— C’è un solo modo per salvarti —dissi ad Anya.
— So a che cosa stai pensando, Orion, ma non è possibile. Non puoi uccidere Aton.
— Lui sta uccidendo te.
Mi sfiorò la guancia con la punta delle dita, nella penombra del tramonto, poi mi baciò sulle labbra. —Non è possibile. Lui è troppo potente.
— Si sposta continuamente attraverso lo spazio-tempo per adattare la sua arma biologica contro i vostri tentativi di distruggerla. Sta distruggendo il continuum con le sue carneficine per soddisfare la sua brama di potere. Qualcuno dovrà pur fermarlo.
— Ma se noi Creatori, con tutti i nostri poteri, non possiamo fermarlo, come pensi di riuscirci tu?
— Una volta, per poco non l’ho ucciso, ai tempi di Troia. Ricordi?
— Era impazzito, allora.
— E i tuoi amici Creatori me lo strapparono di mano. Avrei potuto spezzargli il collo, ma gli altri me lo impedirono.
Nonostante le sue paure e la sua debolezza, Anya mi sorrise. —Forse abbiamo commesso un errore.
— Forse? Tu hai cercato di curare la sua follia e ora lui ti sta uccidendo lentamente.
— Orion, conosco il tuo coraggio e il tuo amore per me, ma l’idea di uccidere Aton è una follia ben più grande di quella che dimostra lui. Gli basterà schioccare due dita per distruggerti. Distruggerti per sempre.
Scrollai le spalle. —E allora? Non voglio vivere se questo significa servirlo per sempre, vita dopo vita. Non voglio vivere se tu muori.
— Non c’è speranza, Orion. È inutile.
Mi alzai e le tesi la mano per aiutarla ad alzarsi. —Non è vero, mia amata. Io sono pieno di speranza. Forse è tutto quello che ho, ma finché avrò vita non mi arrenderò.
Anya distolse lo sguardo. Le chiome degli alberi ondeggiavano mosse dalla brezza leggera, le prime stelle apparivano nel cielo che andava imbrunendo.
— È meglio che torniamo —sospirò alla fine.
— Sì, abbiamo un lavoro da fare.
Chiusi gli occhi e sentii il gelo abissale degli interstizi del continuum spazio-temporale. Forse era solo la mia immaginazione, ma avevo l’impressione di impiegare più del solito a tornare indietro, nella stanza che si trovava nelle viscere del pianeta Prime. Nelle pieghe dello spazio-tempo il tempo è privo di significato, ma sentivo i vecchi tracciati sfilacciarsi, ormai logori, e le onde della causalità tramutarsi in caotici vortici.
Ecco di nuovo Anya seduta a un capo del lungo tavolo lucido. Restai in piedi accanto a lei, ancora circonfuso da un’aura di energia, nella sala semibuia. Lei era vecchia, rugosa e stava morendo.
La luce attorno a me si dissolse e fui libero di avvicinarmi e di prenderla tra le braccia. La sentii fragile, come sul punto di spezzarsi sotto le mie mani.
Ma il suo sguardo era ancora luminoso, vivo e vigile.
— Dovrai essere la mia forza, Orion —mi disse. —Io non durerò a lungo.
Sfere di energia comparvero sul tavolo, appena luminose, e quindi mutarono, assumendo le sembianze di una mezza dozzina di Creatori, tutti vecchi, grinzosi, vicini alla morte.
— Gli Antichi hanno inviato un messaggio tramite Orion —annunciò Anya. —Non permetteranno a nessuno di noi di usare il distruttore di stelle. Se una delle due parti ci proverà, ci spazzeranno via… noi e la Suprema Alleanza.
Come gli alleati di Aton, anche i Creatori dell’Egemonia non presero sul serio la minaccia degli Antichi.
— Spazzarci via? E come? Non hanno astronavi, né tecnologia.
— Nessuna che voi conosciate —ribattei io. —Ma hanno il modo di controllare le forze dell’universo.
— È un bluff —sentenziò un uomo dalla barba grigia. —Hanno paura che attacchiamo le loro stelle e cercano di spaventarci.
— Non sono d’accordo —intervenne Anya. —Sono molto più vecchi di noi. Ho il sospetto che i loro poteri siano di gran lunga più grandi di quanto immaginiamo.
— Se le cose stanno così, allora tanto vale arrenderci subito ad Aton.
— Se gli Antichi ci privano della nostra unica carta vincente, abbiamo già perduto la guerra.
— Dovremo affidarci alla clemenza di Aton.
— Se lo accettiamo come capo, ci guarirà dalla malattia che ci devasta.
Erano vecchi e stanchi. Una tempo si erano creduti immortali e ora la prospettiva di una morte dolorosa li rendeva timorosi e codardi.
— Avete ragione —assentì Anya, con voce stanca. —Non ha senso continuare questa guerra. A dispetto dell’attuale vantaggio militare, abbiamo comunque perduto.
— Proponiamo ad Aton una resa.
— Chiamiamolo subito.
— Non abbiamo la forza di raggiungerlo —intervenne ancora Anya. —La malattia ci ha indeboliti troppo. Dovremo mandare un emissario.
