III

— Le sue Credenziali? — chiese Grame, non appena ci fummo seduti davanti a due bicchieri di whisky di Dorsai, in verità molto pregiato.

Gliele porsi e, dopo averle esaminate, ne estrasse le lettere di Sayona, il Governatore di Kultis, indirizzate al Comandante delle Forze a Terra a S. Maria. Le prese e le mise da parte, ridandomi la cartelletta.

— Si è fermato a S. Giuseppe, prima? — mi chiese.

Annuii e, mentre mi osservava, notai che diventava serio.

— Non le piacciono gli Amici — disse.

Mi lasciò senza fiato. Ero arrivato preparato a evitare un approccio troppo diretto, ma questo era stato improvviso. Distolsi lo sguardo.

Non osai rispondere immediatamente: non ci riuscivo. C’era troppo, o forse troppo poco da dire se lasciavo uscire le parole senza pensarci. Cercai di controllarmi.

— Anche se dovesse essere l’ultima cosa che faccio — risposi, lentamente — farò tutto quanto è in mio potere per rimuovere gli Amici e tutto ciò che rappresentano dalle comunità degli esseri umani civilizzati.

Ritornai a guardarlo; mi osservava, con un massiccio gomito appoggiato alla scrivania.

— È un punto di vista piuttosto duro.

— Non più duro del loro.

— Lo crede davvero? — disse in tono serio. — Non direi.

— Pensavo che voi foste quelli che li combattevano — replicai.

— Certamente. — Fece un lieve sorriso. — Ma siamo tutti soldati, da entrambe le parti.

— Non credo che loro la pensino a questo modo.

Scosse un poco la testa.

— Come può dirlo? — mi chiese.

— Li ho visti all’opera — risposi. — Sono stato catturato in prima linea a Castlemain su Nuova Terra, tre anni fa. — Battei sulla gamba ferita. — Mi spararono e non potei scappare. I Cassidiani intorno a me iniziarono a ritirarsi; erano mercenari e i loro oppositori erano Amici assoldati come mercenari.

Mi fermai un attimo per bere un sorso di whisky. Quando riappoggiai il bicchiere, Graeme non si era mosso, come se stesse aspettando.

— Con noi c’era un giovane Cassidiano, un soldato con una spiccata personalità — dissi. — Stavo facendo un servizio su quella campagna attraverso gli individui, e avevo scelto lui. La scelta era naturale, perché, vede — bevvi ancora, svuotando il bicchiere — mia sorella più giovane era stata due anni prima a Cassida, come contabile, e lo aveva sposato. Era mio cognato.

Graeme mi tolse il bicchiere di mano e, senza parlare, lo riempì di nuovo.

— Era effettivamente un abile soldato — continuai. — Stava studiando meccanica dei trasporti e aveva ancora tre anni davanti. Ma arrivò fra i primi in uno dei concorsi in un momento in cui Cassida aveva un contratto mercenario con Nuova Terra. — Presi fiato. — Insomma, per dirla brevemente, finì su Nuova Terra, nella stessa campagna su cui stavo facendo il servizio. Per il tipo di articolo che stavo scrivendo andava benissimo e mi fu assegnato. Pensammo entrambi che fosse stata una fortuna per lui, che con me sarebbe stato più al sicuro.

Bevvi ancora un po’ di whisky, e continuai.

— Ma, si sa, dove si combatte non si può mai prevedere niente. Ci ritrovammo in prima linea, da un giorno con l’altro, mentre le truppe di Nuova Terra si stavano ritirando. Fui colpito, quasi per caso, al ginocchio. L’esercito Amico stava avanzando e la situazione stava diventando incandescente. I soldati si affrettavano a ritirarsi, ma Dave cercò di trasportarmi perché, pensò, gli Amici mi avrebbero disintegrato prima di accorgersi che non ero un soldato. Così fu che — presi un altro respiro — fummo catturati entrambi e portati in una specie di campo di prigionia dove c’erano molti altri prigionieri. Dopo un po’ di tempo venne un Sergente, uno di quei fanatici alti e allampanati. Aveva l’ordine di raggruppare tutti i soldati utili per un nuovo attacco.

Mi fermai per bere ancora, ma non sentii il sapore.

