto e i rifiuti. Desdemona sollevò il piccolo busto fra le mie gambe, tenendosi in equilibrio con una mano appiccicosa sul mio sedile. L’altra mano schizzò in avanti e si chiuse sul mio braccialetto.
Io lo slacciai e glielo diedi nuovamente. La parte anteriore della sua tuta azzurra era sudicia. — Non c’è nessun robot-pulitore su questo treno?
Lei afferrò stretto il braccialetto e sogghignò. — È morto, quello.
Mi misi a ridere. Un istante dopo il treno a gravità si ruppe.
Io venni sbattuta a terra, dove caddi su mani e ginocchia, aspettando di morire. Sotto di me i macchinari stridettero. Il treno si fermò a sobbalzi ma non deragliò.
— Maledizione! — gridò il padre di Desdemona. — Non un’altra volta!
— Non possiamo prenderci un gelato, noi? — piagnucolò un bambino. — Adesso siamo fermi!
— La terza volta questa settimana! Fottuto treno di Muli!
— Non ci date mai un gelato!
Apparentemente i treni non deragliavano. Apparentemente non sarei morta. Apparentemente quei macchinari stridenti erano routine. Seguii tutti gli altri fuori dal treno.
In un altro mondo.
Un vento febbrile soffiava attraverso i chilometri di prateria: caldo, sussurrante, intossicante. Mi vennero le vertigini per la dimensione del cielo. Un infinito cielo azzurro brillante sopra, infiniti campi d’oro brillante sotto. Il tutto accarezzato da quel vento caldo quanto il sangue, impregnato di luce solare, gravido di fragranza. Io, amante della città, resistetti alla folle idea di scalciar via le scarpe e infilare le dita dei piedi nella terra scura.
Seguii invece i Vivi mugugnanti lungo i binari verso la parte anteriore del treno. Si raggrupparono attorno alla olo-proiezione di un tecnico, anche se mi ero accorta che il suo discorso inscatolato veniva diffuso in ogni carrozza. L’ologramma stava "in piedi" sull’erba e sembrava imponente e autoritario. Il proprietario della concessione era mio amico: credeva che i maschi di un metro e novantacinque dalla pelle scura fossero la proiezione ideale per favorire l’ordine.
"Non c’è alcun bisogno di allarmarsi Questo è un guasto temporaneo. Siete pregati di tornare alla sicurezza e alle comodità della vostra carrozza e fra qualche istante vi verranno serviti cibo e bevande omaggio. Un tecnico riparatore è già in viaggio dalla concessionaria ferroviaria. Non c’è alcun bisogno di allarmarsi."
Desdemona sferrò un calcio all’ologramma. Il suo piede vi passò attraverso e lei ammiccò, un inutile e succoso sorriso di trionfo. L’olo abbassò lo sguardo su di lei. "Non farlo più, bambina… mi hai sentito?" Gli occhi di Desdemona si spalancarono e lei volò dietro le gambe di sua madre.
— Non ti spaventare, tu, è soltanto interattivo — schioccò mamma Viva. — Lasciami andare le gambe!
Io strizzai l’occhio a Desdemona che mi fissò sbalordita e poi sorrise, agitando il nostro braccialetto.
"…alla sicurezza e alle comodità della vostra carrozza e fra qualche istante vi verranno forniti cibo e…"
Altre persone si avvicinarono alla motrice, tutte, a parte due, si lamentavano a voce alta. La prima era una donna anziana: alta, dal volto insignificante e spigolosa come un pezzo di gioco a incastro. Non indossava una tuta, ma una lunga tunica lavorata a maglia di delicate e sfumate tonalità di verde, troppo diseguale per essere fatta a macchina. I suoi orecchini erano semplici pietre verdi levigate. Non avevo mai visto prima di allora un Vivo con buon gusto.
L’altra anomalia era un giovanotto basso dai capelli rossi e serici, pelle chiara e una testa un po’ troppo grossa rispetto al corpo.
Sentii pizzicare la nuca.
All’interno delle carrozze, robot-servitori emersero dagli scompartimenti-magazzino e offrirono vassoi di snack di soia sintetizzati di fresco, svariate bevande e droghe leggere. Continuavano a ripetere: "Con gli omaggi del Senatore di Stato Cecilia Elizabeth Dawes. Siamo felici di avervi a bordo". Questo diversivo occupò quasi una mezz’ora. Poi tutti tornarono all’esterno e ripresero a lamentarsi.
— Che razza di servizio si ha al giorno d’oggi…
— …la prossima volta giuro che voto per qualcun altro, io… "chiunque" altro…
"Guasto temporaneo. Siete pregati di ritornare alla sicurezza e alle comodità della…"
Camminai sull’erba incolta al margine del campo più vicino. L’Insonne-travestito-in-modo-inadeguato restò a fissare la folla, osservandola con un atteggiamento pseudo-casuale come il mio. Al momento non mi aveva ancora notato. Il campo era circondato da una bassa recinzione a energia, presumibilmente per trattenere all’interno gli agro-robot. Essi trottavano lentamente fra le file di grano dorato, svolgendo il loro compito. Io balzai al di là della recinzione e ne presi in mano uno. Ronzava dolcemente, una sfera scura dotata di tentacoli flessibili. Sul fondo appariva un’etichetta CANCO ROBOTS/LOS ANGELES. La CanCo si era trovata sul "Wall Street Journal On-line" della settimana precedente: era nei guai. I suoi agro-robot avevano improvvisamente cominciato a rompersi in tutto il paese. La concessionaria stava per affondare.
