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Afferrai la pistola e mirai al portello, proprio nel momento in cui compariva il primo Skorpis, la pistola in una mano e nell’altra una granata. I miei sensi erano talmente acuiti che colsi perfino i movimenti delle sue iridi, quando lui sollevò il braccio per lanciare la bomba.

Sparai e la granata gli esplose in mano; frammenti incandescenti schizzarono per tutta la stanza. Caddi a terra, un braccio e il petto trafitti da schegge di metallo. Gli altri stavano già riparando sul ponte. Magro si tuffò dietro la consolle, per sfuggire alla pioggia di shrapnel.

La paratia del passaggio si accese di bagliori rossastri: proprio come noi gli Skorpis si stavano aprendo un varco.

— Allontanateli dal portello! —urlai, alzandomi. Chiusi automaticamente i recettori del dolore e strinsi i vasi sanguigni nei punti in cui ero stato ferito.

I miei aprirono il fuoco, Mi schiacciai contro il pavimento e sparai all’impazzata contro gli Skorpis che erano radunati intorno al portello esterno.

Qualcuno mi afferrò per le gambe e mi trascinò indietro. Con un calcio mi liberai —Dobbiamo farli sgomberare dal passaggio!! —urlai. —O li avremo tutti qui.

Il passaggio diventò la nostra trincea. Inginocchiati, distesi a terra o appoggiati ai bordi della parete curva, bersagliammo di colpi gli alieni, fino a costringerli alla ritirata. Si erano radunati su entrambi i lati del portello, provenienti da entrambe le estremità del passaggio. Abbattemmo quelli impegnati a tagliare la paratia e costringemmo quelli che li seguirono a starsene alla larga.

Poi avanzarono di nuovo, protetti da un fitto lancio di bombe. Erano talmente tanti che riuscii a intercettarne meno della metà, prima che esplodessero costringendoci ad allontanarci dal portello. Vidi i miei compagni cadere, il viso stravolto dall’improvvisa consapevolezza della morte.

Indietreggiammo, e loro ne approfittarono per rimettersi al lavoro. Noi trovammo rifugio dietro alla criocapsula. Poi la paratia si aprì in tre punti diversi e orde di Skorpis irruppero all’interno.

I loro laser colpivano i fianchi della criocapsula, rendendola incandescente. Erano troppo vicini per usare le bombe senza restare uccisi a loro volta, ma avanzavano, centimetro dopo centimetro, strisciando oltre i cadaveri dei compagni, sempre più vicini a noi.

Stavano cercando di aggirarci, così da privarci della protezione del grande sarcofago. Sparai finché il mio fucile non si scaricò, quindi impugnai la pistola.

— Dobbiamo uscire di qui! —gridai a Frede.

— Buona idea! —scattò lei. —E come?

— Con il teletrasportatore.

— Non io! —E scosse la testa, mentre riversava raggi laser su quattro Skorpis in avvicinamento.

— Allora moriremo.

— Moriremo comunque. Non ci tengo ad avere un mio doppio che passeggia su Loris.

Ma io pensavo ad Anya. Lei sapeva che recandosi a Loris si sarebbe trovata nelle mani di Aton; sapeva che arrendersi alla Suprema Alleanza avrebbe potuto significare la sua morte. Eppure aveva insistito per quell’ultimo, disperato tentativo di pace, perché voleva che quella guerra finisse. Avevo creduto che, come gli altri Creatori, fosse preoccupata solo della sua salvezza, ma ora capivo che anche a lei stavano a cuore i miliardi di esseri umani coinvolti in quella carneficina. Voleva affrontare Aton e fermare la guerra, anche a costo della propria vita.

E io avrei fatto qualunque cosa per aiutarla.

Guardai la consolle dei comandi. Magro giaceva ai suoi piedi, in una pozza di sangue.

— Non sappiamo neanche più dov’è il pianeta —insistette Frede. —Non si può andare alla cieca!

— È la nostra unica speranza.

— Orion, no! —mi ammonì lei.