— Non potevano più permettersi di tenere dei soldati a occuparsi dei prigionieri, ma non erano autorizzati a lasciarli andare, non era un comportamento onorevole; dovevano accertarsi che i prigionieri non avrebbero potuto nuocere.

Graeme stava ancora fissandomi.

— Non capii subito. Non ci arrivai neanche quando gli altri Amici, tutti soldati semplici, si opposero. — Appoggiai gli occhiali sulla scrivania e fissai la parete dell’ufficio, senza vederla, come se in quel punto ci fosse una finestra. — Mi ricordo come il Sergente si inalberò, vidi i suoi occhi come se fosse stato insultato, iniziò a urlare: “Sono forse questi dei Prescelti da Dio? Sono Prescelti?”.

Guardai Kensie Graeme e vidi che non si era mosso; mi fissava ancora e i suoi occhiali sembravano piccoli nelle sue grandi mani.

— Capisce? — dissi. — I prigionieri non erano considerati umani, solo perché non erano Amici. Per lui appartenevano a un ordine inferiore che era giusto uccidere. — Rabbrividii di colpo. — E lo fece, mentre io, grazie alla mia uniforme da corrispondente, rimanevo seduto in salvo vicino a un albero e lo guardavo ucciderli uno per uno. Tutti. Ero seduto lì e fissavo Dave; lui mi fissava, seduto a soli pochi passi, anche nel momento in cui il Sergente gli sparò.

Tacqui all’improvviso. Non avevo intenzione di tirare fuori tutto in quel modo. Mi era sempre sembrato che non sarei mai stato in grado di spiegarmi, né di trovare qualcuno che potesse capire quanto mi fossi sentito impotente. Ma qualcosa in Graeme mi aveva suggerito che egli avrebbe capito.

— Sì — disse dopo un momento, riempiendomi ancora il bicchiere. — Sono cose molto brutte. È stato poi ritrovato quel Sergente e giudicato secondo il Codice dei Mercenari?

— Dopo era comunque troppo tardi, non crede?

Annuì e distolse lo sguardo. — Naturalmente, non sono tutti così.

— Ce ne sono abbastanza per crearsi una reputazione.

— Sfortunatamente sì. Comunque — e mi sorrise leggermente — cercheremo di tenere questo genere di cose fuori da questa campagna.

— Mi dica una cosa — aggiunsi, mettendomi gli occhiali. — Questo genere di cose, come le chiama lei, sono mai state fatte agli Amici?

Qualcosa avvenne e l’atmosfera della stanza cambiò. Ci fu una breve pausa, prima che rispondesse, e il mio cuore si mise a battere più lentamente, tre volte, nell’attesa che lui parlasse.

E infine disse: — No, certamente.

— Perché no? — chiesi.

L’atmosfera divenne più spessa e mi resi conto di essere andato troppo in fretta. Ero stato seduto a parlargli da uomo a uomo, dimenticandomi che lui era anche qualcos’altro, un Dorsai, un individuo umano quanto me, ma allenato per tutta la vita e allevato da generazioni per essere diverso.

Non si mosse, né cambiò il tono di voce, o altro; ma in qualche modo sembrò prendere una distanza da me ed entrò in un universo più elevato, più freddo e più duro nel quale mi potevo avventurare solo a mio rischio e pericolo.

Mi ricordai che cosa si diceva di quel popolo venuto da un Mondo piccolo, freddo e montagnoso: se i Dorsai scegliessero di ritirare le loro truppe in servizio sugli altri Mondi e li sfidassero tutti, nemmeno la potenza congiunta di tutte le altre civiltà potrebbe fermarli. Non ci avevo creduto molto, fino a quel momento, né tantomeno pensato a lungo. Ma in quel preciso istante, la sensazione di ciò che stava accadendo nella stanza mi convinse, come un pensiero freddo, simile a un vento che scende da un ghiacciaio, che tutto questo era vero. Subito dopo udii la risposta.

— Perché questo genere di cose è specificatamente proibito dall’Articolo Due del Codice dei Mercenari.

Improvvisamente sorrise e tutte le sensazioni strane scomparvero. Ripresi a respirare.

— Bene — disse, togliendosi gli occhiali — che ne dice di unirsi a noi per mangiare qualcosa alla mensa degli ufficiali?