Il vento caldo sussurrava seducente attraverso il grano dalla dolce fragranza.
Mi sedetti a terra, a gambe incrociate, appoggiando la schiena alla recinzione a energia. Attorno a me gli adulti si misero a giocare a dadi o a carte. I bambini scorrazzavano tutti attorno, gridando. Una giovane coppia mi passò accanto e scomparve fra il grano, sesso nello sguardo. La donna più anziana si sedette per proprio conto a leggere un libro, un vero libro. Non riuscii a immaginare dove potesse esserselo procurato. L’Insonne dalla grossa testa, se questo era ciò che lui-lei era, si stese a terra, chiuse gli occhi e fece finta di dormire. Io sogghignai. Non mi è mai piaciuta l’auto-ironia. Nelle altre persone.
Dopo due ore i robot-servitori portarono nuovamente fuori cibo e bevande. "Con gli omaggi del Senatore di Stato Cecilia Elizabeth Dawes. Siamo felici di avervi a bordo." Quanta soia sintetica trasportava un treno a gravità di Vivi? Non ne avevo idea.
Il sole proiettava lunghe ombre. Salterellai verso la donna che stava leggendo. — Bel libro?
Sollevò lo sguardo su di me, esaminandomi. Se Colin aveva mandato me al Tribunale Scientifico di Washington poteva decisamente avere mandato anche degli agenti legittimi. E se Testa Grossa era un Insonne, poteva avere un "accompagnatore" personale. Tuttavia, qualcosa nel volto della donna che leggeva mi convinse che non era lei. Non era modificata geneticamente, ma non era quello il punto. Si possono trovare famiglie di Muli che rifiutano perfino le modificazioni genetiche permesse e continuano a esistere in corporazioni molto solide ma ai margini della società. Lei non era nemmeno quello. Era qualcos’altro.
— È un romanzo — disse con espressione indifferente la donna. — Jane Austen. È sorpresa del fatto che esistano ancora Vivi che sanno leggere? O che vogliono farlo?
— Sì. — Sorrisi con atteggiamento cospiratore, ma lei mi lanciò soltanto un’occhiata e tornò al proprio libro. Un Mulo rinnegato non stimolava il suo disprezzo, né indignazione, né adulazione. Non le interessavo davvero. Provai uno sciocco rispetto.
Apparentemente non sapevo così tanto sulla varietà dei Vivi come avevo ritenuto.
Il tramonto mi estasiò. Il cielo si fece lucido e vulnerabile, quindi striato di colori rarefatti. I colori si fecero aggressivi e vennero seguiti da tenui e remoti pastello. Divennero quindi freddi e scuri. Un intero rapporto amoroso, empireo, in trenta minuti. Claude-Eugene-Rex-Paul-Anthony-Russel-David.
Non comparve alcun tecnico riparatore. La prateria si rinfrescò rapidamente: risalimmo tutti sul treno, furono accesi le luci e il riscaldamento. Mi chiesi che cosa sarebbe successo se quei servizi, o i robot-servitori, si fossero guastati anche loro.
Qualcuno disse, non a voce alta e a nessuno in particolare: — Il mio gettone-pasto è arrivato in ritardo dalla capitale lo scorso trimestre.
Pausa. Mi sedetti con la schiena più eretta: questo era un tono nuovo. Nessuna lamentela. Qualcosa di diverso.
— Nel mio paese non ci sono più tute. Il Mulo del deposito dice che c’è penuria nazionale, lui.
Pausa.
— Noi siamo su questo treno, noi, per andare a prendere la mia vecchia madre in Missouri. Il riscaldamento a casa sua si è rotto e nessuno l’ha presa con sé. Adesso non ha per niente riscaldamento, lei.
Pausa.
Qualcuno disse: — C’è qualcuno che sa quanto è lontano il prossimo paese? Forse ci potremmo arrivare a piedi, noi.
— Non siamo tenuti a camminare, noi! Loro devono mettere a posto questo fottuto treno! — disse mamma Viva, in un’esplosione di rabbia e saliva.
Il tono pacato era scomparso. — Giusto! Noi siamo votanti, noi!
— I miei bambini non possono camminare fino al paese dopo… Cosa sei tu, un fottuto Mulo?
Vidi l’uomo dalla testa grossa fissare un volto dietro l’altro.
L’ologramma dell’alto tecnico bruno apparve all’improvviso all’interno della carrozza, in piedi nel corridoio centrale. "Signore e signori, la Ferrovia a gravità Morrison si scusa ancora una volta per il ritardo nel servizio. Per rendere la vostra attesa più gradevole ci pregiamo presentarvi una produzione nuovissima, non ancora trasmessa dagli olo-canali, con gli omaggi del Congressista Wade Keith Finley. Drew Arlen, il Sognatore Lucido, nel suo nuovissimo concerto Il guerriero. Vi preghiamo di guardare dai finestrini sul lato sinistro della ferrovia."
