Keeble, ansimando selvaggiamente, riuscì a scuotere la testa.

«VUOLE CHE LE VADA A PRENDERE UN BICCHIERE D’ACQUA, ALLORA?»

«nnN, nnN.»

Il campanello del negozio squillò. Gli occhi di Keeble presero a roteare. La Morte decise che doveva qualche cosa a quell’uomo. Non avrebbe dovuto fargli perdere un cliente, che era una cosa che gli umani ritenevano, evidentemente, molto preziosa.

Scostò da una parte la tendina di perline e camminò impettita verso la parte più esterna del negozio in cui una donna piccola e grassa, con l’aspetto di una tozza pagnotta infuriata, stava martellando il bancone con un merluzzo.

«Si tratta di quel lavoro da cuoca giù all’Università» disse. «Mi avevate detto che era un buon posto e invece è una vera e propria disgrazia, con tutti gli scherzi che fanno gli studenti. Io pretendo… io vorrei che lei… io non sono…»

La sua voce si affievolì.

«’aggiù» disse, ma si capiva chiaramente che la sua mente non era in quelle parole. «Lei non è Keeble, vero?»

La Morte la fissò. Non aveva mai avuto esperienza, prima di allora, di un cliente insoddisfatto. Si sentiva perduta. Alla fine, cedette.

«VATTENE, NERA VECCHIACCIA NOTTURNA» disse.

Gli occhietti della cuoca divennero fessure.

«Chi sta chiamando strega notturna?» protestò lei in tono accusatorio e dette un’altra botta col pesce sul bancone. «Guardi questo» disse. «Ieri notte era il mio scaldino, stamattina è un pesce. Mi dica un po’ lei che cosa ne pensa.»

«POSSANO TUTTI I DEMONI DELL’INFERNO RECLAMARE IL TUO SPIRITO VIVENTE SE NON USCIRAI DAL NEGOZIO IN QUESTO ESATTO MOMENTO» provò a dire la Morte.

«Di queste cose non so nulla, ma che ne è del mio scaldino? Quello non è un posto adatto ad una donna rispettabile, hanno cercato di…»

«SE MI POTESSI FARE LA CORTESIA DI ALLONTANARTI DAL NEGOZIO» disse la Morte in preda alla disperazione «TI DARÒ DEI SOLDI.»

«Quanto?» chiese la cuoca, con una velocità che avrebbe distanziato un serpente a sonagli all’attacco e avrebbe inferto un brutto colpo al fulmine.

La Morte estrasse il suo borsellino e fece cadere un mucchietto di monete verdastre e annerite sul bancone. La donna le guardò con estremo sospetto.

«ED ORA ALLONTANATI ALL’ISTANTE» disse la Morte e aggiunse «PRIMA CHE I BRUCIANTI VENTI DELL’INFINITO USTIONINO LA TUA CARCASSA PRIVA DI VALORE.»

«Racconterò tutto a mio marito» disse la cuoca con atteggiamento truce, mentre lasciava l’ufficio. Alla Morte sembrò che nessuna minaccia da parte sua sarebbe potuta essere altrettanto temibile.

Passò nuovamente attraverso la tendina. Keeble, ancora accasciato sulla sedia, emise uno strano tipo di gorgoglio strozzato.

«Era vero!» disse «Pensavo che fosse un incubo!»

«POTREI ANCHE OFFENDERMI PER QUESTO» replicò la Morte.

«Lei è davvero la Morte?» chiese Keeble.

«SÌ.»

«Perché non me lo aveva detto?»

«DI SOLITO LA GENTE PREFERISCE CHE IO NON LO FACCIA.»

Keeble si mise a scartabellare i suoi incartamenti, ridacchiando in maniera isterica.

«Desidera forse fare qualcosa d’altro?» disse. «Maga dei denti? Spirito acquatico? Orco?»

«NON SIA SCIOCCO. IO DESIDERAVO SEMPLICEMENTE… UN PO’ DI CAMBIAMENTO.»

Il frenetico rovistare di Keeble terminò quando egli ebbe finalmente trovato la carta che stava cercando. Emise una risata da maniaco e ficcò il plico nelle mani della Morte.

La Morte lo lesse.

«E QUESTO SAREBBE UN LAVORO? LA GENTE VIENE PAGATA PER FARE UNA COSA SIMILE?»

«Sì, sì, vada a trovarlo, mi sembra proprio il tipo adatto, però mi raccomando, non gli dica che l’ho mandata io.»