Cenai con loro e il pasto fu molto piacevole. Volevano che mi fermassi per la notte, ma me la sentivo di tornare al campo freddo e triste di S. Giuseppe, dove tutto quello che mi aspettava era una specie di amara soddisfazione per essere in mezzo ai miei nemici.

Tornai dagli Amici.

Erano circa le ventitré quando entrai dal cancello del presidio, parcheggiai, e vidi una figura uscire dall’ingresso dell’ufficio di Jamethon. La piazza non era ben illuminata e la luce delle poche lampade si perdeva sul selciato umido di pioggia. Non lo riconobbi subito; poi mi accorsi che era Jamethon.

Sarebbe passato un po’ distante da me, ma io scesi e gli andai incontro. Si fermò, non appena gli fui davanti.

— Signor Olyn — disse, senza scomporsi. Nell’oscurità non potevo raffigurarmi l’espressione della sua faccia.

— Dovrei farle una domanda — dissi, sorridendo, anche se non visto.

— È tardi per le domande.

— Non ci vorrà molto. — Cercai di cogliere il suo sguardo, ma era in ombra. — Sono stato al campo degli Esotici. Hanno un Generale Dorsai, come lei probabilmente sa.

— Lo so. — Quasi non vedevo le sue labbra muoversi.

— Abbiamo parlato e ne è sorta una domanda che vorrei farle, Colonnello. Ha mai ordinato ai suoi uomini di uccidere dei prigionieri?

Ci fu un breve, curioso silenzio fra noi, poi rispose, senza tradire emozioni: — L’uccisione o la tortura dei prigionieri di guerra sono vietate dall’Articolo Due del Codice dei Mercenari.

— Ma voi qui non siete mercenari. Siete truppe al servizio dei vostri Anziani e delle vostre Chiese Unite.

— Signor Olyn — disse, mentre continuavo a cercare di cogliere una qualche espressione sul suo viso in ombra. Le parole mi sembrarono più lente, anche se il tono della voce era sempre calmo. — Il mio Dio mi ha fatto diventare un capo di soldati per servirLo e io non deluderò mai le sue aspettative.

E con questa frase concluse, si voltò e, senza esporsi alla luce, proseguì.


Raggiunsi il mio alloggio, mi spogliai e mi distesi sul duro e piccolo lettino che mi avevano dato. La pioggia era finalmente cessata e, dalla finestrella senza vetri, potevo scorgere qualche stella.

Cercavo di addormentarmi, elencando mentalmente le cose che avrei dovuto fare il giorno dopo. L’incontro con Padma, il Governatore Aggiunto, mi aveva molto scosso. Avevo alcune riserve sui cosiddetti calcoli delle azioni umane, ma ero rimasto scosso dall’apprenderne l’esistenza. Avevo intenzione di saperne di più su quanto la scienza ontogenetica conoscesse e potesse predire. Anche dallo stesso Padma, se necessario, ma avrei iniziato con fonti meno importanti.

Nessuno, a mio parere, poteva neanche lontanamente pensare che un uomo come me potesse distruggere una cultura che coinvolgeva le popolazioni di due Mondi. Nessuno, eccetto Padma. Lui, con i suoi calcoli, poteva aver sopportato ciò che sapevo e cioè che i Mondi Amici di Armonia e Cooperazione erano di fronte a una decisione che avrebbe significato la vita o la morte del loro sistema di vita. Anche un piccolissimo dettaglio poteva far pendere la bilancia da una parte o dall’altra.

E la ragione era che c’era un nuovo vento che soffiava fra le stelle.

Quattrocento anni prima, eravamo tutti uomini della Terra, quella ora chiamata Vecchia Terra, il pianeta madre su cui ero nato, un popolo solo.