I Vivi si guardarono a vicenda: un immediato blaterare felice sostituì la rabbia. Evidentemente questo era qualcosa di assolutamente nuovo nei diversivi da guasto. Calcolai il costo di un olo-proiettore portatile in grado di creare ologrammi grandi abbastanza da potere essere visti dai finestrini per tutta la lunghezza di un treno, oltre al costo del video in esclusiva dell’intrattenitore Vivo più alla moda del momento. Confrontai il totale con il costo di una competente squadra di riparazione. Lì c’era qualcosa che non funzionava proprio. Non sapevo nulla di Hollywood, ma un concerto in esclusiva di Drew Arlen doveva valere milioni. Perché un treno a gravità se lo portava in giro quale diversivo di emergenza per impedire ai nativi di diventare troppo irrequieti?
L’uomo dalla testa grossa osservò tranquillamente i compagni passeggeri che incollavano le facce ai finestrini di sinistra.
Un lungo palo sgusciò dal tetto della carrozza dietro alla nostra, che era posta al centro del treno. Il palo si alzò fino a formare un angolo ottuso rispetto al terreno e si allungò quasi fino al campo di grano. Dall’estremità del palo si estese una luce a ventaglio verso il basso, formando una piramide. Tutti esclamarono "Oooohhhh!". I proiettori portatili non fornivano mai la definizione di una buona unità stabile ma non pensavo che a questo pubblico sarebbe interessato. L’ologramma di Drew Arlen apparve al centro della piramide, tutti esclamarono nuovamente "Oooohhhh!".
Io scivolai fuori dal treno.
Al buio e da vicino, l’ologramma sembrava ancora più strano: un uomo alto quattro metri e mezzo, dai contorni sfuocati seduto su una carrozzella elettrica, con lo sfondo di chilometri di prateria oscura. Sopra, scintillavano fredde stelle, immensamente in alto. Aprii la giacca in plastitessuto che avevo nella tasca della tuta.
L’ologramma disse: "Sono Drew Arlen. Il Sognatore Lucido. Lasciate che i vostri sogni si avverino".
Avevo assistito una volta a una rappresentazione di Arlen dal vivo, a San Francisco, quando bazzicavo nei bassofondi con amici. Ero stata l’unica persona nella Sala da Concerto Congressista Paul Jennings Messura a non rimanere coinvolta. Resistenza naturale all’ipnosi, aveva detto il mio dottore. Il tuo cervello non possiede la necessaria calibrazione biochimica. Sogni di notte?
Non sono mai stata in grado di ricordare uno solo dei miei sogni.
La luce piramidale attorno a Drew Arlen cambiò, in qualche modo, tremolò in modo strano. Schemi subliminali. I modelli si fusero lentamente in forme intricate e la voce di Arlen, bassa e intima, cominciò una storia.
"C’era una volta un uomo di grandi speranze e nessun potere. Quando era giovane, voleva tutto…"
Oh, per cortesia! Chiacchiere grezze che bussavano a desideri basilari. E pensare che alcuni "Muli" definivano quel delinquentello un artista!
Tuttavia le forme erano intriganti. Scivolavano oltre la carrozzella di Arlen piegandosi e aprendosi, alcune apparendo chiare e altre indistinte al limite della percezione conscia. Sentii il sangue scorrere più forte nelle vene, quell’improvviso stimolo di vita che si ha a volte davanti al sesso, alla primavera o alla sfida. Non ero immune ai subliminali. Questi dovevano essere fantastici.
Sbirciai nella carrozza del treno a gravità. I Vivi stavano immobili con le facce premute contro il vetro. Desdemona guardava a bocca aperta, una piccola buca rosa.
Mi rivolsi nuovamente verso Drew Arlen, che dipanava ancora la sua semplice storia. Aveva una voce musicale. La storia era una specie di pseudo ballata popolare priva di sottigliezze, priva di ironia, priva di arte. Le parole rappresentavano soltanto il nudo scheletro su cui scintillava la grafica. Mi era stato detto che ogni persona provava un’esperienza diversa rispetto a un concerto di Drew Arlen, a seconda dei simboli liberati ed evidenziati dalle possenti esperienze infantili, immagazzinate in ogni mente. Mi era stato detto, ma non ci avevo creduto.
Camminai esternamente lungo il treno, nel buio, analizzando i volti dei Vivi dietro ai finestrini. Alcuni erano bagnati di lacrime. Qualsiasi cosa stessero provando sembrava più intensa di tutto ciò che io avevo provato, più intenso della droga o di un lavaggio di nervi. Intenso come un orgasmo.
Nessuno regolava il Sogno Lucido. Arlen aveva un esercito di scadenti imitatori. Non duravano mai a lungo. Qualsiasi cosa stesse facendo Drew Arlen, era l’unica persona al mondo che sapesse come farlo. La maggior parte dei Muli lo ignoravano.
Drew Arlen, come tutto il mondo sapeva, era l’amante di Miranda Sharifi. Era l’unico Dormiente che entrava e usciva da Huevos Verdes a suo piacimento. L’ECGS lo seguiva costantemente, ovvio, insieme con tanti reporter da poter riempire una cittadina. Erano soltanto i suoi concerti che non prendevano seriamente.