Binky avanzava attraverso la notte al galoppo sfrenato, mentre il Disco sfrecciava ben al di sotto dei suoi zoccoli. Ora Morty scoprì che la spada poteva arrivare molto più in là di quanto non avesse pensato, poteva raggiungere le stesse stelle e lui la fece oscillare attraverso le profondità dello spazio fino nel cuore di una nana gialla che si trasformò in supernova in modo estremamente soddisfacente. Si alzò in piedi sulla sella e fece roteare la lama attorno alla testa, ridendo mentre la fiamma bluastra si allargava nel cielo lasciando una scia di oscurità e braci.

E non si fermò lì. Morty si dimenava mentre la spada fendeva l’orizzonte, sbriciolando le montagne, prosciugando i mari, trasformando verdi foreste in legno marcito e ceneri. Udiva delle voci alle sue spalle e le brevi grida di parenti ed amici mentre si voltava disperatamente. Tempeste di sabbia turbinavano su dalla terra arida mentre lui cercava strenuamente di abbandonare la presa, tuttavia la spada gli bruciava come gelido ghiaccio in mano, trascinandolo in una danza che non sarebbe finita finché non fosse rimasto più nulla di vivente.

Arrivò poi anche quel momento e Morty si trovò solo, eccetto che per la Morte che gli disse: «Un bel lavoretto, ragazzo.»

E Morty rispose «MORTY.»

«Morty! Morty! Svegliati!»

Morty riaffiorò lentamente, come un cadavere in uno stagno. Combatté per non farlo, aggrappandosi al cuscino e agli orrori del sonno, ma qualcuno lo stava tirando con forza per un orecchio.

«Mmmpp?» disse.

«Morty

«Wssstt?»

«Morty si tratta di mia madre!»

Il ragazzo aprì gli occhi e fissò con espressione vacua il volto di Ysabell. Quindi gli avvenimenti della notte precedente lo colpirono come una calza piena di sabbia bagnata.

Morty tirò giù le gambe dal letto, ancora avvolto nei resti del suo sogno.

«Va bene. D’accordo» disse. «Andrò da lei immediatamente.»

«Non è qui! Albert sta diventando matto!» Ysabell stava in piedi accanto al letto, cincischiando il fazzoletto fra le mani. «Morty, pensi che le sia successo qualche cosa?»

Lui le gettò uno sguardo vuoto. «Non essere stupida» disse «è la Morte.» Si grattò. Aveva caldo e si sentiva la pelle secca che gli prudeva.

«Ma non è mai rimasta lontana per così tanto tempo! Neppure quando c’è stata quella imponente pestilenza a Pseudopolis! Voglio dire, deve essere qui ogni mattina per lavorare sui libri, calcolare i nodi e…»

Morty la afferrò per le braccia. «D’accordo, d’accordo» disse, cercando di rassicurarla nel miglior modo possibile. «Sono certo che vada tutto bene. Adesso calmati, andrò io a controllare… perché tieni gli occhi chiusi?»

«Morty, per favore, mettiti addosso dei vestiti» disse Ysabell con voce debole e sottile.

Morty abbassò lo sguardo.

«Scusa» osservò con espressione dimessa «non mi ero reso conto… Chi mi ha infilato a letto?»

«L’ho fatto io» disse lei. «Però ho guardato dall’altra parte.»

Morty si mise rapidamente i pantaloni, si dimenò indossando la camicia e si affrettò verso lo studio della Morte con Ysabell alle calcagna. Albert si trovava già lì e stava ballonzolando da un piede all’altro come fosse un’anatra in una teglia. Quando entrò Morty l’espressione sul viso del vecchio sarebbe quasi potuta essere di gratitudine.

Morty notò, con un certo stupore, che l’uomo aveva le lacrime agli occhi.

«Non si è seduta nella sua poltrona» mugolò Albert.

«Scusa, ma è una cosa importante?» domandò Morty. «Mio nonno poteva anche non tornare a casa per giorni interi se aveva fatto delle buone vendite al mercato.»

«Ma lei è sempre qui» rispose Albert. «Tutte le mattine, da quando la conosco, sta seduta qui alla sua scrivania e lavora ai nodi. È il suo lavoro. Non lo trascurerebbe mai.»

«Ritengo che i nodi possano badare a se stessi per un giorno o due» disse Morty.

Il crollo della temperatura gli fece immaginare che lui avesse torto. Guardò i volti delle due persone.

«Non possono?» chiese. Entrambi scossero la testa.