Stavo per propormi, ma qualcosa mi trattenne. Guardai Anya. I suoi occhi erano fissi altrove, ma ebbi la sensazione che fosse stata proprio lei a impormi di tacere.
— Andrò io —annunciò alla fine. —A bordo della nave di Orion. Voi potete tornate ai vostri campi di ibernazione in attesa del mio ritorno.
A uno a uno, i suoi amici si dissolsero nelle sfere di energia che usavano per spostarsi attraverso lo spazio-tempo. Ma la luce che irradiavano era fioca, come se ormai la loro energia fosse appena sufficiente a proteggere i Creatori. Sapevo che tutti loro, molto tempo addietro, avevano avuto la capacità di vivere in quelle sfere nel vuoto dello spazio profondo, traendo energia direttamente dalle stelle. Ma ora pareva che sopravvivessero a stento, ciascuno nella sua sfera, sepolti vivi in cripte di ibernazione dove potevano sperare di sfuggire agli attacchi della Suprema Alleanza. Dormivano, mentre le loro creature combattevano e morivano per loro.
— Vieni, Orion —mi chiamò Anya. —È giunta l’ora di porre fine a questo conflitto. Conducimi alla tua nave.
Dunque, era a questo che erano serviti i combattimenti, le strategie e i morti: una minaccia a coloro che avevano voluto la guerra, e subito questi si dichiaravano pronti a cedere. O, quantomeno, a proporre una resa. Non avevano tentennato davanti alla prospettiva di mandare a morire milioni di guerrieri clonati, ma, se minacciati personalmente, non erano disposti a rischiare.
Riuscivo a malapena a nascondere il disprezzo che provavo per loro, persino per Anya.
E lei lo sapeva. Abbozzò un sorriso e con un filo di voce sussurrò: —Per quello che può valere, io non ho mai voluto la guerra.
Non avevo alcuna intenzione di arrendermi ad Aton, ma dovevo assecondare Anya. O, almeno, fingere di farlo.
Perciò restai a guardare mentre i tecnici dell’Egemonia introducevano il suo corpo inerte nella capsula per il sonno crionico, un sarcofago di metallo riccamente decorato con incisioni, che fu caricato a bordo dell’Apollo. Sembrava che gli umani dello spazio-porto avessero intuito la decisione dei loro capi. Erano imbronciati, pieni di timore e di collera, ma eseguirono gli ordini senza battere ciglio.
L’ultimo pensiero di Anya, prima di addormentarsi, mi mise in allarme. “Non permettere che gli Skorpis sappiano della nostra decisione. Farebbero saltare in aria la nave.”
Temevo che gli umani di Prime avrebbero tentato di fermarci. Invece, obbedirono agli ordini e ci permisero di lasciare il sistema di Zeta.
Ma non per molto.
Stavamo accelerando, in previsione del balzo nell’iperspazio. Superammo le difese in orbita intorno a Prime, e quindi attraversammo la cintura di stazioni operative che circondavano il sistema di Zeta.
Qualcuno, nel pianeta capitale, doveva aver fatto circolare la voce della nostra intenzione di arrenderci perché non appena oltrepassammo le ultime stazioni operative, fummo accolti da un cupo ammiraglio degli Skorpis.
Ascoltai il suo messaggio nella cabina di comando.
— Corrono voci sgradevoli —esordì l’alieno, mostrando i denti in una smorfia. —Si dice che stiate tornando dalla Suprema Alleanza per discutere la resa dell’Egemonia.
— A bordo abbiamo uno dei vostri leader —risposi. —Lo stiamo portando a Loris, la capitale della Suprema Alleanza.
— Per arrendervi?
Un diplomatico avrebbe trovato una risposta evasiva. Un politico avrebbe mentito. Io ero solo un soldato. —Per discutere un armistizio, una pace, la fine della guerra.
— Alle condizioni della Suprema Alleanza —ruggì l’ammiraglio Skorpis.
— Alle migliori condizioni che potremo ottenere.
— Una resa.
— Non una resa —insistetti. —Un armistizio. La pace.
— Una resa —ripeté lei. Solo allora capii che mi stava sollecitando ad arrendermi.
— Questa nave è in missione diplomatica. A bordo abbiamo uno dei capi dell’Egemonia. Non avete alcun diritto…
— Interrompete l’accelerazione e preparatevi ad accogliere a bordo i miei soldati —mi interruppe. —Altrimenti distruggeremo la nave e con voi anche la traditrice che vuole arrendersi.
Era essenziale che continuassi a farla parlare; ogni istante guadagnato ci portava più vicini al balzo nell’iperspazio.
— Su quale autorità si basa una richiesta tanto irragionevole? —reagii con indignazione.
La sua immagine sparì dallo schermo, subito sostituita da quella di una dozzina di incrociatori da guerra Skorpis che si dirigevano verso di noi.
L’Apollo sobbalzò con violenza.
— Ci stanno sparando! —gridò Emon, ma più con eccitazione che con paura. O almeno, così speravo.
— Manovre di schivamento —ordinai.