Tornai lungo il treno e risalii nella mia carrozza. L’uomo dalla testa grossa era l’unico che non stava pressato contro il finestrino. Giaceva steso su un sedile vuoto, dormendo. O facendo finta di dormire. Per non restare ipnotizzato? Per meglio osservare gli effetti della rappresentazione di Arlen?
Il concerto procedeva noiosamente. Quando tutto terminò, le persone si voltarono l’una verso l’altra, abbracciandosi emozionate, ridendo e piangendo e quindi si riversarono sulla fredda prateria in direzione dell’ologramma di Drew Arlen. Egli sorrideva dolcemente ai propri discepoli. Le forme che lo circondavano erano svanite a meno che non stessero frusciando a livello subliminale, il che era possibile. Alcuni Vivi infilarono le mani nell’ologramma, cercando di raggiungerlo. Desdemona danzò all’interno della piramide e appoggiò la testa sulla coperta posta sopra le ginocchia di Arlen.
Papà Vivo disse all’improvviso: — Scommetto che potremmo camminare, noi, fino al paese più vicino.
— Be’… — commentò qualcuno. Altre voci si unirono al coro.
— Se seguiamo i binari e restiamo insieme, noi…
— Guardiamo se alcune delle luci sul tetto sono portatili…
— Alcuni di noi dovrebbero rimanere indietro con i vecchi.
L’uomo dalla testa grossa osservava tutto attentamente. Quello fu il momento in cui fui certa. L’intero guasto alla ferrovia a gravità in quel posto abbandonato dalla tecnologia era stato una messa in scena, per controllare l’effetto del concerto di Arlen.
Come? Da parte di chi?
No. Non erano quelle le domande giuste. La domanda giusta era: quale era l’effetto del concerto di Arlen?
— Tu, allora, Eddie te ne resti qui con i vecchi. Tu, Cassie va’ a parlare con la gente delle altre carrozze. Vedi un po’ chi è che vuole venire con noi. Tasha…
Occorsero dieci minuti di discussione per organizzarsi. Strapparono le luci dal tetto di sei carrozze: erano portatili. La gente che sarebbe rimasta diede giacche extra alle persone che sarebbero andate. Il primo gruppo stava appena incamminandosi lungo il binario quando una luce balenò nel cielo. Un secondo dopo fui in grado di sentire il rumore dell’aereo.
I Vivi si fecero silenziosi.
Nell’aereo si trovava un tecnico della ferrovia a gravità, fiancheggiato da due robot della sicurezza che proiettavano uno scudo di sicurezza personale ed erano anche dotati di armi, stile "niente stronzate qui attorno". La folla li guardò in silenzio. Il bel volto modificato geneticamente del tecnico sembrava tirato. I tecnici sono un gruppo sempre teso: modificati geneticamente in quanto ad aspetto fisico non hanno il QI e le abilità potenziate che costano ai futuri genitori un sacco di soldi in più. Li si trova a riparare macchinari, a gestire distribuzioni nei depositi, a supervisionare i robot infermieri o bambinaie. I tecnici non sono certamente Vivi, ma anche se abitano nelle enclavi, non sono nemmeno esattamente Muli. E lo sanno.
— Signore e signori — disse il tecnico con espressione infelice — la Ferrovia a gravità Morrison Spa e il Senatore Cecilia Elizabeth Dawes si scusano per il ritardo con cui il vostro treno viene riparato. Circostanze al di là della nostra volontà…
— E io sono un politico, io! — strillò amaramente qualcuno.
— Per che cosa vi votiamo, brutti scemi?
— Meglio dire al Senatore che su questo treno qui si è persa un bel po’ di voti!
— Il servizio che meritiamo…
Il tecnico si diresse risoluto verso la motrice, a occhi bassi, scortato dai robot. Colsi il debole scintillio di un campo a energia-Y mentre passava. Alcuni dei Vivi, tuttavia, sei o sette, lanciarono un’occhiata lungo il binario, che si stendeva nell’oscurità ventosa, con gli occhi lucidi per quello che avrei potuto giurare essere rammarico.
Al tecnico occorsero in tutto tredici minuti per riparare il motore. Nessuno lo importunò. Egli se ne andò via con il suo aereo e il treno riprese la marcia. I Vivi si rimisero a giocare a dadi, si lagnarono, dormirono, si occuparono dei figli petulanti. Io attraversai tutte le carrozze alla ricerca dell’uomo dalla testa grossa. Era sparito mentre io stavo osservando la reazione dei Vivi nei confronti del tecnico Mulo. Dovevamo averlo lasciato indietro, sulla ventosa prateria, celato dall’oscurità.
Una volta ogni tanto io ci ho bisogno di uscirmene nei boschi. Non lo dicevo mai a nessuno. Adesso, però quando ci vado, due o tre volte all’anno, lo dico ad Annie e lei mi prepara un po’ di roba da mangiare cruda presa dalla cucina: mele, patate e soia sintetica che ancora non sono state trasformate in pietanze. Io me ne resto là fuori da solo, per cinque o sei giorni, lontano da tutto quanto: il caffè, gli olo-balli, la musica spacca timpani, le distribuzioni al deposito, i delinquenti forniti di mazze e perfino l’energia-Y. Mi faccio dei falò, io. Qualche persona non ha mai lasciato East Oleanta da vent’anni se non per andare con la ferrovia a gravità in un altro paese esattamente uguale. Il centro dei boschi per loro potrebbe anche essere in Cina, penso che quelli sono spaventati dall’idea di trovarsi là fuori.