«Se i nodi non vengono accuratamente calcolati l’intero Equilibrio risulta distrutto» disse Ysabell. «Potrebbe succedere qualsiasi cosa.»

«Non te lo ha spiegato?» chiese Albert a Morty.

«Non precisamente. Io mi sono occupato soltanto della parte pratica della faccenda. Ha detto che mi avrebbe parlato della questione teorica in seguito» disse Morty. Ysabell scoppiò in lacrime.

Albert prese Morty per un braccio, alzando con una notevole drammaticità le sopracciglia, facendogli capire che avrebbero dovuto fare quattro chiacchiere in privato dietro l’angolo. Morty lo seguì con una certa riluttanza.

Il vecchio si frugò nelle tasche e ne estrasse, alla fine, un pezzo di carta sgualcito.

«Menta piperita?» chiese.

Morty scosse la testa.

«Non ti ha mai detto niente dei nodi?» domandò Albert.

Morty scosse la testa ancora una volta. Albert dette una succhiatina alla sbarretta di menta: risuonò come uno sturalavandini nel bagno di Dio.

«Quanti anni hai, ragazzo?»

«Morty. Ne ho sedici.»

«Ci sono delle cose che si dovrebbero dire ad un ragazzo prima che quello abbia sedici anni» disse Albert, gettando un’occhiata alle spalle verso Ysabell che stava singhiozzando sulla poltrona della Morte.

«Oh di quello so tutto. Mio padre me ne ha parlato quando portavamo i thargas ad accoppiarsi. Quando un uomo e una donna…»

«Io intendevo parlare dell’universo» disse Albert a precipizio. «Voglio dire, ci hai mai pensato?»

«Io so che il Disco viene sospinto attraverso lo spazio sopra la groppa di quattro elefanti che stanno in piedi sul guscio della Grande A’Tuin» rispose Morty.

«Quello è soltanto una parte di esso. Io intendevo dire l’intero universo di tempo e spazio, vita e morte, giorno e notte e tutto il resto.»

«Non potrei affermare di averci riflettuto troppo» disse Morty.

«Ah. Avresti dovuto farlo. Il fatto è che i nodi sono parte di esso. Impediscono che la morte scappi dal controllo, capisci. Non lei, la Morte, in particolare. Soltanto la morte in sé. Come, ehm…» Albert cercò disperatamente le parole opportune… «come il fatto che la morte arrivi esattamente al termine della vita, capisci, non prima e non dopo: i nodi devono essere calcolati in modo che le figure chiave… non riesci a seguirmi, eh?»

«Mi dispiace.»

«Essi devono essere calcolati e basta» disse Albert in modo deciso «e poi devono venire prese le vite giuste. Le clessidre, come le chiami tu. Il Servizio vero e proprio è la parte più semplice del lavoro.»

«Tu sai farlo?»

«No. E tu?»

«No!»

Albert succhiò con atteggiamento riflessivo la sua sbarretta di menta. «Allora tutto il mondo andrà in rovina» disse.

«Ascolta, non riesco affatto a capire perché voi due siate così preoccupati. Io immagino che sia stata soltanto trattenuta da qualche parte» disse Morty, tuttavia la cosa sembrava improbabile anche a lui. Era ben difficile che la gente attaccasse un bottone alla Morte per raccontarle un’altra storiella, o che le desse una pacca sulla schiena e le dicesse cose tipo: "C’è ancora tempo per una mezz’oretta, vecchia mia, non c’è bisogno che scappi a casa" o che la avessero magari invitata per metter in piedi una partita a birilli, che poi fossero andati in un self-service klatchiano subito dopo e…

Morty venne colpito da una improvvisa, terribile ed amara consapevolezza che la Morte dovesse essere la creatura più sola dell’universo. Nella grande festa della Creazione, lei era sempre relegata in cucina.

«Di sicuro non riesco a capire che cosa sia successo ultimamente alla padrona» rifletté Albert. «Scendi da quella poltrona, ragazza! Diamo uno sguardo a questi nodi.»

Aprirono il grande libro.

Lo osservarono per parecchio tempo.

Quindi Morty disse: «Che significano tutti quei simboli?»

«Sodomia non sapiens» disse Albert a denti stretti.

«Che significa?»

«Che io sia fottuto se lo so!»

«Quello era un modo di dire da mago, vero?» chiese Morty.

«Chiudi il becco sulla parlata da maghi. Non so niente di parlata da maghi. Cerca di applicare il tuo cervello su questa roba, piuttosto.»