Poi, con i viaggi verso nuovi Mondi, il genere umano si era “frammentato”, per usare un termine degli Esotici. Tutti i piccoli frammenti sociali e tipi psicologici avevano formato gruppi esclusivi che, piano piano, si erano specializzati. E, alla fine, ne erano derivati una mezza dozzina di frammenti di tipi umani, dai guerrieri di Dorsai, ai filosofi dei Mondi Esotici, agli scienziati di Newton, Cassida e Venere, e così via…

L’isolamento aveva accentuato la specificità dei tipi, finché un crescente scambio di comunicazione fra i giovani Mondi, ormai consolidato, e un sempre maggiore livello tecnologico avevano forzato la specializzazione. Il commercio fra i Mondi era divenuto scambio di menti specializzate. Generali da Dorsai in cambio di psichiatri dai Mondi Esotici. Gli esperti in comunicazione, come me, arrivati da Vecchia Terra, avevano portato costruttori di astronavi da Cassida. E così via, almeno durante gli ultimi cento anni.

Ma ora la tendenza stava portando alla riunificazione. Gli interessi economici stavano ricomponendo la razza e ogni Mondo stava lottando per trarre tutti i vantaggi dalla ricomposizione, perdendo il meno possibile della propria peculiarità.

Il compromesso era necessario, ma per la rigida e bigotta religione degli Amici, il compromesso era peccato. Ciò li aveva resi ostili per molti e l’opinione pubblica degli altri Mondi si era già mossa contro di loro. Il discredito e il disprezzo pubblico non avrebbero più permesso loro di inviare i propri soldati come mercenari. Non avrebbero così più avuto la possibilità di assumere specialisti dagli altri Mondi e di acquistare ciò di cui necessitavano per tenere in vita i loro Mondi poveri di risorse naturali. Sarebbero morti.

Proprio come Dave, lentamente, nell’oscurità.

E nell’oscurità, in quel momento, mi ritornò ancora davanti. Era solo mezzogiorno quando ci avevano catturato, ma quando il Sergente arrivò con gli ordini era già il crepuscolo.

Dopo che se ne furono andati, lasciandomi solo, strisciai verso i corpi e trovai Dave; era ancora vivo.

Era ferito al corpo e non riuscivo a fermare l’emorragia.

Non sarebbe comunque servito, come mi dissero poi. Ma in quel momento mi sembrava l’unica cosa da fare e quindi tentai. Ma dovetti arrendermi quando ormai era buio. Lo tenni fra le mie braccia e mi accorsi che era morto solo quando divenne freddo. E in quel momento mi trasformai in colui che mio zio aveva sempre cercato di crescere : un uomo morto dentro. Dave e mia sorella erano la mia famiglia, la mia unica famiglia, sulla quale riporre le speranze. E, invece, non mi restava altro da fare che rimanere seduto lì, al buio, sostenendo Dave e sentendo il sangue uscire dal suo corpo, goccia a goccia, lentamente, sulle appassite e variegate foglie di quercia sotto di noi.


Ero lì, nel presidio degli Amici, incapace di dormire per i troppi ricordi. Dopo poco tempo, udii i soldati marciare e mettersi in formazione nella piazza per il rito di mezzanotte.

Rimasi disteso ad ascoltarli. I passi di marcia si arrestarono. La finestra della camera era in alto, sopra al letto, sulla parete alla quale la branda era appoggiata. Era senza vetri e l’aria e i rumori della notte potevano liberamente entrare insieme alla pallida luce delle lampade, che disegnava un rettangolo sulla parete opposta. Sempre disteso, fissavo il rettangolo e ascoltavo il rito, compresa la preghiera al valore a cui l’ufficiale incaricato aveva dato il via. Poi cantarono ancora il loro Inno di Battaglia, che ascoltai fino alla fine.

Soldato, non chiedere mai,

Dove la bandiera difenderai.

Se è il nemico a circondare,

Colpisci! E le vittime non contare.

Gloria, lode, soldi e onore

Sono giocattoli senza valore.

Servi, e non domandare.

L’uomo terra deve tornare.

Pena, dolore sconfinato

Sono le parti del creato.

Solo la morte in combattimento

Porta gioia e compiacimento.

Così il soldato consacrato

Dalle ferite sarà battezzato.

Siederà infine con gloria e onore,

unito, al fianco del suo Signore.

Quando ebbero finito di cantare, tornarono alle loro brande, molto simili alla mia.

Improvvisamente ascoltai il silenzio, interrotto solo dal gocciolare di una grondaia fuori dalla mia finestra; le gocce cadevano lentamente, una dopo l’altra, ma nessuno le contava.

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