Me ne dovevo partire per i boschi la mattina dopo che la cucina del caffè si è rotta. Di certo però non avevo intenzione di lasciare Annie e Lizzie senza cibo e neanche di andare in posti dove c’erano procioni con la rabbia e un robot di guardia rotto.
Lizzie stava vicino al mio lettino in camicia da notte, una scintillante macchia rosa nel sonno del mattino. — Billy, pensi che la cucina è già stata messa a posto?
Annie è venuta fuori dalla sua stanza da letto, sbadigliando, ancora con la camicia da notte in plastica. — Lascia in pace Billy, Lizzie. Hai fame?
Lizzie ha annuito. Mi sono seduto sul divano con una mano che mi schermava gli occhi dal sole del mattino che veniva dalla finestra. — Ascolta, Annie. Ho pensato. Se riparano quella cucina dovremmo cominciare a portarci via tutto il cibo che riusciamo e a immagazzinarlo qui. In caso che si rompe di nuovo. Possiamo prenderci fino al limite del gettone-pasto ogni giorno — tu e Lizzie non lo fate praticamente mai e nemmeno io — e poi la roba cruda della cucina. Patate, mele e altro.
Annie ha serrato le labbra. Non è una persona mattiniera, lei. Era però così bello svegliarsi a casa di Annie che me lo sono dimenticato. Lei ha detto: — Il cibo se ne marcisce in due o tre giorni. Non voglio avere della roba mezza marcia qui attorno. Non è pulito.
Lizzie ha detto: — Billy, pensi che la cucina è già stata messa a posto?
Io le ho risposto: — Non so, tesoro. Andiamo a vedere. Meglio vestirsi.
Annie ha detto: — Lei prima deve andare ai bagni. Puzza. E anche io. Ci accompagni, Billy?
— Certo. — Che difesa pensava che poteva avere da un relitto come me contro dei procioni con la rabbia? Ma io avrei fatto passare Annie anche contro quei demoni se lei ci credeva.
Lizzie ha detto: — Billy, pensi che la cucina è già stata messa a posto?
Non c’erano procioni vicino ai bagni. Il bagno degli uomini era vuoto se si eccettuava il Signor Keller che è così vecchio che non penso nemmeno che si ricorda di avere un nome proprio e due ragazzini che non avrebbero dovuto stare lì da soli. Si stavano divertendo moltissimo con l’acqua, però. Mi piaceva guardarli. Mi hanno rallegrato la mattina.
Il Signor Keller ha detto che la cucina del caffè era stata riparata. Ho accompagnato Annie e Lizzie che profumavano di pulito come frutti di bosco nella rugiada per andare a prendere la colazione. Il caffè però era pieno, non solo di Vivi che stavano mangiando, ma di Muli che preparavano un olo-video della Congressista Janet Carol Land.
Era decisamente lei. Niente registrazioni. Stava in piedi davanti al nastro trasportatore di cibo che offriva le solite uova, bacon cereali e pane di soia sintetica oltre qualche fragola fresca modificata geneticamente. A me non mi piacciono le fragole modificate geneticamente. Si possono mantenere per settimane ma non hanno mai il gusto delle dolci fragoline che crescono in giugno sulle colline.
— …servendo il suo popolo con il meglio che ha, indipendentemente dal bisogno, indipendentemente dall’ora, indipendentemente dall’emergenza — diceva davanti alla telecamera robot un Mulo di bell’aspetto. — Janet Carol Land, sul posto per servire East Oleanta, per servire "voi". Un politico che merita le memorabili parole della Bibbia: "Ben fatto, buono e fedele servitore!".
La Land sorrideva. Era una bella donna, nel modo come lo sono le donne Mulo quando non sono più giovani: pelle morbida e liscia, labbra rosate e capelli in onde argentate. Troppo magra, però. Non come Annie che quando premeva le labbra color di bacche scure sembrava quasi che ne spremeva fuori il sidro.
La Land disse al bell’uomo: — Grazie, Royce. Come sai il caffè è il cuore di qualsiasi paese aristocratico. Ecco perché se il caffè non funziona smuovo cielo e terra per riportarlo alla funzionalità. Come questi buoni cittadini di East Oleanta possono testimoniare.
— Parliamo con alcuni di loro — ha detto Royce, mostrando tutti i denti. Lui e la Land si sono avvicinati a un tavolino dove stava seduto Jack Sawicki con l’aria di uno che è stato messo alle corde. — Sindaco Sawicki, cosa pensa che abbia fornito oggi al suo paese la Congressista Land?
Paulie Cenverno ha alzato gli occhi, da dove stava mangiando al tavolinetto accanto. Con lui c’era Celie Kane. Il labbro inferiore di Annie si mise a tremare in un mezzo sogghigno, mezza smorfia.
Jack ha detto con espressione miserevole: — Siamo terribilmente contenti che quella catena del cibo è stata riparata e…
— Brutti cazzoni, quando farete ammazzare quei procioni con la rabbia? — chiese seccamente Celie.