Morty abbassò nuovamente lo sguardo sulle nervature di linee. Era come se un ragno avesse tessuto una tela sulla pagina, fermandosi ad ogni congiunzione per segnare degli appunti. Morty fissò il libro finché non gli cominciarono a dolere gli occhi, aspettando una scintilla di ispirazione. Non ne venne fuori nemmeno una.

«Hai avuto fortuna?»

«Per me è puro klatchiano» disse Morty. «Non so nemmeno se si debba leggere dal basso verso l’alto oppure da un lato all’altro.»

«A spirale, dal centro verso l’esterno» intervenne Ysabell tirando su col naso dalla sua seggiola posta nell’angolo.

Le teste dei due collisero mentre entrambi guardavano il centro della pagina. La fissarono. Lei alzò le spalle.

«Mia madre mi ha insegnato come leggere la mappa dei nodi» disse lei «quando ero solita mettermi qui a ricamare. Me ne leggeva dei brani.»

«Puoi aiutarci?»

«No» disse Ysabell. Si soffiò il naso.

«Che vuol dire, no?» latrò Albert. «È troppo importante per qualsiasi scervellata…»

«Voglio dire» precisò Ysabell con un tono di voce da rasoio «che io posso farli e voi potete aiutarmi.»


La Corporazione dei Mercanti di Ankh-Morpork aveva cominciato da qualche tempo ad ingaggiare numerose bande di uomini, che avevano orecchie grosse quanto pugni e pugni grossi quanto sacchi di nocciole, il cui compito era quello di rieducare le persone traviate che pubblicamente mancavano di riconoscere i molteplici aspetti attraenti della loro elegante città. Tanto per fare un esempio il filosofo Catoaster era stato ritrovato a galleggiare nel fiume a faccia in giù, poche ore dopo avere coniato il famoso detto: "Quando un uomo è stanco di Ankh-Morpork, è stanco di fanghiglia all’altezza della caviglia".

Di conseguenza è molto prudente soffermarsi ampiamente su una… delle moltissime, ovviamente… su una delle cose che rende Ankh-Morpork rinomata tra le grandi città del Multiverso.

Si tratta del suo cibo.

Le arterie commerciali di mezzo Disco passano attraverso la città oppure lungo il suo alquanto fangoso fiume. Più di metà delle tribù e delle razze del Disco hanno rappresentanti che abitano all’interno del suo territorio caoticamente esteso. Ad Ankh-Morpork le cucine del mondo collidono: sui menu si trovano mille varietà di vegetali, millecinquecento formaggi, duemila spezie, trecento tipi di carne, duecento di selvaggina, cinquecento generi diversi di pesce, cento variazioni dello stesso tipo di pasta, settanta uova di un tipo o dell’altro, cinquanta insetti, trenta molluschi, venti serpenti assortiti ed altri rettili e qualcosa di marrone chiaro e bitorzoluto conosciuto come il tartufo migratorio di acquitrino klatchiano.

I suoi ristoranti vanno da quelli opulenti, in cui le porzioni sono minuscole ma le stoviglie sono d’argento, a quelli riservati, in cui si rumoreggia che alcuni dei più esotici abitanti del Disco mangino qualsiasi cosa riescono a ingozzare a quattro palmenti.

La Casa delle Costolette di Harga, giù all’imbarcadero, non è probabilmente elencata fra i ristoranti più illustri della città, provvedendo, come fa, al tipo di clientela corpulenta che predilige la quantità e distrugge i tavoli se non l’ottiene. Non viene frequentata per moda o per esotismo, i clienti si buttano sui cibi convenzionali quali embrioni di uccelli senza ali, organi macinati inseriti in una pelle di intestino, fette di carne di cinghiale, semi di vegetale macinati e cotti gettati in grasso animale o, come si dice nel loro ambiente, uova, salsicce, pancetta e fette di pane abbrustolito.

Si tratta del classico genere di ristorante che non ha bisogno di un menu. Basta dare un’occhiata sul grembiule di Harga.

Eppure, bisognava ammetterlo, quel nuovo cuoco sembrava conoscere il mestiere. Harga, una specie di pubblicità vivente della sua merce ad alto tasso di carboidrati, guardava raggiante una stanza piena di clienti soddisfatti. Ed era anche un lavoratore veloce! A dire il vero veloce in maniera quasi sconcertante.

Dette un colpo sul passa-vivande.

«Doppie uova, patatine fritte, fagioli e un trollburger, senza cipolle» gracchiò.

«D’ACCORDO.»

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