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L’acqua era sorprendentemente calda, considerato che scendeva dalle montagne innevate. Dovevano essere state le lunghe giornate di sole ad aumentarne la temperatura.

Mi bastò allontanarmi dalla riva perché la corrente mi catturasse. Ne presi mentalmente nota, in vista del ritorno; contro quella stessa corrente avrei dovuto combattere, a meno che non mi fossi tenuto vicinissimo alla riva. Il volazaino sarebbe stato d’aiuto, sempre che non si scaricasse o l’acqua salmastra ne corrodesse i componenti metallici.

Con un ultimo cenno di saluto a Frede e Manfred che mi avevano accompagnato fino alla baia, scomparvi sotto il pelo dell’acqua e mi lasciai trascinare dalla corrente. Indossavo un paio di calzoncini e il mio equipaggiamento consisteva in una pistola e un pugnale, più naturalmente il volazaino assicurato con una cinghia sulla schiena.

Possedevo forza e abilità di molto superiori a quelle dei normali esseri umani, persino dei guerrieri clonati che costituivano l’esercito involontario di quest’era del mondo. Potevo tranquillamente restare in apnea per un quarto d’ora, e anche oltre se necessario; in caso di emergenza, riuscivo a spremere ossigeno di riserva dalle cellule del mio corpo.

Ma non sono sovrumano. Sapevo che, se uno di quei mostri tentacolari mi avesse afferrato sott’acqua, mi sarei trovato faccia a faccia con la morte. La pistola a raggi laser funzionava in acqua, ma con un raggio d’azione molto limitato, perché l’elemento liquido assorbiva l’energia con estrema rapidità.

Rimpiansi che non avessimo con noi bombole di ossigeno che mi avrebbero permesso tempi di immersione molto più lunghi, ma non facevano parte dell’equipaggiamento di cui eravamo stati dotati per quella missione. Avrei voluto procedere più speditamente, ma temevo di esaurire l’alimentatore del volazaino. No; molto meglio sfruttare la corrente e usarlo più tardi, quando la stanchezza avesse cominciato a farsi sentire.

Tornato in superficie, vidi che avevo superato la curva della costa. Il sole era alto nel cielo e le onde continuavano la loro corsa incessante verso la spiaggia, dove si infrangevano sollevando alti spruzzi. Oltrepassai il surf usando il volazaino per contrastare la corrente, poi presi a nuotare parallelamente alla spiaggia, diretto alla base degli Skorpis.

L’acqua era limpida, accesa dal sole pomeridiano. Miriadi di pesci dai colori brillanti mi guizzavano intorno, formando un caleidoscopio di colori. Un pesce predatore, dalle scaglie lucenti e l’espressione feroce, scivolò a pochi metri da me, ma senza prestarmi attenzione. Fortunatamente, non vidi tracce delle orribili creature che popolavano la palude.

Quando riemersi in superficie per respirare, mi accorsi di aver fatto pochissimi progressi. Probabilmente, stavo nuotando controcorrente. Seppur riluttante, aumentai la potenza del volazaino e mi tuffai di nuovo tra le onde.

Molto più in basso, scorsi nell’acqua cristallina qualcosa che in un primo momento presi per un tratto di barriera corallina. Una moltitudine di pesci vi nuotava intorno, creando una sorta di arcobaleno iridescente. Ma non si trattava di una formazione naturale, mi resi conto avvicinandomi, bensì di una serie di costruzioni ricoperte da incrostazioni di coralli e alghe.

Riemersi per una boccata d’aria. Di là della spiaggia erano visibili le rovine dell’antica città. Le costruzioni subacquee dovevano averne fatto parte, ipotizzai. Forse, esistevano anche dei tunnel che collegavano i due complessi. Una possibilità che, se verificata, in futuro avrebbe potuto tornarmi utile.

Nuotai verso i bizzarri edifici, simili a lunghe braccia che si protendevano in mare aperto per un chilometro circa, o forse più, sostenute da solidi pilastri e traverse. Chiunque avesse edificato la città era anche l’autore di quelle strutture. Ma perché? Non riuscivo a comprenderne la ragione, né a intuirne lo scopo.