Il volto di Royce si irrigidì. — Non penso…
— Farai meglio a pensare, tu, e a pensare forte su quei procioni, oppure tu e la Congressista dovrete pensare a trovarvi qualche altro lavoro!
— Taglia — ha detto Royce. — Non preoccuparti, Janet, lo cancelleremo. — Aveva un sorriso che pareva essergli schiumato in faccia ma ho visto i suoi occhi e ho dovuto voltare lo sguardo. I miei giorni da combattente sono finiti a meno che non lo devo fare per Annie o Lizzie.
Royce ha preso la Congressista per un gomito, lui, e l’ha guidata verso la porta. Celie si è messa a strillare: — Dico sul serio, io! Ormai sono passati interi giorni e voi non avete fatto un cazzo! "Servitori pubblici"! Non siete altro che…
— "Celie" — hanno detto insieme Jack e Paulie.
La Land si è liberata da Royce. È tornata indietro verso Celie. — La preoccupazione per la sicurezza del suo paese è normale, signora. Il robot di guardia e qualsiasi genere di animale selvatico ammalato non ricadono sotto la mia giurisdizione, ma sotto quella del Supervisore Distrettuale Samuelson. Quando tornerò ad Albany farò tutto ciò che sarà in mio potere per vedere che il problema sia risolto. — Ha guardato diritto negli occhi di Celie, con grande fermezza ed è stata Celie che ha dovuto distogliere lo sguardo per prima.
Celie non ha detto niente. La Land ha sorriso e si è rivolta alla sua squadra. — Penso che qui abbiamo terminato, Royce. Ci vediamo fuori. — Si è diretta verso la porta con la schiena diritta e la testa alta. L’unico motivo perché ho visto qualcosa di diverso è che mi ero messo di fianco alla porta, fra Annie e un eventuale pericolo. La Congressista Land ha raggiunto la porta e sorrideva, sicura di sé, proprio come un politico, poi l’ha attraversata ed è diventata una donna con occhi davvero stanchi.
Ho lanciato un’occhiata ad Annie per vedere se se n’era accorta. Lei però stava brontolando contro Celie Kane. Annie poteva anche divertirsi per le uscite di Celie, ma nel profondo di sé non approvava che i servitori pubblici venivano maltrattati.
Lizzie ha detto con la sua vocina giovane e chiara: — Quella Congressista non può aiutare davvero a fare riparare il robot di guardia ad Albany, vero? Stava solo facendo finta.
— Oh, taci — ha detto Annie. — Non imparerai mai, tu, quando devi tenere la bocca chiusa e quando devi parlare.
Due giorni dopo, due giorni che tutti sono rimasti dentro e non è arrivato nessun tecnico per il robot di guardia da Albany, abbiamo fatto una battuta di caccia. Ci sono volute ore di discussioni che andavano avanti sulle sciocchezze, ma alla fine ci siamo riusciti. I Vivi non sono tenuti a possedere fucili. Non c’era una scorta nel deposito di fucili calibro 22 del Supervisore Distrettuale Tara Eleanor Schmidt. Nessuna campagna politica forniva carabine del Senatore Jason Howard Adams o pistole del Legislatore della Contea Terry William Monaghan. Però ce li avevamo lo stesso.
Paulie Cenverno ha tirato fuori la doppietta del nonno da uno scatolone in sintoplastica che stava dietro la scuola. La sintoplastica tiene fuori praticamente ogni maledettissima cosa: terra, umidità, ruggine, insetti. Eddie Rollins, Jim Swikehardt e il vecchio Doug Kane avevano i fucili dei padri, loro. Sue Rollins, sua sorella e Krystal Mandor hanno detto che si dividevano un Matlin di famiglia: non sapevo come potevano farlo. Due uomini che non conoscevo avevano fucili da caccia. Al Rauber aveva una pistola. Due dei delinquentelli sono comparsi, sogghignando, privi di armi. Proprio quello che avevamo bisogno. In tutto eravamo venti.
— Dividiamoci in coppie e partiamo in linee diritte dal caffè — ha detto Jack Sawicki.
— Sembri un maledetto Mulo — ha commentato Eddie Rollins disgustato. I delinquentelli si sono messi a ghignare.
— Hai un’idea migliore? — ha chiesto Jack. Si teneva il fucile ben stretto alla tuta verde rigonfia.
— Siamo Vivi — ha detto Krystal Mandor. — Ce ne andiamo dove vogliamo noi.
Jack ha detto: — E se qualcuno viene colpito? Volete che ci piombi addosso la polizia?
Eddie ha detto: — Io voglio cacciare i procioni come un "aristo". Non mi dare ordini, Jack.
— Benone — ha detto Jack. — Andate pure, voi. Io non dirò un’altra maledettissima parola.
Dopo dieci minuti di discussione siamo partiti a coppie in dieci linee diritte.
Io ero insieme con Doug Kane, il padre di Celie. Due vecchi, noi, lenti e zoppicanti. Doug però sapeva ancora bene come camminare nei boschi senza fare rumore. Alla mia destra ho sentito qualcuno che rideva e schiamazzava. Uno dei piccoli delinquenti. Dopo un po’ il suono è diminuito.