Non è possibile schivare i raggi laser, neppure a velocità relativistica. Gli incrociatori ci intrappolarono in un cono di fuoco che arse il nostro schermo difensivo. Se fossero riusciti a sovraccaricarlo e penetrarlo prima che raggiungessimo l’iperspazio, non avremmo avuto alcuna speranza.
— Annullare le manovre di diversione —tuonai. —Concentrare tutta l’energia disponibile sui motori.
Ondeggiavamo ancora e sui display intravidi le sagome confuse degli incrociatori. Erano più veloci di noi. Mi voltai a guardare Frede, assicurata al sedile vicino al mio.
Sapeva già cosa stavo per chiederle. —Il computer prevede il completo collasso dello scudo quattordici secondi prima del balzo nell’iperspazio.
— C’è tempo a sufficienza…
— Perché ci trasformino in una nuvola di vapore, sì —finì per me.
Doveva pur esserci una soluzione.
— Trasferisci l’energia dalla sezione anteriore dello scudo a quella posteriore. È li che ci colpiranno.
— Ma se gli incrociatori si spostassero sul davanti… —Frede non ebbe bisogno di continuare la frase. Un solo raggio sparato contro la sezione non protetta della nave ci avrebbe tagliato in due.
— Obbedisci! —gridai.
Le dita di Frede si mossero rapide sulla tastiera. —Il computer prevede il salto nell’iperspazio venti secondi prima che lo scudo sia sovraccarico —disse. Poi aggiunse: —Se non saremo colpiti nella parte anteriore.
Trattenemmo tutti il respiro. La nave sussultava e oscillava sotto i colpi nemici. Due incrociatori si slanciarono in avanti nel tentativo di intercettarci.
E in quel momento entrammo nell’iperspazio. Ogni immagine svanì dagli schermi e i sussulti cessarono.
— Ce l’abbiamo fatta! —esultò Jerron, dalla sua consolle.
— Per il momento —specificai io.
Frede si voltò verso di me. —Loro sanno che siamo diretti a Loris. Possono far convergere incrociatori ovunque appaia probabile che lasceremo l’iperspazio per verificare l’andamento della navigazione.
— Solo se seguiremo la geodetica per Loris —obiettai. —È questo è il momento delle manovre diversive.
Era una scommessa. Dovevamo raggiungere Loris prima che la Suprema Alleanza cominciasse a usare il distruttore di stelle, ma non potevamo seguire la rotta più breve, dove avremmo trovato gli Skorpis ad aspettarci. Bisognava quindi scegliere un percorso alternativo, che però non allungasse eccessivamente il viaggio.
Ma in base a quale criterio stabilirlo? Lo ignoravo.
Le sentinelle si dettero il cambio. Il tempo passava, ma io restavo incollato alla mia sedia. Non dormivo, e mangiavo solo quello che uno o l’altro dei miei compagni mi portava di tanto in tanto. Protesi la mente a raggiungere quella di Anya e ne percepii l’attività rallentata.
Pensai di tentare di contattare Aton, ma ero certo che ne avremmo ricavato più danni che vantaggi. Non avrebbe avuto difficoltà a leggermi nel pensiero all’istante e a scoprire che, benché Anya e gli altri Creatori fossero pronti alla resa, io volevo ucciderlo.
C’era un modo per schermare i pensieri? Chiesi aiuto ad Anya, ma la sua attività cerebrale era talmente rallentata dall’ibernazione che dubitavo persino che potesse sentirmi.
Rimanemmo nell’iperspazio finché fu possibile, poi rallentammo a velocità relativistica. Frede aveva messo a punto una rotta lontana da quelle dirette per Loris, ma a mano a mano che ci avvicinavamo al pianeta della Suprema Alleanza, avremmo dovuto accostarci sempre più alla rotta che gli Skorpis erano in grado di intercettare.
Sapevo che cosa avrei fatto io, nei panni dell’ammiraglio degli Skorpis. Avrei mandato una grossa flotta il più vicino possibile a Loris, mantenendola nell’iperspazio, eccezion fatta per le navette di ricognizione che di tanto in tanto ne sarebbero uscite per un rapido controllo. Quella che ci avesse avvistati per prima avrebbe allertato la flotta con una pulsazione gravitazionale riconoscibile anche nell’iperspazio. La flotta, allora sarebbe tornata alla velocità relativistica e ci avrebbe catturati mentre tentavamo di raggiungere il pianeta.
Avrebbero dovuto affrontare le massicce difese dell’intero sistema di Giotto, riflettei. Ma, mentre elaboravo il possibile scenario sul computer tattico, pensai che forse gli Skorpis si proponevano non solo di catturare noi, ma anche di sorprendere le difese della Suprema Alleanza e sopraffarle. Era un’operazione rischiosa, ma conoscendo gli Skorpis mi sembrò altamente probabile che proprio questo fosse il loro obiettivo.
Quasi risi nel rendermi conto di quello che si andava preparando: la nostra missione “diplomatica” avrebbe avuto come conseguenza un poderoso attacco alla capitale della Suprema Alleanza. I nostri sforzi per porre fine alla guerra avrebbero scatenato la battaglia più cruenta di tutte.
E non c’era nulla che potessi fare per evitarlo.