Pesci predatori occhieggiavano tra le alghe. Mentre scivolavo tra i pilastri, alla ricerca di un varco, colsi un rapido guizzo. Un pesciolino colorato scomparve di colpo dietro a una fila di denti aguzzi. Guardai meglio: quella formidabile dentatura apparteneva a un pesce enorme, molto simile a un’anguilla, che se ne stava tranquillamente appoggiato sul fondo, in attesa che la preda si avvicinasse. Posai la mano sul pugnale e mi sentii subito più tranquillo.

Dedicai un po’ di tempo all’esame delle vecchie costruzioni. Portelli o bocchettoni per l’aria, se mai c’erano stati, dovevano essere stati ostruiti da coralli e altre formazioni. Che amaro paradosso! Gli esseri intelligenti che avevano costruito quel complesso sott’acqua si erano estinti da tempo, probabilmente autodistruggendosi in una guerra genocida, e la loro grandiosa opera serviva adesso da rifugio a pesci, crostacei e altre forme inferiori di vita.

Fu allora che vidi qualcosa avanzare. Qualcosa che aveva braccia e gambe.

Come l’anguilla predatrice, mi immobilizzai dov’ero, trattenendo il respiro. Se non mi fossi mosso, sarei stato quasi invisibile. Almeno era ciò che speravo.

Erano in tre. Tre sagome umane che scivolavano nell’acqua a poche decine di metri da me. Skorpis? Difficile stabilirne le dimensioni a quella distanza. Due sembravano notevolmente più grandi della terza. Portavano caschi di forma sferica e pinne. A mano a mano che si avvicinavano, notai che indossavano una tuta aderente come una seconda pelle, ma che erano disarmati. Non potevo vederne il viso, ma a giudicare dall’altezza, almeno due dovevano essere Skorpis. E il terzo? Un piccolo, forse?

Frugai nella memoria alla ricerca di altre informazioni sugli Skorpis. Sì, si spostavano in gruppo. La loro società era di tipo matriarcale e i loro capi erano tutti di sesso femminile. I guerrieri erano indifferentemente maschi o femmine, e tra loro non esisteva dimorfismo sessuale. Ciò significava che il terzo poteva essere un piccolo, oppure un esemplare di un’altra specie.

Cominciava a mancarmi l’aria. Presto sarei dovuto risalire in superficie. Ma non osavo muovermi con gli Skorpis tanto vicini. Per fortuna, la loro attenzione sembrava concentrarsi sul fondale marino.

Non appena mi ebbero oltrepassato, cominciai lentamente a risalire, ma senza abbandonare la protezione del pilastro.

L’aria salmastra mi parve più dolce del vino, ma tempo per assaporarla non ce n’era. Ero combattuto tra la necessità di raggiungere la base Skorpis e la curiosità di seguire quel singolare terzetto. Dov’era diretto? E che cosa stava cercando?

Inspirai profondamente, poi mi immersi di nuovo, deciso a seguire i tre, almeno per un po’.

Tenendomi a ragionevole distanza, li osservai addentrarsi tra le costruzioni, e ispezionare a lungo e con cura l’intrico di cilindri e travi. Era evidente che stavano cercando qualcosa.

Cominciai a rendermi conto che la maggior parte dei tubi era stata fracassata alle estremità. La vita che vi formicolava intorno non mi aveva permesso di accorgermene subito, ma ora vedevo con chiarezza come alcuni fossero più corti degli altri, e con le estremità curve e frastagliate… conseguenza di un’implosione o forse di un attacco esterno.

Finalmente il terzetto di Skorpis… sempre che di Skorpis si trattasse… si diresse verso il pilone più lontano. Non osai seguirli fin là, perché non c’era la possibilità di nascondermi. Questo superava in lunghezza gli altri di oltre cento metri. Chissà, forse era l’unico a essere stato risparmiato dalla catastrofe che aveva danneggiato gli altri. Comunque fosse, non mi staccai dalla rete di travi e contrafforti che sorreggevano i tubi spezzati.