I boschi erano freschi e avevano un profumo dolciastro, così folti sopra le nostre teste che il terreno non mostrava un gran che di erba. Camminavamo su aghi di pino che mandavano su il loro odore di pulito. Betulle bianche, sottili come Lizzie, frusciavano. Sotto gli alberi il muschio cresceva verde scuro e nelle chiazze col sole si vedevano margherite, botton d’oro e fiori gialli. Un’allodola ha emesso un richiamo, il suono più tranquillo del mondo intero.
— Grazioso — ha detto Doug tanto piano che un coniglio a favore di vento non ha nemmeno girato le lunghe orecchie.
Verso mezzogiorno gli alberi si erano fatti più radi e il sottobosco più fitto. Ho sentito da qualche parte odore di more il che mi ha fatto pensare ad Annie. Ho calcolato che ci dovevamo essere allontanati almeno di otto chilometri da East Oleanta… Tutto quello che avevamo visto erano conigli, un cerbiatto e un casino di serpentelli innocui. Niente procioni. E ammazzare qualsiasi procione con la rabbia così lontano non sarebbe comunque servito a niente al paese. Era arrivato il momento di tornare indietro.
— Mi devo… sedere — ha detto Doug.
L’ho guardato e ho sentito la pelle gelarsi. Era pallido come la corteccia della betulla e aveva le palpebre che fremevano come due colibrì. Ha fatto cadere per terra il fucile ed è svenuto… quel vecchio pazzo aveva tolto la sicura. La pallottola si è però conficcata in un tronco. Doug si è stretto le mani sul petto ed è caduto piegandosi in due. Ero stato così impegnato a godermi l’aria e i fiori che non mi ero nemmeno accorto che gli stava venendo un attacco di cuore.
— Siediti! Siediti! — l’ho fatto sdraiare su un pezzo di terra tutto ricoperto di lucide foglie verdi. Doug si è steso su un fianco, respirando pesantemente. Batteva con la mano destra l’aria, ma io sapevo che non vedeva più niente con gli occhi. Erano sbarrati.
— Stai giù calmo, Doug. Non ti muovere! Io vado a chiamare aiuto, gli farò portare l’unità medica…
Poi il rumore del respiro si era fermato.
Ho pensato : "È andato". Il suo ossuto e vecchio petto però continuava ad alzarsi e abbassarsi, più tranquillo ora. Aveva gli occhi vitrei.
— Porterò l’unità medica! — ho detto un’altra volta, mi sono voltato e per poco non sono caduto. A non più di tre metri di distanza mi stava fissando un procione con la rabbia.
Una volta che hai visto un animale con la rabbia non te lo scordi più. Riuscivo a vedere le macchie separate di bava attorno alla bocca del procione. La luce del sole filtrava attraverso gli alberi e scintillava sulle chiazze come se erano di vetro. Il procione ha digrignato i denti, mi ha sibilato contro facendo un suono che non avevo mai sentito fare a un procione. Tremava sui posteriori. Era vicino alla fine.
Ho alzato il fucile di Doug sapendo che se mi stava per saltare addosso non avevo modo di potere essere veloce abbastanza.
Il procione si è contratto ed è balzato. Ho sollevato di scatto il fucile, ma non sono nemmeno riuscito a portarlo all’altezza della spalla. Un raggio di luce è partito da un qualche posto dietro di me solo che non era proprio luce ma un’altra cosa che sembrava luce. Il procione si è rovesciato indietro, si è bloccato ed è crollato a terra, morto.
Mi sono voltato, molto lentamente. Se avrei visto uno degli angeli di Annie non potevo rimanere più sorpreso.
C’era una ragazzina lì, bassa, con la testa grossa e i capelli scuri legati indietro con un nastro rosso. Aveva addosso degli abiti idioti per i boschi: pantaloncini bianchi, una sottile camicetta bianca, sandali aperti proprio come se non c’erano trappole per cervi, mosconi o serpenti. La ragazzina mi ha guardato con espressione seria. Un minuto dopo ha detto: — Si sente bene?
— Sì, signora. Ma Doug Kane, lì… penso che il cuore…
Lei si è avvicinata a Doug si è inginocchiata vicino a lui e gli ha preso il polso. Mi ha guardato. — Vorrei che lei facesse una cosa per me. Faccia cadere questo sul procione morto, proprio sopra al corpo. — Mi ha dato in mano un dischetto grigio grosso come una moneta. Io mi ricordo delle monete, io.
Ha continuato a guardarmi, senza nemmeno strizzare gli occhi e l’ho fatto anche io. Ho voltato le spalle a lei e a Doug e l’ho fatto. Perché? Mi ha chiesto in seguito Annie e io non ho saputo risponderle. Forse per gli occhi della ragazzina. Da Mulo e no.
Il dischetto grigio ha colpito il pelo umido del procione e ci si è fermato. Scintillava e in un secondo il procione si è trovato chiuso in un guscio trasparente che arrivava fino a terra e proseguiva per circa due centimetri e mezzo sotto al suolo. Forse energia-Y forse no. Una foglia è andata a sbattere contro il guscio ed è scivolata via. Ho toccato il guscio. Non so dove ho preso il coraggio. Era duro come pietra spugnosa.
Era fatto di nulla.