— Siamo già morti —gridai per farmi sentire al di sopra del frastuono della battaglia. —Che differenza fa?

— Ucciderò tutti gli Skorpis che potrò, ma quanto a fuggire… no!

Era per questo che era stata programmata, lo sapevo bene. “Combatti fino alla fine. Uccidi più nemici che puoi. Non arrenderti mai.”

— Devo tentare —dissi.

Lei mi appoggiò la canna della pistola sotto il mento. Bruciava. —Resta e combatti, Orion.

— Mi spareresti?

— Sparerei a qualunque vigliacco che cercasse di scappare.

Con la coda dell’occhio, vidi tre Skorpis avvicinarsi, facendosi scudo con i corpi dei compagni morti.

— Laggiù! —gridai e sparai. La pistola laser di Frede abbatté un guerriero, io ne uccisi un altro e il terzo trovò rifugio dietro ai suoi compagni.

Abbandonai la protezione della criocapsula, strisciai accanto al corpo ormai freddo di Magro e mi riparai dietro alla consolle. Ma appena sollevai la testa per esaminare la strumentazione, vidi Frede puntarmi contro il fucile.

Il tempo sembrò fermarsi. Non potevo biasimarla se voleva uccidermi. Per quel che mi riguardava, io volevo fare lo stesso con lei. Il teletrasportatore distruggeva tutto ciò che veniva inviato attraverso esso, per assemblarne una copia esatta altrove. Che fossero gli Skorpis a ucciderci o il teletrasportatore, che differenza faceva? Premetti il pulsante di attivazione, gli occhi fissi su Frede. Non aveva staccato il dito dal grilletto.

Ma non sparò.

Di colpo tutto divenne buio. Riconobbi il gelo mortale che mi avviluppò. E per la prima volta compresi che tutte le traslazioni attraverso il continuum a cui ero stato sottoposto erano forme di trasmissione di materia. I teletrasportatori di questa era non erano, in realtà, che rozzi precursori dei prodigi tecnologici usati da Aton e dagli altri Creatori.

Anch’io li avevo usati. Ignorandone i principi di funzionamento: capace soltanto di dirigere certe energie, mi ero spostato nel continuum più di una volta.

Ora, in quel momento di nulla assoluto, mi resi conto che avrei dovuto coordinare non solo la mia traslazione, ma anche quella degli altri. E compresi un’altra cosa: dopo ogni mia morte, il Radioso non mi aveva resuscitato, ma aveva semplicemente realizzato una mia copia. Ogni volta, la mia morte era definitiva e irreversibile, così com’è per ogni essere sulla Terra. Era un nuovo Orion quello che il Radioso ricreava perché eseguisse i suoi ordini e a cui concedeva ricordi da lui selezionati. Scoppiai a ridere nel silenzio infinito del nulla. Non ero immortale; ma semplicemente riproducibile.

Ma questo significava che neppure Aton e gli altri Creatori erano immortali. Si poteva ucciderli. E Anya sarebbe morta, a meno che non avessi trovato il modo di salvarla.

E potevo trovarlo solo su Loris, capitale della Suprema Alleanza, il pianeta da cui Aton seguiva l’andamento della guerra.

L’immagine di Loris si materializzò nella mia mente, un pianeta simile alla Terra con oceani azzurri e nuvole candide. Con il pensiero raggiunsi Frede e gli altri miei compagni. E Anya, congelata nel sonno all’interno della criocapsula.

Percepivo la presenza di osservatori. I Creatori? Aton? No, non avvertivo lo scherno che il Radioso sempre mi riservava, né lo sdegnoso distacco dei suoi amici. Erano gli Antichi. Sentii il calore della loro approvazione e la forza del loro aiuto. Questa volta avevano rinunciato alla loro neutralità per aiutarmi.

— Loris —dissi senza parlare, senza emettere alcun suono. Nell’insondabile vuoto tra le varie dimensioni dello spazio-tempo, ritrovai Anya e i miei soldati, e insieme ci dirigemmo verso il pianeta Loris.

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