I tre si affaccendavano intorno alle loro attrezzature mentre banchi di pesci si addensavano loro intorno, incuriositi da quell’attività. Di lì a poco, vidi balenare una fresa al laser, e bolle d’aria calda che salivano verso la superficie. I pesci fuggirono. I tre erano talmente concentrati sul loro lavoro che potei risalire più volte a respirare.

Dopo un po’, i bagliori del laser cessarono, e attraverso l’acqua giunse fino a me una cacofonia di colpi e stridii di metallo su metallo. Poi un suono stridulo, un cigolio prolungato, come quello di una porta chiusa da tempo che ruoti faticosamente sui cardini arrugginiti. I tre scomparvero.

Aspettai a lungo, prima di tornare in superficie per fare il pieno d’aria, e quando tornai giù, gli Skorpis non erano ricomparsi.

Se quel tubo conduceva alle rovine, attraverso esso gli Skorpis avrebbero potuto infiltrarsi nell’antica città e annientare ciò che restava della mia squadra. Era questo il loro proposito?

Dovevo scoprirlo.

Raggiunsi a nuoto l’estremità del tubo. Gli Skorpis non c’erano, ma il loro equipaggiamento, assicurato al tubo stesso, fluttuava nell’acqua. Il piccolo portello, attraverso cui erano sgusciati all’interno, era rimasto aperto. Considerai la mia prossima mossa. Nel tubo il buio era totale; e se i tre si erano nascosti poco più avanti, in attesa che cadessi nella loro trappola? Oppure, potevano già essere arrivati a metà del tunnel, e lo stavano ispezionando per vedere se conduceva alle rovine.

Benché ricordassi che gli Skorpis vedevano molto meglio di me al buio, decisi di addentrarmi nel tunnel. Emersi in una camera piena d’acqua. Il liscio metallo delle pareti non mostrava tracce di corrosione. Sentii il panico prendermi alla gola. Una cosa era nuotare nell’oceano, un’altra ritrovarsi chiusi in un locale sott’acqua. Il portello era l’unica via d’uscita; se si fosse richiuso sarei rimasto intrappolato lì dentro…

Tastando il soffitto, individuai i contorni di un secondo altro portello. Bastò esercitare una leggera pressione perché si aprisse. La massa d’acqua mi risucchiò in un’altra sala le cui pareti irradiavano una luce grigiastra. Con un piede chiusi il portello e l’acqua rifluì; percepivo il ronzio leggero di pompe idrauliche in funzione.

Ancora incerto sulle gambe, inspirai profondamente. L’aria era umida, ma respirabile. Mi guardai attorno e vidi un altro portello incassato in una parete curva. Era una camera di decompressione; qualcuno l’aveva progettata per uscire in mare e rientrare.

Era questo che avevano fatto gli Skorpis, e ora dovevano trovarsi da qualche parte all’interno del tunnel. Avevano sentito la pompa idraulica entrare in funzione? Sapevano della mia presenza? Forse mi aspettavano lì fuori?

Estrassi la pistola e con la mano libera spinsi il portello, che si spalancò lentamente. Chiunque avesse progettato il locale, non si era dato pensiero di eventuali invasioni. Per aprire i portelli era sufficiente una leggera pressione.

Il tunnel era lungo e diritto e il chiarore emanato dalle pareti rendeva perfettamente visibili le tre serie di impronte sul pavimento di metallo. Ma degli Skorpis nessuna traccia, e non c’erano curve né nicchie che potessero fungere da nascondigli, almeno per il centinaio di metri che si stendevano prima di una leggera curva.

Dovevo seguirli, oppure aspettare il loro ritorno? Dovevano essere già troppo lontani per sentire il ronzio delle pompe, e con ogni probabilità non sapevano che ero alle loro spalle. Decisi di aspettarli, facendo attenzione che il portello non si richiudesse. Non appena fossero ricomparsi, avrei sparato a tutti e tre senza dare loro neppure il tempo di accorgersi di me. Erano disarmati, e non mi avrebbero causato problemi.