Quando mi sono voltato, la ragazzina si stava infilando qualcosa nella tasca dei pantaloncini e lo sguardo di Doug si stava facendo più chiaro. Ha boccheggiato, lui.
— Non lo faccia muovere ancora — mi ha detto la ragazza ancora senza sorridere. Non pareva proprio un tipo che sorrideva tanto. — Vada a cercare aiuto. Sarà al sicuro finché lei non tornerà indietro.
— Chi è lei, signora? — Le parole mi sono uscite fuori in un gemito. — Che cosa gli ha fatto?
— Gli ho dato una medicina. La stessa iniezione che gli avrebbe fatto l’unità medica. Ha bisogno di una barella per essere riportato in paese. Vada a chiamare aiuto, signor Washington.
Sono avanzato di un passo, io, verso di lei. Lei si è alzata. Non sembrava spaventata, ha solo continuato a fissarmi con quegli occhi senza sorriso. Dopo avere visto il procione mi è venuto in mente che forse anche lei aveva uno scudo. Non duro come quello del procione e forse nemmeno così distante dal suo corpo. Forse attaccato addosso come un guanto trasparente. Ecco perché se ne andava in giro nei boschi coi pantaloncini corti e sandaletti, perché non era tutta punzecchiata dai mosconi e perché non aveva paura di me.
Le ho detto: — Lei viene dall’Eden, vero? C’è davvero da qualche parte, in questi boschi, è davvero qui…
Lei ha mostrato una strana espressione sulla faccia. Non sapevo che cosa voleva dire e ho avuto l’impressione che per me era più facile immaginare che cosa pensava un procione con la rabbia che non quello che pensava la ragazzina.
— Vada a chiamare aiuto, signor Washington. Il suo amico ne ha bisogno. — Si è zittita, lei. — E la prego di dire ai suoi concittadini il meno possibile di quello che ha visto.
— Ma, signora…
— Uuuhhhhmmmm — si è lamentato Doug, non come se aveva dolore ma come se stava sognando.
Mi sono precipitato indietro a East Oleanta il più veloce possibile, ansimando finché non ho pensato che ci sarebbero stati due attacchi di cuore da curare per l’unità medica. Appena dietro alla pista degli scooter ho incontrato Jack Sawicki e Krystal Mandor, accaldati e sudati che stavano arrancando per tornare in paese. Gli ho detto del collasso del vecchio Kane. Mi hanno dovuto fare ricominciare tutto daccapo due volte. Jack è partito regolandosi con il sole. Forse è l’altro unico buon boscaiolo che abbiamo a East Oleanta. Krystal è corsa a cercare l’unità medica e altre persone. Io mi sono seduto per riprendere fiato. Il sole era cocente e accecante nel campo aperto, il lago scintillava oltre il paese e io non riuscivo a trovare un equilibrio in nessun posto della mia mente.
Forse non ci sono mai riuscito. Niente mi è più sembrato lo stesso dopo quel giorno.
L’unità medica ha trovato Doug Kane con una certa facilità, passando sopra ai cespugli con i sensori a gravità, sentendo la traccia mia e di Doug nell’aria. La seguivano quattro uomini che hanno riportato Doug a casa. Lui respirava meglio. Quella notte ci siamo radunati tutti al caffè. Volava musica da ballo, accuse, strilli ed era in atto una festa. Nessuno aveva sparato a nessun procione ma Eddie Rollins aveva sparato a un cervo e Ben Radisson aveva sparato a Paulie Cenverno. Paulie non era ferito grave, lui, e l’unità medica lo aveva rimesso subito a posto. Io sono andato a trovare Doug Kane.
Non si ricordava di nessuna ragazzina nei boschi. Glielo ho chiesto mentre stava sdraiato sulla pedana da letto in sintoplastica, steso su cuscini con una coperta imbottita, ricamata come quella che Annie si era fatta per il divano. Doug amava le attenzioni. Gliel’ho chiesto, molto attentamente, senza dirgli esattamente che c’era una ragazzina nei boschi ma accennando a quello che era successo. Lui però non sì ricordava niente dopo che era crollato e nessuno di quelli che l’avevano riportato a casa aveva parlato del ritrovamento di un procione sotto un guscio duro.
Doveva essersi portata via l’intero guscio, lei.
L’unica persona a cui l’ho detto è stata Annie e mi sono assicurato che Lizzie non c’era nelle vicinanze. Annie non mi ha creduto. Non all’inizio. Poi sì, ma solo perché si ricordava la ragazzina con la testa grossa e la tuta verde che stava nel caffè due giorni prima. Questa ragazzina aveva la testa grossa anche lei e in qualche modo per Annie questo significava che anche il resto della storia era vero. Ho detto ad Annie di non parlarne assolutamente con nessuno. E lei non lo ha mai fatto, nemmeno con me.
Per un bel po’ non sono riuscito a pensare praticamente ad altro. Poi ho cercato di scuotermi e sono tornato alla vita normale. La ragazzina con la testa grossa però era ancora nel mio pensiero.
Non abbiamo avuto altri guai per l’intera estate e autunno con i procioni con la rabbia. Sono semplicemente scomparsi tutti, per sempre.
Le macchine, però, hanno continuato a rompersi.