Ma esisteva pur sempre la possibilità che fossero una squadra di ricognizione alla ricerca di un varco per penetrare nell’antica città e sorprendere i miei uomini. Forse Frede aveva ragione e i satelliti-spia avevano seguito ogni nostro movimento. Simili a ragni in attesa della preda, aspettavano solo il momento opportuno per piombarci addosso.

Li sentii prima ancora di vederli comparire: i tonfi leggeri di piedi nudi che si avvicinavano. Poi le voci, basse e cavernose, che rimbombavano contro le pareti. Richiusi il portello, lasciando solo una sottile fessura per poter spiare all’interno. E sparare. Non avrebbero potuto contare su nessuna copertura.

Mi accertai che la pistola fosse regolata sulla massima potenza e attesi che si avvicinassero a me e alla loro morte.

Stavano parlando, e come sempre accadeva nelle missioni affidatemi dal Radioso, scoprii che potevo capirli. Mi pareva quasi di vederlo, che sorrideva beffardo, mentre mi rammentava che era lui la fonte di quelle cognizioni, che le aveva instillate nella mia mente così come si inserisce una lista di nomi o di indirizzi nella memoria di un computer.

— Un altro spreco di tempo —stava borbottando uno degli Skorpis.

— La mancanza di prove non è necessariamente una prova di per sé —obiettò in tono quasi leggero quello che camminava in mezzo.

— Forse riuscirai a impressionare i tuoi amici scienziati con queste belle frasi, ma io so solo che abbiamo sprecato una giornata intera cercando chi non c’è.

— Ci sono —insistette l’altro. —Di questo siamo certi.

— Una volta ero certo che sarei riuscito a volare con il solo aiuto di una certa magica pozione —interloquì il terzo con voce cupa… —Ne ero assolutamente certo. Ma mi sbagliavo. Un bel po’ di ossa rotte me lo hanno ampiamente dimostrato.

— Gli alieni sono qui —disse quello al centro, e la sua voce era quella di una donna.

— Questo è quello che credi tu.

— Abbiamo le prove della loro esistenza.

— Io sono un guerriero, non uno scienziato. Credo in quello che vedo, che tocco, che sento… o in cui affondo i denti. Le tue prove… —pronunciò quell’ultima parola con sarcasmo —…non sono altro che antichi miti, racconti di vecchi.

Si erano avvicinati al punto da permettermi di stabilire con sicurezza che almeno il più piccolo dei tre era una donna. Un essere umano. Forse gli uomini collaboravano con gli Skorpis? Avevo sempre creduto che la razza umana si sarebbe schierata compatta contro gli Skorpis e i loro alleati. Com’era possibile che alcuni di loro fossero invece nostri nemici?

— Abbiamo prove ben più determinanti della mitologia —replicò la donna. —E queste strutture subacquee furono costruite con uno scopo ben preciso.

Questa volta gli altri due non ribatterono, ma il loro silenzio era più eloquente di qualunque risposta.

Erano ormai a pochi passi da me e potevo vederli bene. Non erano armati, e dal tono della conversazione era evidente che non sapevano nulla della presenza dei miei soldati nella città. Stavano cercando degli alieni di cui parlavano i loro antichi miti.

Se li avessi uccisi, i loro capi avrebbero capito che il nemico era vicino. Se non avessero fatto ritorno alla base, altri sarebbero venuti a cercarli, e io non avevo la possibilità di occultarne i cadaveri. Prima o poi, mi avrebbero individuato. Inoltre, il fatto che fossero disarmati significava che in quelle acque non c’erano predatori. Di conseguenza, la loro sparizione avrebbe suscitato immediatamente sospetti.

E, per dirla tutta, la prospettiva di sparare a una donna disarmata non mi sorrideva affatto. Non solo: volevo scoprire che cosa ci faceva con gli Skorpis. C’era molto più di quanto il Radioso mi avesse detto.

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